Rimanendo sul piano astratto proprio delle osservazioni in rito, occorre rammentare che l’art. 24, co.7, della legge n. 241/1990, dedicato alle esclusioni dal diritto di accesso, nel disciplinare le eccezioni ai divieti di divulgazione di alcune categorie di documenti, menziona, oltre che le esigenze di difesa, anche quelle di cura dei propri interessi, idonee a ricomprendere, quindi, forme di tutela non necessariamente giurisdizionali o giustiziali, ma anche stragiudiziali. È stato, infatti, chiarito che l’accesso “difensivo” è “funzionale alla necessità dell’istante di «curare» (anche in sede pre- o stragiudiziale) o di «difendere» (in sede giudiziale) un bene-interesse giuridicamente rilevante oggetto della situazione giuridica soggettiva ‘finale’ asseritamente lesa” (Cons. Stato, Sez. VI, 8 febbraio 2021, n. 1154).
La più ampia nozione di “cura” accanto a quella di “difesa” adottata dal legislatore non consente, pertanto, di attribuire all’accesso difensivo una funzione esclusivamente servente e propedeutica all’instaurazione di un giudizio, con conseguente sopravvivenza dell’interesse all’accesso anche dopo lo spirare del termine per la proposizione del ricorso avverso l’aggiudicazione della gara.
È stato, più nel dettaglio, osservato che “deve escludersi che la sopravvenuta perdita dell’azione giurisdizionale a difesa di quest’ultima (per l’inutile decorso dei termini per il suo esercizio) implichi, quale conseguenza automatica, la consumazione dell’attualità dell’interesse all’ostensione dei documenti che rivelano l’illegittimità del provvedimento rimasto inoppugnato, a fronte di strumenti di protezione diversi ed ulteriori rispetto al ricorso giurisdizionale (quali, ad esempio, la formulazione di istanze di riesame, la sollecitazione dell’esercizio di poteri di autotutela, la presentazione di esposti, all’indirizzo delle autorità preposte al controllo della regolarità dell’azione amministrativa in questione, contenenti la denuncia di eventuali violazioni emerse dall’accesso, la formalizzazione di pretese risarcitorie…” (Cons. Stato, Sez. IV, 1 ottobre 2007, n. 5039).
7. Nel merito, il ricorso è, tuttavia, infondato.
La disciplina dell’accesso documentale agli atti delle procedure di affidamento dei contratti pubblici è contenuta nell’art. 53 del d.lgs. n. 50/2016, che, al comma 5, individua alcune deroghe al principio della generale accessibilità agli atti di gara, tra le quali, per quanto rileva in questa sede, quella di cui alla lettera a), che riguarda le “informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici e commerciali”, così offrendo una tutela rinforzata alle forme di proprietà industriale che le imprese mettono in gioco all’interno della procedura selettiva, ma onerando, contestualmente, gli operatori interessati di esporre le ragioni della speciale protezione richiesta per l’invocato segreto. Il comma 6, poi, similmente all’art. 24, co.7, della legge n. 241/1990, prevede “un’eccezione all’eccezione”, riconoscendo una riespansione della conoscibilità dei dati, anche contenenti segreti tecnici e commerciale, allorché l’accesso a tali dati sia necessario “ai fini della difesa in giudizio dei propri interessi in relazione alla procedura di affidamento del contratto”, così optando per una prevalenza del diritto di difesa dell’istante – stavolta, però, solo “in giudizio” – rispetto alla tutela del know-how delle altre imprese.
7.1. Mentre, infatti, la formulazione dell’art. 24, co.7, della legge n. 241/1990 consente, a fronte delle più miti esigenze di riservatezza delle persone giuridiche a tutela di un interesse industriale o commerciale, che il richiedente l’accesso possa opporre quello alla mera cura dei propri interessi, l’art. 53, co. 6, del d.lgs. n. 50/2016, nel caso in cui sussistano le più pregnanti necessità di tutela del “segreto”, “cioè di un quid pluris rispetto alla mera “riservatezza” della documentazione oggetto dell’accesso” (Cons. Stato, Sez. III, 26 ottobre 2018, n. 6083), esige una giustificazione maggiormente qualificata, cioè la strumentalità dell’accesso alla difesa in giudizio.
7.2. In tale ipotesi, quindi, è onere: dell’istante, indicare e dimostrare l’esistenza del descritto nesso di strumentalità tra le informazioni richieste e la loro proficua spendibilità in giudizio; delle imprese controinteressate, allegare e provare prevalenti esigenze di tutela del segreto.
La pubblica amministrazione che riceve l’istanza di accesso e l’opposizione dei controinteressati – ovvero, in caso di ricorso avverso le determinazioni assunte, il giudice amministrativo – deve verificare, pertanto, che i controinteressati abbiano (innanzitutto) allegato e, poi, provato fatti indicativi dei possibili pregiudizi arrecati ad uno dei beni immateriali di cui all’art. 98 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 98, dall’accoglimento dell’istanza di accesso, e che l’istante abbia, invece, quantomeno fornito un principio di prova circa l’utilità della documentazione alla difesa in giudizio dei propri interessi, “anche ricorrendo all’allegazione di elementi induttivi, ma testualmente espressi, univocamente connessi alla “conoscenza” necessaria alla linea difensiva e logicamente intellegibili in termini di consequenzialità rispetto alle deduzioni difensive potenzialmente esplicabili (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2013, nr. 1568)” (Cons. Stato, Sez. IV, 14 maggio 2014, n. 2472, e, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2023, n. 8382).
7.3. É possibile, tuttavia, che la particolare struttura del disciplinare di gara avalli inferenze di tipo presuntivo circa la presenza nelle offerte di segreti tecnici e commerciali che attenuano l’onere probatorio concretamente richiesto ai controinteressati.
Nelle fattispecie, infatti, in cui la griglia di valutazione predisposta dalla stazione appaltante ai fini dell’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa esalta, in termini di premialità, le abilità organizzative, gestionali e informatiche dei concorrenti, promuovendo un confronto sulla qualità dei progetti e l’originalità delle soluzioni proposte e richiedendo, quindi, agli operatori economici partecipanti un evidente sforzo inventivo e la correlata attività di investimento necessario a realizzarlo, la prova circa l’esistenza del segreto, almeno in quella parte dell’offerta tecnica in cui vengono illustrati gli aspetti più direttamente espressivi dell’identità dell’impresa, può ritenersi “alleggerita”, in quanto la partecipazione ad una procedura così impostata sollecita, inevitabilmente, in ogni partecipante la proposta di modelli rappresentativi del suo peculiare know-how. La motivazione a giustificazione della tutela del segreto tecnico e commerciale può essere, pertanto, tratta anche per relationem dalla consultazione dei documenti di gara, laddove i profili oggetto di scrutinio da parte della commissione giudicatrice identificano il tipo di informazioni aziendali che l’operatore economico rende visibili con la partecipazione alla competizione e, quindi, il livello di intrusione nei propri affari che subisce in caso di accesso.
Una lettura evolutiva della nozione di “segreto tecnico e commerciale” contenuta nell’art. 53, co.5, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016 (e, oggi, nell’art. 35, co.4, lett. a), del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) non può non tener conto, da un lato, del valore patrimoniale ormai riconosciuto alla contigua categoria dei “dati personali” in ambito consumeristico (vds. art. 135-octies, co.4, del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, introdotto dal d.lgs. 4 novembre 2021, n. 173, in attuazione della Direttiva (UE) 2019/770) e, dall’altro, del rafforzamento della tutela del know-how per effetto del d.lgs. 11 maggio 2018, n. 63, di attuazione della Direttiva (UE) 2016/943, che ha, tra l’altro, sia previsto la fattispecie colposa dell’illecita acquisizione o utilizzazione dei segreti industriali sia arricchito gli strumenti di tutela processuale del segreto mediante l’attribuzione al giudice del potere di inibirne la divulgazione ad ogni soggetto a vario titolo coinvolto nel giudizio (vds. i nuovi artt. 99 e 121-ter del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30). Una puntuale ricostruzione della nozione di know-how è stata compiuta dalla Corte di Cassazione, che lo ha definito come quel “patrimonio cognitivo e organizzativo necessario per la costruzione, l’esercizio, la manutenzione di un apparato industriale (Sez. 5, n. 25008 del 18/05/2001, Rv. 219471). Ci si riferisce, con tale espressione, a una tecnica, o una prassi o, oggi, prevalentemente, a una informazione, e, in via sintetica, all’intero patrimonio di conoscenze di un’impresa, frutto di esperienze e ricerca accumulatesi negli anni, e capace di assicurare all’impresa un vantaggio competitivo, e quindi un’aspettativa di un maggiore profitto economico. Si tratta di un patrimonio di conoscenze il cui valore economico è parametrato all’ammontare degli investimenti (spesso cospicui) richiesti per la sua acquisizione e al vantaggio concorrenziale che da esso deriva, in termini di minori costi futuri o maggiore appetibilità dei prodotti. Esso si traduce, in ultima analisi, nella capacità dell’impresa di restare sul mercato e far fronte alla concorrenza. L’informazione tutelata dalla norma in questione è, dunque, un’informazione dotata di un valore strategico per l’impresa, dalla cui tutela può dipendere la sopravvivenza stessa dell’impresa” (Cass. pen., Sez. V, 4 giugno 2020, n. 16975).
D’altra parte, nella trama del d.lgs. n. 50/2016, si rinvengono diverse disposizioni che chiamano la stazione appaltante a valutare “d’ufficio” i rischi per “i legittimi interessi commerciali” degli operatori economici o per la “leale concorrenza tra questi” connessi alla divulgazione di determinate informazioni (art. 76, co. 4, ma, nello stesso senso, vds. anche gli artt. 98, co.5, 153, co.2, nonché, nel vigente d.lgs. n. 36/2023, gli artt. 90, co.3, 111, co.5, 184, co.6), a dimostrazione della presenza, all’interno del sistema di tutela della riservatezza commerciale, di interessi che trascendono quelli, privati, del detentore, e assumono una connotazione pubblicistica, a garanzia della libertà di concorrenza.
7.4. Nella vicenda all’esame di questo Collegio, il ricorrente ha partecipato alla procedura per l’affidamento del servizio di contact center bandito dall’A.n.a.c., considerato “ad alta intensità di manodopera” e, quindi, aggiudicato con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. All’interno del Capitolato d’oneri allegato alla lettera d’invito, la stazione appaltante ha previsto l’attribuzione di un massimo di 70 punti all’offerta tecnica, sulla base di sub-criteri sia tabellari che discrezionali, questi ultimi previa valutazione di “una proposta tecnico-organizzativa”, contenuta in un’apposita “relazione tecnica” illustrativa, tra l’altro, del modello della struttura organizzativa, di gestione della forza lavoro, delle modalità di valutazione della customer satisfaction, di formazione del personale, di erogazione di servizi aggiuntivi e opzionali, di valutazione e controllo dei livelli e della qualità del servizio e delle soluzioni di sostenibilità ambientale.
Dal confronto tra la griglia di valutazione delle offerte tecniche contenuta nel capitolato d’oneri e lo schema di offerta tecnica che le imprese partecipanti erano chiamate a compilare, la conoscenza integrale delle informazioni riportate nei paragrafi A “organizzazione e modalità di erogazione dei servizi di governo”, C “formazione del personale”, D “organizzazione e modalità di erogazione dei servizi principali e opzionali” ed E “strumenti e funzionalità a supporto dell’erogazione dei servizi” appare idonea a rivelare, tramite una loro lettura “reticolare”, la precipua identità di un’impresa operante in quel settore e, quindi, quella “precisa configurazione e combinazione dei loro elementi” che consente di considerare “segrete” “le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali”, ai sensi dell’art. 98 del d.lgs. n. 30/2005, indipendentemente dalla natura “tabellare” o “discrezionale” della capacità professionale che il singolo dato esprime.
7.5. In un sistema definito “a doppia mandata” (Cons. Stato, Sez. V, 18 settembre 2023, n. 8382), in cui l’autorità (amministrativa o giudiziaria) investita dell’istanza di accesso deve contemporaneamente accertare l’interesse del richiedente e quello dell’opponente e stabilirne la rispettiva meritevolezza, l’indagine sulla posizione del primo si concentra, invece, sul grado di utilità che il “documento al quale è chiesto l’accesso” è in grado di portare a beneficio di “una situazione giuridicamente tutelata”, previo riscontro di un “collegamento” tra l’uno e l’altra (art. 22, co.1, lett. b), della legge n. 241/1990).
Nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, quando l’accesso interferisce con segreti tecnici o commerciali, cioè con beni dai quali dipende, come sopra ricordato, l’effettività della stessa libertà di iniziativa economica, riconosciuta dall’art. 41 della Costituzione, l’interesse del concorrente non aggiudicatario non ottiene una tutela assoluta e indiscriminata, ma subordinata all’esistenza di un rapporto di “stretta indispensabilità” tra l’accesso ai documenti contenenti segreti tecnici e commerciali e le sue esigenze difensive, nel senso che la mancata conoscenza dei primi deve paralizzare completamente le seconde.
Il Consiglio di Stato, nella sua più autorevole composizione, ha, infatti, affermato che “L’eccezione di cui alla lett. a) è posta a tutela della riservatezza aziendale, al fine di evitare che gli operatori economici in diretta concorrenza si servano dell’accesso per acquisire informazioni riservate sul know-how del concorrente, costituenti segreti tecnici e commerciali, e ottenere così un indebito vantaggio e ha una natura assoluta perché, nel bilanciamento tra gli opposti interessi, il legislatore ha privilegiato quello, prevalente, della riservatezza, a tutela di un leale gioco concorrenziale, delle caratteristiche essenziali dell’offerta quali beni essenziali per lo sviluppo e per la stessa competizione qualitativa, che sono prodotto patrimoniale della capacità ideativa o acquisitiva della singola impresa (Cons. St., sez. V, 7 gennaio 2020, n. 64), salva la necessità, per un altro concorrente, di difendersi in giudizio, unica eccezione all’eccezione ammessa (art. 53, comma 6, del d. lgs. n. 50 del 2016” (Cons. Stato, Ad. Pl., 2 aprile 2020, n. 10).
Laddove il richiedente non provi, anche in via indiziaria, che non è possibile difendere i propri interessi se non con la disponibilità delle informazioni riservate, il presupposto in questione non può dirsi integrato, in quanto il pregiudizio inferto alla segretezza del know-how risulterebbe ingiustificato.
Conseguentemente, la giurisprudenza esclude che generici riferimenti “a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive” siano sufficienti per entrare in possesso del know-how altrui (Cons. Stato, Sez. V, ord. 24 gennaio 2023, n. 787). In tal caso, infatti, esisterebbe un chiaro segnale della natura “esplorativa” dell’accesso, che l’ordinamento non ammette, se non nei limiti dell’accesso civico, di cui si dirà infra.
7.6. Nel caso di specie, il Consorzio ricorrente non ha fornito neanche un principio di prova circa la propedeuticità della parte di documentazione non conosciuta all’esercizio del proprio diritto di difesa.
Se, infatti, il decorso dei termini per la proposizione della domanda di annullamento non vale a privare il ricorrente della legittimazione ed all’interesse ad agire, in quanto, come si è detto, sono astrattamente ipotizzabili forme alternative di tutela dei propri interessi, è anche vero che la decadenza in cui è incorso ai fini della contestazione dell’aggiudicazione aggrava l’onere di dimostrare, in concreto, l’utilità dell’accesso integrale alle offerte tecniche delle concorrenti rispetto alla dichiarata intenzione di difendersi, indicando, almeno a grandi linee, l’ipotesi di illegittimità o di errore in cui ritiene che sia incappata la commissione giudicatrice, per aver, ad esempio, acquisito aliunde indizi circa l’incapacità di un’impresa classificatasi in posizione migliore in graduatoria ad onorare proposte commerciali più competitive della propria.
L’istanza di accesso, con la quale il ricorrente ha richiesto indistintamente la trasmissione di tutta la documentazione della gara (verbali, documentazione amministrativa, copia delle offerte tecniche ed economiche “comprensiva di eventuali allegati”, documentazione probatoria del possesso dei requisiti di partecipazione, relazioni giustificative dell’anomalia dell’offerta, chiarimenti resi in fase di soccorso istruttorio), appare effettivamente preordinata a quel “controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” che l’art. 24, co. 3, della legge n. 241/1990 intende sottrarre alle finalità legittimamente perseguibili con l’accesso documentale, in quanto intestato agli organi di controllo interno delle pubbliche amministrazioni, nonché al giudice contabile.
Non può ritenersi esaustivo dichiarare, nell’istanza, che “l’ostensione degli atti è certamente necessaria ed imprescindibile per la formulazione delle censure che si andranno a proporre nelle apposite sedi” ovvero esprimere, nel ricorso ex art. 116 c.p.a., l’intendimento di voler “contestare le modalità di attribuzione dei punteggi tecnici e dunque il complessivo operato della Commissione di gara”, in quanto si tratta di affermazioni che disvelano un uso improprio dell’accesso documentale. Tale strumento postula, infatti, richieste “mirate”, finalizzate a verificare la possibilità di un esito alternativo del procedimento evidenziale per effetto di una diversa valutazione delle offerte, che sia, però, suffragata pur sempre da “tracce” preesistenti rispetto alla domanda di accesso.
La genericità (e onnicomprensività) dell’istanza di accesso formulata recide, in conclusione, quel legame tra il documento e l’interesse che l’art. 22, co.1, lett. b), della legge n. 241/1990 eleva a condizione generale per l’esercizio del diritto di accesso, ancor di più al cospetto di segreti tecnici e commerciali.
7.7. Né convince la tesi che l’art. 36, co.2, del d.lgs. n. 36/2023, comunque non applicabile alla vicenda in esame, abbia rimosso ogni ostacolo alla conoscenza integrale delle reciproche offerte da parte delle imprese che occupano i primi cinque posti in graduatoria. La norma in questione si inserisce, infatti, all’interno di una più articolata disposizione che detta le regole procedimentali (e processuali) dell’istituto delineato dal nuovo codice dei contratti pubblici, imponendone una lettura sistematica, che armonizzi l’indubbia semplificazione procedimentale determinata dall’utilizzo delle piattaforme telematiche di negoziazione con un’invariata tutela dei segreti tecnici e commerciali, alla quale sono dedicati i successivi commi. L’accoglimento delle eventuali “richieste di oscuramento di parti delle offerte” produce, evidentemente, effetti nei confronti di tutti i concorrenti e, quindi, anche per i primi cinque in graduatoria, ancorché ciascuno di essi goda di un canale più veloce per l’accesso alla documentazione degli altri quattro, ma pur sempre “al netto” dei segreti tecnici e commerciali.
A ben vedere, il medesimo art. 36 richiamato dal ricorrente, all’ultimo comma, prevedendo che il dies a quo per impugnare l’aggiudicazione decorre “comunque” dalla comunicazione di cui all’art. 90, offre anche argomenti per un ridimensionamento dell’interesse all’accesso una volta che siano spirati i termini per contestare in giudizio l’aggiudicazione, così superando definitivamente la tesi, fatta propria dal ricorrente nella memoria di replica, che “la consumazione del termine decadenziale di impugnazione e il consolidamento degli atti di gestione della gara potrebbero non verificarsi laddove risulti pendente un’istanza di accesso tempestivamente presentata e concretamente idonea a determinare una dilazione temporale, la quale si verifica nel caso in cui i motivi di ricorso conseguano effettivamente alla conoscenza dei documenti richiesti”.
Non appaiono, pertanto, condivisibili interpretazioni atomistiche dei singoli commi, che restituiscono solo una visione parziale dell’istituto, dotato di una fisionomia ben più complessa.