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Obbligo dichiarativi : non estensibili al socio unico persona giuridica della società concorrente

Consiglio di Stato, sez. V, 07.09.2022 n. 7795

È orientamento consolidato, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, quello per cui la disposizione dell’art. 80, comma 3, d. lgs. n. 50/2016 non è riferita o riferibile al socio unico persona giuridica (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 2 ottobre 2020, n. 5782).
Sebbene, infatti, parte della giurisprudenza, nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, avesse ritenuto di estendere l’obbligo dichiarativo al socio di maggioranza persona giuridica della società offerente (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2 marzo 2017, n. 975; Id., sez. V, 23 giugno 2016, n. 2813), invece per il socio unico (tranne che nell’isolato precedente di Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2017, n. 3178) era prevalente l’orientamento che limitava l’obbligo dichiarativo al socio unico persona fisica (sin da Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2014, n. 4372, cui adde Cons. Stato, sez. III, 21 luglio 2017, n. 3619).
Tale limitazione è stata ribadita anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 80, comma 3, dell’attuale Codice dei contratti pubblici (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 novembre 2019, n. 7922) ed è, invero, da preferire, in ragione della lettera della disposizione, da intendersi di stretta interpretazione.
In coerenza con il principio di tassatività delle cause di esclusione e con l’inequivoca portata della disposizione dell’art. 80, va, per tal via, ribadito che, qualora il socio non rientri nell’ambito soggettivo individuato dal terzo comma dell’art. 80, non è obbligato a rendere alcuna dichiarazione neppure ai fini di cui al comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, “dovendosi ritenere che la presenza di eventuali “gravi illeciti professionali” possa assumere rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara solamente quando gli stessi siano riferiti direttamente all’operatore economico o ai soggetti individuati dall’art. 80, comma 3, del medesimo decreto” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 aprile 2019, n. 2279).

Esclusione per gravi illeciti professionali del socio sovrano – Contagio della società concorrente (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 27.11.2020 n. 7471

E’ ritenuto “socio sovrano” il socio persona fisica o società che detiene la larga maggioranza del capitale di una società; dunque il socio che in una società in cui vige il principio maggioritario, avendo il dominio dell’assemblea ordinaria e straordinaria, ha il potere di nomina esclusiva degli amministratori e dei sindaci e può decidere le modifiche dell’atto costitutivo e determinare le decisioni più rilevanti. Svolge, quindi, per effetto della propria partecipazione di maggioranza, un ruolo dominante all’interno della compagine societaria, determinando e condizionando, con scelte personali, l’attività della società.
“Il socio di società di capitali che partecipi al capitale sociale in una misura capace di assicurargli la maggioranza richiesta per la validità delle deliberazioni assembleari (in sede ordinaria e straordinaria), sicchè, in concreto, dalla sua volontà finiscono per dipendere la nomina e la revoca degli amministratori, l’irrogazione delle sanzioni disciplinari, l’assunzione di lavoratori e il loro licenziamento, l’esercizio del potere direttivo e di controllo sul personale, si presenta come l’effettivo e solo titolare del potere gestionale, si da risultare vero e proprio “sovrano” della società stessa” (Cass. civ., sez. lavoro, 5 maggio 1998, n. 4532).
Il socio sovrano non si limita ad esercitare i diritti amministrativi e patrimoniali che derivano dalla sua partecipazione sociale, ma utilizza il potere in godimento per impartire direttive agli amministratori della società e, dunque, per esercitare il potere di governo della stessa.
Qualora dall’esercizio delle sue prerogative consegua una violazione dei principi del diritto societario o derivino danni alla società, la giurisprudenza ammette la possibilità di utilizzare l’art. 2497 cc., potendosi configurare la fattispecie di responsabilità da abuso della personalità giuridica che deriva dalla direzione unitaria della società, nonché l’art. 2476 c.c., fattispecie di responsabilità in cui incorre il soggetto che, con la sua azione dolosa o colposa, provoca danni nell’amministrazione della società.
Sono entrambe azioni di responsabilità risarcitoria per danni provocati alla società, non potendo al socio sovrano di una società di capitali essere imputata alcuna forma di responsabilità patrimoniale.
“La circostanza che un socio disponga, direttamente e/o indirettamente – nella specie attraverso un’Anstalt dal medesimo fondata – dell’intero capitale sociale di una società di capitale, non comporta la confusione del patrimonio personale del primo con quello della seconda, e perciò i creditori dell’uno, pur se socio sovrano o tiranno, non possono aggredire i beni dell’altra, sottraendoli alla loro primaria funzione di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni sociali. Invece, proprio per rafforzare questa funzione, a norma dell’art. 2497 secondo comma, cod. civ., nella formulazione previgente a quella introdotta dall’art. 7 del DLG 3 marzo 1993 n. 88, nel caso di insolvenza di una società a responsabilità limitata, per le obbligazioni sorte nel periodo in cui le quote sociali siano appartenute ad un solo socio, questi ne rispondeva illimitatamente con il suo patrimonio” (Cass. Civ., sez. II, 16 novembre 2000, n. 14870).
“È configurabile una holding di tipo personale allorquando una persona fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle società medesime, non limitandosi, così, al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio … non sussiste incompatibilità tra la contemporanea sussistenza di un holder persona fisica e una società capogruppo delle società dirette dal primo: si tratta di una possibile coesistenza sia fenomenica (attenendo a due assetti organizzativi che possono emergere in fatto accanto alla regolazione formale dell’assetto giuridico-societario), sia giuridico-valoriale (ciascuna entità essendo esposta a regole di responsabilità proprie di comparti non di per sé sovrapponibili)” (Cass. Civ., sez. I, 27 gennaio 2017, n. 5520).
Il socio sovrano può, dunque, esercitare, di fatto, l’amministrazione delle società del gruppo.
Da tanto consegue che è sicuramente riconosciuta la facoltà della stazione appaltante di desumere il compimento di “gravi illeciti” da ogni vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico (qui da intendersi complessivamente inteso, dunque anche in conseguenza degli illeciti del socio sovrano) di cui sia accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 ottobre 2020, n. 5967; 14 aprile 2020, n. 2389). E per giurisprudenza costante, spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio di ampia discrezionalità, apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore economico, persino se non abbiano dato luogo ad un provvedimento di condanna in sede penale o civile, perché essa sola può fissare il “punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente” (Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2020, n. 4100; 6 aprile 2020, n. 2260; 17 settembre 2018, n. 5424; Cass. civ., Sez. Unite, 17 febbraio 2012, n. 2312).
L’art. 80, comma 5, lett. c) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 rimette alla stazione appaltante il potere di apprezzamento delle condotte dell’operatore economico che possono integrare un “grave illecito professionale”, tale da metterne in dubbio la sua integrità o affidabilità anche oltre le ipotesi elencate nel medesimo articolo, le quali, dunque, hanno carattere meramente esemplificativo.
Né può esservi differenziazione tra condotta riprovevole del socio persona fisica e quella della società. Ed invero, ai fini della ricorrenza del grave illecito professionale, occorre avere riguardo a tutti coloro che sono in grado di orientare le scelte del concorrente e non rileva di per sé il principio di immedesimazione organica, destinato ad operare propriamente nell’ambito negoziale come modalità di imputazione all’ente della volontà manifestata dalla persona fisica cui ne è affidata la rappresentanza, quanto, piuttosto, l’altro principio già definito del “contagio” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 dicembre 2018, n. 6866). “Secondo siffatta impostazione se la persona fisica che nella compagine sociale riveste un ruolo influente per le scelte della società, anche al di là di un’investitura formale e, dunque, anche se in via di fatto, è giudicata inaffidabile per aver commesso un illecito nella pregressa attività professionale, inaffidabile può essere considerata – in virtù appunto del suo potere necessariamente condizionante le decisioni di gestione – anche la società che dirige o è in grado di orientare con le sue indicazioni” (Cons. Stato, sez. V, 4 giugno 2020, n. 3507).
“È configurabile una holding di tipo personale allorquando una persona fisica, che sia a capo di più società di capitali in veste di titolare di quote o partecipazioni azionarie, svolga professionalmente, con stabile organizzazione, l’indirizzo, il controllo ed il coordinamento delle società medesime, non limitandosi, così, al mero esercizio dei poteri inerenti alla qualità di socio. A tal fine è necessario che la suddetta attività, di sola gestione del gruppo (cosiddetta holding pura), ovvero anche di natura ausiliaria o finanziaria (cosiddetta holding operativa), si esplichi in atti, anche negoziali, posti in essere in nome proprio, fonte, quindi, di responsabilità diretta del loro autore, e presenti altresì obiettiva attitudine a perseguire utili risultati economici, per il gruppo e le sue componenti, causalmente ricollegabili all’attività medesima” (Cass. civ., Sez. Unite, 29 novembre 2006, n. 25275).
Le precedenti considerazioni ricevono conferma dall’interpretazione dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, che, nella sostanza, riproduce il testo del previgente art. 45 della direttiva 2004/18, secondo cui le cause di esclusione dell’operatore economico rilevano anche nel caso in cui coinvolgano un membro del consiglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza di tale soggetto o una persona avente poteri di rappresentanza, di decisione o di controllo dello stesso.

Socio di maggioranza persona giuridica: su chi ricade l’obbligo di rendere le dichiarazioni in ordine ai requisiti?

In caso di partecipazione alla gara di una società, il cui socio di maggioranza sia costituito da una persona giuridica, le dichiarazioni in ordine al possesso dei requisiti ed ai motivi di esclusione di cui all’art. 80 d.lgs. n. 50/2016, dovranno essere rese anche dai soggetti muniti di poteri di rappresentanza e direzione tecnica del socio persona giuridica, oltre a quelli della società medesima.
La garanzia di moralità del concorrente che partecipa a un appalto pubblico non può limitarsi al socio persona fisica, ma deve interessare anche il socio persona giuridica per il quale il controllo ha più ragione di essere, trattandosi di società collegate in cui potrebbero annidarsi fenomeni di irregolarità elusive degli obiettivi di trasparenza perseguiti. Se lo spirito del Codice dei contratti pubblici è improntato ad assicurare legalità e trasparenza nei procedimenti degli appalti pubblici, occorre garantire l’integrità morale del concorrente sia se persona fisica che persona giuridica.
Il dato testuale della norma indica che, con riferimento al “socio di maggioranza”, il legislatore non ha incluso alcuna specificazione in relazione alla natura giuridica del socio, con la conseguenza che si avvalora l’opzione ermeneutica per la quale l’espressione testuale vale tanto per la persona fisica, quanto per la persona giuridica, in conformità ad un approccio sostanzialistico alla normativa che attribuisce rilievo ai requisiti di moralità di tutti i soggetti che condizionano la volontà degli operatori che stipulano contratti con la pubblica amministrazione, a prescindere dalla circostanza che siano persone fisiche o giuridiche, in ossequio ai principi di lealtà, correttezza, trasparenza e buona amministrazione.
Sotto questo profilo, ad orientare l’interprete, non deve esser sottovalutato l’argomento antielusivo, atteso che la locuzione “socio di maggioranza” è riferibile anche al socio di maggioranza persona giuridica e non solo persona fisica, per evitare la facile elusione della disciplina legislativa, facile elusione a maggior ragione prospettabile nella specie  in cui il socio di maggioranza ha pressoché la totalità delle quote dell’offerente.
Peraltro, a sostegno della tesi sopraindicata milita il contenuto dell’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE. Tale norma, infatti, nell’imporre l’esclusione dalla partecipazione agli appalti pubblici del candidato o dell’offerente che abbia riportato condanne per talune ipotesi di reato, dispone: “in funzione del diritto nazionale dello Stato membro in cui sono stabiliti i candidati o gli offerenti, le richieste riguarderanno le persone giuridiche e/o le persone fisiche, compresi, se del caso, i dirigenti delle imprese o qualsiasi persona che eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo del candidato o dell’offerente”.
Pertanto, non solo il diritto dell’Unione non osta alla verifica della sussistenza dei requisiti morali rispetto alle persone giuridiche e non solo alle persone fisiche, ma impone di effettuare il controllo ne confronti di ogni soggetto che, nella sostanza, “eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo del candidato o dell’offerente”.
In caso contrario, verrebbe violato il principio della par condicio dei concorrenti in quanto una società concorrente con socio unico o socio di maggioranza che sia persona fisica sarebbe soggetto alla dichiarazione e non invece un concorrente che sia persona giuridica (sul punto, Consiglio di Stato, sez. V, 23.06.2016 n. 2813).
La mancata dichiarazione da parte di tali soggetti, inoltre, è passibile di essere sanzionata con l’esclusione dalla gara, non essendo sanabile mediante soccorso istruttorio 

Per completezza va ricordata anche parte della giurisprudenza che aveva invece valorizzato il dato testuale del riferimento espresso al “socio unico persona fisica”, estendendolo anche al “socio di maggioranza” in ragione della comune ratio sottesa alle due fattispecie; secondo tale orientamento sarebbe irragionevole estendere l’obbligo delle dichiarazioni al caso del socio di maggioranza persona giuridica (recte, ai soggetti investiti dei relativi poteri gestori e rappresentativi) quando la norma, per il caso di socio unico, lo richiede per la sola persona fisica (così TAR Salerno, n. 1029/2016; v. inoltre TAR Friuli Venezia Giulia, n. 345/2016; CGA Regione Siciliana, n. 179/2016; Cons. Stato, n. 303/2015; TAR Palermo, 05.11.2015, n. 2849).

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