Archivi tag: aggiudicazione

Aggiudicatario formula riserve sul contratto prima della sottoscrizione : legittima revoca dell’ aggiudicazione

Consiglio di Stato, sez. III, 28.02.2023 n. 2043

3 – Secondo l’appellante il TAR non si sarebbe avveduto che non si era verificato alcun “mancato adempimento dell’obbligo di sottoscrizione del contratto per fatto e colpa dell’aggiudicatario” tale da giustificare la revoca dell’aggiudicazione, atteso che l’unico dato da considerare sarebbe stata l’intervenuta sottoscrizione del contratto da parte dell’appellante. A fronte di ciò, le riserve e le “comunicazioni intervenute tra le parti” non avrebbero “valore ai fini della valutazione circa l’avvenuta stipula o meno del contratto perché esse sono esterne al contratto e non possono incidere sul contratto medesimo”. Anche le riserve trasmesse all’Azienda, proprio perché contenute in files separati rispetto al contratto, “non comportano, né potrebbero, modifica al contratto medesimo, non costituiscono proposte contrattuali e tanto meno inficiano il contenuto e/o la validità del contratto che […] è stato sottoscritto nella versione originale trasmessa dall’A.O.U. senza modifiche”.
4 – Secondo la prospettazione di parte appellante deve trovare applicazione la giurisprudenza che ha ricostruito la disciplina applicabile in materia di formazione dei contratti che hanno come parte una p.a. nel senso della non derogabilità dell’obbligo di legge della forma scritta prevista ad substantiam, con la conseguente esigenza che la volontà delle parti sia consacrata in un “unico documento” sottoscritto contestualmente dalle parti medesime, conseguendone la irrilevanza, tamquam non esset, di ogni dichiarazione o documento allegato, così come nel caso considerato, a quello debitamente sottoscritto.
5- Considera peraltro il Collegio che l’obbligo di legge della forma scritta, posto a tutela del rispetto dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, non consente di prescindere dalle norme civilistiche che, per finalità – non in contrasto con le precedenti – di tutela della volontà e della buona fede delle parti, impongono una valutazione integrata delle singole clausole contrattuali alla luce delle altre clausole negoziali provenienti dalle parti e attribuiscono rilevanza al comportamento negoziale di ciascuna parte.
6 – La stessa giurisprudenza citata dall’appellante non appare decisiva ai fini della decisione essendo, in realtà, diretta a circoscrivere ai soli casi eccezionali previsti dalla legge la possibilità che la formazione del consenso ex articolo 1326 c.c. – come di regola può avvenire per i contratti tra privati – possa aver luogo mediante scambio di distinti documenti contenenti proposta e accettazione, ma oggi l’articolo 32, comma 14, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ammette tale modalità – tra l’altro – proprio nei casi di procedura negoziata, come quello che qui occupa.
Inoltre, il predetto indirizzo giurisprudenziale è stato di recente superato dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto di recuperare quello più risalente in base al quale non è sempre necessario, men che mai a pena di nullità, che il consenso delle parti sia racchiuso in un unico documento, potendo questo discendere anche da dichiarazioni separate dalle quali comunque sia chiaro l’incontro di proposta e accettazione su un medesimo contenuto contrattuale (cfr. Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2022, n. 9775).
7 – Ritenuta quindi la rilevanza negoziale, alla stregua di un elementare principio di buona fede, delle considerazioni sottoscritte e inviate dall’impresa appellante circa la propria futura esecuzione del regolamento negoziale appena stipulato, viene in esame il tenore delle predette affermazioni, secondo le quali (come testualmente scritto nella nota trasmessa prima della sottoscrizione e sostanzialmente ribadito dalla nota trasmessa dopo la sottoscrizione) “alcuni profili, tecnici ed economici (…) ove non modificati, comportano una oggettiva impossibilità di eseguire le lavorazioni affidate” conseguendone la richiesta di “voler rivedere i prezzi di contratto al fine di riequilibrare i termini dell’appalto, riconducendone ad equità l’importo e così rendendo sostenibile l’esecuzione dei relativi lavori, anche rispetto alle variazioni rilevate di cui al citato allegato tecnico”.
8 – Pertanto, del tutto correttamente l’Amministrazione e il TAR hanno ritenuto nella specie che le “osservazioni preliminari” che avevano accompagnato la sottoscrizione del contratto fossero tali da far considerare non perfezionato il sinallagma contrattuale, considerato che in esse era chiaramente rappresentata la “impossibilità” di dar corso all’esecuzione dei lavori in mancanza delle “modifiche contrattuali richieste”, configurandosi una richiesta di mutamento del regolamento contrattuale rispetto a quello che fin dal momento dell’offerta l’impresa si era obbligata ad accettare, con la conseguenza chi si era in presenza non di un’accettazione ma di una controproposta.
9 – Dalle pregresse considerazioni discende la legittima – ed anzi doverosa – applicazione degli strumenti di autotutela attivabili, in caso di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario, a tutela dell’interesse pubblico al rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.
10 – In conclusione, a giudizio del Collegio l’appellante, che aveva ottenuto l’aggiudicazione offrendo un forte ribasso, pur non avendo chiesto chiarimenti in sede di gara ha corredato la sottoscrizione del contratto di riserve, perizie e rilievi univocamente interpretabili nel senso della volontà dell’impresa di non voler o non poter dare seguito alle obbligazioni contrattuali alle condizioni pur sottoscritte, in palese violazione dei fondamentali principi di buona fede e di diligenza professionale che devono, invece guidare i rapporti fra le parti anche nella contrattazione pubblica, potendo e dovendo l’Amministrazione, in tal caso, attivare tutti gli strumenti giuridici in proprio possesso a tutela dell’interesse pubblico perseguito ed anche al fine di evitare i conseguenti ineludibili profili di responsabilità erariale.

Ritardo dell’ aggiudicatario nella stipulazione ed avvio esecuzione del contratto : revoca aggiudicazione

TAR Perugia, 24.02.2023 n. 94

Tale circostanza è stata quindi assunta dalla stazione appaltante a chiara dimostrazione del fatto che l’impresa aggiudicataria non si era “curata affatto di organizzare una effettiva e dettagliata programmazione dei lavori, che tenga conto del personale impiegato, delle attrezzature e dei mezzi necessari a garantire l’esecuzione dei lavori, che devono essere ultimati e collaudati inderogabilmente entro il 30/04/2023, ovvero in tempo utile […]”.
Alla luce delle riscontrate carenze, non può che ritenersi legittima la decisione del Comune di revocare l’aggiudicazione a causa della impossibilità della consegna anticipata dei lavori, di cui la ricorrente, peraltro contraddittoriamente, da una parte sostiene non essere stata validamente richiesta dalla stazione appaltante e, dall’altra, di averla comunque resa possibile per effetto della produzione documentale effettuata. E ciò coerentemente al consolidato orientamento giurisprudenziale concludente per la legittimità di una revoca/decadenza dell’aggiudicazione in ragione dell’inadempimento da parte dell’aggiudicatario “dell’obbligo, previsto negli atti di gara, di procedere d’urgenza all’inizio dei lavori, su richiesta dell’amministrazione, nelle more della stipula del contratto” (Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 2021, n. 8321; Cons. Stato, sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4918; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 11 agosto 2020, n. 9150).
Del pari, deve ritenersi legittima la revoca dell’aggiudicazione a fronte della mancata produzione della documentazione “attinente alla fase esecutiva e di apertura del cantiere (come la idoneità tecnico-professionale di cui agli articoli 17 ed 89 del D. Lgs. n. 81/2008 o il Piano Operativo di Sicurezza) la cui conformità a legge deve essere necessariamente verificata al momento dell’inizio dei lavori anche in caso di consegna anticipata rispetto alla stipulazione del contratto”, come anche la pretesa della stazione appaltante di ottenere a tal scopo il “programma esecutivo dei lavori che, ai sensi del DM 49/2018, l’impresa aggiudicataria deve presentare prima dell’inizio dei lavori” (Tar Toscana, sez. I, 19 aprile 2022, n. 527).
Del resto, il comportamento assunto dall’aggiudicataria tra la fase di aggiudicazione e quella di verifica dei requisiti e di acquisizione della documentazione propedeutica alla stipula è chiaro indice di inaffidabilità della stessa, con la conseguenza che “anche i lamentati ritardi nelle attività preliminari alla stipula del contratto di appalto su cui attualmente si verte potevano in linea di principio giustificare, da sé soli, la revoca dell’aggiudicazione” (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 29 luglio 2019, n. 5354), come pure “Il reiterato atteggiamento non cooperativo dell’aggiudicatario, obiettivamente idoneo a ritardare la stipula del contratto anche a fronte di servizi dichiaratamente connotati di urgenza, in presenza di motivate ragioni di pubblico interesse” (cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 3 giugno 2021 n. 4248).

Limiti al potere di non aggiudicare la gara d’ appalto (art. 95 , comma 12, d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 11.01.2023 n. 384

12.4. Nel caso di specie è dirimente stabilire i limiti del potere di non aggiudicare di cui all’art. 95, comma 12, del codice dei contratti pubblici. In particolare se, come nella vicenda in esame, per giustificare la scelta di non aggiudicare l’amministrazione richiama profili e valutazioni già svolte dalla commissione giudicatrice si verifica una revisione sostanziale di tali giudizi; se, invece, vengono invocate esigenze sopravvenute alla conclusione della procedura di gara si fuoriesce dall’ambito normativo segnato dalla disposizione in esame la quale impone di valutare la convenienza o l’idoneità dell’offerta «in relazione all’oggetto del contratto», non con riferimento a eventi non contemplati nel programma contrattuale posto a base di gara (in relazione ai quali, invece, dovrebbero essere esercitati i poteri di revoca del bando e di rinnovo della gara).
12.5. In ogni caso, nella fase di attuazione del giudicato e dei relativi effetti conformativi, l’esercizio del potere di non aggiudicare soffre di ulteriori limiti, dovendosi evitare che, in presenza di un giudicato che riconosce al ricorrente vittorioso il diritto all’aggiudicazione, il bene della vita attribuito dalla sentenza di cognizione sia vanificato dalla decisione discrezionale dell’amministrazione di non aggiudicare. Il potere di non aggiudicare, secondo logica, va esercitato prima di adottare il provvedimento di aggiudicazione definitiva (il che spiega anche perché si tratti di un potere riservato alla stazione appaltante e non alla commissione giudicatrice: in termini anche Cons. Stato, V, 27 novembre 2018, n. 6725); una volta disposta l’aggiudicazione residuano eventualmente i soli poteri di autotutela (art. 32, comma 8, del codice dei contratti pubblici).
12.6. Pertanto, quando, come nel caso di specie, il giudicato ha espressamente accertato il diritto all’aggiudicazione e il diritto al subentro nel contratto, si giustifica sul piano sistematico anche la preclusione (quale effetto del giudicato) all’esercizio del potere di non procedere all’aggiudicazione previsto dall’art. 95, comma 12, del codice dei contratti pubblici (in tal senso si veda di recente anche Cons. Stato, V, 28 giugno 2021, n. 4904, che ha dichiarato la nullità del provvedimento di non aggiudicazione adottato ai sensi dell’art. 95, comma 12 cit., sull’assunto che una valutazione di convenienza successiva al giudicato è certamente sintomatica dell’elusione del medesimo).

Decorrenza termine per impugnazione dell’ aggiudicazione e tesi della “sottrazione dei giorni”

Consiglio di Stato, sez. V, 29.11.2022 n. 10470

Ed invero, in forza del noto arresto di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 12 del 2020, la questione della decorrenza del termine di impugnazione degli atti di una procedura di gara per l’affidamento di un contratto di appalto è stata risolta mediante la predisposizione di uno schema articolato in momenti diversi di possibile conoscenza degli atti di gara, ad ognuno dei quali corrispondono precise condizioni affinché possa aversi decorrenza del termine di impugnazione dell’aggiudicazione, in base alla considerazione, di carattere generale, per la quale l’individuazione della decorrenza del termine per ricorrere continua a dipendere dal rispetto delle disposizioni sulle formalità inerenti alla “informazione” e alla “pubblicizzazione” degli atti, nonché dalle iniziative dell’impresa che effettui l’accesso informale con una “richiesta scritta”, per la quale sussiste il termine di quindici giorni previsto dall’art. 76, 2° comma, del D.Lgs. n. 50/2016.

Alla stregua di tali rilievi, nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici, l’individuazione della decorrenza del termine di impugnazione degli atti di una procedura di gara per l’affidamento di un contratto di appalto è così modulata:
a) dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, comprensiva anche dei verbali ai sensi dell’art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 50 del 2016;
b) dall’acquisizione, per richiesta della parte o per invio officioso, delle informazioni di cui all’art. 76 del D.Lgs. n. 50 del 2016, ma solo a condizione che esse consentano di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati o per accertarne altri, così da consentire la presentazione, non solo dei motivi aggiunti, ma anche del ricorso principale;
c) nel caso di proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara è prevista la dilazione temporale, fino al momento in cui è consentito l’accesso, se i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta (sempreché pertanto l’istanza di accesso sia proposta nei quindici giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione);
d) dalla comunicazione o dalla pubblicità nelle forme individuate negli atti di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purchè gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati (ex multis Cons. Stato Sez. V, 05/04/2022, n. 2525, Cons. Stato Sez. V, 19/01/2021, n. 575).

Non può peraltro condividersi l’assunto delle appellate, secondo cui dai quarantacinque giorni complessivi debbano essere sottratti i giorni – nel caso di specie sei – che l’impresa ha atteso per effettuare l’accesso, in quanto, diversamente, si lascerebbe il concorrente arbitro di determinare ad libitum la decorrenza del termine.
Si tratta di un’argomentazione non certo irrilevante, nel calcolare il dies a quo per la decorrenza del termine per impugnare nel caso di accesso agli atti di gara, ma la tesi della c.d. “sottrazione dei giorni” sostenuta dalle appellate non è un portato necessario dei principî affermati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza n. 12 del 2 luglio 2020 e non appare del tutto compatibile con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale riconosciuto dal diritto nazionale (art. 24 Cost.) ed europeo in materia di ricorsi relativi agli appalti pubblici, come evidenziato di recente da Consiglio di Stato sez. III, 15/03/2022, n.1792.

Secondo tale pronuncia, del tutto condivisibile, “sostenere infatti che dal complessivo termine di 30 giorni + 15 giorni, individuato dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 12 del 2 luglio 2020 per la c.d. dilazione temporale in ipotesi di accesso, debbano essere sottratti i sei giorni che l’impresa concorrente ha impiegato per chiedere l’accesso agli atti significa porre a carico del concorrente l’onere di proporre l’accesso non solo tempestivamente, come certo l’ordinaria diligenza, prima ancora che l’art. 120, comma 5, c.p.a. gli impone di fare, ma addirittura immediatamente, senza lasciargli nemmeno un minimo ragionevole spatium deliberandi per valutare la necessità o, comunque, l’opportunità dell’accesso al fine di impugnare, mentre, va qui ricordato, la stessa amministrazione, ai sensi dell’art. 76, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, dispone di ben quindici giorni per consentire o meno l’accesso agli atti, al di là dell’eventuale superamento di questo termine per condotte dilatorie od ostruzionistiche. Sotto la vigenza del precedente codice dei contratti pubblici, il termine a disposizione del privato per esercitare il proprio diritto d’accesso era stato fissato espressamente dal legislatore in 10 giorni (cfr. art. 79, comma 5-quater, del d. lgs. n. 163 del 2006. Vero è che tale disposizione non è stata riprodotta nell’attuale codice dei contratti pubblici, ma altrettanto vero è che la Corte costituzionale ha da ultimo evidenziato come un’interpretazione conforme al contesto logico-giuridico di riferimento conduca a ritenere che la dilazione temporale del termine per la proposizione del ricorso sia “correlata all’esercizio dell’accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall’art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici)” (Corte cost., 28 ottobre 2021, n. 204)….Una diversa interpretazione, che pretenda di applicare il meccanismo della c.d. “sottrazione dei giorni” anche ad un’istanza d’accesso presentata entro un termine contenuto e ragionevole (e, comunque, non superiore ai suddetti quindici giorni), potrebbe risultare non del tutto in sintonia con i principi di legittimo affidamento e di proporzionalità”.

Limiti della competenza della Commissione giudicatrice (art. 77 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Napoli, 02.11.2022 n. 6802

7.2. Il provvedimento di riaggiudicazione, versato in atti, è stato adottato dalla commissione di gara e non dal RUP.
Orbene, la giurisprudenza ha chiarito che l’adozione dei provvedimenti di esclusione e di aggiudicazione spetti al RUP e non all’organo straordinario della commissione che ha compiti di ausilio e di supporto del RUP medesimo (Consiglio di Stato sez. V, 07/10/2021, n. 6706; Consiglio di Stato sez. VI, 08/11/2021, n.7419).
7.3. Con maggiore impegno esplicativo, va rilevato che l’art. 77 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (“Commissione giudicatrice”) statuisce: “nelle procedure di aggiudicazione di contratti di appalti o di concessioni, limitatamente ai casi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico è affidata ad una commissione giudicatrice, composta di esperi nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto”.
Tale disposizione definisce i limiti della competenza della commissione che si deve limitare a svolgere un’attività di giudizio consistente nella valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico in qualità di organo straordinario e temporaneo della stazione appaltante con funzioni istruttorie.
“È, dunque, preclusa alla commissione giudicatrice ogni altra attività che non sia di giudizio in senso stretto, compresa, in particolare, la verifica della regolarità delle offerte e della relativa documentazione; la quale, ove sia stata in concreto svolta (normalmente, su incarico dell’amministrazione, ma anche in mancanza di specifico incarico), deve essere poi verificata e fatta propria della stazione appaltante” (Consiglio di Stato sez. V, 12/02/2020, n.1104).
Tale principio vale, evidentemente, anche per l’aggiudicazione rispetto alla quale le norme di riferimento sono chiare nell’attribuire la competenza alla stazione appaltante e non alla commissione (v. art. 32 co. 5 d.lgs. 50/2016).

Proposta di aggiudicazione – Approvazione dei verbali di gara e della proposta – Aggiudicazione – Differenza – Impugnabilità

Consiglio di Stato, sez. IV, 07.10.2022 n. 8612

6.2. In base all’art. 33, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 “La proposta di aggiudicazione è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti, decorrenti dal ricevimento della proposta di aggiudicazione da parte dell’organo competente”.
6.3. In base all’art. 32, comma 5, d.lgs. n. 50/2016 “La stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 33, comma 1, provvede all’aggiudicazione”.
6.4. Secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio:
a) la proposta di aggiudicazione, atto prodromico al provvedimento di aggiudicazione, costituisce un atto endoprocedimentale privo di valore decisorio e che necessita conferma (Cons. Stato Sez. III, 11 maggio 2021, n. 3709; Sez. V, 31 luglio 2019, n. 5428);
b) la proposta di aggiudicazione, non costituendo un provvedimento “definitivo” (Cons. Stato Sez. V, 11 gennaio 2022, n. 200), non costituisce un provvedimento impugnabile (Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2022, n. 7; Cons. Stato Sez. V, 10 ottobre 2019, n. 6904).
6.5. La determinazione n. 302 del 20 ottobre 2021, impugnata unitamente agli altri atti del procedimento di gara, ha ad oggetto “l’approvazione dei verbali di gara e la proposta di aggiudicazione” e non costituisce dunque il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto.
6.6. Come correttamente rilevato dal T.a.r., il tenore testuale dell’atto (dove si dà atto di “approvare…ai sensi e per gli effetti dell’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, la proposta di aggiudicazione…”), i riferimenti normativi in esso citati (specialmente, il riferimento all’art. 33, comma 1, c.p.a.) e l’indicazione che seguiranno ulteriori fasi della procedura (“…l’aggiudicazione definitiva avverrà a seguito del completamento con esito favorevole delle verifiche previste dalla vigente normativa in materia”) depongono per questa qualificazione giuridica.
6.7. L’assunto di parte che sia la determinazione n. 302 del 20 ottobre 2021 che la comunicazione n. 40302 del 20 ottobre 2021 contengano alcuni elementi di ambiguità non induce il Collegio ad una diversa interpretazione, ancorché se ne terrà conto nel regolamento delle spese di lite nei confronti del Comune.
6.7.1. La circostanza che la determinazione impugnata faccia riferimento alla possibilità di impugnare l’atto innanzi alla giurisdizione amministrativa costituisce, in questo caso, un’indicazione errata e si riduce all’inserimento di una mera formula di stile che non muta la qualificazione giuridica dell’atto in cui essa inserita.
6.7.2. La circostanza, poi, che nella citata nota di trasmissione si parli di provvedimento di aggiudicazione e di “comunicazione [della] aggiudicazione ai sensi dell’art. 76, comma 5, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016” (e ciò potrebbe indurre a pensare che si tratti di un provvedimento di aggiudicazione definitivo) risulta “neutralizzato” dal dato che la suddetta comunicazione fa altresì riferimento, nel testo, all’approvazione dei verbali di gara e della proposta di aggiudicazione, e, soprattutto, dall’affermazione contenuta nell’ultimo periodo secondo cui “…a norma dell’articolo 32, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, […] l’aggiudicazione definitiva avverrà a seguito del completamento con esito favorevole delle verifiche previste dalla vigente normativa in materia”.
6.8. In definitiva, dunque, l’atto impugnato nel presente giudizio costituisce l’atto di controllo (di legittimità e di opportunità da parte dell’organo competente) – per l’appunto, “l’approvazione” – della “proposta di aggiudicazione”, strumentale all’emanazione del provvedimento di aggiudicazione. Esso non costituisce, per converso, il provvedimento che conclude il procedimento di gara, né fa assurgere a “provvedimento di aggiudicazione” la proposta approvata. Conseguentemente, in linea con i principi giurisprudenziali innanzi richiamati e con quelli di carattere generale del processo amministrativo, non trattandosi dell’atto conclusivo del procedimento non costituisce atto amministrativo autonomamente impugnabile.

Presupposti per il riconoscimento del danno da mancata aggiudicazione

Consiglio di Stato, sez. V, 27.09.2022 n. 8327

Secondo consolidata giurisprudenza, richiamata e ribadita dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 12 maggio 2017, n. 2, in relazione ai presupposti per il riconoscimento del danno da mancata aggiudicazione valgono i seguenti principi:
“a) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto;
b) nel caso di mancata aggiudicazione il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto). Non è dubitabile, invero, che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l’impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante), possa essere, comunque, fonte per l’impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti;
c) spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c.;
d) la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno;
e) le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta “percipiente”, che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l’accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti;
f) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della «inferenza necessaria»), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù della regola della «inferenza probabilistica»), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici;
g) va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo);
h) anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somma liquidata a titolo di lucro cessante;
i) il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum”.
Pertanto, in applicazione delle su indicate coordinate ermeneutiche, la ricorrente, ritenendosi danneggiata, avrebbe dovuto fornire una prova rigorosa dell’an e del quantum della pretesa risarcitoria, poiché, come bene ricordato dal primo giudice, nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza, non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento ex art. 64 c.p.a. e la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno (Consiglio di Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803).
Nel caso di specie, la ricorrente non ha in effetti assolto all’onere probatorio attraverso idonee allegazioni, limitandosi a chiedere al giudicante di accertare la sussistenza e di quantificare il danno che assume patito, peraltro senza indicare alcun dato specifico e concreto o alcun elemento di fatto sulla cui base possano individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno.

MEPA – Aggiudicazione – Comunicazione ai concorrenti – Sostituita dalla pubblicazione sulla piattaforma (art. 76 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Roma, 16.09.2022 n. 11888

2. Con riguardo alle gare gestite tramite il sistema di procurement MEF – Consip la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire come, a fronte dell’onere della p.a. di utilizzare la piattaforma telematica per tutte le comunicazioni relative alla procedura, sussiste in capo all’operatore economico l’onere di procedere all’accreditamento sul sistema, attraverso l’attivazione di un’utenza, con elezione di domicilio speciale presso la medesima piattaforma per la corrispondenza relativa alle gare di appalto, conformemente all’art. 3bis, comma 4quinquies, d.lgs. n. 82/2005, il quale consente di eleggere domicilio speciale ai sensi dell’art. 47 c.c. anche presso un domicilio digitale diverso dalla PEC.
“Dunque, l’impresa “accreditata” sulla piattaforma non può legittimamente invocare l’assenza di pubblicità né lamentare il mancato invito alla procedura negoziata, nella misura in cui l’invito e la documentazione di gara siano state oggetto di comunicazioni indirizzate al suddetto domicilio e siano ivi disponibili per il destinatario tenuto ad attivarsi al fine di una loro tempestiva conoscenza” (in termini Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 2019, n. 7764).
Le precedenti considerazioni si attagliano anche alla presente controversia, che riguarda una gara interamente gestita secondo modalità telematiche attraverso l’utilizzo della piattaforma MEPA.
La circostanza che tutte le comunicazioni relative alla gara dovessero transitare all’interno del MEPA si desume dal manuale d’uso sul MEPA, nella sezione relativa alle “comunicazioni”, che ribadisce che “Per garantire tracciabilità e affidabilità nello scambio d’informazioni tra la stazione appaltante e i concorrenti, tutte le comunicazioni transitano sul sistema” e aggiunge anche che sia i “Punti Ordinanti” (ossia, le stazioni appaltanti) sia le imprese, all’atto della “abilitazione” alla piattaforma telematica, dichiarano e sottoscrivono che “per la ricezione di ogni eventuale comunicazione e/o di richieste di chiarimento e/o integrazione della documentazione presentata, il Concorrente elegge domicilio presso l’Area comunicazioni del Sistema”.
“Dunque, risulta chiaro che, nel caso di procedure di gara gestite attraverso il MEPA, il canale ufficiale di comunicazione tra i concorrenti e la stazione appaltante è quello del sistema informatico di gestione della procedura. Ciò in applicazione di quelle regole di funzionamento, accettate dalle imprese offerenti, che disciplinano il MEPA e che rispondono alla necessità di garantire, attraverso la gestione unitaria della gara all’interno della piattaforma telematica, la speditezza, certezza e il buon andamento dell’azione amministrativa” (così, Tar Roma, (Lazio) sez. I, 2 novembre 2021, n. 11124).
[…]
“Dalla ricostruzione appena effettuata, tenendo presente sia il dato normativo proveniente dal CAD come pure le regole vigenti, giusta il Regolamento del Sistema di e-procurement, negozialmente vincolante tra le parti, non può dubitarsi della validità ed efficacia delle comunicazioni effettuate mediante il Sistema MEF-Consip nei confronti dei soggetti accreditati, stante la possibilità data dalla norma di rango primario di individuare un domicilio digitale ad hoc, valevole come domicilio speciale ex art. 47 cod. civi., e la regola pattizia in cui le parti si sono vincolate ad usare la stessa piattaforma MEF-Consip” (in tal senso, Cons. St., sez. VI, 12 novembre 2019, n.7764).
[…]
Sul punto occorre precisare, come si evince espressamente dal “Manuale d’uso del Sistema di e-Procurement per le Amministrazioni MePA – Procedura di acquisto tramite RDO aggiudicata al prezzo più basso”, che in tale sistema la procedura di aggiudicazione segue una modalità del tutto semplificata rispetto alle procedure ordinarie.
Qui, infatti, intervenuta l’aggiudicazione provvisoria attraverso la classifica generata automaticamente dal sistema, compare la dicitura accanto all’offerta migliore di “aggiudicatario provvisorio” (4.1. Aggiudicazione provvisoria, Manuale d’uso).
Il passaggio all’aggiudicazione definitiva avviene con l’apposizione della dicitura “aggiudicatario definitivo” sempre al margine della classifica, dopo che il punto ordinante abbia effettuato la verifica dei requisiti che può avvenire anche automaticamente attraverso il Sistema (4.2. Aggiudicazione definitiva, Manuale d’uso).
Ebbene, nel caso di specie, l’amministrazione già in data 3 agosto 2021 aveva comunicato alla ricorrente, in risposta all’istanza di accesso agli atti, che “i verbali di gara sono stati trasmessi e comunicati a mezzo MEPA e non ci sono stati altri verbali di sedute private”, con ciò chiarendo come la procedura fosse oramai conclusa.
A nulla rileva, a tal fine, la comunicazione, di valore meramente ricognitivo, inviata dall’amministrazione alla ricorrente in data 20 ottobre 2021, con la quale dava conto dell’intervenuta aggiudicazione definitiva a favore di -OMISSIS-.
Nell’ambito della procedura MEPA, giova ribadirlo, l’aggiudicazione definitiva segue un procedimento del tutto semplificato nel quale, da un lato, l’obbligo di comunicare l’aggiudicazione ai sensi dell’art. 76, comma 5, cod. app., è sostituito dalla pubblicazione delle relative informazioni direttamente sul sistema MEPA, come ampiamente sopra argomentato; dall’altro, la stessa aggiudicazione definitiva avviene più celermente in quanto l’amministrazione ha la possibilità di procedere alla verifica dei requisiti direttamente dal Sistema.
L’aggiudicazione definitiva, nel caso di specie, è dunque intervenuta, come affermato dall’amministrazione, in data 6 agosto 2021 allorquando già compariva la definizione di “aggiudicatario definitivo” nella schermata della classifica di gara.

Riferimenti normativi:

art. 76 d.lgs. n. 50/2016

Obbligo della Stazione Appaltante di comunicare la volontà di stipulare o meno il contratto dopo l’aggiudicazione

TAR Roma, 07.09.2022 n. 11610

Occorre premettere come la giurisprudenza abbia ormai da tempo affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa con riferimento allo spatium temporale che va dall’aggiudicazione della pubblica gara alla stipula del contratto (in tal senso, per tutte, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 391, secondo cui “nelle procedure connotate da concorsualità aventi ad oggetto la conclusione di contratti da parte della p.a. spetta al giudice amministrativo la cognizione dei comportamenti ed atti assunti prima dell’aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, tra tali atti essendo compreso anche quello di revoca della aggiudicazione stessa”).
L’aggiudicazione non determina, infatti, l’insorgenza di vincoli negoziali o, comunque, di obblighi civilistici alla conclusione del contratto, sicché la situazione soggettiva facente capo al privato deve qualificarsi d’interesse legittimo.
Ne consegue l’ammissibilità dell’azione avverso il silenzio, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a ., per contrastare l’inerzia serbata dall’amministrazione sulla richiesta di contrattualizzazione e, dunque, ottenere la declaratoria di un relativo obbligo di provvedere in capo alla stazione appaltante ( in tal senso, da ultimo, T.A.R. Lazio, Latina, Sezione I, n. 569/2021).
A ciò si aggiunga come l’obbligo giuridico di provvedere sulle istanze dei privati sia ad oggi riconosciuto non solo nei casi espressamente contemplati dalla legge, ma anche in ipotesi ulteriori nelle quali specifiche ragioni di giustizia ed equità impongano l’adozione di un provvedimento espresso oppure tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’amministrazione (per tutte, da ultimo, Consiglio di Stato, Sezione VI, 18 maggio 2020, n. 3120).
Ne consegue che, nel caso di specie, a fronte dell’intervenuta aggiudicazione della procedura in favore della società ricorrente, vi sia un obbligo giuridico della stazione appaltante di determinarsi, esprimendo e comunicando la definitiva la volontà di stipulare o meno il contratto in questione e, in caso affermativo, invitando la società alla sottoscrizione dello stesso.
L’obbligo giuridico di provvedere non ha, dunque, ad oggetto la conclusione del contratto – esito questo a cui l’amministrazione non è vincolata – bensì la determinazione, di natura prettamente autoritativa e come tale equiparabile ad un provvedimento, della volontà di addivenire o meno alla sua stipulazione.

Accesso agli atti di gara e posticipazione del termine per impugnazione dell’ aggiudicazione

Consiglio di Stato, sez. III, 15.03.2022 n. 1792

In tema di decorrenza del termine per impugnare l’aggiudicazione di una gara d’appalto, quanto affermato dall’Adunanza plenaria n. 12 del 2 luglio 2020 non comporta necessariamente che dal complessivo termine di 30 giorni + 15 giorni ivi individuato (giusta la dilazione del termine in caso di accesso ex art. 76, comma 2, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) debbano sottrarsi i giorni impiegati dall’impresa per formulare l’istanza di accesso. Tale tesi non pare del tutto compatibile con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale riconosciuto dal diritto nazionale (arti. 24 Cost.) ed europeo in materia di ricorsi relativi agli appalti pubblici, finendo col porre a carico del concorrente l’onere di proporre l’accesso non solo tempestivamente, come certo l’ordinaria diligenza, prima ancora che l’art. 120, comma 5, c.p.a., gli impone di fare, ma addirittura immediatamente, senza lasciargli nemmeno un minimo ragionevole spatium deliberandi per valutare la necessità o, comunque, l’opportunità dell’accesso al fine di impugnare (laddove la stessa amministrazione, ai sensi del ricordato art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, dispone di ben quindici giorni per consentire o meno l’accesso agli atti).

Sebbene il nuovo codice degli appalti del 2016, in tema di accesso agli atti di gara, non abbia riprodotto la previsione del previgente art. 79, comma 5-quater, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che assegnava al concorrente per proporre l’istanza di accesso dieci giorni a decorrere dalla ricezione delle comunicazioni di legge da parte della stazione appaltante, l’attuale disciplina deve ritenersi in continuità con quella precedente, non essendo da un lato consentito attraverso l’istanza di accesso differire ad libitum la decorrenza del termine di impugnazione, e per altro verso dovendo coniugarsi la finalità acceleratoria delle norme in tema di contenzioso sui contratti pubblici con l’esigenza di tutela del concorrente il quale abbia esercitato l’ordinaria diligenza nel chiedere l’accesso anche in relazione al termine assegnato all’amministrazione per provvedere.


Dal complessivo termine di 30 giorni + 15 giorni, individuato dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 12 del 2 luglio 2020 per la c.d. dilazione temporale in ipotesi di accesso, debbano essere sottratti i sei giorni che l’impresa concorrente ha impiegato per chiedere l’accesso agli atti significa porre a carico del concorrente l’onere di proporre l’accesso non solo tempestivamente, come certo l’ordinaria diligenza, prima ancora che l’art. 120, comma 5, c.p.a. gli impone di fare, ma addirittura immediatamente, senza lasciargli nemmeno un minimo ragionevole spatium deliberandi per valutare la necessità o, comunque, l’opportunità dell’accesso al fine di impugnare, mentre, va qui ricordato, la stessa amministrazione, ai sensi dell’art. 76, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016, dispone di ben quindici giorni per consentire o meno l’accesso agli atti, al di là dell’eventuale superamento di questo termine per condotte dilatorie od ostruzionistiche.
Sotto la vigenza del precedente codice dei contratti pubblici, il termine a disposizione del privato per esercitare il proprio diritto d’accesso era stato fissato espressamente dal legislatore in 10 giorni (cfr. art. 79, comma 5-quater, del d.lgs. n. 163 del 2006).
Vero è che tale disposizione non è stata riprodotta nell’attuale codice dei contratti pubblici, ma altrettanto vero è che la Corte costituzionale ha da ultimo evidenziato come un’interpretazione conforme al contesto logico-giuridico di riferimento conduca a ritenere che la dilazione temporale del termine per la proposizione del ricorso sia «correlata all’esercizio dell’accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall’art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici)» (Corte cost., 28 ottobre 2021, n. 204). Esiste dunque piena continuità tra i due regimi normativi e l’istanza di accesso presentata dall’odierna appellata risulta tempestiva avuto riguardo ad entrambi.
Una diversa interpretazione, che pretenda di applicare il meccanismo della c.d. “sottrazione dei giorni” anche ad un’istanza d’accesso presentata entro un termine contenuto e ragionevole (e, comunque, non superiore ai suddetti quindici giorni), potrebbe risultare non del tutto in sintonia con i principi di legittimo affidamento e di proporzionalità.
​​​​​​​La Sezione non ignora che, in seguito alla pronuncia dell’Adunanza plenaria, esista un orientamento più rigoroso in questa materia (v., ad esempio, Cons. St., sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127), secondo cui più tempestiva è l’istanza di accesso che il concorrente presenti una volta avuta conoscenza dell’aggiudicazione, maggiore sarà il tempo a sua disposizione per il ricorso giurisdizionale, mentre «quel che non può consentirsi è che il concorrente possa, rinviando nel tempo l’istanza di accesso agli atti di gara, posticipare a suo gradimento il termine ultimo per l’impugnazione dell’aggiudicazione» e, cioè, i 45 giorni decorrenti dalla conoscenza dell’aggiudicazione, ma nondimeno ritiene che debba essere permesso alla concorrente per poter chiedere l’accesso un congruo termine, eguale a quello assegnato all’amministrazione per consentirlo («immediatamente e comunque entro quindici giorni»: art. 76, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016), senza sottrarre questi pochi giorni (nel caso di specie appena sei), invero già esigui perché contraddistinti da rigide preclusioni decadenziali ispirate in questa materia ad una evidente ratio acceleratoria, dai 45 giorni indicati dall’Adunanza plenaria, in modo da non superare così nel rispetto della stessa ratio acceleratoria, complessivamente e a tutto concedere anche nell’ipotesi di richiesto (e ottenuto) accesso, il termine ordinario massimo di 30 giorni per impugnare gli atti di gara.

fonte: sito della Giustizia Amministrativa

Annullamento in autotutela dell’ aggiudicazione : legittima anche dopo la stipulazione del contratto (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Cagliari, 04.03.2022 n. 154

L’Amministrazione può agire in autotutela, rimuovendo d’ufficio un provvedimento di aggiudicazione definitivo ed efficace, anche dopo la stipula del contratto, ricorrendone i presupposti; così è legittimata ad esercitare i poteri codificati dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies L. n. 241/1990 anche nella fase antecedente, pienamente soggetta alle regole pubblicistiche.
L’art. 32, 8° comma, del Codice fa espressamente “salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalla legge” anche quando sia “divenuta efficace l’aggiudicazione”.
Come il Consiglio di Stato, Sez. III, 22.3.2017 n. 1310 ha affermato “Un simile potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa anzitutto da parte della stessa Amministrazione procedente, deve riconoscersi a questa anche dopo l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 26 giugno 2015, 3237), con conseguente inefficacia di quest’ultimo, e trova un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme della l. n. 124 del 2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa” .
L’ammissibilità dell’autoannullamento (sia ante che post aggiudicazione definitiva) rende irrilevante la problematica che è stata posta con il primo motivo di ricorso inerente l’asserita “acquisita efficacia” dell’aggiudicazione, a seguito del positivo riscontro dei requisiti generali e speciali (che la PA invece contesta, essendo le verifiche ancora in corso e non ultimate).
Il profilo concernente l’eventuale efficacia del provvedimento di aggiudicazione a -OMISSIS-, non implica che la decisione assunta sia insuscettibile di rivalutazione, in sede di riesame, prima della stipula del contratto, qualora emergano e siano riscontrate insufficienze/anomalie dell’offerta.
L’ammissibilità dell’esercizio del potere in autotutela, sussistendo i necessari presupposti e riscontri, va affermato, con possibile piena esplicazione (sia in ipotesi di aggiudicazione efficace che non).

Aggiudicazione – Termine di impugnazione – Decorre dal momento in cui la documentazione viene effettivamente messa a disposizione del concorrente – Ricorso al buio – Non necessario

TAR Napoli, 11.02.2022 n. 951

La giurisprudenza si è, ormai, attestata nel senso che il termine decorra dal momento in cui la documentazione su cui si basa il ricorso sia effettivamente messa a disposizione delle partecipanti alla gara. Rileva, quindi, la concreta possibilità di conoscenza degli atti senza che sia necessario proporre ricorsi “al buio” rispetto alla mera aggiudicazione prima di aver avuto piena contezza della documentazione di gara (v. C.d.S., Ad. Plen. n. 12/2020).
Tale conclusione non muta per la mera possibilità, concessa alla ricorrente, di partecipare alla seduta di gara “telematica” del 14.7.2021. Non è dimostrato, né è verosimile, che in quella occasione la società ricorrente avrebbe avuto la possibilità di esaminare gli atti relativi all’offerta delle altre concorrenti. L’ostensione di tale documentazione, infatti, poteva essere garantita all’esito di un procedimento che consentisse di valutare la posizione dei controinteressati in relazione all’esistenza di possibili profili di riservatezza (tecnica o commerciale, v. art. 53 co. 5 lett. a d.lgs. 50/2016) e non, quindi, nel corso della seduta – peraltro telematica – di gara del 14.7.2021.

Proposta di aggiudicazione, approvazione della proposta ed aggiudicazione – Differenza – Interesse all’ impugnazione (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)

TAR L’Aquila, 17.01.2022 n. 23

Il D.lgs. n. 50/2016, infatti, opera una chiara distinzione tra la “proposta di aggiudicazione”, “l’approvazione della proposta di aggiudicazione” e “l’aggiudicazione”.
La “proposta di aggiudicazione”, che è formulata dalla commissione giudicatrice composta da esperti nello specifico settore relativo all’oggetto del contratto d’appalto, è soggetta ad “approvazione” dell’organo competente secondo l’ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti (in mancanza di fissazione di detto termine lo stesso è individuato ope legis in trenta giorni) (art. 33, comma 1). L’”aggiudicazione”, invece, costituisce il provvedimento conclusivo della procedura di gara in forza del quale viene attribuito il bene della vita.
La “proposta di aggiudicazione” rappresenta un atto endoprocedimentale e, come tale, non è soggetto ad autonoma impugnazione (in tali termini, T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 5.6.2020, n. 212; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 23.6.2020, n. 240). L’art. 204 del nuovo Codice degli appalti difatti sancisce espressamente l’inammissibilità della impugnazione della “proposta di aggiudicazione” in quanto atto privo di lesività essendo destinato ad essere superato dall’”aggiudicazione”.
Parimenti non impugnabile è “l’approvazione della proposta di aggiudicazione” che si sostanzia in quell’attività di “verifica della proposta di aggiudicazione” prevista dall’art. 32, comma 5, del D.Lgs n. 50/2016, ovvero nell’attività di controllo sulla proposta di aggiudicazione rientrante nel più generale controllo degli atti della procedura attuato dalla stazione appaltante (che autonomamente individua l’organo compente, ovvero, in mancanza, il R.u.p.), disciplinata dall’art. 33, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016 (in tali termini, cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27 aprile 2020 n. 2655).
Solo all’esito della suddetta attività di verifica sulla “proposta di aggiudicazione”, la stazione appaltante provvede all’”aggiudicazione” che costituisce un’autonoma e distinta manifestazione di volontà della stazione appaltante.
Il provvedimento di “aggiudicazione”, che deve essere necessariamente espresso, segue, quindi, “l’approvazione della proposta di aggiudicazione”, che può intendersi perfezionata anche qualora la stazione appaltante non si sia pronunciata nei termini di legge, come prevede testualmente l’art. 33, comma 1, ultima parte del D.Lgs. n. 50/2016.
In definitiva, dopo “l’approvazione della proposta di aggiudicazione”, atto privo di carattere lesivo, che sia espressa o tacita, deve comunque necessariamente intervenire “l’aggiudicazione”.
Come di recente è stato puntualmente rimarcato in giurisprudenza, dal combinato disposto degli artt. 32, comma 5, e 33, comma 1, del D.Lgs. 50/2016 emerge con meridiana evidenza la distinzione formale, oltre che logica, dell’approvazione della proposta di aggiudicazione e del provvedimento definitivo di aggiudicazione: solo quest’ultimo concretizza e rende attuale l’interesse all’impugnazione (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I – sentenza 2 aprile 2021 n. 2247).

Esecuzione in via d’ urgenza – Rifiuto dell’ aggiudicatario – Revoca aggiudicazione – Legittimità (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 14.12.2021 n. 8321

Orbene, così come all’esito negativo della verifica del possesso dei requisiti ex art. 32, comma 7, del d.lgs. n. 50 del 2016, la stazione appaltante procede al ritiro del provvedimento di aggiudicazione nei confronti dell’aggiudicatario che ne sia risultato privo, parimenti l’inadempimento da parte dell’aggiudicatario dell’obbligo, previsto negli atti di gara, di procedere d’urgenza all’inizio dei lavori, su richiesta dell’amministrazione, nelle more della stipula del contratto, legittima la decadenza dall’aggiudicazione e la determinazione di incameramento della cauzione (cfr. Cons. Stato, V, 2 ottobre 2014, n. 4918).
Va perciò confermata la legittimità del provvedimento impugnato, fondato tra l’altro sulle note del RUP del 14 gennaio 2019 e del 6 febbraio 2019, che danno conto della “volontà dimostrata dall’impresa di voler procrastinare l’avvio delle lavorazioni […]” e della compromissione dell’interesse pubblico al “regolare svolgimento delle attività scolastiche”, a causa del “mancato rispetto del cronoprogramma previsto nei documenti di gara e … quello ridefinito in data 28/12/2018)”.

Revoca dell’aggiudicazione per ritardo nella stipulazione del contratto (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 03.06.2021 n. 4248

D’altro canto, “le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione” rilevano se anche singolarmente costituiscano un grave illecito professionale ovvero se siano sintomatiche di persistenti carenze professionali, come riconosciuto anche al punto 2.2.1.2 delle Linee guida ANAC n. 6 del 2016-2017, laddove il successivo punto 2.2.1.3 delle stesse linee-guida comprende nell’elencazione delle significative carenze rilevanti, tra le altre, il singolo inadempimento di una obbligazione contrattuale o l’adozione di comportamenti scorretti o il ritardo nell’adempimento.
Tali conclusioni sono coerenti con l’interpretazione pregiudiziale del giudice eurounitario (Corte giust. UE, IV, 19 giugno 2019, C-41/18, Meca s.r.l.), in base alla quale la valutazione sulla sussistenza di gravi illeciti professionali spetta in via esclusiva alla stazione appaltante, costituendo una scelta ampiamente discrezionale; da ciò consegue che il sindacato del giudice amministrativo sulle relative motivazioni non può che limitarsi al riscontro “esterno” della non manifesta abnormità, contraddittorietà o contrarietà a norme imperative di legge nella valutazione degli elementi di fatto.
In questi termini, invero, “il giudizio su gravi illeciti professionali è espressione di ampia discrezionalità da parte della P.A. cui il legislatore ha voluto riconoscere un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell’affidabilità dell’appaltatore; ne consegue che il sindacato che il Giudice amministrativo è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera “ non condivisibilità “ della valutazione stessa” (ex plurimis, Cons. Stato, IV, 8 ottobre 2020, n. 5867).
[…]
D’altronde, anche i lamentati ritardi nelle attività preliminari alla stipula del contratto di appalto su cui attualmente si verte potevano in linea di principio giustificare, da sé soli, la revoca dell’aggiudicazione (ex multis, Cons. Stato, V, 29 luglio 2019, n. 5354): “è legittimo il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione per notevoli ritardi nella produzione della documentazione di rito strumentale alla stipulazione del contratto”, così come “Il reiterato atteggiamento non cooperativo dell’aggiudicatario, obiettivamente idoneo a ritardare la stipula del contratto anche a fronte di servizi dichiaratamente connotati di urgenza”, in presenza di motivate ragioni di pubblico interesse.
Sono dunque persuasive le considerazioni rassegnate dall’amministrazione appellata, secondo cui la stazione appaltante avrebbe semplicemente operato un apprezzamento complessivo della condotta tenuta da -Omissis-, sia riguardo alla violazione degli obblighi preliminari alla stipulazione dei nuovi contratti, sia riguardo agli inadempimenti attuati nell’esecuzione dei contratti in corso, alla fine ritenendo tale condotta idonea ad incidere – in modo negativo – sull’affidabilità della aggiudicataria circa il corretto svolgimento delle prestazioni contrattuali.
[…]
D’altra parte è principio affermato – dal quale la Sezione non ritiene di discostarsi, nel caso di specie – quello per cui “la revoca fondata su comportamenti scorretti dell’Impresa che si sono manifestati successivamente all’aggiudicazione si connota per il fatto che l’Amministrazione non è tenuta in tali casi a soppesare l’affidamento maturato dal privato sul provvedimento a sé favorevole, proprio perché tale revoca trae origine dalla stessa condotta dell’aggiudicatario” (ex multis, Cons. Stato, V, 15 maggio 2019, n.3152).