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Regolarità fiscale : certificato rilasciato direttamente da Agenzia Entrate prevale su esito della piattaforma ANAC

Consiglio di Stato, sez. V, 03.09.2024 n. 7378

In diritto, va premesso che con la sentenza dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato del 24 aprile 2024, n. 7 – in attesa della quale è stata, tra l’altro, accolta l’istanza di rinvio del 19 gennaio 2024, che ne richiamava l’ordinanza di rimessione n. 161 del 2024 – è stato deciso quanto segue:
– è stato ribadito l’orientamento per il quale i certificati rilasciati dalle autorità competenti, in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente, hanno natura di dichiarazioni di scienza e si collocano fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, per cui si impongono alla stazione appaltante, esonerandola da ulteriori accertamenti: tale orientamento riguarda, unicamente, il profilo della prova circa la sussistenza del requisito e degli accertamenti richiesti al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni all’uopo rese dal concorrente in sede di gara come si desume dall’art. 86, comma 2, del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 80, applicabile alla fattispecie ratione temporis (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; 4 maggio 2012, n. 8; Sez. III, 18 dicembre 2020 n. 8148; Sez. V,17 maggio 2013, n. 2682, richiamate dalla sentenza n.7 del 2024);
– è stato altresì ribadito l’ulteriore orientamento – complementare e non contrapposto a quello di cui sopra – che fa riferimento al regime sostanziale dei requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis, affermando la necessità che gli stessi siano posseduti dal concorrente a partire dal momento della presentazione dell’offerta e sino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale (ex plurimis, Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; Sez. V, 2 maggio 2022, n. 3439; 12 febbraio 2018, n. 856; Sez. IV, 1° aprile 2019, n. 2113, richiamate dalla sentenza n. 7 del 2024); in particolare è stato ribadito che “il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica deve possedere, continuativamente, i necessari requisiti di ammissione e ha l’onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza di uno qualunque dei requisiti e di informare, tempestivamente, la stazione appaltante di qualsivoglia sopravvenienza tale da privarlo degli stessi”;
– è stato quindi affermato che “poiché i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della gara e sino alla stipula del contratto (e poi ancora fino all’adempimento delle obbligazioni contrattuali), discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo (Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; 25 febbraio 2014, n. 10; Sez. IV, 4 maggio2015, n. 2231; Sez. III, 10 novembre 2021, n. 7482)”;
– ha quindi concluso che “con specifico riguardo al requisito concernente l’assenza di debiti tributari, la certificazione rilasciata dall’amministrazione fiscale competente (Agenzie delle Entrate o eventualmente altra amministrazione titolare di poteri impositivi), ai sensi dell’art. 86, comma 2, lett. b), del D. Lgs. n.50/2016, deve coprire l’intero lasso temporale rilevante, ovvero quello che va dal momento di presentazione dell’offerta sino alla stipula del contratto”;
– ha puntualizzato – in riferimento al terzo quesito – che, indipendentemente dalle verifiche compiute dalla stazione appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo, ab origine, della regolarità fiscale, sia che egli abbia perso quest’ultima in corso di gara;
– ha infine richiamato la consolidata giurisprudenza per la quale, in riferimento alle certificazioni rilasciate dall’Agenzia delle entrate e dagli enti previdenziali e assistenziali “compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale (ossia senza efficacia di giudicato nel rapporto tributario o previdenziale/assistenziale), nell’ambito del giudizio relativo all’affidamento del contratto pubblico, la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; Sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1339; 26 aprile 2021, n. 3366; 14 giugno 2019, n. 4023).”.
6.1. Nel rinviare alla motivazione della sentenza dell’Adunanza plenaria per i riferimenti normativi di supporto ai principi di diritto affermati, giova sottolineare come dalla combinazione di questi ultimi è dato evincere la rilevanza, in prima battuta, delle risultanze dei certificati rilasciati dagli enti competenti, fatta salva la limitata verifica incidentale consentita al giudice amministrativo, da ultimo richiamata. In particolare, tale verifica concerne per lo più situazioni di incompletezza delle certificazioni, non di loro intrinseca inattendibilità sul merito delle pretese tributarie (deducibile solo nelle apposite sedi amministrative o giurisdizionali).
7. Il presente giudizio va definito alla luce dei detti principi di diritto, considerato che l’esclusione della società ricorrente dalla gara de qua è stata disposta, non per la falsa attestazione della regolarità fiscale nel DGUE (non essendo contestato che alla data di presentazione dell’offerta, il 1° settembre 2021 non risultassero violazioni fiscali definitivamente accertate), bensì per la perdita del possesso del requisito fiscale nel corso della procedura.
7.1. Come già ritenuto dal giudice di primo grado, assume rilievo l’accurata istruttoria condotta dalla stazione appaltante.
In particolare, è legittimo e va del tutto esente da censure l’operato di Roma Capitale, che, dopo aver acquisito le risultanze del sistema AVCPass, in data 20 settembre 2022, si è rivolta direttamente all’Agenzia delle entrate, con la richiesta del 13 ottobre 2022, cui è stato fornito riscontro con il già menzionato certificato del 26 ottobre 2022. Trattandosi del requisito di regolarità fiscale concernente imposte gestite dal detto ufficio, le risultanze dallo stesso attestate superano quelle desumibili dalla piattaforma tenuta dall’ANAC (cfr. anche Cons. Stato, V, 29 gennaio 2018, n. 591).
Dato quanto sopra, l’attestazione contenuta nel certificato dell’Agenzia delle entrate del 26 ottobre 2022 – che indicava, come esistenti alla data del 25 ottobre 2022, otto violazioni definitivamente accertate, alcune già da sole di importo superiore alla soglia di gravità, ed altre sette non definitive – non poteva non vincolare la stazione appaltante, secondo i principi di diritto ribaditi dalla recente decisione dell’Adunanza plenaria ed esposti al punto 8 della sentenza gravata (cui si fa integrale rinvio).

Verifica possesso dei requisiti in capo alla Società di revisione (art. 94 d.lgs. 36/2023)

Quesito: Nell’ambito di una procedura di affidamento, l’operatore economico (società per azioni) che indica come revisore legale una società di revisione, dunque persona giuridica, è tenuto a fornire la dichiarazione del revisore relativamente al possesso dei requisiti ex art. 94 D. lgs 36/2023 coma 3 lett. f) – soggetti con poteri di controllo? Più precisamente. Posto che il revisore legale persona fisica è tenuto a rendere le dichiarazioni relative al possesso dei requisiti, nel caso in esame essendo il revisore legale una persona giuridica (esterna all’operatore economico), la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti deve essere resa dal revisore legale persona fisica incaricata dalla società di revisione che si assume la responsabilità del controllo oppure deve essere resa dall’amministratore della società di revisione? Oppure la società di revisione legale in quanto persona giuridica non è tenuta a rendere la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti ex art. 94 D.lgs 36/2023?

Risposta aggiornata: La risposta al quesito è l’ultima. In tale direzione, seppur con riferimento al d.lgs. 50/2016, si veda comunicato di Anac dell’8/11/2017, § 1, secondo cui “in caso di affidamento del controllo contabile a una società di revisione, la verifica del possesso del requisito di cui all’art. 80, comma 1, non deve essere condotta sui membri degli organi sociali della società di revisione, trattandosi di soggetto giuridico distinto dall’operatore economico concorrente cui vanno riferite le cause di esclusione”. (Parere MIT n. 2691/2024)

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    Regolarità fiscale : non basta accertamento del cassetto fiscale e del certificato dell’ Agenzia Entrate. Sentenza Adunanza Plenaria Consiglio di Stato

    Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24.04.2024 n. 7

    6. Ravvisando, tra i riferiti orientamenti interpretativi un possibile contrasto giurisprudenziale, la Sezione ha ritenuto di dover rimettere a questa Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:
    i) se, fermo restando il principio della insussistenza di un potere della stazione appaltante di sindacare le risultanze delle certificazioni dell’Agenzia delle entrate attestanti l’assenza di irregolarità fiscali a carico dei partecipanti a una gara pubblica, le quali si impongono alla stessa amministrazione, il principio della necessaria continuità del possesso in capo ai concorrenti dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alle procedure selettive comporti sempre il dovere di ciascun concorrente di informare tempestivamente la stazione appaltante di qualsiasi irregolarità che dovesse sopravvenire in corso di gara;
    ii) se, correlativamente, sussista a carico della stazione appaltante, ferma restando la richiamata regola della sufficienza delle certificazioni rilasciate dalle Autorità competenti, il dovere di estendere la verifica circa l’assenza di irregolarità in capo all’aggiudicatario della procedura in relazione all’intera durata di essa, se del caso attraverso l’acquisizione di certificazioni estese all’intero periodo dalla presentazione dell’offerta fino all’aggiudicazione;
    iii) se, in ogni caso e a prescindere dalla sufficienza o meno delle verifiche condotte dalla stazione appaltante, il concorrente che impugni l’aggiudicazione possa dimostrare, e con quali mezzi, che in un qualsiasi momento della procedura di gara l’aggiudicataria ha perso il requisito dell’assenza di irregolarità con il conseguente obbligo dell’amministrazione di escluderlo dalla procedura stessa.

    […]

    1. Occorre partire dall’esame delle questioni sottoposte con l’ordinanza di rimessione.
    2. Il Collegio non ravvisa, innanzitutto, l’ipotizzato contrasto giurisprudenziale posto a fondamento del primo quesito.
    E invero, va ribadito l’orientamento per il quale i certificati rilasciati dalle autorità competenti, in ordine alla regolarità fiscale o contributiva del concorrente, hanno natura di dichiarazioni di scienza e si collocano fra gli atti di certificazione o di attestazione facenti prova fino a querela di falso, per cui si impongono alla stazione appaltante, esonerandola da ulteriori accertamenti: tale orientamento riguarda, unicamente, il profilo della prova circa la sussistenza del requisito e degli accertamenti richiesti al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni all’uopo rese dal concorrente in sede di gara, come si desume dall’art. 86, comma 2, del D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 80, applicabile alla fattispecie ratione temporis (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; 4 maggio 2012, n. 8; Sez. III, 18 dicembre 2020 n. 8148; Sez. V, 17 maggio 2013, n. 2682).
    L’ulteriore orientamento, anch’esso da ribadire, che secondo la Sezione remittente si contrapporrebbe al primo, fa, invece, riferimento al regime sostanziale dei requisiti di ammissione previsti dalla lex specialis, affermando la necessità che gli stessi siano posseduti dal concorrente a partire dal momento della presentazione dell’offerta e sino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale (ex plurimis, Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; Sez. V, 2 maggio 2022, n. 3439; 12 febbraio 2018, n. 856; Sez. IV, 1° aprile 2019, n. 2113).
    Il concorrente che partecipa a una procedura a evidenza pubblica deve possedere, continuativamente, i necessari requisiti di ammissione e ha l’onere di dichiarare, sin dalla presentazione dell’offerta, l’eventuale carenza di uno qualunque dei requisiti e di informare, tempestivamente, la stazione appaltante di qualsivoglia sopravvenienza tale da privarlo degli stessi.
    L’art. 85, comma 1, del D. Lgs. n. 50 del 2016 dispone che il concorrente, al momento della presentazione della domanda di partecipazione, autodichiari, attraverso il documento di gara unico europeo (DGUE), l’assenza di cause di esclusione di cui al precedente art. 80.
    Pur se l’art. 85 non prevede espressamente il dovere di comunicare alla stazione appaltante le eventuali cause di esclusione dalla gara verificatesi in un momento successivo alla presentazione dell’offerta, il relativo onere dichiarativo deve ricollegarsi, alla necessità, sancita dall’art. 1, comma 2-bis, della L. 7 agosto 1990, n. 241, che: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione (siano) improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.
    Tale disposizione, infatti, ha posto un principio generale sull’attività amministrativa e si estende indubbiamente anche allo specifico settore dei contratti pubblici (Cons. Stato, Sez. III, 19 febbraio 2024, n. 1591; Sez. V, 16 agosto 2021, n. 5882).
    Poiché i requisiti di partecipazione devono sussistere per tutta la durata della gara e sino alla stipula del contratto (e poi ancora fino all’adempimento delle obbligazioni contrattuali), discende, de plano, il dovere della stazione appaltante di compiere i relativi accertamenti con riguardo all’intero periodo (Cons. Stato, Ad. Plen. 20 luglio 2015, n. 8; 25 febbraio 2014, n. 10; Sez. IV, 4 maggio 2015, n. 2231; Sez. III, 10 novembre 2021, n. 7482).
    La regola si desume anche dall’art. 80, comma 6, del D. Lgs. n. 50 del 2016, il quale stabilisce che: “Le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che l’operatore economico si trova, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1,2, 4 e 5”.
    A tal fine, con specifico riguardo al requisito concernente l’assenza di debiti tributari, la certificazione rilasciata dall’amministrazione fiscale competente (Agenzie delle Entrate o eventualmente altra amministrazione titolare di poteri impositivi), ai sensi dell’art. 86, comma 2, lett. b), del D. Lgs. n. 50/2016, deve coprire l’intero lasso temporale rilevante, ovvero quello che va dal momento di presentazione dell’offerta sino alla stipula del contratto.
    In tal senso è, dunque, la risposta ai primi due quesiti posti con l’ordinanza di rimessione.

    3. Con riferimento all’ultimo quesito prospettato, va, infine, puntualizzato che, indipendentemente dalle verifiche compiute dalla stazione appaltante, il concorrente che impugna l’aggiudicazione può sempre dimostrare, con qualunque mezzo idoneo allo scopo, sia che l’aggiudicatario fosse privo, ab origine, della regolarità fiscale, sia che egli abbia perso quest’ultima in corso di gara.
    Per quanto riguarda la certificazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate, ovvero dagli enti previdenziali e assistenziali (DURC), per la consolidata giurisprudenza compete al giudice amministrativo accertare, in via incidentale (ossia senza efficacia di giudicato nel rapporto tributario o previdenziale/assistenziale), nell’ambito del giudizio relativo all’affidamento del contratto pubblico, la idoneità e la completezza della certificazione presa in considerazione, quale atto interno della fase procedimentale di verifica dei requisiti di ammissione dichiarati dal concorrente (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 maggio 2016, n. 10; Sez. V, 9 febbraio 2024, n. 1339; 26 aprile 2021, n. 3366; 14 giugno 2019, n. 4023).

    4. Alla luce degli enunciati principi di diritto, è ora possibile passare ad affrontare, partitamente, le questioni oggetto del contendere.

    5. Col primo motivo dell’appello principale, la -OMISSIS- lamenta, in sostanza, che la -OMISSIS- doveva essere esclusa dalla gara perché priva, al momento della presentazione dell’offerta, della regolarità fiscale, in conseguenza di un debito, grave e definitivamente accertato, col Segretariato Generale della Giustizia amministrativa, derivante dal mancato pagamento di una sanzione pari a 18.000 euro, irrogata in conseguenza del ritardato pagamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo del ricorso in appello r.g. 202005062.
    Da qui l’errore del Tribunale nell’aver ritenuto insussistente la prospettata carenza del requisito in parola e la violazione del conseguente onere dichiarativo gravante sull’aggiudicataria.
    La doglianza va esaminata congiuntamente al primo motivo dell’appello incidentale.
    Con esso si deduce che il giudice di prime cure, invece, che respingere il motivo concernente l’asserita mancanza della regolarità fiscale, avrebbe dovuto dichiararlo inammissibile, in quanto né alla data della presentazione dell’offerta, né a quella dell’aggiudicazione, sarebbero emerse, a carico della -OMISSIS-, violazioni fiscali gravi, definitivamente accertate, idonee a integrare la causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, come risulterebbe dalle certificazioni rilasciate dall’Agenzia delle Entrate e dell’ANAC (AVCPASS), facenti fede fini a querela di falso.
    Del resto, al momento della presentazione dell’offerta, non sarebbe emersa, dall’esame del ‘cassetto fiscale’ della -OMISSIS-, l’esistenza di alcun debito.
    Solo successivamente, nel ‘cassetto’ sarebbero state inserite alcune cartelle di pagamento, una delle quali, tra l’altro, concernente il debito di 18.000 euro di cui sopra, estinto, in corso di gara, prima della notifica della relativa cartella esattoriale.
    L’appellante principale, dal canto suo, non avrebbe prodotto a sostegno della propria censura alcuna documentazione, avendo desunto la dedotta carenza della regolarità fiscale, unicamente da una dichiarazione resa dalla -OMISSIS-, per mero scrupolo, in altra gara.
    In ogni caso, il debito di che trattasi non avrebbe natura tributaria, costituendo una mera “spesa del processo”, versata direttamente all’ufficio giudiziario.

    6. I due contrapposti motivi, più sopra sinteticamente riassunti, ruotando, sostanzialmente, attorno a una medesima questione, si prestano a una trattazione congiunta.
    Il motivo dell’appello principale è fondato, mentre non lo è quello dell’impugnazione incidentale.
    Occorre preliminarmente rilevare che, come già evidenziato dalla Sezione remittente, il contributo unificato va ascritto alla categoria delle entrate tributarie, delle quali condivide tutte le caratteristiche essenziali, “quali la doverosità della prestazione e il collegamento della stessa ad una pubblica spesa, cioè quella per il servizio giudiziario, con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante” (cfr. Corte Cost., 7 febbraio 2005, n. 73; Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2020, n. 2785; Cass. Civ., Sez. Un., 5 maggio 2011, n. 9840).
    Identica natura fiscale va riconosciuta alle sanzioni pecuniarie conseguenti al mancato o al ritardato pagamento del contributo unificato, trattandosi di obbligazioni accessorie che hanno fondamento in un rapporto di tipo tributario (si veda l’art. 2, comma 1, del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che, infatti, attribuisce la giurisdizione sulle sanzioni in parola al Giudice Tributario).
    Il mancato pagamento delle sanzioni irrogate a seguito del mancato versamento del contributo unificato nei tempi previsti integra la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50 del 2016, laddove la violazione sia grave e definitivamente accertata.
    Ciò posto, nel caso di specie la -OMISSIS- risultava priva del requisito della regolarità fiscale.
    Come correttamente dedotto dall’appellante principale, al momento della presentazione dell’offerta, l’aggiudicataria risultava, infatti, in debito, col Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, della somma di 18.000 euro, quale sanzione per il mancato tempestivo versamento del contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo del ricorso in appello r.g. 202005062.
    La violazione della detta obbligazione tributaria era grave e definitivamente accertata: ‘grave’, in quanto superiore alla soglia di 5.000 euro, fissata dall’art. 48-bis, commi 1 e 2-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, espressamente richiamato dall’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016, nonché ‘definitivamente accertata’, poiché, l’invito di pagamento, valevole quale atto di accertamento della debenza, sia in relazione al contributo unificato dovuto, sia, ai sensi dell’art. 17, comma 1, della L. 18 dicembre 1997, n. 472, con riguardo alle sanzioni pecuniarie da corrispondere per il caso di mancato o ritardato versamento dello stesso, era stato, correttamente, notificato alla -OMISSIS- all’indirizzo del difensore presso il quale aveva eletto domicilio (si vedano le dichiarazioni in tal senso rese dalla detta società), così come, espressamente, previsto dall’art. 248, comma 2, del D.P.R. n. 115 del 2002.
    Tale disposizione, peraltro, è stata ritenuta conforme alla Costituzione dalla Corte Costituzionale, che, con la sentenza 29 marzo 2019, n. 67, ha affermato che “la notifica al domicilio eletto non viola il «fondamentale diritto del destinatario della notificazione ad essere posto in condizione di conoscere, con l’ordinaria diligenza e senza necessità di effettuare ricerche di particolare complessità, il contenuto dell’atto e l’oggetto della procedura instaurata nei suoi confronti» (sentenza n. 346 del 1998).[…].
    D’altronde l’onere di diligenza e cooperazione che si richiede in capo al destinatario si concretizza nell’onere di acquisire informazioni dal domiciliatario in ordine al processo e alle incombenze ad esso connesse (compreso dunque l’obbligo di pagare il contributo)”.
    L’invito di pagamento non è stato impugnato, con conseguente cristallizzazione della obbligazione concernente tanto il contributo unificato, quanto la sanzione pecuniaria (Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2022, n. 3439; idem 14 aprile 2020, n. 2397; Cass. Civ., Sez. Trib., 7 luglio 2022, n. 21538).
    La circostanza, addotta dall’appellante incidentale, che il proprio difensore non le avesse comunicato l’avvenuta notifica dell’invito di pagamento, è, poi, ininfluente ai fini di causa, risultando incontroversa la sussistenza del debito.
    D’altra parte, l’art. 14, comma 1, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, stabilisce che la parte “che deposita il ricorso introduttivo … è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato”, per cui la -OMISSIS- rispondeva a suo tempo del debito, pur se – per quanto è stato dedotto – si era impegnata al pagamento l’altra società congiuntamente alla quale aveva proposto l’appello r.g. 202005062 (la -OMISSIS-).
    A parte ogni considerazione sulla prova di tale circostanza va rilevato che l’obbligazione tributaria in questione gravava a suo tempo su entrambe le parti appellanti, ai sensi dell’art. 14 sopra citato.
    Diversamente da quanto sostiene la -OMISSIS-, nessuna rilevanza ha, poi, ai fini di causa, la disposizione contenuta nell’art. 13, comma 6-bis.1, del D.P.R. n. 115 del 2002, secondo cui: “L’onere relativo al pagamento dei suddetti contributi è dovuto in ogni caso dalla parte soccombente, anche nel caso di compensazione giudiziale delle spese e anche se essa non si è costituita in giudizio. Ai fini predetti, la soccombenza si determina con il passaggio in giudicato della sentenza”.
    La disposizione, infatti, si limita a individuare la parte su cui debba gravare l’onere economico del contributo unificato, una volta passata in giudicato la sentenza che definisce il giudizio, ma non incide sull’identificazione del soggetto passivo del tributo.
    Nel descritto contesto, non rileva il fatto che al momento della presentazione dell’offerta nel cassetto fiscale della -OMISSIS- non risultassero pendenze tributarie o che la regolarità fiscale fosse stata accertata dall’Agenzia delle Entrate e dall’ANAC tramite l’AVCPASS.
    Infatti, il contributo unificato non rientra tra le imposte amministrate dall’Agenzia delle Entrate, per cui i debiti a esso relativi non vengono iscritti nel ‘cassetto fiscale’.
    Solo a seguito dell’emissione del ruolo e della sua consegna all’Agenzia delle Entrate – Riscossione per la procedura esattoriale, l’esistenza del debito è comparsa, attraverso l’indicazione della relativa cartella, nel ‘cassetto fiscale’, ma senza alcuna influenza sulla regolarità fiscale della -OMISSIS-, ormai già insussistente.
    Analoghe considerazioni vanno svolte quanto al certificato rilasciato dall’Agenzia delle Entrate, il quale attesta la situazione fiscale del contribuente unicamente con riguardo alle imposte gestite dal detto ufficio, mentre non rileva per i tributi gestiti da altre amministrazioni, come per l’appunto il contributo unificato.
    Altrettanto irrilevante, ai fini di causa, deve ritenersi il documento acquisito tramite il sistema AVCPASS.
    Tale documento non reca alcuna indicazione in ordine a eventuali debiti derivanti dal mancato o ritardato pagamento del contributo unificato e delle relative sanzioni, come si ricava dalla delibera 20 dicembre 2012, n. 111, e succ. mod. e integr., con cui l’ANAC, in attuazione di quanto previsto dall’art. 6-bis del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ha istituito tale sistema.
    Difatti, l’art. 5 della delibera n. 111 del 2012, che elenca gli enti certificanti tenuti a mettere a disposizione la documentazione e i dati in proprio possesso, relativi ai requisiti di carattere generale per la partecipazione alle gare, non individua, tra di essi, il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, per cui, l’esistenza dei eventuali debiti fiscali nei confronti di quest’ultimo non emerge dal documento rilasciato dall’ANAC.
    In ogni caso, come più sopra rilevato, nell’ambito del giudizio contro il provvedimento di aggiudicazione di una gara, il giudice ha sempre il potere di accertare la idoneità e la completezza delle certificazioni rilasciate dalle competenti amministrazioni in ordine al possesso dei requisiti di partecipazione.

    1 GENNAIO 2024 : TUTTE LE NOVITÀ E COSA CAMBIA PER APPALTI E CONTRATTI PUBBLICI DEL NUOVO CODICE D.LGS. 36/2023

    Per i nostri lettori un utilissimo vademecum sulle novità delle disposizioni del D.Lgs. n. 36/2023 che acquistano efficacia a partire dal 1 gennaio 2024 e su quelle non più applicabili, con link agli articoli di riferimento, alle delibere ANAC ed alle pagine di approfondimento del sito.

     

    A partire da oggi (1 gennaio 2024) diventano efficaci numerose disposizioni del nuovo Codice dei contratti pubblici, in particolare quelle in tema di digitalizzazione, utilizzo delle Piattaforme telematiche, pubblicità degli atti di gara, trasparenza, accesso agli atti, e-procurement nazionale, Banca dati ANAC e Fascicolo Virtuale Operatore Economico.

    Ai sensi dell’art. 225, comma 2 del D.Lgs. n. 36/2023 le disposizioni di cui agli articoli 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 28, 29, 30, 31, 35, 36, 37, comma 4, 99, 106, comma 3, ultimo periodo, 115, comma 5, 119, comma 5, e 224, comma 6 acquistano efficacia a decorrere dal 1 gennaio 2024.

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    Ecco l’elenco delle novità ordinate per articolo.


    Art. 19 – Principi e diritti digitali

    Le Stazioni appaltanti e gli Enti concedenti assicurano la digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti nel rispetto dei principi e delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005), garantiscono l’esercizio dei diritti di cittadinanza digitale e operano secondo i principi di neutralità tecnologica, di trasparenza, nonché di protezione dei dati personali e di sicurezza informatica.  In attuazione del principio dell’unicità dell’invio, ciascun dato è fornito una sola volta a un solo sistema informativo, non può essere richiesto da altri sistemi o banche dati, ma è reso disponibile dal sistema informativo ricevente. Tale principio si applica ai dati relativi a programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché a tutte le procedure di affidamento e di realizzazione di contratti pubblici soggette al presente codice e a quelle da esso escluse, in tutto o in parte, ogni qualvolta siano imposti obblighi di comunicazione a una banca dati o a un sistema informativo.
    Per approfondire vai all’articolo: https://www.sentenzeappalti.it/2023/04/28/digitalizzazione-contratti-pubblici-nel-nuovo-codice-attuazione-eprocurement-ecosistema-nazionale/ 


    Art. 20 – Principi in materia di trasparenza

    Fermi restando gli obblighi di pubblicità legale, a fini di trasparenza i dati, le informazioni e gli atti relativi ai contratti pubblici sono quelli indicati nell’articolo 28 del Codice e sono pubblicati secondo quanto stabilito dal D.Lgs. n. 33/2013. Le comunicazioni e l’interscambio di dati per le finalità di conoscenza e di trasparenza avvengono nel rispetto del principio di unicità del luogo di pubblicazione e dell’invio delle informazioni.


    Art. 21 – Ciclo di vita digitale dei contratti pubblici

    Il ciclo di vita digitale dei contratti pubblici, di norma, si articola in programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione. Le attività inerenti al ciclo di vita sono gestite, nel rispetto delle disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale.


    Art. 22 – Ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale (e-procurement)

    L’ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale (e-procurement) è costituito dalle Piattaforme e dai servizi digitali infrastrutturali abilitanti la gestione del ciclo di vita dei contratti pubblici e dalle Piattaforme di approvvigionamento digitale utilizzate dalle Stazioni appaltanti. Le Piattaforme e i servizi digitali consentono, in particolare:
    a) la redazione o l’acquisizione degli atti in formato nativo digitale;
    b) la pubblicazione e la trasmissione dei dati e documenti alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici;
    c) l’accesso elettronico alla documentazione di gara;
    d) la presentazione del documento di gara unico europeo in formato digitale e l’interoperabilità con il fascicolo virtuale dell’operatore economico;
    e) la presentazione delle offerte;
    f) l’apertura, la gestione e la conservazione del fascicolo di gara in modalità digitale;
    g) il controllo tecnico, contabile e amministrativo dei contratti anche in fase di esecuzione e la gestione delle garanzie.


    Art. 23 – Banca dati nazionale dei contratti pubblici

    Attraverso la propria Banca dati nazionale dei contratti pubblici, ANAC renderà disponibili i servizi e le informazioni necessari allo svolgimento delle fasi dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici.
    Per approfondire vai all’articolo: https://www.sentenzeappalti.it/2023/12/12/banca-dati-nazionale-dei-contratti-pubblici-e-digitalizzazione-le-novita-cosa-cambia-1-gennaio-2024/

    La Banca Dati si articola nelle seguenti sezioni:

    • Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA): anagrafe istituita dall’articolo 33-ter del D.L. n. 179/2012.
    • Piattaforma contratti pubblici (PCP): complesso dei servizi web e di interoperabilità attraverso i quali le Piattaforme di approvvigionamento digitale delle Stazioni appaltanti interoperano con la Banca Dati ANAC per la gestione digitale del ciclo di vita dei contratti pubblici.
    • Piattaforma per la pubblicità legale degli atti: garantisce la pubblicità legale degli atti, anche mediante la trasmissione dei dati all’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea.
    • Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico (FVOE): consente la verifica dell’assenza delle cause di esclusione e per l’attestazione dei requisiti; è utilizzato per la partecipazione alle procedure di gara affidamento disciplinate dal codice. I dati e i documenti contenuti nel fascicolo virtuale dell’operatore economico, nei termini di efficacia di ciascuno di essi, sono aggiornati automaticamente mediante interoperabilità e sono utilizzati in tutte le gare procedure di affidamento cui l’operatore partecipa.
    • Casellario Informatico: vi sono annotate le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici, individuati dall’ANAC con apposito Regolamento.
    • Anagrafe degli Operatori Economici: censisce gli operatori economici coinvolti a qualunque titolo nei contratti pubblici, nonché i soggetti, le persone fisiche e i titolari di cariche ad essi riferibili.

    Le Piattaforme digitali di approvvigionamento interoperano con i servizi erogati dalla Banca Dati secondo le regole tecniche stabilite da AGID nel provvedimento “Requisiti tecnici e modalità di certificazione delle Piattaforme di approvvigionamento digitale” adottate dal nuovo Codice dei Contratti.

    Delibera ANAC n. 261 del 20.06.2023  sulla BDNCP (https://www.sentenzeappalti.it/2023/06/29/anac-provvedimenti-delibere-regolamenti-attuativi-nuovo-codice-contratti-pubblici-d-lgs-36-2023-assegnazione-ufficio-Stazioni-appaltanti-bdncp-fvoe-pubblicita-legale-conflitto-interessi-trasparenza-vi/)


     Art. 24 – Fascicolo virtuale dell’operatore economico

    Il fascicolo virtuale dell’operatore economico è utilizzato per la partecipazione alle procedure di affidamento disciplinate dal codice. I dati e i documenti contenuti nel fascicolo virtuale dell’operatore economico, nei termini di efficacia di ciascuno di essi, sono aggiornati automaticamente mediante interoperabilità e sono utilizzati in tutte le procedure di affidamento cui l’operatore partecipa.

    Delibera ANAC n. 262 del 20.06.2023 sul FVOE e relativi Allegati (https://www.sentenzeappalti.it/2023/06/29/anac-provvedimenti-delibere-regolamenti-attuativi-nuovo-codice-contratti-pubblici-d-lgs-36-2023-assegnazione-ufficio-Stazioni-appaltanti-bdncp-fvoe-pubblicita-legale-conflitto-interessi-trasparenza-vi/)


    Art. 25 – Piattaforme di approvvigionamento digitale

    Le Stazioni appaltanti e gli Enti concedenti utilizzano le Piattaforme di approvvigionamento digitale per svolgere le procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, secondo le regole tecniche di cui all’articolo 26 del Codice. Le Piattaforme di approvvigionamento digitale non possono alterare la parità di accesso degli operatori, né impedire o limitare la partecipazione alla procedura di gara degli stessi ovvero distorcere la concorrenza, né modificare l’oggetto dell’appalto, come definito dai documenti di gara.
    Per approfondire vai all’articolo: https://www.sentenzeappalti.it/2023/12/19/digitalizzazione-appalti-pubblici-indicazioni-congiunte-anac-mit/


    Art. 26 – Regole tecniche AGID ed ANAC

    I requisiti tecnici delle Piattaforme di approvvigionamento digitale, nonché la conformità di dette  Piattaforme sono stabilite dall’AGID di intesa con l’ANAC e la  Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per la trasformazione digitale. Con il medesimo provvedimento sono stabilite le modalità per la certificazione delle  Piattaforme di approvvigionamento digitale. La certificazione consente  l’integrazione con i servizi della Banca dati nazionale dei contratti pubblici. L’ANAC cura e gestisce il registro  delle Piattaforme certificate.


    Art. 27 – Pubblicità legale degli atti

    L’obbligo per le Stazioni appaltanti della pubblicità legale per ogni genere di appalto e contratto pubblico verrà assolto mediante la Piattaforma per la pubblicità legale e non più attraverso la Gazzetta Ufficiale, come stabilito dal nuovo Codice Contratti Pubblici.
    La Piattaforma sarà parte della Banca Dati ANAC e garantirà la pubblicità legale degli atti, anche mediante trasmissione dei dati all’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, come stabilito dall’articolo 84 del D.Lgs. n. 36/2023, per bandi e avvisi di appalti di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea.
    La Banca dati ANAC prenderà in carico ogni giorno le richieste di pubblicazione trasmesse attraverso le Piattaforme digitali da parte delle Stazioni appaltanti, trasmettendole all’Ufficio europeo.
    La pubblicità a livello nazionale di bandi e avvisi relativi ad affidamenti inferiori alla soglia di rilevanza europea viene garantita direttamente dalla Banca dati ANAC, che li pubblica sulla Piattaforma per la pubblicità legale degli atti.
    Non sono più richieste le pubblicazioni sulla Piattaforma del Servizio contratti pubblici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di cui all’Allegato B al D.Lgs. n. 33/2013.

    Delibera ANAC n. 263 del 20.06.2023 sulla Pubblicità legale ed  Allegato I – Elenco obblighi di pubblicazione (https://www.sentenzeappalti.it/2023/06/29/anac-provvedimenti-delibere-regolamenti-attuativi-nuovo-codice-contratti-pubblici-d-lgs-36-2023-assegnazione-ufficio-Stazioni-appaltanti-bdncp-fvoe-pubblicita-legale-conflitto-interessi-trasparenza-vi/)

     


    Art. 28 – Trasparenza dei contratti pubblici

    Le informazioni e i dati relativi alla programmazione di lavori, servizi e forniture, nonché alle procedure del ciclo di vita dei contratti pubblici, ove non considerati riservati, sono trasmessi tempestivamente alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici attraverso le Piattaforme digitali. Le Stazioni appaltanti e gli Enti concedenti assicurano il collegamento tra la sezione «Amministrazione trasparente» del sito istituzionale e la Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Sono pubblicati nella sezione di cui al primo periodo la composizione della commissione giudicatrice e i curricula dei suoi componenti, nonché i resoconti della gestione finanziaria dei contratti al termine della loro esecuzione.

    Delibera ANAC n. 264 del 20.06.2023 sulla Trasparenza ed  Allegato I – Obblighi trasparenza aggiornati con  la Delibera ANAC n. 601 del 19.12.2023 (https://www.sentenzeappalti.it/2023/12/30/obblighi-di-pubblicazione-e-trasparenza-appalti-pubblici-novita-2024-ed-aggiornamento-delibera-anac-n-264-2023-ai-sensi-dell-art-28-d-lgs-36-2023/)

     


    Art. 29 – Regole applicabili alle comunicazioni

    Tutte le comunicazioni e gli scambi di informazioni di cui al nuovo Codice sono eseguiti, in conformità con quanto disposto dal Codice dell’Amministrazione Digitale tramite le Piattaforme dell’ecosistema nazionale e, per quanto non previsto dalle predette Piattaforme, mediante l’utilizzo del domicilio digitale ovvero, per le comunicazioni tra pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’articolo 47 del richiamato CAD.

     


    Art. 30 – Uso di procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici

    Per migliorare l’efficienza le Stazioni appaltanti e gli Enti concedenti provvedono, ove possibile, ad automatizzare le proprie attività ricorrendo a soluzioni tecnologiche, ivi incluse l’intelligenza artificiale e le tecnologie di registri distribuiti, nel rispetto delle specifiche disposizioni in materia.

     


    Art. 31 –  Anagrafe degli operatori economici partecipanti agli appalti

    È istituita presso l’ANAC l’Anagrafe degli operatori economici a qualunque titolo coinvolti nei contratti pubblici, che si avvale del registro delle imprese. L’Anagrafe censisce gli operatori economici, nonché i soggetti, le persone fisiche e i titolari di cariche ad essi riferibili. Per le persone fisiche l’Anagrafe assume valore certificativo per i ruoli e le cariche rivestiti non risultanti dal registro delle imprese.

     


    Art. 35 – Accesso agli atti e riservatezza

    Le Stazioni appaltanti e gli Enti concedenti assicurano in modalità digitale l’accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle Piattaforme, ai sensi degli articoli 3-bis e 22 e seguenti della l.n. 241/1990 e degli articoli 5 e 5-bis del D.Lgs. n. 33/2013.


    Art. 36 – Norme procedimentali e processuali in tema di accesso

    In particolare, si segnala che l’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la Piattaforma di approvvigionamento utilizzata dalla Stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione. Agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la stessa Piattaforma, gli atti della procedura nonché le offerte dagli stessi presentate.
    Nella comunicazione dell’aggiudicazione la Stazione appaltante o l’ente concedente dà anche atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di parti delle offerte, indicate dagli operatori ai sensi dell’articolo 35, comma 4, lettera a) del Codice.
    Le decisioni della Stazione appaltante o dell’ente concedente sono impugnabili ai sensi dell’articolo 116 del codice del processo amministrativo, con ricorso notificato e depositato entro dieci giorni dalla comunicazione digitale della aggiudicazione. Le parti intimate possono costituirsi entro dieci giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notifica del ricorso.


    Art. 37 (comma 4) – Programmazione dei lavori e degli acquisti di beni e servizi   

    Il programma triennale e i relativi aggiornamenti annuali sono pubblicati sul sito istituzionale e nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’ANAC.


    Art. 81 – Avvisi di pre-informazione

    Le stazioni appaltanti rendono nota entro il 31 dicembre di ogni anno l’intenzione di bandire per l’anno successivo appalti, pubblicando sul proprio sito istituzionale un avviso di pre-informazione recante le informazioni di cui all’allegato II.6 del Codice. Per gli appalti di importo pari o superiore alle soglie comunitarie, le stazioni appaltanti comunicano l’avviso di pre-informazione all’ANAC che, tramite la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, cura l’invio al Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione Europea di un avviso relativo alla pubblicazione sul sito istituzionale della stazione appaltante.


    Art. 83 – Bandi e avvisi: contenuti e modalità di redazione

    Tutte le procedure di scelta del contraente sono indette mediante bandi o avvisi di gara, salve le eccezioni  di legge. Nei bandi o negli avvisi è indicato il codice identificativo di gara (CIG) acquisito attraverso la Banca  dati nazionale dei contratti pubblici.


    Art. 84 – Pubblicazione a livello europeo

    I bandi, gli avvisi di pre-informazione e gli avvisi relativi agli appalti aggiudicati di importo pari o superiore alle soglie di cui all’articolo 14 sono redatti dalle stazioni appaltanti e trasmessi all’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, per il tramite della Banca dati nazionale dei contratti pubblici.


    Art. 85 – Pubblicazione a livello nazionale

    I bandi, gli avvisi di pre-informazione e quelli relativi agli appalti aggiudicati sono pubblicatisolo  successivamente alla pubblicazione di cui all’articolo 84 del Codice, sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici  dell’ANAC e sul sito istituzionale della Stazione appaltante o dell’ente concedente.
    Gli avvisi e i bandi pubblicati a livello nazionale sul sito istituzionale della Stazione appaltante e sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’ANAC non contengono informazioni diverse da quelle degli avvisi o bandi trasmessi all’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea e menzionano la data della trasmissione all’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea o della pubblicazione sul sito istituzionale della stazione appaltante.
    I bandi, gli avvisi di pre-informazione e quelli relativi agli appalti aggiudicati sono comunicati alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici, che li pubblica successivamente al ricevimento della conferma di pubblicazione da parte dell’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea.
    Le pubblicazioni sulla banca dati ANAC e sul sito istituzionale della stazione appaltante avvengono senza oneri. La pubblicazione di informazioni ulteriori, complementari o aggiuntive rispetto a quelle indicate nel codice avviene esclusivamente in via digitale sul sito istituzionale della stazione appaltante.


    Art. 99 – Verifica del possesso dei requisiti

    La Stazione appaltante verifica l’assenza di cause di esclusione automatiche di cui all’articolo 94 del Codice attraverso la consultazione del FVOE, la consultazione degli altri documenti allegati dall’operatore economico, nonché tramite l’interoperabilità con la Piattaforma digitale nazionale dati di cui all’articolo 50-ter del CAD  e con le banche dati delle pubbliche amministrazioni.
    La Stazione appaltante, con le medesime modalità, verifica l’assenza delle cause di esclusione non automatica di cui all’articolo 95 e il possesso dei requisiti di partecipazione di cui agli articoli 100 e 103 del Codice.


    Art. 106 (comma 3) – Garanzie per la partecipazione alla procedura

    La garanzia fideiussoria deve essere emessa e firmata digitalmente; essa deve essere altresì verificabile telematicamente presso l’emittente ovvero gestita mediante ricorso a Piattaforme operanti con tecnologie basate su registri distribuiti ai sensi dell’articolo 8-ter, comma 1, del D.L. n. 135/2018 conformi alle caratteristiche stabilite dall’AGID.
    ANAC ha stabilito con Delibera n. 606/2023 che fino al 30 giugno 2024 si può verificare l’autenticità della garanzia fideiussoria anche via PEC e non soltanto sul sito Internet del soggetto emittente.
    Per approfondire vai all’articolo: https://www.sentenzeappalti.it/2023/12/29/garanzia-fideiussoria-verifica-anche-via-pec-fino-al-30-giugno-2024-indicazioni-anac-pei-appaltanti-operatori-economici-e-garanti/


    Art. 115 (comma 5) – Controllo tecnico contabile e amministrativo

    Con l’allegato II.14 al Codice sono individuate le modalità con cui il direttore dei lavori effettua l’attività di direzione, controllo e contabilità dei lavori mediante le Piattaforme digitali, in modo da garantirne trasparenza e semplificazione. Le Piattaforme digitali garantiscono il collegamento con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, per l’invio delle informazioni richieste dall’ANAC ai sensi dell’articolo 222, comma 9, del Codice.


    Art. 119 (comma 5) – Subappalto

    L’affidatario trasmette il contratto di subappalto alla Stazione appaltante almeno venti giorni prima della data di effettivo inizio dell’esecuzione delle relative prestazioni. Contestualmente trasmette la dichiarazione del subappaltatore attestante l’assenza delle cause di esclusione e il possesso dei requisiti. La Stazione appaltante verifica la dichiarazione tramite la Banca dati nazionale.
    Il contratto di subappalto, corredato della documentazione tecnica, amministrativa e grafica direttamente derivata dagli atti del contratto affidato, indica puntualmente l’ambito operativo del subappalto sia in termini prestazionali che economici.


    Art. 224 (comma 6) – Disposizioni ulteriori

    All’articolo 95, comma 5, del Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui al D.Lgs. n. 14/2019, le parole: «purché non rivesta la qualità di mandataria e» sono soppresse.


    NUOVE SOGLIE DI RILEVANZA COMUNITARIA (Art. 14, D.Lgs. n. 36/2023)

    SETTORI ORDINARI
    – 221.000 euro per gli appalti pubblici di forniture e di servizi aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali e concorsi di progettazione organizzati da tali amministrazioni;
    – 5.538.000 euro per gli appalti di lavori pubblici.

    SETTORI SPECIALI
    – 443.000 euro per gli appalti di forniture e di servizi nonché per i concorsi di progettazione;
    – 5.538.000 euro per gli appalti di lavori.

    CONCESSIONI
    – 5.538.000 euro.

    SETTORI DELLA DIFESA E DELLA SICUREZZA
    – 443.000 euro per gli appalti di forniture e servizi;
    – 5.538.000 euro per gli appalti di lavori.


    DISPOSIZIONI NON PIÙ APPLICABILI DAL 01.01.2024

    Le disposizioni di cui agli articoli 21, comma 7, 29, 40, 41 comma 2-bis, , 44, 52, 53, 58, 70, 72, 74, 81, 85, 105, comma 7, 111, comma 2-bis, 127, 129, 213 commi 8, 9 e 10, 214, comma 6 di cui al D.Lgs. n. 50/2016 e DM MIT 02.12.2016 non sono più applicabili per lo svolgimento delle attività relative a:
    a) redazione o acquisizione degli atti relativi alle procedure di programmazione, progettazione, pubblicazione, affidamento ed esecuzione dei contratti;
    b) trasmissione dei dati e documenti relativi alle procedure di cui alla lettera a);
    c) accesso alla documentazione di gara;
    d) presentazione del documento di gara unico europeo;
    e) presentazione delle offerte;
    f) apertura e la conservazione del fascicolo di gara;
    g) controllo tecnico, contabile e amministrativo dei contratti anche in fase di esecuzione e la gestione delle garanzie.

     


    articolo in aggiornamento

     

    Iscrizione nella “white list” : requisito obbligatorio anche se una quota qualsiasi delle prestazioni in appalto è costituita da attività individuate dall’ art. 1, commi 52, legge n. 190/2012

    TAR Salerno, 27.12.2023 n. 3106

    2.1. In ordine al primo e secondo motivo di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente data la loro stretta connessione, va ricordato che costituisce principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui «la disciplina delle white list introdotta dall’articolo 1, commi 52 e segg., della legge 6 novembre 2012, n. 190, fa tutt’uno con quella delle informative interdittive antimafia e la integra» (cfr. Consiglio di Stato, sezione III, 3 aprile 2019, n. 2211; id., 20 febbraio 2019, n. 1182). Ed ancora, è stato ulteriormente affermato che «le disposizioni relative all’iscrizione nella c.d. white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le misure antimafia (comunicazioni ed informazioni), tanto che la predetta iscrizione tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta» (si v. Consiglio di Stato, sezione I, 18 giugno 2021, n. 1060). L’assimilazione dei due documenti antimafia (la comunicazione antimafia e l’informazione antimafia) non si limita, però, ai soli effetti interdittivi, ma si estende anche alla sua natura di requisito soggettivo di partecipazione alle gare, sicchè la giurisprudenza ha chiarito che «non è dirimente che l’articolo 80, comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, richiami solo le informative “classiche”, dovendosi tener conto del disposto del comma 52 dell’articolo 1, l. n. 190/2012, da cui emerge chiaramente che la white list altro non è che una modalità particolare di effettuazione delle verifiche antimafia, prevista dalla legge in relazione a particolari settori, di modo che il richiamo alle informative prefettizie deve intendersi sempre riferito anche alla iscrizione a tali liste». In applicazione di tale principio, le stazioni appaltanti non possono «sottrarsi alla forza cogente della previsione, e segnatamente nella parte in cui viene richiesto a pena di esclusione che gli operatori economici fossero iscritti – o avessero presentato domanda di iscrizione prima della presentazione della domanda di partecipazione – in appositi elenchi (cd. white list) istituiti presso la Prefettura del luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale così come indicato dall’articolo 1, comma 52, della Legge n. 190/2012 e dal d.P.C.M. del 18 aprile 2013 pubblicato in G.U. il 15 luglio 2013. Né è possibile ritenere […] che tale esegesi normativa concreti una violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione ex articolo 83, comma 8, del D.Lgs. n. 50/2016». Ne discende che “la necessità di ricorrere alla eterointegrazione dalla legge di gara, presidiata dalla sanzione espulsiva, si rivela funzionale ad esigenze di prevenzione che permeano, alla stregua della legislazione di settore, anche la disciplina della gara e che condizionano la possibilità di aggiudicazione e di stipula dei contratti pubblici” (in questi termini, v. Consiglio di Stato, sezione III, 14 dicembre 2022, n. 10935). Si tratterebbe di una legittima eterointegrazione della lex specialis che ha omesso di prevedere elementi considerati come obbligatori dall’ordinamento giuridico (Consiglio di Stato, Sezione V, 6 ottobre 2022, n. 8558; Consiglio di Stato, sezione III, 24 ottobre 2017, n. 4903).
    2.2. Una volta chiarita la portata cogente di tale disciplina, va individuata la sua portata applicativa. Occorre, infatti, precisare che l’articolo 1, comma 53, della legge 190/2012 elenca analiticamente quali sono le attività “maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa” che richiedono la preventiva consultazione da parte delle stazioni appaltanti della menzionata “white list”, con l’ulteriore precisazione che l’iscrizione in tale “white list” è operata a cura della Prefettura della Provincia in cui ha sede il soggetto richiedente. Nel dettaglio, il sopra richiamato comma 53, alla lettera i-bis), introdotta dall’articolo 4-bis del d.l. 23/2020, conv. in L. 40/2020, individua i “servizi funerari e cimiteriali”.
    2.3. Orbene, la procedura di gara indetta dal Comune di Mercogliano ha ad oggetto l’affidamento dei “servizi cimiteriali, di manutenzione e cura delle aree a verde del cimitero comunale” e, come tali, attengono a pieno titolo ai “servizi funerari e cimiteriali”, ricompresi nell’elenco del sopra richiamato comma 53 dell’articolo 1 della legge n. 190 del 2012.
    2.4. Ed invero, non persuade la tesi avanzata dalla ricorrente della non riconducibilità dei servizi oggetto dell’appalto in questione alla lettera i-bis), in quanto relativi anche alla manutenzione e cura delle aree a verde del cimitero comunale. Per confutare tale tesi è sufficiente precisare che proprio la funzione svolta dall’elenco contenuta nella citata normativa di cui al comma 53- in quanto strumento di contrasto al fenomeno criminale mafioso, con funzione preventiva – conduce a ritenere che «alcuna graduazione possa ammettersi – neppure in via interpretativa – rispetto alla “quantità di attività” ricomprese nell’elenco di cui all’articolo 1 comma 53 della legge n. 190 del 2012; bastando, all’evidenza, che una quota qualsiasi del totale delle lavorazioni richieste dalla commessa sia costituita anche da una sola delle attività individuate dalla norma di contrasto al fenomeno criminale” (T.A.R. Veneto, Venezia, sezione I, 27 luglio 2023, n. 1127; T.A.R. Lazio, Roma, sezione II, 18 gennaio 2022, n. 535; cfr., altresì, T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sezione I, 16 maggio 2022, n. 230, confermata sul punto da Consiglio di Stato, sezione III, 14 dicembre 2022, n. 10935).
    2.5. Ne deriva che la lex specialis risulta affetta da una vera e propria “lacuna” consistente nella mancata previsione del requisito di ordine generale dell’iscrizione nella “white list” della Prefettura per la partecipazione ad una gara avente ad oggetto l’affidamento di servizi certamente ricompresi nell’elenco di cui al comma 53 dell’articolo 1 della legge 190/2012. Tale lacuna, però, può essere legittimamente eterointegrata secondo il meccanismo previsto dalla giurisprudenza sopra richiamata.
    3. Alla luce del quadro normativo e dei principi giurisprudenziali formatisi in relazione allo stesso, deve ritenersi pienamente legittimo l’operato della stazione appaltante di verifica del possesso del requisito dell’iscrizione della ditta individuale ricorrente nella “white list” della Prefettura di Avellino e, quindi, di successiva esclusione dalla gara, proprio per l’assenza del requisito in questione.
    3.1. Né risulta fondata la censura in ordine al momento in cui la stazione appaltante ha disposto l’esclusione dalla gara, ovverossia dopo che la Commissione di gara l’aveva graduata al primo posto e ne aveva proposto l’aggiudicazione, in quanto, come sostenuto dalla giurisprudenza «la mancanza, al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura di gara concernente un settore sensibile, dell’iscrizione alla white list prefettizia (ovvero anche soltanto della presentazione della domanda di iscrizione prima della presentazione della domanda di partecipazione) concreta una legittima causa di esclusione, giacché si tratta di un requisito di ordine generale considerato come obbligatorio dall’ordinamento giuridico, che deve essere posseduto con continuità dal momento della presentazione della domanda e per tutta la fase di esecuzione del contratto» (T.A.R. Liguria, Sezione I, 8 maggio 2023, n. 490; cfr., altresì, T.A.R. Sardegna, Sezione II, 20 aprile 2022, n. 259; id., 3 novembre 2020, n. 609; T.A.R. Lazio, Roma, Sezione II, 18 gennaio 2022, n. 535).
    3.2. Parimenti infondata è la censura relativa alla asserita violazione dei principi di affidamento, correttezza e imparzialità della P.A., per non aver la stazione appaltante richiesto il requisito dell’iscrizione nella “white list” prefettizia per l’affidamento dei medesimi servizi negli anni precedenti. Non poteva, infatti, costituire vincolo per la stazione appaltante l’esempio di altre procedure di gara, caratterizzate da illegittimità sotto il profilo della mancata verifica del possesso di un requisito di ordine generale da parte degli operatori economici che vi avevano preso parte, né, tantomeno, oggetto di un legittimo affidamento da parte di questi ultimi.
    3.3. Sul punto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, con affermazione di carattere generale, ha statuito che l’affidamento «è un principio generale dell’azione amministrativa che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività» (Consiglio di Stato, sezione VI, 13 agosto 2020, n. 5011). Tale affidamento, però, per essere tutelabile deve essere ragionevole, id est incolpevole. Secondo una regola di carattere generale in ambito civile la buona fede “non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave” (articolo 1147, comma 2, cod. civ.), per cui un affidamento incolpevole non è pertanto predicabile se l’illegittimità del provvedimento era evidente ed avrebbe pertanto potuto essere facilmente accertata dal suo beneficiario (così Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29 novembre 2021, n. 19). Nel caso in esame, non possono, infatti, sorgere dubbi sulla cogenza della disciplina antimafia ad una attività inerente servizi cimiteriali, individuata quale attività a rischio di infiltrazione mafiosa sin dal 2020, a seguito dell’inserimento operato nell’articolo 1, comma 53, della legge 6 novembre 2012, n. 190, dall’articolo 4-bis del d.l. 23/2020, convertito con modificazioni in Legge 5 giugno 2020, n. 40.

    DURC negativo e regolarizzazione postuma

    TAR Torino, 06.12.2023 n. 977

    Come noto, l’art. 80 D. Lgs. n. 50/2016 àncora il requisito di gravità dell’illecito alla sussistenza di ragioni ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (“Costituiscono gravi violazioni in materia contributiva e previdenziale quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) di cui all’articolo 8 del decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015”), tanto che la mancanza di tale documento comporta una presunzione legale assoluta di gravità dell’illecito. L’attestata gravità (abbinata alla definitività dell’accertamento) obbliga la stazione appaltante a estromettere il concorrente dalla procedura di gara, senza alcun sindacato in merito, essendo la relativa valutazione rimessa esclusivamente all’ente previdenziale (cfr., ex multis, TAR Lombardia – Milano, 20 giugno 2022, n. 1433; TAR Campania, Napoli, sezione IV, 3 ottobre 2022, n. 6064; Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 2019, n. 1141; Cons. Stato, A.P., 8 maggio 2012 n. 8).
    Quanto al necessario carattere di definitività dell’accertamento della violazione dell’obbligo di regolarità contributiva richiamato dall’art. 80, comma 4, D. Lgs. n. 50/2016, questi è valutato esclusivamente dall’ente previdenziale, che ne certifica l’esito nel documento di verifica di regolarità contributiva: la mancanza di un DURC regolare vincola l’amministrazione appaltante a escludere dalla gara l’impresa interessata, senza che residui una facoltà di apprezzamento dell’amministrazione stessa in ordine alla gravità dell’inadempienza contributiva e alla definitività dell’accertamento previdenziale (ex multis: TAR Lombardia, Milano, I, 20.6.2022, n. 1433; TAR Campania, Napoli, V, 3.10.2022, n. 6064).
    Resta salva la possibilità del ricorrente di contestare il documento negativo di regolarità contributiva dimostrandone l’erroneità, contestazione che non è stata avanzata nel caso di specie, atteso che la ricorrente si è limitata a affermare che – in data 24 ottobre 2022 – l’amministrazione aveva acquisito d’ufficio un ulteriore documento unico di regolarità contributiva, risultato positivo (e avente validità sino al 21 febbraio 2023, doc. 25 di parte ricorrente) e che il Comune aveva comunque concesso alla società un termine sino al 15 novembre 2022 per la regolarizzazione della situazione debitoria.
    Orbene, il Collegio evidenzia che è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui anche l’eventuale regolarizzazione postuma, in presenza di un DURC negativo, non sana la situazione di irregolarità accertata in via definitiva dall’ente previdenziale. La previsione dell’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 opera soltanto in presenza di istanze di rateizzazione presentate prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte, ma non rileva per morosità o inadempienze verificatesi successivamente a tale momento (T.A.R. Milano, sez. I, 20 giugno 2022, n. 1433; T.A.R. Milano, sez. IV 16 marzo 2020, n. 486; A.P. 5 -6 /2016). In altre parole, l’istanza di rateizzazione dei contributi previdenziali, presentata prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte, in forza dell’art. 80, comma 4, ultimo periodo, del d.lgs. n. 50/2016, vale a certificare e cristallizzare il possesso del requisito a tale momento, ma non può supplire all’emissione di un DURC certificante l’irregolarità contributiva in una data successiva alla suddetta scadenza. Nemmeno può supplirvi un successivo DURC positivo, stante il principio di necessaria continuità del possesso dei requisiti sancito dall’art. 80, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016. Il requisito della regolarità contributiva deve infatti sussistere non solo al momento della presentazione delle offerte (cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. III quater, sent., 03/10/2018, n. 9708), ma deve anche perdurare per tutto il corso della procedura di affidamento.
    Invero, il DURC negativo attesta che, alla data della sua emissione, la società oggetto di controllo è irregolare nel versamento degli oneri contributivi e, come tale, deve essere esclusa dalla procedura, essendo venuto meno uno dei requisiti generali per la sua partecipazione o per la sua permanenza in gara. È dunque onere di ciascun concorrente consultare, in ogni momento e anche online, la propria situazione di regolarità contributiva, per ovviare a eventuali ritardi nei versamenti, senza attendere l’invito alla regolarizzazione da parte dell’ente previdenziale, in virtù del principio di buona fede in senso soggettivo.

    Verifiche requisiti : si applica il silenzio assenso ?

    Nella verifica dei requisiti è applicabile il silenzio assenso dei 30 giorni ?

    E’ questo il quesito posto ad ANAC, al quale l’Autorità, in base al nuovo Codice dei Contratti e alla giurisprudenza in vigore,  ha fornito risposta negativa.
    La stazione appaltante non può, secondo ANAC, avvalersi del silenzio assenso, e dare per acquisite le verifiche trascorsi 30 giorni dalla richiesta. Con un doppio parere di funzione consultiva, il n. 57/2023 e il n. 57-bis/2023, ANAC ha ricordato che dal 1° gennaio 2024, entrerà in vigore l’E-Procurement e la piena interoperatività del sistema di interconnessione tra le diverse banche dati. Nel frattempo, occorre richiedere l’attestazione direttamente alle amministrazioni certificatrici, e aspettare che tale certificazione arrivi.
    Spesso, precisa ANAC “ciò richiede un tempo lungo o addirittura indefinito posto che, talvolta, il certificato non viene acquisito per mancata risposta da parte degli enti competenti”, scrivono ad Anac le amministrazioni interessate. “Sarebbe utile poter procedere con l’aggiudicazione anche in assenza di tutti i riscontri, applicando l’istituto del silenzio-assenso (l.n. 241/1990)”. Le amministrazioni hanno chiesto, inoltre, all’Autorità, “se sia consentito inserire nel contratto una clausola che preveda, in presenza di successivo accertamento del difetto del possesso dei requisiti prescritti, la risoluzione dello stesso ed il pagamento del corrispettivo pattuito solo con riferimento alle prestazioni già eseguite”.
    ANAC ha quindi chiarito che, in base alla legislazione attuale, “l’aggiudicazione viene disposta dalla stazione appaltante dopo aver effettuato positivamente il controllo dei requisiti in capo all’aggiudicatario, successivamente al quale il contratto potrà essere stipulato o ne potrà essere iniziata l’esecuzione in via di urgenza”. La norma richiede, quindi, espressamente – ai fini dell’aggiudicazione dell’appalto e della stipula del relativo contratto – che la stazione appaltante proceda al riscontro positivo dei requisiti dichiarati in gara dall’aggiudicatario”. “Fino alla completa operatività del sistema che scatterà dal 1 gennaio 2024 – scrive ANAC -, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti effettuano le verifiche di competenza sui dati e i documenti a comprova dei requisiti generali non disponibili nel Fascicolo virtuale”.
    “Dunque, nelle more della piena operatività del sistema di interconnessione tra le diverse banche dati, le stazioni appaltanti effettuano le verifiche di competenza. Dopo aver verificato il possesso dei requisiti in capo all’offerente, viene disposta l’aggiudicazione, che è immediatamente efficace. Solo all’esito del positivo riscontro del possesso dei requisiti in capo all’aggiudicatario ai fini dell’aggiudicazione, è possibile procedere alla stipula del contratto”.
    “Pertanto, in caso di inutile decorso del suddetto termine generale di 30 giorni, la procedura rimane ferma e l’eventuale aggiudicazione non acquista efficacia fintanto che non perviene la documentazione richiesta che può essere comunque sollecitata”. Di conseguenza, non è possibile inserire una clausola nel contratto come richiesto dalle Amministrazioni interessate.
    In futuro, ANAC ricorda comunque che, in base al nuovo Codice Appalti, dal 1 gennaio 2024 “l’omissione di informazioni richieste, il rifiuto o l’omissione di attività necessarie a garantire l’interoperabilità delle banche dati coinvolte nel ciclo di vita dei contratti pubblici costituisce violazione punibile di obblighi di transizione digitale”.

    fonte: sito ANAC

    Interdittiva antimafia anche in caso di assoluzione nel giudizio penale

    Consiglio di Stato, sez. III, 28.11.2023 n. 10201

    In proposito, è noto che la funzione di “difesa sociale anticipata” che contraddistingue, sul piano finalistico, il potere interdittivo consente di fondarne l’esercizio su dati probatori di carattere eminentemente indiziario, i quali, complessivamente (e non atomisticamente) considerati, legittimo la formulazione di una prognosi di condizionamento mafioso non irragionevole né inverosimile: prognosi che non può ritenersi preclusa dall’esito (anche eventualmente assolutorio) dei procedimenti penali che abbiano interessato gli esponenti dell’impresa interessata o i soggetti ad essi collegati, laddove permanga, anche a valle dello stesso, un sufficiente quadro indiziario, non neutralizzato dalle conclusioni del giudice penale in tema di responsabilità per i reati contestati, anche in correlazione con gli ulteriori elementi istruttori acquisiti autonomamente dall’Amministrazione.
    Come recentemente ribadito da Consiglio di Stato, Sez. III, 9 ottobre 2023, n. 8738, infatti, “la valutazione prefettizia mantiene una sua autonomia rispetto all’eventuale assoluzione in sede penale, sicché gli elementi posti a base dell’informativa, oltre a potere essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali, possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione”.
    E’ altresì noto che anche i rapporti parentali – tra l’imprenditore e soggetti controindicati – possono assumere rilievo ai fini della formulazione di una accettabile prognosi interdittiva, quando tuttavia le concrete circostanze accertate dall’Amministrazione depongano nel senso che quei rapporti possano effettivamente fungere da veicolo dell’influenza criminale: come ritenuto da Consiglio di Stato, Sez. III, 18 settembre 2023, n. 8395, infatti, rilevano ai fini antimafia anche “i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica””.
    Né minore rilievo, ai fini della emersione del pericolo infiltrativo, possono assumere i collegamenti tra l’impresa interdetta ed altra più pesantemente gravata da una situazione di controindicazione, laddove gli stessi non abbiano rivestito carattere meramente marginale o episodico, ma siano indicativi della appartenenza di entrambe ad un circuito economico-criminale sottoposto ad una direzione unitaria o comunque coordinata: è stato infatti chiarito che “l’instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale giustifica l’adozione di una “informativa a cascata””, tuttavia precisando che perché possa presumersi il “contagio” alla seconda impresa della “mafiosità” della prima è necessario che “la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di collaborazione tra le due imprese siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i due operatori economici; viceversa, ove l’esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d’impresa, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia dalla prima alla seconda società” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 8 agosto 2023, n. 7674).

    Verifica dei requisiti: non può essere affidata a terzi ma deve essere effettuata dal RUP o dal Responsabile di fase (art. 15 d.lgs. n. 36/2023)

    Quesito: Con la delibera n.464 del 27/07/2022 è entrato in vigore il Fascicolo Virtuale Operatori Economici (FVOE) per le Stazioni Appaltanti ai fini delle verifiche dei requisiti di partecipazione (una volta ex. Art. 80 d.lgs. 50/2016 oggi art. 94 e seguenti d.lgs. 36/2023). Successivamente, ANAC tramite il comunicato del presidente del 16 novembre 2022 e le relative FAQ, ha specificato che: 1) Il FVOE non è obbligatorio per gli affidamenti inferiori a 40.000 Euro, 2)Non è richiesto l’utilizzo del FVOE per la verifica dei requisiti degli iscritti agli Elenchi di Operatori Economici. Questo perché è obbligatorio il fascicolo solo per le procedure che comportano l’acquisizione del CIG. In questo ambito si chiede se nell’ambito dell’assistenza al RUP ex art 15 D.Lgs 36/2023, possa essere esternalizzato ad una società il servizio di verifica dei requisiti di ordine generale? Pur rimanendo , invece, l’attività meramente valutativa in ordine al possesso dei requisiti di carattere generale in capo alla Stazione Appaltante e al RUP.

    Risposta: Al fine di fornire risposta al quesito, si rappresenta quanto segue. In base all’art. 5, co. 1, all. I.2 al D.lgs. 36/2023, il responsabile unico del progetto “deve essere in possesso di titolo di studio di livello adeguato e di esperienza professionale soggetta a costante aggiornamento ai sensi dell’articolo 15, comma 7, del codice, maturata nello svolgimento di attività analoghe a quelle da realizzare in termini di natura, complessità e importo dell’intervento, in relazione alla tipologia e all’entità dei servizi e delle forniture da affidare”. Ancora, in base al successivo art. 7, co. 1, lett. a), D.lgs. 36/2023, “il RUP: a) effettua la verifica della documentazione amministrativa qualora non sia nominato un responsabile di fase ai sensi dell’articolo 15, comma 4, del codice o non sia costituito un apposito ufficio o servizio a ciò deputato, sulla base delle disposizioni organizzative proprie della stazione appaltante; esercita in ogni caso funzioni di coordinamento e verifica, finalizzate ad assicurare il corretto svolgimento delle procedure e adotta le decisioni conseguenti alle valutazioni effettuate (…)”. Emerge da quanto sopra che la verifica dei requisiti di ordine generale ex artt. 94 e 95 D.lgs. 36/2023. D.lgs. 36/2023 è effettuata dal RUP o dall’eventuale responsabile di fase, ove nominato. (Parere MIT n. 2087/2023)

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      Contratti pubblici : quando è necessaria l’iscrizione nel registro della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura

      Consiglio di Stato, sez. V, 21.08.2023 n. 7861

      Infine, le appellanti segnalano che le norme del Codice dei contratti pubblici di cui in seguito impongono di ritenere che chiunque intenda contrarre con la pubblica amministrazione debba essere iscritto, alternativamente, alla CCIA o al registro delle commissioni provinciali per l’artigianato ovvero a un ordine professionale.
      Al riguardo, si osserva che la definizione di operatore economico di cui all’art. 3 non fa alcun riferimento alle predette iscrizioni, l’art. 45 si riferisce ai raggruppamenti temporanei di imprese, e nulla aggiunge alla questione l’art. 48 laddove impone la specifica delle parti del servizio eseguita da ciascun componente del raggruppamento.
      Quanto invece all’art. 83 comma 3, è vero che la norma prevede che ai fini della sussistenza dei requisiti di idoneità professionale i concorrenti alle gare pubbliche “se cittadini italiani o di altro Stato membro residenti in Italia, devono essere iscritti nel registro della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura o nel registro delle commissioni provinciali per l’artigianato, o presso i competenti ordini professionali”;
      Tuttavia, per un verso, come correttamente rilevato da -OMISSIS-, nell’ordinamento nazionale non tutte le attività svolte in modo professionale in regime di partita Iva presuppongono un albo professionale, come dimostra la l. 14 gennaio 2023 n. 4, Disposizioni in materia di professioni non organizzate; per altro verso, la disposizione in parola va letta in combinato disposto con il precedente comma 2, che dispone che i requisiti le capacità di cui al comma 1, e quindi anche i requisiti di idoneità professionale, devono essere “attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto, tenendo presente l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione”.
      Inoltre, il bando-tipo Anac n. 1/2017, relativo ad appalti di servizi e forniture, modulato sul d.lgs. 50/2016, specifica nella sezione 7.1. che l’imposizione del requisito di idoneità professionale dell’iscrizione a un determinato albo professionale è subordinata alla condizione che essa sia prescritta dalla legislazione vigente per l’esercizio da parte del concorrente dell’attività oggetto di bando, e la successiva sezione 7.4 dedicata alle indicazioni per i raggruppamenti temporanei ha correntemente previsto, sempre quanto al requisito relativo alla suddetta iscrizione, l’indicazione di quali soggetti debbano possedere il requisito. Nulla aggiunge alla questione il parere pre-contenzioso Anac di cui alla più recente delibera n. 617 del 20 dicembre 2022, che ha stigmatizzato un bando di gara che non imponeva l’iscrizione all’albo per tutti i “3 ingegneri/architetti con esperienza nel settore di gara”, in quanto lo svolgimento di tali professioni richiede l’iscrizione al relativo albo professionale. […]
      Infine, in nessuna parte della sentenza impugnata si afferma il principio, pure avversato nel motivo, che nelle procedure ad evidenza pubblica è ammessa la partecipazione, quali mandanti di RTP, di soggetti privi di qualsiasi requisito di idoneità professionale, di capacità tecnica e professionale e di capacità economica e finanziaria, seppure prescritti dalla legge e dal disciplinare di gara: invero, la sentenza si è limitata a rilevare che la lex specialis non prevedeva, per la figura in questione, l’iscrizione alla CCIA o a un albo professionale, e che la loro richiesta non sarebbe stata ragionevole, tenuto conto della specifica attività ricollegata alla stessa.

      Impresa inattiva – Partecipazione alla gara – Irrilevanza (art. 83 d.lgs. n. 50/2016)

      TAR Cagliari, 28.07.2023 n. 588

      Quanto alla ritenuta inattività della controinteressata alla data di partecipazione alla procedura di affidamento, la giurisprudenza ha già precisato che in assenza di una specifica preclusione della lex specialis (che, ad esempio, richieda una professionalità specifica) in ossequio al favor partecipationis la condizione di inattività dell’impresa non assume specifica rilevanza ai fini della sua partecipazione ad una selezione pubblica.

       

      Adunanza Plenaria su controllo giudiziario ed impugnazione dell’ informativa antimafia interdittiva

      Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 13.02.2023 n. 8

      1. L’ordinanza di rimessione della Terza Sezione ha premesso che il «sistema ‘tradizionale’ delle misure interdittive patrimoniali» nei confronti delle imprese infiltrate da organizzazioni di stampo mafioso si è di recente arricchito «di ulteriori misure, volte a graduare – a seconda dei casi – la loro incidenza sullo svolgimento e sulla gestione delle attività economiche, anche consentendone la prosecuzione da parte dell’impresa destinataria della misura».
      Tra queste ultime è compreso il controllo giudiziario, che nella versione prevista dall’art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di sicurezza – approvato con il decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 – può essere chiesto dalle «imprese destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell’articolo 84, comma 4, che abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto», quando ai sensi del comma 1 l’agevolazione di soggetti indiziati di appartenere ad organizzazioni di stampo mafioso «risulta occasionale».

      2. L’ordinanza ha sottolineato che il controllo giudiziario persegue l’obiettivo di «‘decontaminare’ le attività imprenditoriali sostanzialmente sane (o non del tutto compromesse) e restituirle al libero mercato, una volta depurate dagli agenti inquinanti, in un’ottica conservativa», in un sistema informato al «principio di progressività delle misure di prevenzione, che si intensifica o si riduce in misura proporzionale al “bisogno di prevenzione” dell’operatore economico».
      Quindi, l’ordinanza ha dato atto che all’indomani dell’introduzione dell’istituto del controllo giudiziario «si è formata una variegata prassi con la quale si è posto in discussione il potere-dovere del giudice amministrativo di decidere i ricorsi (e gli appelli)» contro l’interdittiva antimafia, quando l’impresa «abbia chiesto ed ottenuto dal Tribunale di prevenzione la misura del controllo giudiziario».

      3. L’ordinanza ha precisato che il dubbio si è posto in ragione degli effetti sospensivi derivanti dall’ammissione al controllo giudiziario, previsti dall’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, secondo cui «(i)l provvedimento che dispone (…) il controllo giudiziario ai sensi del presente articolo sospende il termine di cui all’articolo 92, comma 2, nonché gli effetti di cui all’articolo 94», e cioè il termine di trenta giorni dalla consultazione della banca dati nazionale unica per il rilascio dell’informazione antimafia ed inoltre l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione.
      Al riguardo, la III Sezione ha rilevato che presso la giurisprudenza amministrativa si è affermato un orientamento secondo cui – per consentire di portare a conclusione il controllo giudiziario disposto dal Tribunale della prevenzione penale – «occorrerebbe la pendenza del giudizio amministrativo»; non solo, quindi, al momento in cui l’impresa formula la domanda di ammissione al Tribunale della prevenzione penale, ai sensi del citato art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ma per tutta la durata della procedura, fissata dal medesimo Tribunale.
      Per questo orientamento, l’ammissione dell’impresa al controllo giudiziario costituirebbe «una causa necessaria di sospensione impropria del giudizio amministrativo» e, in alternativa, «andrebbe disposto il rinvio dell’udienza di discussione (se fissata) in tempi coordinati con quelli della misura preventiva».
      L’ordinanza ha aggiunto che queste due posizioni si sono basate sulla tesi della «‘pregiudizialità processuale’, nel senso che – poiché l’impresa può chiedere il controllo giudiziario solo se ha impugnato l’interdittiva – allora ne deriverebbe che gli effetti del controllo giudiziario presupporrebbero la pendenza del giudizio amministrativo».
      L’ordinanza ha rilevato inoltre che – sulla base di presupposti diversi, ed in particolare poiché sarebbe configurabile l’acquiescenza all’interdittiva quando l’impresa chiede l’ammissione al controllo giudiziario – per un altro orientamento giurisprudenziale il provvedimento del Tribunale di prevenzione di accoglimento dell’istanza determinerebbe «l’improcedibilità del ricorso al giudice amministrativo e l’estinzione dell’interesse alla sua decisione anche ai fini meramente risarcitori».

      4. Nessuna di queste posizioni è tuttavia condivisa dall’ordinanza di rimessione, che invece aderisce alla tesi «della autonomia dei procedimenti», espressa dalla stessa III Sezione di questo Consiglio di Stato con la sentenza del 19 maggio 2022, n. 3973, secondo cui la connessione ricavabile dall’art. 34-bis, comma 6, del codice tra il giudizio impugnatorio e il controllo giudiziario a domanda opera «esclusivamente (nel) momento genetico-applicativo di quest’ultim(o), senza espressamente condizionarne la vigenza alla perdurante pendenza del primo».

      5. Tutto ciò premesso, ritiene l’Adunanza Plenaria che, sulla base delle disposizioni vigenti, vada affermata la tesi dell’autonomia dei procedimenti e che l’ammissione al controllo giudiziario – a domanda dell’impresa destinataria di un’interdittiva antimafia – non impedisce che vada definito senza ritardo il giudizio amministrativo di impugnazione contro quest’ultima.

      6. Non possono all’opposto essere condivise né la tesi della «pregiudizialità processuale» tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il procedimento di controllo giudiziario, per cui «gli effetti del controllo giudiziario presupporrebbero la pendenza del giudizio amministrativo», né tanto meno la tesi dell’acquiescenza.

      7. La prima tesi postula che il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva antimafia dovrebbe essere ancora pendente non solo quando l’impresa domanda al Tribunale della prevenzione penale di essere sottoposta al controllo giudiziario, come prevede testualmente il più volte citato art. 34-bis, comma 6, del codice, ma per tutta la durata di quest’ultimo.
      Sennonché, la tesi in questione:
      – innanzitutto non ha base testuale, come sottolinea l’ordinanza di rimessione, posto che la disposizione da ultimo richiamata si limita a prevedere che – quando chiede di essere sottoposta al controllo giudiziario – l’impresa interessata abbia impugnato l’interdittiva, ma non anche che il giudizio di impugnazione penda per tutta la durata del controllo;
      – non è nemmeno imposta da ragioni di ordine sistematico, dal momento che, come ha ben rilevato l’ordinanza di rimessione, l’interdittiva svolge la sua funzione preventiva rispetto alla penetrazione nell’economia delle organizzazioni di stampo mafioso di tipo “statico”, e cioè sulla base di accertamenti di competenza dell’autorità prefettizia rivolti al passato;
      – a quest’ultimo riguardo, nel condividere la funzione preventiva del sistema di informazione antimafia del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, il controllo giudiziario persegue anche finalità di carattere “dinamico” di risanamento dell’impresa interessata dal fenomeno mafioso e quindi, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, oltre al presupposto dell’occasionalità dell’agevolazione mafiosa previsto dall’art. 34-bis, comma 6, del medesimo codice, richiede una prognosi favorevole del Tribunale della prevenzione penale sul superamento della situazione che ha in origine dato luogo all’interdittiva.

      8. Nondimeno, quand’anche quest’ultima non sia annullata all’esito del giudizio di impugnazione devoluto al giudice amministrativo, e dunque si accerti in chiave retrospettiva l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell’impresa, non per questo può ritenersi venuta meno l’esigenza di risanare la stessa.
      Al contrario, questa esigenza si pone in massimo grado una volta accertata in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso.

      9. Conferma di quanto ora considerato si trae proprio dall’art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.
      In primis, rileva la regola della sospensione degli effetti della incapacità a contrattare, derivanti dall’interdittiva antimafia.
      Essa è strumentale al buon fine del controllo giudiziario, nel senso di consentire all’impresa ad esso (volontariamente) sottoposta di continuare ad operare, nella prospettiva finale del superamento della situazione sulla cui base è stata emessa l’interdittiva.
      Nella medesima direzione si pone la sospensione del termine fissato dall’art. 92, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per gli adempimenti prodromici al rilascio dell’informazione antimafia.
      L’effetto in questione si giustifica per il venir meno dell’esigenza facente capo all’autorità prefettizia di verificare l’esistenza di tentativi di infiltrazione fintantoché pende il controllo giudiziario, a tale finalità preventiva ugualmente preposto.

      10. Nessuno degli effetti previsti dall’art. 34-bis, comma 7, presuppone tuttavia che il giudizio sull’interdittiva rimanga pendente.
      Come in precedenza accennato, tali effetti sono del tutto compatibili con la conseguita inoppugnabilità di quest’ultima all’esito del rigetto della relativa impugnazione.
      Una volta accertata l’esistenza di infiltrazioni mafiose, quand’anche in via definitiva, si permette nondimeno all’impresa di risanarsi, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria penale.

      11. Il controllo giudiziario sopravviene ad una situazione di condizionamento mafioso in funzione del suo superamento ed al fine di evitare la definitiva espulsione dal mercato dell’impresa permeata dalle organizzazioni malavitose.
      A questo specifico riguardo, da un lato il rapporto di successione tra i due istituti si coglie con immediatezza laddove il condizionamento mafioso non possa ritenersi definitivamente accertato, pendente la contestazione mossa in sede giurisdizionale contro la ricostruzione dell’autorità prefettizia, dall’altro la medesima vicenda successoria di istituti non è comunque impedita quando il condizionamento possa invece ritenersi accertato con effetto di giudicato, con il rigetto dell’impugnazione contro l’interdittiva.
      Depone in questo senso – oltre al dato testale della legge, già di per sé decisivo – proprio la funzione risanatrice del controllo giudiziario, la quale muove dal presupposto accertato dal Prefetto in sede di informazione antimafia, ma si basa su un’autonoma valutazione prognostica del Tribunale della prevenzione penale che si propone di pervenire al suo superamento, quando il grado di condizionamento mafioso non sia considerato a ciò impeditivo.

      12. Indicazioni in questo senso sono peraltro ritraibili dalla giurisprudenza della Cassazione penale.
      Va richiamata innanzitutto la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite penali, 19 novembre 2019, n. 46898, che – nel riconoscere l’appellabilità del diniego di ammissione al controllo giudiziario pronunciato dal Tribunale della prevenzione penale – ha affermato che quest’ultimo istituto costituisce una «risposta alternativa da parte del legislatore: perché alternativa è la finalità di queste, volte non alla recisione del rapporto col proprietario ma al recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo», contraddistinta dal presupposto dell’«occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi» e dalla valutazione prognostica incentrata «sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano», sulla base del ‘controllo prescrittivo’ del Tribunale della prevenzione penale.

      13. Nella medesima direzione si pone la più recente giurisprudenza di legittimità, che ha giudicato illegittimo il diniego di ammissione al controllo giudiziario chiesto sulla base della domanda di aggiornamento ex art. 91, comma 5, del codice, di un’impresa raggiunta da un’interdittiva ormai divenuta inoppugnabile (Cass. pen., I, 10 novembre 2022, n. 42646).
      A fondamento della propria decisione, la Corte di Cassazione ha tra l’altro statuito che la definitività di quest’ultima «non determina (…) la stabilità ed intangibilità dell’interdizione precludendo sine die all’azienda di contrattare con l’Amministrazione» e che, al contrario, l’impedimento a richiedere il controllo giudiziario si pone in contrasto con la «natura necessariamente provvisoria e temporanea all’informativa».

      14. Come esattamente osservato dall’ordinanza di rimessione, dall’esame della giurisprudenza della Cassazione non emerge una ricostruzione del rapporto tra l’interdittiva e il controllo giudiziario volontario in termini di pregiudizialità-dipendenza di intensità maggiore rispetto alla connessione genetica ricavabile dal più volte richiamato art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di sicurezza.
      Come infatti precisato dalle Sezioni unite penali nella sopra citata sentenza 19 novembre 2019, n. 46898, la connessione tra i due istituti si manifesta in relazione al «grado di assoggettamento dell’attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie».
      A differenza di quanto avviene ai fini dell’informazione antimafia, ai sensi dell’art. 34-bis del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, l’agevolazione mafiosa deve essere «occasionale», per cui in difetto di questo requisito l’impresa non dovrebbe essere ammessa al controllo giudiziario.
      In ogni caso, nella prospettiva di risanamento perseguita dal controllo giudiziario, con particolare riguardo al controllo c.d. volontario di cui al comma 6 del medesimo art. 34-bis, la Corte di Cassazione afferma che la peculiarità dell’accertamento del giudice penale, necessariamente successivo al provvedimento prefettizio, «sta però nel fatto che il fuoco della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata».
      In questa direzione si è ulteriormente precisato che la valutazione sull’esistenza di «un’infiltrazione connotata da occasionalità non sia finalizzata all’acquisizione di un dato statico – consistente nella cristallizzazione della realtà preesistente: una mera fotografia del passato – bensì alla argomentata formulazione di un giudizio prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, connotata da condizionamento e/o agevolazione di soggetti o associazioni criminali, mediante l’intera gamma degli strumenti previsti dall’art. 34-bis» (così Cass. pen., VI, 14 gennaio 2021, n. 1590).

      15. Dalla ricognizione giurisprudenziale ora svolta, non è quindi possibile trarre conferma dell’esistenza di un rapporto di pregiudizialità processuale tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario ulteriore a quello previsto al momento genetico dall’art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di sicurezza.
      Come in precedenza esposto, la tesi estensiva prospettata da parte della giurisprudenza – secondo cui la pregiudizialità opererebbe fino alla definizione della procedura di cui alla disposizione da ultimo citata – innanzitutto non si basa su una disposizione di legge (rilevando il principio di legalità) e, in secondo luogo, non è imposta da ragioni di ordine logico-sistematico.

      16. L’espediente della sospensione del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva prefettizia giungerebbe inoltre a snaturare la funzione tipica del processo, da ‘strumento di tutela’ delle situazioni giuridiche soggettive ed attuazione della legge, a mero ‘strumento per l’attivazione di ulteriori mezzi di tutela’.
      Inoltre, verrebbe alterata la funzione della sospensione del processo.
      Da strumento preventivo rispetto al rischio di contrasto di giudicati, secondo una logica interna all’ordinamento processuale basata sulla sua unitarietà e sul principio di non contraddizione, la sospensione del giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia per tutta la durata del controllo giudiziario porrebbe impropriamente a carico del processo, contraddistinto dall’autonomia dell’azione rispetto alla situazione sostanziale che con essa si vuole tutelare, la realizzazione di obiettivi di politica legislativa, esorbitanti dai compiti del giudice, nella sua soggezione alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.).

      17. Si determinerebbe così un’applicazione dell’istituto eccedente il presupposto della pregiudizialità-dipendenza previsto dall’art. 295 del cod. proc. civ., da considerarsi tassativo nella misura in cui la sospensione si determina una potenziale lesione del principio di ordine costituzionale della ragionevole durata del processo (oggi sancito per il processo amministrativo dall’art. 2, comma 2, del cod. proc. amm.), tale per cui essa viene disposta in ogni caso e solo quando il giudice davanti cui è stata proposta una domanda o un altro giudice «deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa».
      Nessun rapporto di pregiudizialità-dipendenza è quindi ravvisabile tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario, al di là di quello individuabile in sede di verifica dei presupposti di quest’ultimo. Ad esso segue tuttavia un’attività di carattere prescrittivo e gestorio orientata al risanamento dell’impresa indifferente all’esito del giudizio sulla legittimità dell’interdittiva, in ragione degli effetti sospensivi previsti dal più volte richiamato art. 34-bis, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

      18. La condivisione della tesi della sospensione necessaria comporterebbe un’aporia sul piano logico, nella misura in cui essa si basa sull’esigenza di impedire non già decisioni contrastanti, ma una decisione di carattere eventualmente sfavorevole sull’impugnazione contro l’interdittiva, che si suppone – in assenza di un presupposto normativo – possa vanificare obiettivi di risanamento dell’impresa infiltrata dal fenomeno mafioso.
      La sospensione viene dunque argomentata secundum eventum litis, posto che una decisione di accoglimento del ricorso contro l’interdittiva avrebbe in sé l’effetto di riportare l’impresa alla piena e libera concorrenza, sulla base dell’accertamento che essa non è stata mai interessata da fenomeni di inquinamento mafioso.
      Nella descritta prospettiva la sospensione del processo finisce dunque per essere intesa come rimedio rispetto a potenziali decisioni sfavorevoli.
      Non sussistono, dunque, i presupposti previsti dell’art. 295 del cod. proc. civ., più volte richiamato.

      19. A conferma delle considerazioni finora svolte, va sottolineato che l’interesse alla definizione del giudizio avverso l’interdittiva è talvolta dichiarato dalla parte ricorrente in primo grado, che ne chiede per di più la sospensione degli effetti in sede cautelare.

      20. L’esigenza di correlare la durata del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva alla durata del controllo giudiziario non assurge a presupposto dell’istituto previsto dalla disposizione da ultimo menzionata. Tuttavia, tutte le circostanze del caso potranno essere valutate dal giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 73, comma 1-bis, del cod. proc. amm.

      21. Ribadita l’autonomia degli accertamenti di competenza del Tribunale della prevenzione penale rispetto a quelli svolti dall’autorità prefettizia in sede di rilascio delle informazioni antimafia, deve a fortiori escludersi la tesi dell’acquiescenza derivante dalla domanda ai sensi della disposizione ora richiamata da parte dell’impresa destinataria dell’interdittiva.

      22. In conclusione, sul quesito posto dall’ordinanza di rimessione va affermato il seguente principio di diritto: “la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva”.
      La causa per il resto va restituita alla Sezione rimettente, ai sensi dell’art. 99, comma 4, del cod. proc. amm., che dovrà provvedere anche sulle spese di lite, ivi compresa la fase davanti a questa Adunanza Plenaria.

      Riferimenti normativi:

      art. 80 d.lgs. n. 50/2016

      Regolarità contributiva e fiscale : operatore economico non può essere escluso se ha ottenuto sentenza favorevole di annullamento dell’ atto impositivo , anche se non definitiva (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

      Consiglio di Stato, sez. VII, 05.01.2023 n. 203

      L’art. 10 della l. n. 238/2021 ha modificato l’art. 80, comma 4, quinto periodo, del d.lgs. n. 50/2016, disponendo quanto segue: «Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso ha commesso gravi violazioni non definitivamente accertate agli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse o contributi previdenziali. Per gravi violazioni non definitivamente accertate in materia contributiva e previdenziale s’intendono quelle di cui al quarto periodo. Costituiscono gravi violazioni non definitivamente accertate in materia fiscale quelle stabilite da un apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e previo parere del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente periodo, recante limiti e condizioni per l’operatività della causa di esclusione relativa a violazioni non definitivamente accertate che, in ogni caso, devono essere correlate al valore dell’appalto e comunque di importo non inferiore a 35.000 euro».
      In attuazione delle predette disposizioni normative è stato emanato il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 28 settembre 2022, che all’art. 4, rubricato “Violazioni non definitivamente accertate”, dispone quanto segue: “1. Ai fini del presente decreto, la violazione grave di cui all’art. 3 si considera non definitivamente accertata, e pertanto valutabile dalla stazione appaltante per l’esclusione dalla partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici, quando siano decorsi inutilmente i termini per adempiere all’obbligo di pagamento e l’atto impositivo o la cartella di pagamento siano stati tempestivamente impugnati.
      2. Le violazioni di cui al comma 1 non rilevano ai fini dell’esclusione dell’operatore economico dalla partecipazione alla procedura d’appalto se in relazione alle stesse è intervenuta una pronuncia giurisdizionale favorevole all’operatore economico non passata in giudicato, sino all’eventuale riforma della stessa o sino a che la violazione risulti definitivamente accertata, ovvero se sono stati adottati provvedimenti di sospensione giurisdizionale o amministrativa”.
      8.7. Tanto premesso, è bensì vero che l’art. 10, comma 5, della l. n. 238/2021 dispone testualmente: “5. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi con i quali si indice una gara sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla medesima data, non sono ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte o i preventivi”, ritiene tuttavia il Collegio che il legislatore nel caso di specie si sia fatto interprete di un principio immanente nell’ordinamento giuridico, secondo il quale l’operatore economico non può essere penalizzato, ai fini della partecipazione alle procedure di gara per l’affidamento di appalti pubblici, quando abbia tempestivamente impugnato gli atti della amministrazione tributaria e abbia ottenuto una sentenza favorevole di annullamento dell’atto di imposizione tributaria, ancorché non definitiva.
      Diversamente opinando, a fronte di atti impositivi di natura tributaria, pur tempestivamente impugnati e annullati dal giudice tributario (di primo grado), l’operatore economico si troverebbe sostanzialmente a subire anticipatamente e (in ipotesi) in maniera incolpevole gli effetti di pretese erariali che potrebbero risultare del tutto prive di fondamento.
      In altre parole, accedendo alla tesi della amministrazione, verrebbero messi in crisi consolidati princìpi in tema di giustiziabilità degli atti della pubblica amministrazione e si affermerebbe una sorta di inammissibile ontologica prevalenza dell’accertamento in via amministrativa (non definitivo) su quello giurisdizionale (ancorché non definitivo).

      White list – Iscrizione come requisito di partecipazione alla gara a pena di esclusione – Legittimità (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

      Consiglio di Stato, sez. III, 14.12.2022 n. 10935

      7. Come brevemente esposto in fatto, la decisione appellata non resiste alle doglianze veicolate con l’appello in epigrafe, avendo il giudice di prime cure non applicato del tutto correttamente i principi predicabili in subiecta materia.
      7.1. E’, infatti, ius receptum nella giurisprudenza anche di questa Sezione “la pacifica vigenza del principio per il quale la disciplina delle white list introdotta dall’articolo 1, commi 52 e segg., della legge 6 novembre 2011, n. 190, fa tutt’uno con quella delle informative interdittive antimafia e la integra” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 aprile 2019, n. 2211; id., 20 febbraio 2019, n. 1182).
      7.2. Tale conclusione riguardante l’assimilazione dei due documenti antimafia (la comunicazione antimafia e l’informazione antimafia) non si limita, invero, ai soli effetti interdittivi, ma si estende anche alla sua natura di requisito soggettivo di partecipazione alle gare.
      7.3. Ciò malgrado ad avviso del Collegio non è dirimente che l’articolo 80, comma 2, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, richiami solo le informative “classiche”, dovendosi tener conto del disposto del comma 52 dell’articolo 1, l. n. 190/2012, da cui emerge chiaramente che la white list altro non è che una modalità particolare di effettuazione delle verifiche antimafia, prevista dalla legge in relazione a particolari settori, di modo che il richiamo alle informative prefettizie deve intendersi sempre riferito anche alla iscrizione a tali liste.
      7.4. In applicazione del suindicato principio l’Autorità procedente non poteva sottrarsi alla forza cogente della previsione, e segnatamente nella parte in cui viene richiesto a pena di esclusione che gli operatori economici fossero iscritti – o avessero presentato domanda di iscrizione prima della presentazione della domanda di partecipazione – in appositi elenchi (cd. white list) istituiti presso la Prefettura del luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale così come indicato dall’art. 1, comma 52, della Legge n. 190/2012 e dal d.P.C.M. del 18 aprile 2013 pubblicato in G.U. il 15 luglio 2013.
      7.5. Né è possibile ritenere, contrariamente a quanto adombrato dal Tribunale, che tale esegesi normativa concreti una violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione ex art. 83, comma 8, del Dl.gs. n. 50/2016, a mente del quale “Le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità, congiuntamente agli idonei mezzi di prova, nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse ed effettuano la verifica formale e sostanziale delle capacità realizzative, delle competenze tecniche e professionali, ivi comprese le risorse umane, organiche all’impresa, nonché delle attività effettivamente eseguite”.
      7.6. Nel solco delle tracciate coordinate coglie nel segno la statuizione del giudice di prime cure nella parte in cui respinge (primo motivo di ricorso) la pretesa della ricorrente di escludere l’attività di somministrazione pasti prestata nel contesto di un servizio unitario (la gestione dell’attività di riposo) dal novero delle attività imprenditoriali “maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa”. L’art. 1, comma 53, della L. n. 190/2012, infatti, elenca una serie di attività, tra cui quella di “ristorazione, gestione delle mense e catering”, senza in alcun modo differenziare a seconda del carattere principale o secondario di essa nell’ambito delle prestazioni oggetto dell’affidamento.
      7.7. In estrema sintesi la necessità di ricorrere alla eterointegrazione dalla legge di gara, presidiata dalla sanzione espulsiva, si rivela funzionale ad esigenze di prevenzione che permeano, alla stregua della legislazione di settore, anche la disciplina della gara e che condizionano la possibilità di aggiudicazione e di stipula dei contratti pubblici.
      7.8. Sul punto specifico ha chiarito la consolidata giurisprudenza che i requisiti di ordine generale per la partecipazione alle gare per l’affidamento di appalti pubblici debbono essere posseduti con continuità non solo al momento della presentazione della domanda, ma per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e per tutta la fase di esecuzione del contratto, senza soluzione di continuità. L’eterointegrazione della lex specialis è da limitarsi alle ipotesi in cui si individui una vera e propria “lacuna” nella disciplina di gara, la quale abbia omesso di prevedere elementi considerati come obbligatori dall’ordinamento giuridico (Consiglio di Stato, Sez. V, sent. del 6 ottobre 2022, n. 8558; Consiglio di Stato, sez. III, 24 ottobre 2017, n. 4903).
      7.9. Vale soggiungere che i commi 52, 52 bis e 53 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2012 prevedono per determinati settori sensibili, tra i quali anche quello qui in rilievo, l’iscrizione nella white list quale meccanismo sostitutivo della documentazione antimafia.
      7.10. Da parte sua, il d.P.C.M. del 18 aprile 2013 prescrive che la consultazione del relativo elenco è la modalità obbligatoria per l’acquisizione della documentazione antimafia necessaria in vista del perfezionamento dell’accordo, attuando in tal modo una tutela dell’ordine e sicurezza pubblica anticipata e più incisiva nei cd. settori sensibili.
      7.11. Ne discende che non può dubitarsi del fatto che il suindicato reticolo normativo costituisca una valida base giustificativa a supporto della previsione degli adempimenti prescritti – tra cui quello della iscrizione alla white list – come requisito di partecipazione alla procedura di gara a pena di esclusione (in tal senso cfr. delibera ANAC -OMISSIS-)

      Obbligo dichiarativi : non estensibili al socio unico persona giuridica della società concorrente

      Consiglio di Stato, sez. V, 07.09.2022 n. 7795

      È orientamento consolidato, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, quello per cui la disposizione dell’art. 80, comma 3, d. lgs. n. 50/2016 non è riferita o riferibile al socio unico persona giuridica (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 2 ottobre 2020, n. 5782).
      Sebbene, infatti, parte della giurisprudenza, nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, avesse ritenuto di estendere l’obbligo dichiarativo al socio di maggioranza persona giuridica della società offerente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2 marzo 2017, n. 975; Id., sez. V, 23 giugno 2016, n. 2813), invece per il socio unico (tranne che nell’isolato precedente di Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2017, n. 3178) era prevalente l’orientamento che limitava l’obbligo dichiarativo al socio unico persona fisica (sin da Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2014, n. 4372, cui adde Cons. Stato, sez. III, 21 luglio 2017, n. 3619).
      Tale limitazione è stata ribadita anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 80, comma 3, dell’attuale Codice dei contratti pubblici (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 novembre 2019, n. 7922) ed è, invero, da preferire, in ragione della lettera della disposizione, da intendersi di stretta interpretazione.
      In coerenza con il principio di tassatività delle cause di esclusione e con l’inequivoca portata della disposizione dell’art. 80, va, per tal via, ribadito che, qualora il socio non rientri nell’ambito soggettivo individuato dal terzo comma dell’art. 80, non è obbligato a rendere alcuna dichiarazione neppure ai fini di cui al comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, “dovendosi ritenere che la presenza di eventuali “gravi illeciti professionali” possa assumere rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara solamente quando gli stessi siano riferiti direttamente all’operatore economico o ai soggetti individuati dall’art. 80, comma 3, del medesimo decreto” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2019, n. 2279).