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Correttivo Codice Appalti d.lgs. 36/2023 approvato in CDM : cosa cambia

Approvato in Consiglio dei Ministri il correttivo al Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. 36/2023 a seguito consultazione che ha coinvolto 94 stakeholders con circa 630 contributi.

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Il provvedimento introduce modifiche a sostegno degli investimenti pubblici, con un focus sui seguenti macro-temi principali:

1. Equo compenso: introdotti due meccanismi per garantire i principi dell’equo compenso al settore dei contratti pubblici. Per gli affidamenti diretti, è garantito un minimo dell’80% del corrispettivo previsto; per le procedure di gara, si tutela l’equo compenso con meccanismi di calmierazione del peso dei ribassi che possono essere formulati sul 35% del corrispettivo, con un risultato sostanziale assimilabile a quello degli affidamenti diretti;

2. Tutele lavoro: applicazione di un unico contratto collettivo nel bando di gara, con nuove linee guida per consentire alle stazioni appaltanti di individuare correttamente il contratto applicabile e per calcolare l’equipollenza delle tutele in caso di ricorso ad un diverso contratto;

3. Revisione prezzi: chiarito il rapporto tra revisione prezzi e principio dell’equilibrio contrattuale; introdotto un nuovo allegato per attuare le clausole di revisione dei prezzi sia nel settore lavori che nel settore servizi e forniture in maniera omogenea e con tempi certi;

4. Incentivi ai dirigenti RUP: esteso l’incentivo tecnico anche ai dirigenti responsabili del procedimento (RUP), superando la precedente limitazione;

5. Consorzi: razionalizzata la disciplina dei consorzi per evitare distorsioni nelle gare, omogeneizzare la disciplina applicabile ai diversi tipi di consorzi stabili e favorire la competitività;

6. PMI: introdotte misure per facilitare la partecipazione delle PMI, sia con contratti riservati sotto la soglia europea, sia con una soglia di subappalto del 20% dedicata;

7. Finanza di progetto: mantenuta la prelazione per il promotore, con una procedura di gara articolata in due fasi per garantire trasparenza e competitività;

8. Garanzie fideiussorie: semplificate le procedure per agevolare l’accesso al credito da parte delle imprese;

9. Esecuzione contratti: rafforzate le premialità e le penali per accelerare l’esecuzione delle opere; tipizzate le varianti, per creare certezza sulla fase di esecuzione; introdotto il nuovo istituto dell’accordo di collaborazione;

10. CCT (Collegio Consultivo Tecnico): promosso come strumento di prevenzione delle controversie, con nuove limitazioni ai costi e facoltà di ricorrere a lodi contrattuali;

11. Progettazione digitale: innalzata la soglia da 1 mln a 2 mln di euro per la progettazione in modalità digitale, obbligatoria dal 1 gennaio 2025;

12. Qualificazione delle stazioni appaltanti: avvio del sistema di qualificazione, con incentivi alla qualificazione dei soggetti oggi non qualificati, nonché alla specializzazione dei soggetti aggregatori. Inizia anche la qualificazione per l’esecuzione, attraverso meccanismi incentivanti che puntano sulla formazione.

ARTICOLI OGGETTO DI MODIFICA:
Art. 11 – Principio di applicazione dei CCNL di settore.
Art. 17 – Fasi delle procedure di affidamento
Art. 18 – Il contratto e la sua stipulazione
Art. 19 – Principi e diritti digitali
Art. 23 – Banca dati nazionale dei contratti pubblici
Art. 24 – FVOE
Art. 26 – Regole tecniche
Art. 38 – Localizzazione e approvazione del progetto delle opere
Art. 41 – Livelli e contenuti della progettazione
Art. 43 – Metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni
Art. 44 – Appalto integrato
Art. 45 – Incentivi alle funzioni tecniche
Art. 49 – Principio di rotazione degli affidamenti
Art. 53 – Garanzie a corredo dell’offerta e garanzie definitive
Art. 57 – Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi e criteri di sostenibilità energetica e ambientale
Art. 58 – Suddivisione in lotti
Art. 59 – Accordi quadro
Art. 60 – Revisione prezzi
Art. 61 – Contratti riservati
Art. 62 – Aggregazioni e centralizzazione delle committenze
Art. 63 – Qualificazione Stazioni Appaltanti e delle centrali di committenza
Art. 67 – Consorzi non necessari
Art. 70 – Procedure di scelta e relativi presupposti
Art. 98 – Illecito professionale grave
Art. 99 – Verifica del possesso dei requisiti
Art. 100 – Requisiti di ordine speciale
Art. 103 – Requisiti di partecipazione a procedure di lavori di rilevante importo
Art. 104 – Avvalimento
Art. 106 – Garanzie per la partecipazione alla procedura
Art. 108 – Criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture
Art. 110 – Offerte anormalmente basse
Art. 116 – Collaudo e verifica di conformità
Art. 117 – Garanzie definitive
Art. 119 – Subappalto
Art. 120 – Modifica dei contratti in corso di esecuzione
Art. 122 – Risoluzione
Art. 123 – Recesso
Art. 125 – Anticipazione, modalità e termini di pagamento del corrispettivo
Art. 126 – Penali e premi di accelerazione
Art. 141 – Ambito e norme applicabili
Art. 147 – Elettricità
Art. 162 – Avvisi sull’esistenza di un sistema di qualificazione
Art. 169 – Procedure di gara regolamentate
Art. 172 – Relazioni uniche sulle procedure di aggiudicazione degli appalti
Art. 174 – Nozione
Art. 175 – Programmazione, valutazione preliminare, controllo e monitoraggio
Art. 177 – Contratto di concessione e traslazione del rischio operativo
Art. 192 – Revisione del contratto di concessione
Art. 193 – Procedura di affidamento
Art. 197 – Definizione e disciplina
Art. 201 – Partenariato sociale
Art. 202 – Cessione di immobili in cambio di opere
Art. 209 – Modifiche al Codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104/2010)
Art. 215 – Collegio consultivo tecnico
Art. 216 – Pareri obbligatori
Art. 217 – Determinazioni
Art. 219 – Scioglimento del collegio consultivo tecnico
Art. 221 – Indirizzo, coordinamento e monitoraggio presso la Cabina di regia. Governance dei servizi
Art. 222 – ANAC
Art. 223 – Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e struttura tecnica di missione
Art. 225 – Disposizioni transitorie e di coordinamento

NUOVI ARTICOLI:
Art. 82- bis. Accordo di collaborazione
Art. 225-bis. Ulteriori disposizioni transitorie
Art. 226-bis. Disposizioni di semplificazione normativa

ALLEGATI OGGETTO DI MODIFICA:
All. I.1 – Definizioni dei soggetti, dei contratti, delle procedure e degli strumenti
All. I.2 – Attività del RUP
All. I.3 – Termini delle procedure di appalto e di concessione
All. I.5 – Elementi per la programmazione dei lavori e dei servizi. Schemi tipo
All. I.7 – Contenuti minimi del quadro esigenziale, del documento di fattibilità delle alternative progettuali, del documento di indirizzo della progettazione, del progetto di fattibilità tecnica ed economica e del progetto esecutivo
All. I.8 – Verifica preventiva dell’interesse archeologico
All. I.9 – Metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni
All. I.10 – Attività tecniche a carico degli stanziamenti previsti per le singole procedure
All. I.11 – Disposizioni relative all’organizzazione, alle competenze, alle regole di funzionamento, nonché alle ulteriori attribuzioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici
All. I.13 – Determinazione dei parametri per la progettazione
All. I.14 – Criteri di formazione ed aggiornamento dei prezzari regionali
All. II.2 – Metodi di calcolo della soglia di anomalia per l’esclusione automatica delle offerte
All. II.3 – Soggetti con disabilità o svantaggiati cui può essere riservata la partecipazione ad appalti
All. II.4 – Qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza
All. II.10 – Violazioni gravi degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali
All. II.12 – Sistema di qualificazione e requisiti per gli esecutori di lavori. Requisiti per la partecipazione alle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e architettura
All. II.14 – Direzione dei lavori e direzione dell’esecuzione dei contratti. Collaudo e verifica di conformità
All. II.18 – Qualificazione dei soggetti, progettazione e collaudo nel settore dei beni culturali
All. V.2 – Costituzione del Collegio consultivo tecnico (CCT)
All. V.3 – Formazione della Cabina di regia

NUOVI ALLEGATI:
All. I.01 – Contratti collettivi
All. II.2-bis – Modalità applicative delle clausole di revisione dei prezzi
All. II-6-bis – Accordo di collaborazione

fonte: sito MIT

AFFIDAMENTO DIRETTO NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI D.LGS. 36/2023: CRITERI INTERPRETATIVI ED APPLICAZIONE CONCRETA NELLE PIÙ RECENTI SENTENZE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO

                                     

 

 

 

 

Sommario: 1. L’affidamento diretto, anche se procedimentalizzato, non è una procedura di gara; 2. Affidamento diretto e rispetto del principio di rotazione; 3. Affidamento diretto ed obbligo indicazione dei costi della manodopera; 4. Divieto di ricorso all’affidamento diretto nelle concessioni; 5. Vademecum e criticità degli affidamenti diretti secondo ANAC.

In considerazione dell’attualità e della rilevanza – sia in termini numerici che economici – degli affidamenti diretti nel settore degli appalti pubblici, il focus propone una rassegna ragionata delle principali sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato (con link alla versione integrale) pubblicate nel 2024 sull’argomento.

1. L’affidamento diretto, anche se procedimentalizzato, non è una procedura di gara.

La definizione di affidamento diretto è contenuta nell’Allegato 1.3, art 3, lett. d) al D.Lgs. 36/2023, secondo il quale si tratta dell’“affidamento del contratto senza una procedura di gara, nel quale, anche nel caso di previo interpello di più operatori economici, la scelta è operata discrezionalmente dalla stazione appaltante nel rispetto dei criteri qualitativi e quantitativi di cui all’art. 50 comma 1 lett. a) e b) del codice e dei requisiti generali o speciali previsti dal medesimo codice”.

L’affidamento diretto, pertanto, per espressa disposizione legislativa, non è una procedura di gara, intesa come confronto competitivo tra più operatori economici. Tuttavia, ciò non significa che lo stesso non possa essere, in qualche modo, “procedimentalizzato”.

Nel bandire una procedura semplificata, la stazione appaltante è libera, ad esempio, di introdurre alcuni elementi procedurali tipici delle gare senza determinare ex se l’applicazione integrale delle regole previste dal Codice per le procedure ordinarie.

Come ribadito dal Consiglio di Stato, infatti, la mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori, non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze. L’acquisizione di più offerte non comporta la trasformazione della procedura di affidamento diretto in una gara vera e propria, trattandosi piuttosto di un mero confronto di preventivi, con conseguente dovere della stazione appaltante di motivare la scelta dell’aggiudicatario non in ottica comparativa, ma solo in termini di economicità e di rispondenza dell’offerta alle proprie esigenze (Consiglio di Stato, sez. V, 15.01.2024 n. 503).

Nelle procedure di affidamento diretto, infatti, il d.lgs. n. 36/2023 prevede che la scelta dell’operatore “anche nel caso di previo interpello di più operatori economici” è “operata discrezionalmente dalla stazione appaltante” (art. 3, allegato I.1), fermo restando l’obbligo di motivarne le ragioni (art. 17, c. 2). Essa sfugge, pertanto, al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità o travisamento dei fatti (TAR Milano, 11.06.2024 n. 1778).

Così, ad esempio, secondo la giurisprudenza, la chiara indicazione della norma applicata (art. 50, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 36/2023), la previsione di un mero confronto tra preventivi e l’assenza di una commissione giudicatrice nominata per la valutazione delle offerte, per cui l’individuazione del preventivo ritenuto più conveniente per l’amministrazione è effettuata direttamente dal R.U.P., senza le formalità della seduta pubblica e senza l’elaborazione di una graduatoria finale tra le diverse proposte, palesano la volontà dell’amministrazione di ricorrere ad una modalità di affidamento diretto e non ad una procedura di carattere comparativo.

In particolare, non palesa la volontà di indire una procedura negoziata la decisione dell’amministrazione di interpellare cinque operatori; l’art. 50, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 36/2023 consente, infatti, l’affidamento diretto dei servizi e forniture, di importo inferiore a 140.000 euro, “anche senza” consultazione di più operatori economici e l’art. 3, allegato I.1 del Codice prevede espressamente la facoltà per la stazione appaltante di interpellare più operatori. Non assumono, pertanto, rilievo la richiesta di un’offerta tecnica e un’offerta economica, l’indicazione di un importo “a base d’asta” e la predeterminazione di criteri di valutazione. Così come non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara neppure la richiesta del possesso, in capo agli operatori, di requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale che è, anzi, conforme a quanto previsto all’art. 17, c. 2, d.lgs. n. 36/2023 in forza del quale, in caso di affidamento diretto, la decisione di contrarre “individua l’oggetto, l’importo e il contraente, unitamente alle ragioni della sua scelta, ai requisiti di carattere generale e, se necessari, a quelli inerenti alla capacità economico-finanziaria e tecnico-professionale” (TAR Milano, 11.06.2024 n. 1778).

2. Affidamento diretto e rispetto del principio di rotazione.

Con il Comunicato del Presidente del 24.06.2024, l’ANAC ha fornito chiarimenti sull’applicazione del principio di rotazione per gli affidamenti diretti e le procedure negoziate nei contratti di appalto di importo inferiore alle soglie europee.

Nell’affidamento diretto trova applicazione il principio di rotazione ex art. 49 D.Lgs. n. 36/2023, che non consente un terzo affidamento consecutivo. Sotto tale profilo è stato precisato che la norma in questione – secondo cui “è vietato l’affidamento o l’aggiudicazione di un appalto al contraente uscente nei casi in cui due consecutivi affidamenti abbiano ad oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, oppure nella stessa categoria di opere, oppure nello stesso settore di servizi” – va interpretata nel senso che i “due consecutivi affidamenti” fanno riferimento a quello da aggiudicare e a quello “immediatamente precedente” con la conseguenza che è vietato già il “secondo” consecutivo affidamento e non il “terzo” in favore dell’operatore già affidatario di due precedenti consecutivi affidamenti; non si rinvengono, per una simile interpretazione, né elementi testuali, né elementi sistematici tenuto anche conto che la disposizione si pone in linea di continuità con la precedente regolamentazione di cui alle Linee Guida ANAC n. 4 che al punto 3.6 facevano espresso riferimento all’affidamento “precedente” e a quello “attuale”. Peraltro, in tal caso, la norma avrebbe utilizzato il termine “abbiano avuto”, piuttosto che “abbiano”, tempo presente che “attualizza” la sequenza temporale al momento immediatamente precedente (in tal senso, TAR Catania, 19.03.2024 n. 1099 e Parere MIT n. 2177/2023).

Il principio di rotazione non si applica qualora il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante non disponga alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione. Così, ad esempio, secondo il TAR Calabria (TAR Catanzaro, 29.05.2024 n. 848), il procedimento instaurato mediante l’avviso di indagine esplorativa di mercato può essere equiparato a tutti gli effetti a una “procedura aperta al mercato”, essendo in esso prevista una selezione aperta a tutti e basata sul criterio dell’offerta più congrua e conveniente, così da escludere una potenziale lesione del principio di rotazione. Da qui l’accoglimento del ricorso e l’annullamento sia dell’avviso pubblico sia della successiva aggiudicazione, per aver la stazione appaltante precluso, sulla base di una illegittima applicazione del principio di rotazione, alla impresa ricorrente di essere invitata a presentare il proprio preventivo in risposta a una procedura di selezione pubblica.

Con parere n. 2624 del 21 giugno 2024, il MIT ha risposto al quesito postogli da una stazione appaltante riguardo la possibilità di derogare al principio di rotazione per evitare un dispendio maggiore di costi per un nuovo affidamento avente le medesime caratteristiche del precedente. Nel parere, richiamando il parere di ANAC 58/2023, il Ministero chiarisce nuovamente che le uniche eccezioni (oltre alla deroga al di sotto dei 5.000 Euro) ammesse al principio di rotazione sono quelle previste dai commi 4 e 5 dell’art. 49. Il principio di rotazione prevale, quindi, a quello di economicità dell’azione della pubblica amministrazione.

3. Affidamento diretto ed obbligo indicazione dei costi della manodopera.

L’art. 108, comma 9 del D.Lgs. 36/2023, rubricato “Criteri di aggiudicazione degli appalti di lavori, servizi e forniture” prescrive che “Nell’offerta economica l’operatore indica, a pena di esclusione, i costi della manodopera e gli oneri aziendali per l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro eccetto che nelle forniture senza posa in opera e nei servizi di natura intellettuale.

L’art. 41, comma 14, prescrive poi che “Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13.

Infine, l’art. 48 dispone che “Ai contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea si applicano, se non derogate dalla presente Parte, le disposizioni del codice.”.

Sulla scorta dei citati indici normativi, il TAR Catanzaro ha ritenuto come non possa escludersi l’applicabilità (anche) agli affidamenti diretti della regola sancita all’art. 108, comma 9 sull’obbligatorietà dell’indicazione dei costi della manodopera a pena di esclusione del concorrente (TAR Catanzaro, 17.06.2024 n. 958).

Del resto, con le sentenze nn. 1, 2 e 3/2019, anche l’Adunanza Plenaria, da un lato, aveva aderito alla lettura formalistica dell’art. 95 co. 10, del D.Lgs. 50/2016, affermando che la “mancata indicazione da parte di un concorrente a una pubblica gara di appalto dei costi della manodopera e degli oneri per la sicurezza dei lavoratori comporta comunque l’esclusione dalla gara senza che il concorrente stesso possa essere ammesso in un secondo momento al beneficio del c.d. ‘soccorso istruttorio’, pur nelle ipotesi in cui la sussistenza di tale obbligo dichiarativo derivi da disposizioni sufficientemente chiare e conoscibili e indipendentemente dal fatto che il bando di gara non richiami in modo espresso il richiamato obbligo legale di puntuale indicazione” e, dall’altro, aveva rimesso la questione della compatibilità comunitaria della norma così interpretata alla Corte di Giustizia.

La Corte di Giustizia, con la sentenza 2 maggio 2019, C-309/18, ha ritenuto gli artt. 95, comma 10, ed 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016, in linea di principio compatibili con la direttiva n. 2014/24/UE, salva tuttavia la situazione – che spetta al Giudice nazionale verificare – in cui sussista una “materiale impossibilità”, per l’offerente, di indicare separatamente quei costi.

La giurisprudenza ha altresì precisato che la portata escludente dell’inosservanza dell’obbligo di indicare nell’offerta “i propri costi della manodopera”, secondo quanto prescritto dall’art. 95, comma 10, D.Lgs. n. 50/2016, non trova applicazione allorché in base alla documentazione di gara non sia possibile provvedere a tale indicazione.

Secondo il Giudice Amministrativo, l’indicata materiale impossibilità, tuttavia, non sussiste laddove l’enunciazione dell’obbligo manchi nel corpo della lex specialis, tenuto conto dell’attitudine eterointegrativa della prescrizione normativa dell’art. 95, comma 10, che deve senz’altro considerarsi, anche alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, ben nota ad ogni serio ed informato operatore economico.

È stato ancora precisato che l’eventuale non editabilità dei moduli dichiarativi predisposti dalla stazione appaltante privi dello spazio per l’indicazione in questione, non è di per sé preclusiva, sul piano della materiale elaborazione scritturale dei termini dell’offerta, dell’integrazione ad opera dell’offerente (Consiglio di Stato, Sez. V, 8 aprile 2021, n. 2839).

Pertanto, l’art. 41, comma 14, del nuovo Codice trova applicazione anche negli affidamenti diretti, in quanto la norma esprime un principio generale – quale la tutela dei lavoratori – che deve essere comunque rispettato. Ciò posto, è necessario che siano previste modalità idonee che tengano conto del fatto che negli affidamenti diretti non viene effettuata una procedura di gara. Ad esempio, nei casi in cui sia necessario procedere allo scorporo dei costi della manodopera, si tenga conto delle esigenze di semplificazione sottese agli affidamenti diretti ai fini della individuazione delle modalità di scorporo medesimo (cfr. Pareri MIT nn. 2346/2024 e 2398/2024).

4. Divieto di ricorso all’affidamento diretto nelle concessioni.

La scelta del Legislatore nel nuovo Codice dei contratti pubblici è stata quella di regolamentare in via autonoma le concessioni, quali species del genus del partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale, riconoscendone l’autonomia rispetto ai contratti di appalto non solo per quanto attiene agli aspetti sostanziali, ma anche per quanto di specifica attinenza ai profili procedurali.

Si assiste, infatti, ad una autonoma regolamentazione delle procedure di affidamento delle concessioni, senza alcun rinvio alla disciplina riguardante il settore degli appalti, al fine, evidentemente ritenuto essenziale, di attribuire autonoma dignità ad una porzione ormai rilevante dei contratti pubblici.

In particolare, alle concessioni di importo inferiore alla soglia europea, la scelta del Legislatore del 2023 è stata quella di operare una radicale inversione di rotta rispetto alla previgente disciplina, regolamentando autonomamente l’affidamento di tali contratti senza alcun rinvio alle disposizioni dettate per i contratti di appalto e, in particolare, senza alcun richiamo all’art. 50 del Decreto Legislativo 31 marzo 2023 n. 36.

Pertanto, la procedura di affidamento delle concessioni sotto la soglia di rilevanza europea potrà avvenire secondo le modalità delineate dall’art. 187 del Decreto Legislativo 31 marzo 2023 n. 36, ovvero mediante procedura negoziata, senza pubblicazione di un bando di gara, previa consultazione, ove esistenti, di almeno 10 operatori economici, ferma restando l’opzione dell’ente concedente di utilizzare le procedure di gara disciplinate, per le concessioni, dalle altre disposizioni del Titolo II, della Parte II del Libro IV del Codice.

La disposizione di cui all’art. 187 citato risponde, da un lato, alle stesse finalità di flessibilità e semplificazione cui è ispirato l’art. 50; dall’altro sembra valorizzare in maniera più spiccatamente garantista le esigenze pro-concorrenziali, intendendo coinvolgere il maggior numero possibile degli operatori economici (dieci).

Sulla scorta delle suddette considerazioni, sono state ritenute fondate dal TAR Parma le censure della parte ricorrente in ordine alla illegittimità della procedura ex art. 50 del D.lgs. 36/2023, prescelta dal Comune di Reggio Emilia per l’affidamento del servizio di ripristino delle condizioni di sicurezza stradale compromesse a seguito del verificarsi di incidenti stradali. Nel caso di specie, trattandosi di concessione di servizi di importo inferiore alla soglia europea, la disciplina applicabile è quella dettata dall’art. 187 del D.Lgs. 36/2023, che prevede la procedura negoziata senza bando con la previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici, ferma restando la possibilità per l’ente concedente di optare per le procedure ad evidenza pubblica dettate specificamente per le concessioni dal Titolo II, della Parte II del Libro IV del Codice (TAR Parma, 18.06.2024 n. 155).

Agendo sempre nell’ottica delle esigenze di flessibilità e semplificazione, il nuovo Codice ha previsto quindi una semplificazione anche per le procedure relative alle concessioni al di sotto delle soglie comunitarie, ma non ha ammesso l’affidamento diretto.

5. Vademecum e criticità degli affidamenti diretti secondo ANAC.

Il 30 luglio 2024, l’ANAC ha predisposto un Vademecum informativo per “gli affidamenti diretti di lavori di importo inferiore a 150.000,00 euro, e di forniture e servizi di importo inferiore a 140.000 euro”, con lo scopo di per fornire a stazioni appaltanti ed imprese indicazioni sia dal punto di vista normativo che operativo.

L’ANAC ha inoltre recentemente individuato alcune criticità (anche su segnalazione di stakeholder) nel Codice dei contratti pubblici (cfr. ANAC – Criticità e segnalazioni in materia di contratti pubblici – 23.07.2024.pdf).

Rispetto alle procedure per l’affidamento diretto, l’Autorità ha segnalato:

– il rischio di un eccessivo frazionamento degli appalti. Stante l’ampia possibilità di ricorso all’affidamento diretto e alla procedura negoziata senza bando, le stazioni appaltanti potrebbero essere indotte, al fine di ottenere la massima semplificazione delle procedure, ad un eccessivo frazionamento degli appalti, in modo da far rientrare l’affidamento occorrente entro la soglia prescritta per il ricorso alle procedure semplificate. Potrebbe quindi accadere che appalti pluriennali, anziché essere affidati mediante le procedure ordinarie, vengano invece affidati annualmente, in modo da rimanere al di sotto della soglia prevista per l’affidamento diretto o per la procedura negoziata senza bando ed evitare, così, di assoggettarsi al principio della gara pubblica;

– l’esigenza di estendere la possibilità per le stazioni appaltati di ricorrere alle procedure ordinarie in luogo delle procedure semplificate previste per gli appalti sottosoglia. Ad oggi, nel Codice, ciò è espressamente consentito nel solo caso di cui all’articolo 50, comma 1, lettera d) – procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno dieci operatori economici, ove esistenti, per lavori di importo pari o superiore a 1 milione di euro e fino alla soglia di rilevanza europea. L’Autorità ha evidenziato l’opportunità di consentire in ogni caso alle stazioni appaltanti, nell’esercizio della propria discrezionalità e in applicazione del principio di auto-organizzazione amministrativa, di ricorrere alle procedure ordinarie anche sottosoglia, in luogo delle procedure negoziate, qualora le caratteristiche del mercato di riferimento inducano a ritenere preferibile un ampio confronto concorrenziale. Di recente, con parere del MIT n. 2577/2024, tale possibilità è stata subordinata ad una adeguata motivazione anche in considerazione dell’allungamento dei tempi di conclusione del procedimento derivanti da tale scelta. In tal senso, secondo l’Autorità, il testo normativo dovrebbe essere emendato alla luce dell’orientamento espresso dal MIT. Del resto, anche ANAC, nel parere in funzione consultiva n. 13 del 13 marzo 2024, rispondendo ai dubbi dell’amministrazione interpellante, ha ritenuto che «debba considerarsi consentito, in via generale, per gli affidamenti di valore inferiore alle soglie di cui all’art. 50 del Codice Appalti (anche) il ricorso alle procedure ordinarie, secondo le opportune valutazioni della stazione appaltante in relazione alle caratteristiche del mercato di riferimento, alle peculiarità dell’affidamento e agli interessi pubblici ad esso sottesi».

Accesso e termine di impugnazione nel D.Lgs. 36/2023 : coincide con quello in cui il concorrente acquisisce, o è messo in grado di acquisire, piena conoscenza degli atti di gara (art. 36 d.lgs. 36/2023)

Consiglio di Stato, sez. V, 18.10.2024 n. 8352

Occorre premettere che l’appalto di che trattasi ricade tra quelli soggetti alla disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici, approvato col D. Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, posto che il bando di gara è stato pubblicato successivamente al primo luglio 2023 (artt. 226, comma 2 e 229, comma 2 del citato D. Lgs. n. 36/2023).
L’art. 209, comma 1, lett. a), del citato D. Lgs. n. 36/2023 ha sostituito l’art. 120 del c.p.a., che detta disposizioni specifiche per i giudizi aventi a oggetto le controversie relative ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento, anche in concessione, di pubblici lavori, servizi e forniture.
Tale ultima norma, al comma 2, dispone che: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale, e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, sono proposti nel termine di trenta giorni. Il termine decorre, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 90 del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo di attuazione della legge n. 78 del 2022 oppure dal momento in cui gli atti sono messi a disposizione ai sensi dell’articolo 36, commi 1 e 2, del medesimo codice”.
Il citato art. 90 stabilisce, al comma 1, che qui rileva, che: “Nel rispetto delle modalità previste dal codice, le stazioni appaltanti comunicano entro cinque giorni dall’adozione:
a) la motivata decisione di non aggiudicare un appalto ovvero di non concludere un accordo quadro, o di riavviare la procedura o di non attuare un sistema dinamico di acquisizione, corredata di relativi motivi, a tutti i candidati o offerenti;
b) l’aggiudicazione all’aggiudicatario;
c) l’aggiudicazione e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o parti dell’accordo quadro a tutti i candidati e concorrenti che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta non siano state definitivamente escluse, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se tali impugnazioni non siano state già respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva;
d) l’esclusione ai candidati e agli offerenti esclusi, ivi compresi i motivi di esclusione o della decisione di non equivalenza o conformità dell’offerta;
e) la data di avvenuta stipulazione del contratto con l’aggiudicatario ai soggetti di cui alla lettera c)”.
L’art. 36 del medesimo codice, nei primi due commi, prevede, a sua volta, che:
“1. L’offerta dell’operatore economico risultato aggiudicatario, i verbali di gara e gli atti, i dati e le informazioni presupposti all’aggiudicazione sono resi disponibili, attraverso la piattaforma di approvvigionamento digitale di cui all’articolo 25 utilizzata dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi contestualmente alla comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90.
2. Agli operatori economici collocatisi nei primi cinque posti in graduatoria sono resi reciprocamente disponibili, attraverso la stessa piattaforma, gli atti di cui al comma 1, nonché le offerte dagli stessi presentate”.
In base alla trascritta disciplina processuale, il dies a quo del termine decadenziale stabilito per l’impugnazione degli atti di gara, coincide, dunque, con quello in cui l’interessato acquisisce, o è messo in grado di acquisire, piena conoscenza degli atti che lo ledono.
Tale normativa, che persegue l’obiettivo di evitare i c.d. ricorsi “al buio”, si pone in linea con l’orientamento espresso dal giudice euro unitario secondo cui “la direttiva 89/665, e in particolare i suoi articoli 1 e 2 quater, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti delle amministrazioni aggiudicatrici recanti ammissione o esclusione dalla partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici debbano essere proposti, a pena di decadenza, entro un termine di 30 giorni a decorrere dalla loro comunicazione agli interessati, a condizione che i provvedimenti in tal modo comunicati siano accompagnati da una relazione dei motivi pertinenti tale da garantire che detti interessati siano venuti o potessero venire a conoscenza della violazione del diritto dell’Unione dagli stessi lamentata” (cfr. Corte di giustizia UE, Sez. IV, ord. 14 febbraio 2019, in C- 54/18; Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 2022, n. 10696).
Nel caso di specie, non risulta che la stazione appaltante abbia messo a disposizione dell’odierna appellante tutti gli atti del procedimento di gara, se non a seguito della richiesta di accesso da quest’ultima avanzata.
Ne consegue che, come correttamente dedotto nell’appello, il termine per impugnare non poteva iniziare a decorrere se non dall’ostensione della documentazione oggetto dell’istanza di accesso, avvenuta in data 21 dicembre 2023.
Il ricorso di primo grado, notificato in data 22 gennaio 2024 doveva, quindi, considerarsi tempestivo, tenuto conto che il giorno 20 gennaio cadeva di sabato.
La doglianza sarebbe fondata anche laddove alla procedura di che trattasi fosse stata applicabile la disciplina vigente precedentemente alle modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 36/2023.
La giurisprudenza formatasi nel vigore del precedente regime ha, infatti, affermato i seguenti principi:
a) quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario, ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, la proposizione dell’istanza d’accesso agli atti di gara comporta una dilazione temporale del termine per ricorrere pari a quindici giorni (ex art. 76, comma 2, del citato D. Lgs. n. 50/2016);
b) presupposto per l’applicazione della dilazione temporale è, a sua volta (oltreché la natura del vizio da far valere, il quale non deve essere evincibile se non all’esito dell’acquisizione documentale) la tempestività dell’istanza d’accesso, avanzata, cioè, entro quindici giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione;
c) laddove la stazione appaltante non dia immediata conoscenza degli atti di gara reclamati, in specie mediante tempestiva risposta alla (anch’essa tempestiva) domanda d’accesso, da evadere entro il termine di quindici giorni, si farà applicazione dell’ordinario termine d’impugnazione di trenta giorni, decorrente dalla effettiva ostensione dei documenti richiesti (Cons. Stato, A.P. 2 luglio 2020, n. 12; Sez. V, 27 marzo 2024, n. 2882; 7 febbraio 2024, n. 1263; 20 marzo 2023, n. 2796; Sez. III, 15 marzo 2022, n. 1792).
Nel caso di specie la società -OMISSIS- ha presentato la richiesta di accesso ad atti la cui conoscenza era necessaria ai fini della formulazione delle contestazioni dedotte, entro i quindici giorni dalla pubblicazione del provvedimento di aggiudicazione, mentre i documenti sono stati consegnati oltre il termine assegnato all’amministrazione per rispondere. Conseguentemente, il termine decadenziale di trenta giorni per impugnare l’aggiudicazione decorreva, per intero, dal momento dell’effettiva ostensione dei documenti richiesti.
In contrario non vale obiettare che il termine assegnato alla stazione appaltante per provvedere sarebbe stato rispettato, in quanto, in data 6 dicembre 2023 e, quindi, entro i quindici giorni dall’istanza d’accesso, la medesima aveva comunicato alla richiedente di aver notificato, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184, la suddetta richiesta ai controinteressati, allo scopo di consentire loro di manifestare eventuale opposizione alla consegna.
E invero:
a) in base all’art. 53, comma 1, del codice dei contratti pubblici di cui al D. Lgs. n. 50/2016, la legge generale sul procedimento amministrativo (L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 22 e ss.) trova applicazione in tema di diritto di accesso agli atti della procedura di gara soltanto per i profili non espressamente e puntualmente disciplinati dal medesimo codice;
b) ai sensi del comma 5, lett. a) del suddetto art. 53 i concorrenti devono manifestare l’opposizione all’ostensione delle informazioni che costituiscono segreti tecnici o commerciali in sede di offerta, con motivata e comprovata dichiarazione che attesti l’esigenza di tutelare tali segreti, spettando all’amministrazione, cui pervenga l’istanza di accesso, valutare se la dichiarazione in precedenza resa risulti adeguatamente motivata e comprovata (Cons. Stato, Sez. IV, 28 Luglio 2016, n. 3431).
Il che rendeva superflua e ridondante la comunicazione di cui al ricordato art. 3 del D.P.R. n. 184 del 2006.

Subappalto integrale risultante dai preventivi dei subappaltatori in sede di anomalia : esclusione (art. 110 , art. 119 d.lgs. 36/2023)

TAR Catania, 16.10.2024 n.  3408

L’art. 119, comma 1, D.Lgs. 36/2023 stabilisce espressamente che “I soggetti affidatari dei contratti eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi e le forniture compresi nel contratto. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 120, comma 1, lettera d), la cessione del contratto è nulla. È altresì nullo l’accordo con cui a terzi sia affidata l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni appaltate, nonché la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative alla categoria prevalente e dei contratti ad alta intensità di manodopera. È ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo.”; viene pertanto sancita la nullità degli accordi con cui l’aggiudicatario di un appalto pubblico affidi ai terzi subappaltatori l’integrale esecuzione delle prestazioni oggetto di appalto.
[…] Dalla nullità dei contratti di subappalto discende come conseguenza che l’offerta presentata dalla controinteressata andava considerata anomala e, pertanto, esclusa dalla Commissione di gara. Come già esposto, infatti, in sede di giustificazione dell’offerta, la controinteressata si è giustificata unicamente facendo riferimento alle offerte pervenute dai subappaltatori, mentre non ha offerto ulteriori elementi a sostegno della propria offerta; una volta che allora gli accordi di subappalto vengono dichiarati nulli ne discende che la verifica di anomalia avrebbe dovuto concludersi negativamente per la controinteressata, non avendo la stessa presentato adeguati elementi a sostegno della propria offerta. Invero, l’art. 110, comma 5, lett. b), D.Lgs. 36/2023, dedicato alle offerte anormalmente basse, prevede espressamente che “la stazione appaltante esclude l’offerta se le spiegazioni fornite non giustificano adeguatamente il livello di prezzi o di costi proposti, tenendo conto degli elementi di cui al comma 3, oppure se l’offerta è anormalmente bassa in quanto: […] b) non rispetta gli obblighi di cui all’articolo 119”; nel vigore del vecchio codice degli appalti, si veda in termini C.G.A.R.S, sez. giurisd., 7 marzo 2022, n. 289, ove si afferma che “…l’eventuale invalidità del contratto di subappalto rileva in termini generali in fase esecutiva e nella procedura di gara solo in quanto incida sull’anomalia dell’offerta”.

Costo della manodopera e giustificativi : occorre verifica del “monte ore contrattuale” indicato in offerta tecnica, incluse le sostituzioni

Consiglio di Stato, sez. VII, 15.10.2024, n. 8265

7.3. Orbene, ai fini del corretto inquadramento delle questioni poste dall’appello – prima di verificare se la disciplina di gara indicasse un monte ore teorico ovvero effettivo – importa, soprattutto, rilevare in quali termini l’impresa aggiudicataria ha sul punto formulato la propria offerta tecnica.
7.4. A tale proposito, risulta dagli atti che l’aggiudicataria: a) ha offerto un piano di lavoro composto da un totale di 236.795,17 ore (di cui, rispettivamente, 199.527,17 per lo svolgimento del servizio e 37.268,01 ore aggiuntive per “unità operative di pronto intervento”; b) ha chiarito espressamente di aver previsto – a titolo di garanzia del monte ore indicato dalla Committente nell’allegato “Schede Addetti” – l’assunzione di nuovo personale (unità operative di pronto intervento) che possa compensare il tasso di assenteismo per malattia, maternità, permessi studio e permessi sindacali; ha precisato che “tali assunzioni resteranno in capo alla -OMISSIS-” e che “il monte ore aggiuntivo così ottenuto, affidato alle Unità di Pronto Intervento, sarà a disposizione della Committente per sostituzioni, situazioni emergenziali o per qualsiasi altra necessità…”; c) in considerazione dell’importante offerta anche in termini di ore, ha conseguito, per il sub criterio in questione, un punteggio elevato, pari a 6,06 punti (contro il punteggio di 4,42 punti attribuito alla ricorrente).
7.5. Senonché, nel fornire poi alla Stazione appaltante i chiarimenti richiesti in merito al costo della manodopera, l’aggiudicataria:
– da un lato, non ha fornito alcuna indicazione in merito al costo delle 37.268,01 ore aggiuntive di nuova assunzione offerte in gara per le “unità operative di pronto intervento”;
– dall’altro, ha giustificato le 199.527,17 ore offerte facendo riferimento al costo delle sole 162.259,16. ore c.d. lavorate e non – come invece avrebbe dovuto – esponendo il complessivo costo contrattuale oggetto dell’impegno assunto con l’offerta tecnica.
7.5.1. In altri termini, la -OMISSIS-, pur essendosi impegnata in sede di offerta tecnica alla prestazione di complessive 199.527,17 ore per lo svolgimento del servizio (oltre alle 37.268,01 ore di nuova assunzione), ha indicato come costo della manodopera il prodotto risultante dalla moltiplicazione del costo orario medio per un valore – diverso e considerevolmente inferiore rispetto a quanto offerto – pari a complessive sole 162.259,16 ore.
7.6. Invero, per la quantificazione del costo della manodopera occorre tener conto del monte ore contrattuale indicato in offerta. Solo quest’ultimo, infatti, esprime il reale impegno assunto dalla concorrente in sede di gara.
Viceversa, il monte ore effettivo (vale a dire le c.d. ore lavorate cui fa riferimento l’appellante principale) non esprime l’effettivo costo del lavoro che l’aggiudicataria dovrà sostenere nel corso dell’esecuzione della commessa, che tenga conto dei costi necessari a far fronte alle assenze del personale per ferie, malattie, permessi studio e permessi sindacali.

[…]
7.7.2. La sentenza, preso atto di tali rilievi, ha quindi correttamente esplicitato, con ragionamento immune dai vizi dedotti, i profili di erroneità dell’impostazione seguita dalla -OMISSIS- nel giustificare i propri costi della manodopera.
7.7.3. In sostanza, l’aggiudicataria avrebbe dovuto moltiplicare il costo orario medio per il numero di ore contrattuali offerte, solo così potendo assicurare l’espletamento del servizio secondo le modalità per le quali si era impegnata contrattualmente nei confronti dell’Amministrazione.
7.7.4. Nel caso di specie, posto che le ore richieste dalla Stazione appaltante nel capitolato erano da qualificarsi come ore contrattuali, l’aggiudicataria avrebbe dovuto, una volta utilizzato il monte ore effettivo ai fini del calcolo del costo orario medio, così giustificando lo scostamento rispetto ai valori ufficiali (risultante dalle tabelle ministeriali), moltiplicare tale costo orario per le ore contrattuali offerte (pari nella specie a 199.527,17).
Dette ore devono essere integralmente coperte, per poter garantire il servizio richiesto.
Ed infatti nel capitolato si legge: “Pertanto, il servizio oggetto del presente appalto dovrà essere svolto per il numero di ore mensili fissato nei citati allegati in quanto rispondente alle esigenze dell’Amministrazione Universitaria.”.
7.7.5. Si tratta, pertanto, evidentemente di una determinazione quantitativa, ancorché effettuata per relationem, dell’entità minima della prestazione richiesta dalla Amministrazione, poiché ritenuta corrispondente alle sue esigenze.

[…]
7.8.3. Il punto è che l’offerta tecnica dell’aggiudicataria, alla luce del suo tenore letterale, non si è limitata a mettere a disposizione della Stazione appaltante dipendenti non specificatamente dedicati alla commessa di cui trattasi.
7.8.4. Inoltre, una volta che il costo totale sia stato calcolato sul monte ore effettivo (come ha fatto l’aggiudicataria), le ore aggiuntive indicate nell’offerta costituiscono le ore necessarie per garantire le sostituzioni, attraverso le quali è possibile giungere al monte ore contrattuale di 199.527,17.
Ed infatti, non a caso il monte ore effettivo, pari a 162.250,16 più le ore aggiuntive offerte, 37.268,01, fa esattamente 199.527,17, ovvero il monte ore contrattuale.
Pertanto, anche le ore aggiuntive dovevano essere giustificate, per poter ritenere congrua l’offerta nel suo complesso, non potendo esse riferirsi genericamente anche ad altre commesse.
7.9. Né può condividersi l’assunto dell’Università secondo cui, qualificando come fattori il costo orario medio (ottenuto utilizzando il monte ore effettivo quale divisore) e il monte ore teorico, verrebbero calcolati due volte i costi delle sostituzioni.
7.9.1. Anche sul punto la sentenza è conforme alla consolidata giurisprudenza (oltre alla pronuncia del Consiglio di Stato sez. V, 22 novembre 2022, n.10272 richiamata dalla sentenza si veda, in particolare, Cons. Stato, V, 20 aprile 2021 n. 3200, la quale in caso analogo ha ritenuto “del tutto errata l’operazione di moltiplicazione del costo orario medio già ribassato con un monte ore a sua volta (ed illegittimamente) ridotto”).

8. Mette conto, infatti, evidenziare che sul tema la giurisprudenza ha costantemente affermato i seguenti principi pienamente estensibili alla fattispecie concreta (cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2024, n. 1509; Cons. Stato, sez. V, 6 febbraio 2024, n. 1220; Cons. Stato, sez. V, 16 ottobre 2023, n. 8990; Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 2022, n. 10272 e Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 2021, n. 3200), chiarendo che:
– il monte ore contrattuale si riferisce al rapporto tra stazione appaltante e appaltatore, ovvero alla quantità di prestazioni che il secondo dovrà erogare a favore della prima: si tratta, in buona sostanza, dell’obbligazione principale dell’appaltatore nell’ambito del sinallagma contrattuale tra le parti, che si riverbera sui profili obbligatori del contratto;
– il monte ore teorico si riferisce al rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, ovvero all’obbligazione principale del lavoratore nell’ambito di un rapporto d’impiego;
– le ore mediamente lavorate (o monte ore effettivo) rilevano ai fini della congruità dell’offerta nella logica delle tabelle ministeriali: al costo medio annuo del personale viene applicato un divisore inferiore rispetto a quello puramente teorico, al fine di determinare un costo orario più elevato, idoneo a coprire anche la frazione di costo che l’appaltatore dovrà sostenere per sostituire il personale assente (per malattia, ferie e altre evenienze): ciò in quanto l’appaltatore medesimo dovrà comunque garantire il servizio in caso di assenze del personale al fine di adempiere integralmente all’obbligazione assunta verso la stazione appaltante in base al monte ore contrattuale indicato in offerta; solo quest’ultimo, dunque, esprime il tempo reale del servizio per cui la concorrente si è impegnata contrattualmente in sede di offerta;
– l’individuazione del monte ore contrattuale costituisce, dunque, parametro numerico di riferimento per lo svolgimento del giudizio di congruità dell’offerta
– l’offerta delle ore teoriche da parte della concorrente esprime, invece, l’impegno a contrattualizzare in maniera adeguata il personale, avendo riguardo anche alle ore per le cd. sostituzioni necessarie in riferimento ad evenienze quali ferie, festività e malattie;
– il monte ore effettivo (determinato delle ore annue mediamente lavorate ricavate mediante riduzione del monte ore teorico complessivo della percentuale di assenza dedotta dall’impresa) può essere utilizzato ai fini del calcolo del costo orario medio, così giustificando l’eventuale scostamento rispetto ai valori ufficiali (risultanti dalle tabelle ministeriali);
– il costo medio orario così determinato (che include anche i costi delle sostituzioni) deve essere poi moltiplicato con le ore contrattuali offerte (che rappresenta il monte ore concreto di espletamento del servizio): è, dunque, errata l’operazione di moltiplicazione del costo orario medio già ribassato con il monte ore effettivo, ovvero per un valore a sua volta ridotto come sopra precisato;
– infatti, se il monte ore effettivo ben può essere utilizzato per giungere alla determinazione del costo orario medio, ovvero quale divisore, tale costo va poi però moltiplicato per le ore contrattuali, che rappresentano l’effettivo costo che l’impresa deve sostenere per lo svolgimento della commessa e per cui si è impegnata contrattualmente (anche a far fronte alle necessarie sostituzioni per le varie evenienze sopra indicate);
– diversamente, ovvero utilizzando come moltiplicatore il valore inferiore delle ore effettive annuali alla Stazione appaltante risulterebbe assicurato l’impegno nel servizio di un tempo concreto reale significativamente inferiore rispetto alle ore annuali (c.d. monte ore contrattuale) che la concorrente nella propria offerta tecnica si è impegnata a erogare nell’esecuzione dell’appalto (ricevendo, per tale aspetto del progetto, anche il corrispondente punteggio);
– in definitiva, il costo della manodopera va determinato dalle ore contrattuali offerte in gara dalla concorrente, sicché è su tale valore, e non sulle ore lavorate, che deve giustificarsi il costo orario complessivo;
8.2. Alla luce dei riportati principi, deve dunque ritenersi che l’aggiudicataria avrebbe dovuto assumere a riferimento, sia per la valutazione dell’offerta tecnica, sia per il calcolo del costo complessivo della manodopera, solo il valore delle ore contrattuali: tale elemento non solo è conforme alle previsioni della lex specialis di gara (anche in termini di monte ore del personale già impiegato e da riassorbire in applicazione della prevista clausola sociale), ma soprattutto è corrispondente all’impegno contrattuale assunto dalla concorrente nei confronti della Stazione appaltante.
Per converso, l’indicazione del valore delle ore lavorate annuali, ricavato sottraendo dalle ore contrattuali offerte tutte le ore di assenza del personale titolare, non esprime affatto l’impegno contrattuale, ovvero il numero di ore che la ditta deve comunque garantire nella commessa anche per il tramite delle sostituzioni.
Ne consegue che non è corretto sviluppare il calcolo del costo della manodopera moltiplicando il proprio costo orario medio (riveniente dalla riduzione delle ore annue toriche di cui alle tabelle ministeriali) per il monte ore effettivo annuo (rinveniente dalla riduzione del monte ore contrattuale offerto in sede di gara): ciò costituirebbe, infatti, inammissibile duplicazione della medesima operazione di riduzione effettuata sulle due voci che determinano il costo complessivo della manodopera, che ne risulta, quindi, doppiamente ribassato, determinando un vizio insanabile dell’offerta che la rende del tutto inattendibile (in tali esatti termini si veda Cons. Stato, V, 3200/2021 cit.).

Subappalto necessario e categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria nel nuovo Codice (art. 100 , allegato II.12 d.lgs. 36/2023)

TAR Firenze, 15.10.2024 n. 1177

Il nuovo codice dei contratti pubblici non ha abrogato espressamente l’art. 12 co. 2 del d.l. n. 47/2014, già a suo tempo lasciato deliberatamente in vita dal d.lgs. n. 50/2016 (il cui art. 217 aveva abrogato i commi 3, 5, 8, 9 e 11 dello stesso art. 12: cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 21 marzo 2023, n. 2873); né vi sono argomenti convincenti nel senso di un’abrogazione implicita, eventualità esclusa anche dalla relazione illustrativa di accompagnamento allo schema definitivo del codice, redatta dalla Commissione speciale istituita presso il Consiglio di Stato ed alla quale va riconosciuto il ruolo di autorevole ausilio interpretativo delle nuove disposizioni, avuto riguardo alle peculiari – e notorie – modalità che hanno condotto alla stesura del testo normativo.
In particolare, la relazione (sub art. 119) fa discendere dalla perdurante vigenza dell’art. 12 co. 2 d.l. n. 47/2014 l’ammissibilità del subappalto per l’esecuzione dei lavori riguardanti le categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria, vale a dire il subappalto “necessario”, istituto che trova la sua disciplina fuori dal codice dei contratti pubblici (invero, la relazione illustrativa cita il comma 14 dell’art. 12, ma che si tratti di un mero errore materiale è confermato proprio dal riferimento esplicito al subappalto delle lavorazioni a qualificazione obbligatoria, del quale si occupa il comma 2 dell’art. 12. Quest’ultimo, inoltre, è composto di soli undici commi).
D’altro canto, volendo accedere alla tesi dell’abrogazione tacita dell’art. 12 co. 2 ad opera del d.lgs. n. 36/2023 (sul presupposto che la disciplina del sistema di qualificazione degli operatori economici si esaurisca oggi nelle disposizioni racchiuse dall’allegato II.12 del nuovo codice, cui rinvia l’art. 100 co. 4, terzo periodo, dello stesso d.lgs. n. 36/2023), non sarebbe più possibile individuare categorie di lavorazioni scorporabili a qualificazione obbligatoria, con il risultato della piena operatività della regola, già richiamata, che consente al concorrente singolo di partecipare alla gara qualora in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi relativi alla sola categoria prevalente, ma per l’importo totale dei lavori (art. 30 allegato II.12, cit.). Sul punto, merita di ricordare che l’art. 12 del d.l. n. 47/2014 venne emanato per rimediare all’intervenuto annullamento dell’art. 109 d.P.R. n. 207/2010, che individuava proprio le opere specializzate scorporabili a qualificazione obbligatoria e le sottraeva all’esecuzione diretta da parte dell’affidatario in possesso di qualificazione per la sola categoria prevalente: dunque esso risponde a esigenze ancora attuali di verifica delle competenze degli appaltatori relativamente a determinate tipologie di lavorazioni, esigenze che sarebbero vanificate ove la norma dovesse ritenersi abrogata (cfr. anche T.R.G.A. Bolzano, 6 marzo 2024, n. 62). E proprio il ruolo di supplenza assolto dall’art. 12. co. 2 dimostra che il rinvio alle soglie stabilite dall’art. 108 co. 3 del d.P.R. n. 207/2010, già contenuto nell’art. 109 co. 2 del medesimo d.P.R. n. 207/2010, deve intendersi come rinvio fisso e non risente dell’abrogazione della norma richiamata.
Se così è, risulta del tutto coerente con il quadro normativo vigente, immutato in parte qua, la previsione del disciplinare di gara che consentiva agli operatori in possesso di qualifica per le opere della categoria prevalente di eseguire direttamente anche le opere della categoria scorporabile OS24, in quanto di valore inferiore alla soglia dei 150.000,00 euro e del 10% del valore dell’appalto, stabilita dall’art. 108 co. 3 d.P.R. n. 207/2010.

Costi della manodopera : ribasso soltanto indiretto (art. 41 d.lgs. 36/2023)

TAR Genova, 14.10.2024 n. 673

Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 41, comma 14, del d.lgs. n. 36/2023, “Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13 [N.d.R: in base alle tabelle ministeriali del costo del lavoro]. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.
Secondo l’interpretazione preferibile della disposizione, aderente alla littera legis, nella nuova disciplina gli oneri della manodopera quantificati dalla stazione appaltante non sono direttamente ribassabili, come accadeva nel sistema previgente, in quanto vanno scorporati dalla base d’asta da assoggettare a ribasso. Pertanto, ai fini dell’aggiudicazione rileva esclusivamente la percentuale di ribasso riferita all’importo dei lavori o dei servizi da appaltare, al netto dei costi del lavoro e della sicurezza (cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 8 febbraio 2024, nn. 119-120; T.A.R. Campania, Salerno, 11 gennaio 2024, n. 147).
Tuttavia, come esplicitato nell’ultimo periodo dell’art. 41, comma 14, qualora l’operatore economico disponga di un’organizzazione aziendale particolarmente efficiente, che gli consenta di abbattere i costi della manodopera, questi ultimi possono essere diminuiti in via indiretta e riflessa, ossia offrendo un più elevato ribasso sull’importo dei lavori o dei servizi oggetto della commessa. Detto altrimenti, la formulazione del ribasso è consentita esclusivamente sul valore dell’appalto al netto della manodopera stimata dalla stazione appaltante (e al netto degli oneri di sicurezza), ma il concorrente ha la facoltà di ridurre indirettamente i costi del lavoro aumentando la percentuale di sconto praticata sulla componente direttamente ribassabile. Naturalmente, i minori costi della manodopera che l’operatore ritiene di sopportare in concreto vanno specificati nell’offerta economica, ai sensi dell’art. 108, comma 9, del d.lgs. n. 36/2023, nonché giustificati mediante la dimostrazione della propria efficienza aziendale.
Deve, peraltro, darsi conto che, in base ad un’antitetica ricostruzione esegetica, il costo della manodopera, seppur esposto separatamente negli atti di gara, continuerebbe a costituire un elemento della base d’asta, sulla quale l’offerente applica il ribasso (T.A.R. Toscana, sez. IV, 29 gennaio 2024, n. 120; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 19 dicembre 2023, n. 3787; delibera Anac 15 novembre 2023, n. 528). Dunque, secondo tale interpretazione il ribasso viene formulato sull’importo contrattuale al lordo della manodopera, onde nulla sarebbe mutato rispetto al codice del 2016. Tale opzione ermeneutica va, però, respinta, perché conduce alla sostanziale abrogazione della prescrizione dell’art. 41, comma 14, sulla non diretta ribassabilità della manodopera, ponendosi, oltretutto, in contrasto con il criterio direttivo enunciato nella legge delega (ossia che “i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso”: cfr. art. 1, comma 2, lett. t della legge n. 78/2022).
Ciò posto, nella lex specialis di gara la Provincia ha recepito la disciplina del nuovo codice dei contratti, nell’approdo esegetico qui ritenuto corretto, giacché:
– gli artt. 1.3 e 18.5 del disciplinare stabiliscono che i costi della manodopera non sono (direttamente) soggetti a ribasso (doc. 2 ricorrente); analoga previsione è contenuta nella tabella del quadro economico inserita al punto 1.3.1 del capitolato speciale d’appalto (doc. 5 ricorrente);
– nel modello di offerta economica l’ “importo ribassabile” è indicato nella somma di € 55.426,49, che corrisponde al costo delle lavorazioni (v. quadro economico, sub doc. 4 ricorrente), cui si aggiungono le voci degli oneri della sicurezza di € 18.203,12 e del costo della manodopera di € 18.365,08. In calce al modulo viene ribadito che gli oneri della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato a ribasso, ma, per i costi del lavoro, è consentito esporre una cifra diversa (più bassa), derivante dall’efficienza organizzativa dell’impresa, che potrà formare oggetto di richiesta di giustificazione (v. doc. 15 ricorrente).
3.1. Alla luce di quanto sin qui illustrato, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il modulo per predisporre l’offerta economica si rivela perfettamente comprensibile e coerente con il disposto dell’art. 41, comma 14, del d.lgs. n. 36/2023.

Azione generale di arricchimento ex art. 2041 applicabile anche ai contratti pubblici ?

L’azione prevista dall’art. 2041 Codice Civile trova applicazione nelle procedure di contrattazione pubblica nel caso in cui il danno cui sia incorsa una parte durante una procedura di gara determini arricchimento ingiustificato per un soggetto terzo.
La fattispecie trae origine dal ricorso proposto da una società al fine di ottenere il ristoro del danno asseritamente patito a seguito della mancata aggiudicazione di un appalto.

Alla base della tesi attorea l’ingiustificato arricchimento conseguito dalla società risultata aggiudicataria dell’appalto che avrebbe pertanto dovuto risarcire il danno patito dalla società ricorrente ai sensi di quanto previsto dall’art 2041 Codice Civile: ciò in quanto tale ultima disposizione prevede che la parte che abbia ottenuto un arricchimento ingiustificato sia tenuta a riequilibrare la situazione patrimoniale mediante un risarcimento da corrispondersi alla parte che abbia patito la diminuzione della propria sfera patrimoniale.
L’arricchimento senza causa sussiste quando tra due soggetti si verifica, senza alcuna giustificazione giuridica, uno spostamento patrimoniale tale che uno subisca pregiudizio e l’altro si arricchisca; l’azione generale di arricchimento, prevista dall’art. 2041 c.c., è un’azione generale e sussidiaria: è generale perché esperibile in una serie indeterminata di casi; è sussidiaria, ai sensi dell’art. 2042 c.c., perché può essere proposta solo quando il danneggiato non possa esercitare alcun’altra azione, basata su un contratto, su un fatto illecito o su altro atto o fatto produttivo dell’obbligazione restitutoria o risarcitoria: art. 2042 cod. civ. (cfr. Cass. S.U. 3 ottobre 2002, n. 14215, e Cass., S.U., n. 33954/2023, cit.).
Trattasi della sussunzione, nel diritto positivo vigente, del principio romanistico nemo lucupletari potest cum aliena iactura.

Indagando i rapporti tra l’azione di arricchimento senza causa e quella risarcitoria, si è autorevolmente chiarito (cfr. Cass. S.U. 10 settembre 2009, n. 19448) che “La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di risarcimento danni da responsabilità aquiliana non sono intercambiabili, non costituiscono articolazioni di un’unica matrice, ma riguardano diritti per la cui individuazione è indispensabile il riferimento ai rispettivi fatti costitutivi, che divergono tra loro, identificando due diverse entità. Nell’azione generale di arricchimento la causa dello spostamento patrimoniale non deve essere qualificabile come antigiuridica, in quanto si entrerebbe allora nel campo dei fatti illeciti. Il termine “danno” di cui all’art. 2041 c.c. non va perciò letto nel senso di lesione antigiuridica, ma in quello di semplice diminuzione patrimoniale. Anche il petitum è diverso, trattandosi nel caso dell’art. 2041 c.c. dell’indennizzo ragguagliato alla minor somma tra l’arricchimento ed il depauperamento e, nell’azione di responsabilià aquiliana, nel risarcimento dell’intero danno subito dal danneggiato; inoltre, si tratta di crediti eterodeterminati, per la cui individuazione è cioè necessario fare riferimento al fatto costitutivo della pretesa, che identifica la “causa pretendi” tra le diverse possibili”.

Acquisita la diversità delle azioni di risarcimento del danno e di pagamento dell’indennizzo per arricchimento senza causa, si evidenzia, su di un piano generale e di sistema, che il Codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104/2010) contiene specifiche disposizioni il cui perimetro applicativo pone all’interprete, su basi decisamente innovative rispetto al passato, il quesito in ordine alla spettanza della giurisdizione su eventuali domande di ripetizione dell’indebito o di arricchimento senza causa nelle controversie inerenti alle “particolari materie” devolute per legge alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ossequio all’art. 103 della Costituzione.
Ci si riferisce anzitutto all’art. 30, comma 1, c.p.a. che, riferendosi all’azione di condanna genericamente intesa (e dunque, verosimilmente, non solo a quella risarcitoria), stabilisce che può essere proposta “contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma”
Del pari significativo è l’art. 41, comma 2, ultimo periodo, c.p.a., in base al quale “qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali beneficiari dell’atto illegittimo, ai sensi dell’articolo 102 del codice di procedura civile; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell’articolo 49”.

Disposizione, quest’ultima, che richiamando espressamente la disciplina processuale del litisconsorzio necessario di cui all’art. 102 c.p.c., impone al ricorrente che proponga dinanzi al giudice amministrativo l’azione di condanna, genericamente intesa (e, come accennato, non necessariamente solo quella al risarcimento del danno), di evocare tutti gli “eventuali beneficiari dell’atto illegittimo”, ovvero coloro che dall’atto illegittimo hanno ottenuto vantaggi, anche economicamente valutabili. Ove ciò non fosse fatto, il giudice amministrativo dovrebbe ordinare l’integrazione del contraddittorio (con successiva ed eventuale declaratoria di improcedibilità, ove l’integrazione non fosse eseguita).

Ne discende che il codice di rito, con riferimento alle azioni di condanna, intende garantire la partecipazione al giudizio amministrativo dei controinteressati che abbiano beneficiato dell’atto illegittimo (onde impedire che il giudicato sulla legittimità dell’atto lesivo si formi diversamente in sede annullatoria e in sede risarcitoria, quand’anche non vi sia identità soggettiva tra esse); e tra questi possono essere annoverati coloro che in virtù di quest’ultimo abbiano ottenuto vantaggi economicamente valutabili, come utili di impresa non spettanti in quanto percepiti nell’ambito di un contratto il cui affidamento, per quanto accertato infine nella competente sede giurisdizionale, avrebbe dovuto essere legittimamente disposto in favore del ricorrente (o, comunque, di una parte diversa da quella che fattualmente lo ottenne).

Tale garanzia di partecipazione al giudizio sembra trovare la propria specifica ratio proprio nell’esigenza processuale che il giudicato formatosi sulla azione di condanna possa fare stato anche nei confronti di chi si è avvantaggiato dell’atto illegittimo; nei confronti del quale, quindi, il ricorrente potrebbe proporre – già nel medesimo processo, ovvero anche in separata sede – le pertinenti domande dirette al riequilibrio dello spostamento patrimoniale: tra cui, segnatamente, quelle al pagamento di un indennizzo avente a oggetto prioritariamente l’attribuzione dell’utile di impresa da parte dell’esecutore materiale del contratto all’avente diritto pretermesso, al quale ultimo sarebbe spettato ove l’accertamento della illegittimità dell’affidamento contrattuale fosse intervenuta in tempo utile e comunque prima della integrale esecuzione del contratto (o, nei casi di cui all’art. 125 c.p.a., della sua soggettiva irretrattabilità ex lege).

In altri termini, fermo restando il diritto dell’esecutore del contratto alla definitiva copertura dei costi effettivamente sostenuti per lo svolgimento del lavoro o del servizio (attribuzione patrimoniale che trova la propria iusta causa nel fatto stesso del relativo svolgimento da parte dell’accipiens), risulta evidente che l’attribuzione di una utilità eccedente detto costo, all’esito del giudizio in ordine alla illegittimità dell’affidamento, non trovando alcuna giustificazione causale, consente l’attivazione dei rimedi approntati dall’ordinamento per rimuovere arricchimenti ingiustificati nei rapporti tra affidatario originario del contratto e avente diritto all’affidamento, anche con l’eventuale intermediazione della pubblica amministrazione appaltante ove quest’ultima avesse in concreto ottenuto la restituzione dell’utile di impresa dall’esecutore materiale della commessa (a mezzo dell’esperimento, appunto, della condictio indebiti, per la parte del compenso che si assume non dovuta: e salvo poi a valutare se essa possa essere surrogatoriamente esperita dall’avente diritto al contratto direttamente verso il contrattualizzato senza titolo, utendo iuribus della stazione appaltante e dunque nel contraddittorio di entrambi).

Le riflessioni che precedono assumono significatività perché danno conto della tendenziale assenza di aree grigie nel vigente sistema di tutela dei diritti e degli interessi legittimi, in quanto l’azione risarcitoria non esaurisce lo strumentario giuridico approntato dall’ordinamento per reintegrare la sfera patrimoniale incisa dall’atto illegittimo, potendo il concorrente pretermesso – che avrebbe avuto titolo all’affidamento e all’esecuzione del contratto di appalto – agire in giudizio per ottenere, quanto meno nei limiti previsti dall’azione residuale di cui all’art. 2041 c.c. (o, altrimenti, ex artt. 2033 e ss. c.c.), che il vantaggio economico ottenuto dall’affidatario del contratto, e nei fatti tradottosi in uno spostamento di ricchezza senza idonea causa, venga riverso a chi ha subìto un impoverimento in conseguenza dell’illegittimo operato della stazione appaltante – ovvero dell’interinale efficacia di una pronuncia giurisdizionale successivamente riformata in appello – almeno nella misura in cui la parte non è riuscita a ottenere quelle utilità a cui, in virtù della definitiva decisione del giudice amministrativo sull’atto, avrebbe avuto certamente titolo.

Nel caso di specie tuttavia tale azione non è stata ritenuta applicabile in quanto l’arricchimento che determina l’obbligo risarcitorio, ai sensi di quanto prevede l’art. 2041 Codice Civile, deve
presentarsi come ingiustificato, ipotesi che non ricorre nel caso in cui l’aggiudicazione dell’appalto avvenga in modo conforme alle prescrizioni normative che regolamentano le gare pubbliche (sul punto, Corte di Giustizia Amministrativa Regione Sicilia, sentenza 29.07.2024 n. 598).

Rinvio a giudizio : necessario il contraddittorio procedimentale ai fini dell’ esclusione

TAR Catania, 07.10.2024 n. 3300

L’art. 95, primo comma, lettera e), del decreto legislativo n. 36/2023 stabilisce che: a) la stazione appaltante esclude dalla partecipazione alla procedura un operatore economico qualora accerti che l’offerente abbia commesso un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, dimostrato dalla stazione appaltante con mezzi adeguati; b) all’art. 98 sono indicati, in modo tassativo, i gravi illeciti professionali, nonché i mezzi adeguati a dimostrare i medesimi.
L’art. 98, secondo comma, dispone che l’esclusione di un operatore economico ai sensi dell’art. 95, primo comma, lettera e), è disposta dalla stazione appaltante quando ricorrono tutte le seguenti condizioni: a) elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale; b) idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore; c) adeguati mezzi di prova di cui al comma 6.
Il sesto comma dell’art. 98 dispone che costituiscono mezzi di prova adeguati – in relazione al terzo comma, lettera g) – gli atti di cui all’art. 407-bis, primo comma, c.p.p., il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. o eventuali provvedimenti cautelari reali o personali emessi dal giudice penale, la sentenza di condanna non definitiva, il decreto penale di condanna non irrevocabile, la sentenza non irrevocabile di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p.
L’art. 407-bis, primo comma, c.p.p. menziona l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, sicché la richiesta di rinvio a giudizio risulta, secondo quanto espressamente stabilito dal legislatore, un mezzo di prova in linea di principio adeguato ai fini della dimostrazione della commissione del grave illecito professionale.
Il provvedimento impugnato fa riferimento all’art. 98 del decreto legislativo n. 36/2023, il quale consente alla stazione appaltante di disporre l’esclusione – terzo comma, lettera g) – per grave illecito professionale in caso di contestata commissione da parte dell’operatore economico, ovvero dei soggetti di cui all’art. 94, terzo comma, di taluno dei reati consumati o tentati di cui al citato art. 94, primo comma.
L’art. 98, settimo comma, impone alla stazione appaltante di valutare i provvedimenti sanzionatori e giurisdizionali di cui al sesto comma motivando sulla ritenuta idoneità dei medesimi a incidere sull’affidabilità e sull’integrità dell’offerente, precisando che l’eventuale impugnazione dei medesimi è considerata nell’ambito della valutazione volta a verificare la sussistenza della causa escludente.
Può prescindersi in questa sede dal rilievo che la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero non è, in effetti, un provvedimento giurisdizionale o sanzionatorio, essendo comunque chiaro l’intento del legislatore, posto che, a prescindere da eventuali improprietà del lessico normativo, la richiesta di rinvio a giudizio rileva ai sensi del citato art. 98, sesto comma, e, quindi, costituisce un mezzo di prova in linea di principio adeguato, il quale deve essere, infatti, valutato dalla stazione appaltante ai sensi del successivo settimo comma (anche perché esso costituisce un minus rispetto alla sentenza di condanna non definitiva).
Il secondo comma dell’art. 98 stabilisce che il provvedimento di esclusione debba essere motivato in relazione a tutte le condizioni di cui al secondo comma: a) elementi sufficienti ad integrare il grave illecito professionale; b) idoneità del grave illecito professionale ad incidere sull’affidabilità e integrità dell’operatore; c) adeguati mezzi di prova di cui al sesto comma.
Al riguardo nel provvedimento impugnato si afferma, in sostanza, quanto segue: a) la richiesta di rinvio a giudizio segue l’avviso di conclusione delle indagini preliminari; b) è stato contestato un reato che incide negativamente sul requisito soggettivo dell’integrità e dell’affidabilità professionale; c) la richiesta di rinvio a giudizio, unitamente alla misura cautelare adottata nei confronti di funzionari pubblici soggetti alla medesima indagine, costituiscono fatti specifici che fanno venir meno la fiducia e l’affidabilità dell’operatore economico.
La decisione assunta risulta, quindi, motivata, mentre altra questione è se tale motivazione sia corretta e condivisibile nel merito (posto che la motivazione, nella specifica prospettiva qui in esame, costituisce un requisito di “forma” del provvedimento, mentre l’erroneità della motivazione – e la conseguente erroneità del provvedimento – costituisce un vizio di natura “sostanziale”).
Tuttavia, le decisioni amministrative e le relative motivazioni rese a supporto presuppongono un ulteriore requisito procedimentale, cioè che esse siano l’esito di una compiuta ed esaustiva istruttoria.
Con riferimento alla specifica fattispecie in esame il legislatore ha, invero, escluso ogni forma di automatismo fra i provvedimenti assunti dall’autorità giudiziaria (ancorché di natura non giurisdizionale) e le determinazioni della stazione appaltante, con la conseguenza che, come più volte affermato dalla giurisprudenza (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, V, 19 agosto 2024, n. 3858), l’Amministrazione, nel disporre l’esclusione da una procedura di affidamento per grave illecito professionale, è tenuta ad attivare il contraddittorio procedimentale, all’esito del quale possono in ipotesi emergere circostanze tali da indurre l’Amministrazione medesima a non condividere la valutazione – preliminare, sotto un profilo processuale – del pubblico ministero.

Accesso agli atti: quando il diritto alla difesa in giudizio prevale su riservatezza e segreti tecnici o commerciali

TAR Napoli, 04.10.2024 n. 5215

I commi 4 e 5 del già richiamato art. 35 individuano espressamente i casi d’esclusione dall’accesso agli atti e le relative eccezioni, a tutela del principio di riservatezza, stabilendo che il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione “possono essere esclusi in relazione alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali” (comma 4 lett. a); al comma 5 della medesima disposizione è inoltre previsto, limitatamente alle ipotesi di cui al comma 4 lettera a) riguardanti c.d. “segreti tecnici o commerciali”, ai quali espressamente si richiama l’istanza di oscuramento (integrale) della -OMISSIS- s.p.a. (…), che l’accesso è comunque consentito “al concorrente” e sempre che la richiesta ostensiva sia “indispensabile ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi giuridici rappresentati in relazione alla procedura di gara”.
Ciò detto, rileva il Collegio che la ricorrente, avendo partecipato alla gara, è chiaramente titolare di una posizione giuridica, qualificata e differenziata, che la abilita a richiedere l’accesso alla documentazione della gara a cui ha preso parte; non può inoltre dubitarsi, nella specie, della effettiva sussistenza delle ragioni difensive sottese alla richiesta di accesso manifestate dalla -OMISSIS- s.p.a., seconda classificata all’esito della procedura evidenziale per cui è controversia (…), nei cui confronti l’aggiudicazione dispiega evidentemente efficacia lesiva (cfr. T.A.R. Napoli, sez. IV, 3.7.2024 n. 4092) e che, pertanto, ha senz’altro interesse alla verifica dell’attribuzione dei punteggi riservati all’offerta tecnica in funzione del perseguimento dell’interesse alla possibile aggiudicazione della commessa.
È dunque ravvisabile il prescritto nesso di indispensabilità tra contenuti dell’offerta tecnica e tutela giurisdizionale dell’interesse all’aggiudicazione della gara.
Si è osservato, in giurisprudenza, che l’interesse difensivo sotteso all’esercizio del diritto di accesso ai documenti di gara, per espressa previsione normativa prevale su quello alla riservatezza dell’aggiudicataria, e ciò anche a prescindere dalla non comprovata esistenza dei segreti commerciali e industriali da quest’ultima solo genericamente dedotti (Cons. Stato, Sez. III, 23/02/2024, n. 1832). La tutela di un segreto industriale trova un limite in relazione agli interessi di un concorrente ad accedere agli atti della procedura necessari alla sua difesa in giudizio, essendo questi ultimi prevalenti su quello alla riservatezza dei partecipanti, essendo indispensabile, ai fini della contestazione dell’operato della Commissione, poter valutare la corrispondenza tra i giudizi espressi, ed i contenuti dell’offerta tecnica. Si soggiunga, altresì, che l’art. 36 comma 2 D.Lgs. 36/2023 impone la messa a disposizione reciproca, tra i primi cinque concorrenti in graduatoria, delle offerte e dei documenti, dei verbali di gara, degli atti, dei dati e delle informazioni riferite alle singole offerte (T.A.R. Milano, sez. I, 06/05/2020, n.745); ciò proprio per consentire all’interessato di orientarsi con immediatezza sul possibile margine d’impugnativa (si veda, in proposito, la relazione illustrativa al nuovo codice dei contratti pubblici).
Il diritto alla difesa in giudizio prevale, dunque, su quello al segreto industriale.
Più in particolare, durante lo svolgimento della procedura selettiva prevalgono le esigenze di riservatezza degli offerenti, cui si contrappone, successivamente all’aggiudicazione, il ripristino della fisiologica dinamica dell’accesso, ripristino che appare tuttavia parziale, restando preclusa la divulgazione delle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali. Anche tale preclusione deve, tuttavia, essere superata e l’accesso consentito al concorrente quando sia funzionale alla difesa in giudizio degli interessi dell’istante in relazione alla procedura di affidamento del contratto, sicché la minor latitudine (rispetto alla regola generale contenuta nell’art. 24, comma 7, l. proc.) dell’accesso difensivo nell’ambito dell’evidenza pubblica coincide con i confini dell’interesse azionato (o azionabile) nel giudizio avente ad oggetto gli atti e l’esito della gara (T.A.R. Napoli, sez. VII, 27/06/2024, n. 4013).

Accordo quadro: profili di aleatorietà sulla durata e sulle prestazioni effettivamente richieste (art. 59 d.lgs. 36/2023)

TAR Catanzaro, 03.10.2024 n. 1415

Lo schema contrattuale oggetto di evidenza pubblica è, chiaramente, quello dell’accordo quadro, di cui si occupa l’art. 59 d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, per cui «le stazioni appaltanti possono concludere accordi quadro di durata non superiore a quattro anni, salvo casi eccezionali debitamente motivati, in particolare con riferimento all’oggetto dell’accordo quadro. L’accordo quadro indica il valore stimato dell’intera operazione contrattuale. (…) Quando l’accordo quadro sia concluso con un solo operatore economico, gli appalti sono aggiudicati entro i limiti delle condizioni fissate nell’accordo quadro stesso».
Il precedente art. 14, al comma 16, stabilisce che «per gli accordi quadro e per i sistemi dinamici di acquisizione, l’importo da prendere in considerazione» al fine di valutare se ci si trovi al di sotto delle soglie di rilevanza europea, «è l’importo massimo stimato al netto dell’IVA del complesso dei contratti previsti durante l’intera durata degli accordi quadro o del sistema dinamico di acquisizione».
Dall’esame di tale normativa, è evidente che l’istituto dell’accordo quadro comporta alcuni profili peculiari di aleatorietà: il concorrente conosce la misura massima delle prestazioni dovute al committente, ma non può conoscere con certezza le prestazioni che gli verranno effettivamente richieste, dipendendo dai singoli ordinativi. Nel caso di specie, l’alea è data alla durata effettiva degli appalti a valle dell’accordo quadro, la quale dipende dal quando, oltre che da se, verranno formulati i singoli ordinativi. Ma si tratta di un’alea non anomala, che dunque non è idonea a impedire a un accorto operatore economico di formulare la propria proposta.
D’altra parte, con riferimento all’art. 12 r.d. 2440 del 1923, si osserva che il d.lgs. n. 36 del 2023 è ad esso posteriore e quindi in grado di derogarlo in caso di incompatibilità. Ma, a ben vedere, i rapporti contrattuali da stipulare a valle dell’accordo quadro hanno, come richiesto dall’antico regolamento di contabilità dello Stato, termini certi, coincidenti con il termine fissato proprio dall’accordo quadro.

Provvedimento di aggiudicazione : revoca anche dopo la stipulazione del contratto di appalto in caso di condotta scorretta dell’ appaltatore

Nel caso in cui il contraente abbia tenuto condotte scorrette il provvedimento di aggiudicazione può essere revocato tramite un potere che costituisce esercizio del potere di autotutela, valutabile da parte del Giudice Amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Il quesito trae origine dalla revoca di un provvedimento di aggiudicazione in precedenza emesso da parte di una Stazione Appaltante.
La risposta richiede una considerazione circa gli effetti della stipulazione del contratto nel rapporto tra amministrazione e contraente prescelto, che chiude la fase di tipo pubblicistico della procedura contrattuale determinando un nuovo assetto nei rapporti tra impresa vincitrice della procedura e parte pubblica.
In ordine alla problematica relativa agli effetti della conclusione del contratto nel rapporto amministrazione cittadino, occorre considerare l’esercizio del potere di revoca in autotutela ai sensi dell’ art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990 n. 241, anche alla luce della decisione dell’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4/2014. A seguito della conclusione del contratto, invero, si esaurisce la fase pubblicistica caratterizzata dalla presenza di poteri autoritativi in capo alla Stazione Appaltante, che consentono la scelta del contraente più adatto mediante l’esercizio della discrezionalità tecnico-amministrativa, e si passa ad una seconda fase, di tipo privatistico, caratterizzata da una regolamentazione affidata al contratto di appalto ed alla disciplina civilistica. Tuttavia anche in tale ultima fase è possibile rilevare la presenza di disposizioni derogatorie rispetto alla ordinaria disciplina privatistica che consentono, limitatamente ai casi in cui la condotta del contraente sia caratterizzata da scorrettezza, di annullare il contratto in precedenza concluso per l’assegnazione dell’appalto pubblico (in tal senso Consiglio di Stato, sez. V, 10.06.2024 n. 5171)

CCNL sopravvenuto nel corso della gara: quali conseguenze ?

TAR Napoli, 02.10.2024 n. 5171

Secondo un consolidato indirizzo (Cons. Stato, Sez. VII, 26 giugno 2024, n. 5659; Cons. Stato., Sez. V, 15 gennaio 2024, n. 453), dal quale non vi è motivo per discostarsi e che affonda le sue radici sulla funzione di accertamento della sostenibilità dell’offerta nel tempo, cui è funzionale il sub-procedimento di cui al citato art. 97 cit., “la stipula del nuovo CCNL di settore, sopravvenuta nel corso della procedura di verifica della congruità dell’offerta, per un verso comporta la sua applicazione al personale impiegato nell’esecuzione dell’appalto; per altro verso, impone alla stazione appaltante di tenere conto dei nuovi livelli retributivi previsti, in quanto sicuramente applicabili alla futura esecuzione del contratto da affidare, e conseguentemente di verificare se l’offerta economica dell’impresa individuata come possibile aggiudicataria sia in grado di sostenere anche i nuovi costi” (Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2023, n. 6652).
Ciò in quanto, un conto sono la normativa e i dati vigenti e disponibili al momento della formulazione dell’offerta, altra cosa sono le giustificazioni nel procedimento di anomalia: “quest’ultimo tende a prevenire un vulnus di qualità e affidabilità in executivis, e dev’essere condotto in relazione a dati ed elementi, il più possibile concreti e attuali, destinati a caratterizzare l’esecuzione del rapporto: è dunque evidente che in sede di giustificazioni avrebbero dovuto essere considerati i costi del lavoro derivanti dalla nuova tornata di contrattazione collettiva” (Cons. Stato., Sez. III, 3 maggio 2022, n. 3460); è pertanto “irrilevante la circostanza che per il calcolo progettuale del costo del lavoro la stazione appaltante abbia fatto riferimento ai parametri di altro precedente CCNL (…) la verifica di congruità si proietta anche sulla fase di esecuzione del contratto, mentre i dati utilizzati per la predisposizione del bando di gara e per il calcolo dell’importo a base di gara hanno il solo scopo di effettuare una stima minima del costo del lavoro del contratto da affidare” (Cons. Stato., Sez. V, 7 luglio 2023, n. 6652).

Il principio di equivalenza negli affidamenti diretti

TAR Bari, 02.10.2024 n. 1032

Punto dirimente è costituito dalla violazione del principio di equivalenza, quale canone immanente nelle procedure di gara o comunque di evidenza pubblica, anche nelle forme negoziate o similari della c.d. piccola evidenza, specie allorché l’amministrazione intenda affidare la fornitura di materiale di consumo. La richiesta di materiale originale deve intendersi anche inclusiva del materiale assimilabile all’originale.
Non emerge dagli atti depositati nel processo una particolare motivazione, delibabile dal Collegio, in ordine alla sua ragionevolezza, per la quale la stazione appaltante abbia richiesto materiale originale, né nel provvedimento di esclusione è stato dato conto di carenze particolari, circa il prodotto offerto dall’operatore economico escluso, se non ché è stato offerto materiale non “originale”.
Un simile provvedimento è tuttavia in frontale contrasto con il principio di equivalenza (o di equipollenza), che trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica e la commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis (ex multis: T.A.R. Sicilia, sez. I, 27 giugno 2024, n. 2083; Cons. St., sez. V, 15 febbraio 2024, n. 1545; T.A.R., Marche, sez. II, 4 marzo 2024, n. 207
La Stazione appaltante avrebbe dovuto valutare la conformità dell’offerta non tanto in senso formale, quanto piuttosto in senso sostanziale, dovendo verificare, sulla base di quanto contenuto negli atti di gara, se il prodotto offerto dalla società ricorrente fosse funzionalmente rispondente alle esigenze dell’Amministrazione, secondo il principio di equivalenza, vigente negli appalti pubblici, che sottende una valutazione di omogeneità funzionale tra soluzioni, prodotti o dispositivi tecnici, ravvisabile ogni qual volta questi siano in grado di assolvere, in modo sostanzialmente analogo, alla finalità di impiego loro assegnata, come nella fattispecie (ex multis, T.A.R. Liguria, sez. I, 11 ottobre 2023, n. 853; T.A.R. Sicilia, sez. I, 27 luglio 2023, n. 2506; T.A.R. Lazio, sez. III, 20 giugno 2023, n. 10468 e 6 giugno 2023, n. 9488; T.A.R. Campania, sez. V, 3 febbraio 2023, n. 792).
In sede di gara pubblica, il principio di equivalenza trova il proprio limite nella difformità del bene o del servizio, rispetto a quello descritto dalla lex specialis, ovvero quando venga a configurarsi una ipotesi di aliud pro alio non rimediabile (ex pluris: Cons. St., sez. IV, 4 dicembre 2023, n. 10471).

Principio di equivalenza CCNL – Non impone parità di retribuzione – Oscillazione valutabile – Condizioni (art. 11 d.lgs. 36/2023)

TAR Brescia, 01.10.2023 n. 773

In base all’art. 11 commi 3 e 4 del Dlgs. 36/2023, il ribasso inserito nell’offerta non può essere ottenuto in danno dei lavoratori mediante l’applicazione di un CCNL che, essendo incoerente rispetto alle lavorazioni, comporti minori tutele economiche e normative.
La suddetta norma provoca una limitazione della libertà di organizzazione aziendale, e dunque non può essere interpretata in senso eccessivamente restrittivo. Occorre infatti evitare di introdurre freni non necessari alla concorrenza, che potrebbero ostacolare il raggiungimento della massima partecipazione.
Si ritiene pertanto che un’impresa possa mantenere il proprio CCNL anche in una gara che in base alle ripartizioni della contrattazione collettiva si collocherebbe in un altro settore economico, purché, secondo una valutazione complessiva, giuridica ed economica, sussistano i seguenti requisiti:
(i) il trattamento dei lavoratori impiegati in tale gara non sia eccessivamente inferiore a quello dei CCNL individuati dalla stazione appaltante;
(ii) vi sia corrispondenza, o almeno confrontabilità, tra le mansioni del CCNL applicato e le lavorazioni oggetto dell’appalto.
L’equivalenza dei CCNL non richiede la parità di retribuzione. Una simile condizione sarebbe impossibile, data la varietà di contenuti normalmente osservabile nei diversi settori della contrattazione collettiva, e anche discriminatoria, avendo quale risultato l’imposizione dei soli CCNL presi come riferimento negli atti di gara. A sua volta, il numero chiuso dei CCNL determinerebbe effetti anticoncorrenziali, deprimendo la partecipazione.
D’altra parte, questa non sembra essere l’impostazione seguita dalla stazione appaltante. Gli stessi CCNL indicati nel disciplinare di gara contengono infatti significative differenze di retribuzione, una volta raffrontati i livelli di inquadramento. Occorre quindi ammettere una fascia di oscillazione, nella quale, o attorno alla quale, possano inserirsi anche i CCNL non nominati.