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Calcolo del valore stimato e del canone della concessione

Consiglio di Stato, sez. V, 24.08.2023 n. 7927

14. L’art. 167 del d.lgs. n. 50 del 2016 rubricato ‘metodi di calcolo del valore stimato delle concessioni’, che ha recepito la direttiva 2014/23/UE stabilisce al comma 1 che ‘il valore di una concessione, ai fini di cui all’articolo 35, è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi’, aggiungendo, al comma 2, che ‘il valore stimato è calcolato al momento dell’invio del bando di concessione o, nei casi in cui non sia previsto un bando, al momento in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore avvia la procedura di aggiudicazione della concessione’ e, al comma 4, che ‘il valore stimato della concessione è calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione’ (Cons. Stato n. 2017 del 2411). Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la norma, ancorando la stima al fatturato conseguibile dal concessionario, impone di determinare la remunerazione reale dell’investimento. Infatti, il valore della concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, quale corrispettivo dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali servizi.
Orbene, la giurisprudenza ha, in più occasioni, chiarito che il valore della concessione non può essere ancorato unicamente al parametro del canone di concessione (Cons. Stato n. 2411 del 2017), e ciò soprattutto rispetto alla concessione di cd. opere fredde, quale quella oggetto di causa, caratterizzate dal fatto che il concessionario non è destinato a ricevere i pagamenti dagli utenti finali del servizio, sicchè emerge all’evidenza che quella del fatturato si inquadra come “una stima prospettica, che richiede l’attualizzazione di ogni ricavo futuro ritraibile dalla gestione del servizio per tutta la durata dell’affidamento”, atteso che ‘va parametrata al fatturato complessivo che si prevede possa derivare dalla fornitura dei servizi a favore della massa degli utenti’ (Cons. Stato, n. 4343 del 2016).
In sostanza, stante il carattere prospettico della stima del fatturato, quest’ultimo avrebbe dovuto comprendere sia i valori presenti che i valori futuri attualizzati al momento dell’indizione della gara.
Come precisato dal T.A.R. nella sentenza impugnata: “nel caso di specie il valore indicato dal bando, pari a euro 2.858.580,00 derivante dalla moltiplicazione per venti anni di un canone fisso, non rispecchia i reali introiti conseguibili dal concessionario, i quali comprendono, in base a quanto indicato nel piano economico finanziario allegato alla proposta di project financing, anche gli incrementi di canone plausibilmente discendenti dall’aumento dei prezzi dell’energia e dell’inflazione. Proprio considerando tali ulteriori valori, infatti, il piano economico finanziario illustra una proiezione complessiva del fatturato pari a complessivi euro 3.299.732,00”.
Si deve ragionevolmente concludere che l’errata determinazione del valore della concessione non ha consentito di formulare un’offerta corretta, completa, consapevole e ponderata, sicchè ha rappresentato una ragione idonea a sorreggere le decisioni adottate con le Delibere impugnate di ritirare i precedenti provvedimenti con cui la proposta di -OMISSIS- è stata valutata rispondente all’interesse pubblico e inserita nel piano triennale delle opere pubbliche (Delibera del C.C. n. 40 del 2020 e della G.C. n. 179 del 2020).
Né può assumere rilievo l’obiezione illustrata dalla società ricorrente circa il fatto che il valore della concessione era conoscibile ab initio, atteso che, come si è detto, stante il chiaro tenore letterale dell’art. 21 quinquies l. 241 del 1990, la revoca è un atto sempre ammissibile in ipotesi, come quella di specie, di rivalutazione dell’interesse pubblico originario (ius poenitendi).
Quanto alle critiche riferite alla asserita confusione dell’Amministrazione nella utilizzazione di un provvedimento di annullamento piuttosto che di revoca, va ribadito quanto puntualmente e condivisibilmente precisato dal T.A.R., secondo cui ‘a prescindere dalla locuzione formale utilizzata (‘annullare e revocare’), le delibere in questione costituiscono, quantomeno con riferimento all’aspetto relativo al valore della concessione, espressione del potere di revoca in autotutela ex art. 21 quinquies l.241/1990. La proposta di parternariato pubblico privato è stata infatti ritirata non tanto per profili d’illegittimità, quanto perché dimostratasi, alla luce dell’errata valutazione dei costi per l’amministrazione, non rispondente all’interesse del comune’, laddove invece l’aggiudicazione della concessione è stata annullata ex art. 21 nonies l. 241 del 1990.
Né può essere predicata alcuna contraddittorietà tra gli atti autotutela, con riferimento alla Determinazione dirigenziale n. 130 del 2022, qualificata come atto di annullamento, e le Delibere del Consiglio comunale n. 28 del 2022 e della Giunta n. 93 del 2022, come annullamento e revoca, atteso che uno stesso elemento fattuale può contemporaneamente rappresentare motivo di illegittimità del provvedimento o ragione di inopportunità dello stesso.
Tale ‘ratio decidendi’ va sostenuta anche con riferimento all’ulteriore argomentazione illustrata nella sentenza impugnata dal Collegio di primo grado, il quale ha evidenziato come non è ‘neppure inconcepibile accorpare in un medesimo provvedimento l’esercizio del potere di annullamento e di revoca, purchè ciascuna delle due determinazioni sia incentrata, rispettivamente, sull’illegittimità e sulla rivalutazione del merito delle scelte iniziali”. Né può essere certamente considerato irragionevole e contraddittorio il comportamento dell’Amministrazione che abbia ritenuto una medesima valutazione discrezionale contestualmente fondamento dell’esercizio del proprio potere, senza precisare se tale potere sia espressione di ‘annullamento o revoca’ delle proprie precedenti determinazioni.

Affidamento gestione noleggio monopattini elettrici sharing – Applicazione Codice contratti pubblici – Verifica

Consiglio di Stato, sez. V, 02.05.2023 n. 4368

Alla luce della normativa di settore (cfr. art. 1, comma 75 bis, legge 160/2019) la gestione del noleggio di monopattini in modalità free floating è attività contingentata in regime di libero mercato soggetta ad atti autorizzatori amministrativi.
In attuazione della normativa di settore, l’Amministrazione, con apposita deliberazione della Giunta Comunale, ha dunque attivato la procedura di natura comparativa volta a individuare i soggetti autorizzati a svolgere – sulla base di una S.C.I.A. – un’attività economica privata nuova, non oggetto di assunzione da parte della medesima Amministrazione, onde regolamentarne lo svolgimento in regime di libero mercato nell’interesse della collettività, prevedendo, tra l’altro, il numero delle licenze attivabili e il numero massimo dei dispositivi ammessi a circolare sul territorio comunale.
2.4. Pertanto, correttamente il T.a.r. ha escluso che la procedura in esame sia qualificabile come concessione o come appalto di servizi, ritenendola estranea all’ambito di applicazione del decreto legislativo n. 50 del 2016.
2.5. Il ricorso all’evidenza pubblica deriva, infatti, dal numero limitato di monopattini introducibili nel territorio comunale e, quindi, dalla natura ristretta del mercato di riferimento ai sensi dell’art. 1, comma 75 bis e ss., della legge n. 160 del 2019.
2.5.1. A tale riguardo la giurisprudenza, in una analoga procedura comparativa di raccolta delle manifestazioni di interesse per il servizio di monopattino elettrico sharing sul territorio comunale indetta dall’Amministrazione conformemente ai principi generali di matrice euro-unitaria in materia di servizi nel mercato interno, all’esito della quale gli operatori selezionati avrebbero ottenuto l’autorizzazione all’esercizio dei servizi di noleggio, ha chiarito che “nel caso in cui – per il contingentamento del numero di titoli disponibili – il rilascio delle autorizzazioni avvenga all’esito di una procedura comparativa tra gli interessati, non oggetto di specifica disciplina normativa, le regole proprie di un ordinario procedimento di autorizzazione devono essere declinate in rigoroso rispetto dei criteri di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità cui ogni procedura selettiva deve conformarsi per dirsi conforme ai principi costituzionali dell’azione amministrativa (così come accade, ad esempio, per le procedure dirette a selezionare i concessionari di finanziamenti pubblici, sulle quali cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 gennaio 2021, n. 208; V, 29 gennaio 2020, n. 727).” (Consiglio di Stato, Sez. V,15 marzo 2022, n. 1811).
Pertanto, alla luce delle sopra esposte considerazioni, deve concludersi che la sentenza appellata ha correttamente qualificato la fattispecie ricostruendone la normativa di riferimento che la disciplina, ritenendo, altrettanto correttamente, applicabile alla procedura in questione le sole disposizioni del Codice dei contratti pubblici espressive di principi generali e aventi portata applicativa generalizzata.
2.6. La sentenza merita conferma anche laddove ha escluso che il Comune si sia in generale autovincolato all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, in assenza di una espressa previsione negli atti della procedura, ciò non potendo inferirsi dal mero richiamo, ivi contenuto, a sue specifiche disposizioni.
Su queste premesse, la sentenza correttamente ha concluso che il Comune, laddove ha inteso applicare una disposizione del d.lgs. n. 50 del 2016, lo ha fatto con una prescrizione specifica, come ad esempio per i requisiti di ordine generale dove viene fatto espresso rinvio all’art. 80 del Codice.
2.7. I rilievi dell’appellante non scalfiscono tali condivisibili conclusioni: il Comune non ha infatti manifestato la volontà di sottoporre la procedura in esame alla generalità delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici, che, al di fuori del suo ambito applicativo, non è estensibile in via analogica a tutte le procedure evidenziali, fatta salva, come detto, l’applicazione delle norme che costituiscano espressione di principi generali che hanno, difatti, portata applicativa generalizzata.
2.8. Il Comune era, dunque, tenuto soltanto ad applicare alla procedura selettiva in esame i principi generali (di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità) e, conseguentemente, le disposizioni del Codice dei contratti pubblici espressive di tali principi, mentre non era obbligato all’integrale applicazione delle singole prescrizioni di cui al decreto legislativo 50 del 2016, non avendo neanche manifestato alcuna volontà in tal senso nella lex specialis.
2.9. Per le stesse ragioni, è corretta la sentenza appellata nella parte in cui, muovendo dalla portata applicativa ben circoscritta delle previsioni del d.lgs. n. 50 del 2016, ha escluso che alla generalità delle sue disposizioni possa essere attribuita forza espansiva tale da estenderne l’applicazione, in via analogica, a tutte le procedure evidenziali.

Concessione – Valore – Non corrisponde al canone concessorio (art. 167 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Reggio Calabria, 20.04.2023 n. 344

Il Comune ha ritenuto, invero, di poter disporre l’affidamento diretto della concessione dei servizi portuali ai sensi dell’art. 36, comma 2 lett. a) del D.lgs. n. 50/2016 nel presupposto che il servizio da affidare (fosse) di importo superiore a 5.000,00 euro e inferiore a 40.000,00.
L’importo del servizio risulta quantificato, infatti, in € 37.000,00, corrispondente al canone concessorio da versare per l’intera durata dell’affidamento (12 mesi).
Deve, tuttavia, osservarsi, che il valore della concessione non può essere ancorato ad un parametro – quello del canone di concessione – non rispondente alla previsione normativa recata dall’art. 167 del D.L.vo n. 50/2016, rubricato “metodi di calcolo del valore stimato delle concessioni”, che ha recepito la direttiva 2014/23/UE e il quale stabilisce al comma 1 che “il valore di una concessione, ai fini di cui all’articolo 35, è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi”, aggiungendo, al comma 2, che “il valore stimato è calcolato al momento dell’invio del bando di concessione o, nei casi in cui non sia previsto un bando, al momento in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore avvia la procedura di aggiudicazione della concessione” e, al comma 4, che “il valore stimato della concessione è calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione” (Consiglio di Stato, sez III, sentenza n. 2411 del 23 maggio 2017).
La previsione è vincolante e costituisce recepimento, nell’ordinamento italiano, dell’art. 8 della direttiva n. 2014/23/UE, senza alcuna statuizione (ed in questo è una significativa differenza con la direttiva comunitaria) di soglie minime di applicabilità o di una qualche esenzione per le concessioni di minore valore economico. Non sono quindi fondate le argomentazioni delle resistenti tendenti ad escludere l’applicabilità della previsione alle concessioni di minore valore: queste non trovano corrispondenza nel testo normativo che prevede la necessità dell’adempimento con riferimento a tutte le concessioni, indipendentemente dalla natura della prestazione o dal loro valore (cfr. T.A.R. Firenze, sez. II, sentenza n. 239 del 14 febbraio 2017).
L’esatta determinazione del valore dell’affidamento assume, invero, rilievo sotto molteplici aspetti: è essenziale per poter fornire una corretta informazione agli operatori economici potenzialmente interessati a prestare il servizio, serve ad individuare con esattezza la forma di pubblicità idonea, è necessaria per determinare l’entità delle cauzioni e del contributo dovuto all’Autorità (Consiglio di Stato sez. III, sentenza n. 4343 del 18 ottobre 2016).
Serve, inoltre, ad individuare la corretta procedura da espletare.
L’art. 35 del D.lgs. n. 50/2016 (cui l’art. 167 espressamente rinvia laddove stabilisce i criteri per la determinazione del valore della concessione “ai fini di cui all’art. 35”) prevede, infatti, al comma 6, che “la scelta del metodo per il calcolo del valore stimato di un appalto o concessione non può essere fatta con l’intenzione di escluderlo dall’ambito di applicazione delle disposizioni del presente codice relative alle soglie europee”.
L’importanza dell’esatta determinazione del valore dell’affidamento assume, pertanto, una ancor più significativa rilevanza in un caso, come quello in esame, in cui tale valore abbia costituito il presupposto della scelta di disporre un affidamento diretto ai sensi dell’art. 36 comma 2, lett. a) del D.lgs. n. 50/2016.

Concessione – Esclusione del gestore uscente per debiti accumulati nella precedente gestione – Legittimità

TAR Milano, 02.03.2023 n. 538

A giudizio della parte ricorrente, il punto 5.5 dell’Avviso esplorativo pubblicato dal Conservatorio di Milano, nella parte in cui consente la partecipazione alla gara soltanto a coloro che dimostrino “di non avere debiti o morosità e neppure liti pendenti nei confronti di Amministrazioni Pubbliche a qualsiasi titolo o comunque di provvedere a sanare la propria posizione debitoria entro il termine di scadenza del bando”, risulterebbe nullo per violazione dell’art. 83, comma 8, del D. Lgs. n. 50 del 2016, rientrando tale prescrizione nella categoria dei requisiti di ordine generale non previsti dalla legge e la cui introduzione in sede di lex specialis non risulterebbe ammessa.
Tale conclusione non è condivisa dal Collegio che – re melius perpensa rispetto alla decisione assunta in fase cautelare – ritiene di aderire all’orientamento del Giudice d’appello, secondo il quale «il principio di tassatività delle cause di esclusione si applica unicamente alle procedure di gara disciplinate dal Codice dei contratti pubblici in via diretta ovvero per autovincolo dell’amministrazione procedente (Cons. Stato, V, 9 giugno 2015, n. 2839);
– allo stato, il vigente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 50/2016 stabilisce all’art. 164 comma 2 che “Alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, del presente codice, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione”;
– la norma di attuale riferimento della questione individua dunque la normativa applicabile alle procedure di aggiudicazione delle concessioni tramite un rinvio per “temi” e non per articoli, e postula altresì l’espressione di un giudizio di compatibilità della relativa disciplina con l’oggetto di regolazione tramite rinvio» (Consiglio di Stato, V, 17 maggio 2022, n. 3861).
Di conseguenza non è possibile applicare, de plano, alle concessioni di beni pubblici o di servizi l’art. 83, comma 8, considerato che si è al cospetto di una figura peculiare attraverso la quale si determina «l’assunzione in capo all’affidatario del rischio operativo legato alla sua gestione [art. 3 comma 1 lettera zz) e art. 165 comma 1 Codice contratti; Cons. Stato, III, 3 agosto 2020, n. 4910; 18 giugno 2020, n. 3905; VI, ordinanza 6 dicembre 2019, n. 6073; V, 28 marzo 2019, n. 2065; III, 11 gennaio 2018, n. 127; VI, 16 luglio 2015, n. 3571; 14 ottobre 2014, n. 5065], nell’ambito dell’equilibrio economico finanziario proprio dell’istituto [art. 3 comma 1 lett. fff) e art. 165 comma 2 Codice contratti].
Agli espressi fini del raggiungimento di tale equilibrio, l’art. 165 comma 2 del Codice contratti prevede, tra altro, che l’amministrazione aggiudicatrice possa stabilire in sede di gara “un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili. Il contributo, se funzionale al mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario, può essere riconosciuto mediante diritti di godimento su beni immobili nella disponibilità dell’amministrazione aggiudicatrice la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all’opera affidata in concessione”.
Indi, accanto all’affidamento del servizio, l’amministrazione può concedere l’utilizzo dei beni necessari all’esercizio dell’attività, così integrando anche una concessione di bene pubblico (C.G.A.R.S., 24 marzo 2021, n. 247).
A sua volta, l’art. 172 comma 1 del Codice contratti, nel disporre in linea generale le regole di selezione e valutazione qualitativa degli aspiranti concessionari, prevede che le stazioni appaltanti verifichino le condizioni di partecipazione anche sotto il profilo della loro “capacità finanziaria ed economica” e ciò “sulla base di certificazioni, autocertificazioni o attestati che devono essere presentati come prova”.
Si tratta di una potestà non illimitata: l’art. 172 comma 1, con una disposizione non dissimile a quella dettata dal precedente art. 83 comma 2 per i contratti di appalto, stabilisce che “Le condizioni di partecipazione sono correlate e proporzionali alla necessità di garantire la capacità del concessionario di eseguire la concessione, tenendo conto dell’oggetto della concessione e dell’obiettivo di assicurare la concorrenza effettiva”» (Consiglio di Stato, V, 17 maggio 2022, n. 3861).
Tenuto conto che la prescrizione di cui al punto 5.5 dell’Avviso pubblico è inserita nell’ambito di una lex specialis che non si è vincolata in linea generale all’applicazione delle norme del Codice dei contratti pubblici, e avendo la Stazione appaltante ritenuto di procedere alla verifica dell’affidabilità dei partecipanti alla gara non solo da un punto di vista formale, ma anche sostanziale, attraverso un accertamento della capacità finanziaria ed economica dei partecipanti alla procedura, ne risulta un diretto collegamento con l’oggetto dell’affidamento, costituito dalla cessione (anche) di un bene pubblico, a fronte del pagamento di un canone predeterminato. Ciò risulta coerente con la previsione di cui all’art. 172, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, secondo la quale è assolutamente proporzionato pertinente all’oggetto della concessione procedere a una verifica delle capacità dell’operatore economico di gestire la predetta concessione, unitamente alla sua affidabilità e integrità.
Ne risulta l’inapplicabilità del disposto di cui all’art. 83, comma 8, del D. Lgs. n. 50 del 2016 alla procedura de qua.
Pertanto, legittimamente l’Ente resistente ha introdotto la clausola di cui punto 5.5 dell’Avviso esplorativo di manifestazione di interesse, cui poi ha fatto seguito, quale atto dovuto, l’esclusione della ricorrente dalla procedura, in ragione della morosità accumulata da quest’ultima nel corso del pregresso rapporto concessorio (relativo al periodo 2015-2021).

Piano economico finanziario PEF – Valutazione sulla sostenibilità – Insindacabilità (art. 165 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 30.01.2023 n. 1042

8.2. L’esame deve prendere le mosse dalla funzione che assume il piano economico finanziario nelle concessioni di lavori e di servizi. Secondo la definizione legale contenuta nell’art. 3, comma 1, lettere uu) [concessione di lavori] e vv) [concessione di servizi], del Codice dei contratti pubblici, formulata in piena coerenza con il diritto unionale, la concessione è un contratto a titolo oneroso che ha per oggetto l’affidamento, da parte della stazione appaltante, della esecuzione di lavori o della fornitura e gestione di servizi in cui il concessionario ricava il corrispettivo ad esso spettante per l’esecuzione del contratto esercitando il diritto a gestire le opere o i servizi e a trattenere i ricavi della gestione, assumendosi i rischi connessi a tale gestione (e principalmente, nella concessione di servizi in cui la parte relativa ai servizi è prevalente rispetto ai lavori, il rischio derivante dalla domanda del servizio). La concessione, sia di lavori pubblici che di servizi, si caratterizza pertanto per un dato: la remunerazione degli investimenti compiuti dall’operatore economico privato e delle prestazioni rese nell’esecuzione della concessione è costituita dal diritto di gestire funzionalmente ed economicamente il servizio (o i servizi) erogati attraverso le opere pubbliche realizzate. Il che significa, come d’altronde emerge agevolmente dalla lettura sia delle definizioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. cit. [si vedano anche le lettere zz), aaa), bbb) e ccc), nelle quali è scolpita la definizione delle diverse tipologie di rischi trasferiti in capo al concessionario], che dell’art. 165 del Codice dei contratti pubblici, che i servizi in questione debbono avere una chiara natura imprenditoriale, nel senso che si rivolgono ad un mercato composto da una pluralità di utenti che ne domandano le prestazioni. Il rischio assunto dal concessionario si valuta proprio intorno alla aleatorietà della domanda di prestazioni poiché l’errore di valutazione del livello di domanda attendibile evidentemente condiziona la remuneratività dell’investimento e misura la validità imprenditoriale dell’iniziativa economica. Si tratta, come noto, di una tipologia di rischio imprenditoriale diversa da quella riscontrabile nel contratto di appalto (di lavori, servizi o forniture), proprio perché entra in giuoco un elemento imponderabile (cioè la domanda di prestazioni per quel servizio pubblico, non determinabile a priori); elemento che nell’appalto non compare.
8.4. In questo quadro, il piano economico finanziario ha la funzione di garantire l’equilibrio economico e finanziario dell’iniziativa (ossia la «contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria») attraverso la «corretta allocazione dei rischi» (art. 165, comma 2, cit.; corretta allocazione che può eventualmente essere temperata da un intervento finanziario posto a carico dell’amministrazione concedente), lungo tutto l’arco temporale della gestione. Se la concessione si qualifica per il trasferimento del rischio operativo dal concedente al concessionario, il PEF è lo strumento mediante il quale si attua la concreta distribuzione del rischio tra le parti del rapporto, la cui adeguatezza e sostenibilità deve essere valutata dall’amministrazione concedente alla luce delle discipline tecniche ed economiche applicabili e sulla base delle eventuali prescrizioni che la stessa amministrazione ha dettato con la lex specialis della procedura per la selezione del concessionario.
Controllo che non si svolge secondo gli schemi propri del giudizio di anomalia dell’offerta nelle procedure d’appalto, il cui oggetto è comunque circoscritto sia per la (di regola) limitata durata nel tempo dell’affidamento, sia per l’assenza di uno specifico rischio operativo e della domanda in capo all’appaltatore. L’assunzione del rischio imprenditoriale da parte del concessionario, i limiti entro i quali tale assunzione è ammissibile e non compromette il proficuo svolgimento dell’attività affidata al terzo [la convenienza economica e la sostenibilità finanziaria: art. 3, comma 1, lett. fff)], è l’oggetto delle valutazioni riservate all’amministrazione concedente.
8.5. La ricostruzione delineata riprende gli orientamenti più recenti (cfr. Cons. Stato, V, 4 febbraio 2022, n. 795, ed ivi ulteriori precedenti conformi) che sottolineano come la funzione del PEF sia quella di dimostrare la concreta capacità dell’operatore economico di eseguire correttamente le prestazioni per l’intero arco temporale prescelto, attraverso la prospettazione di un equilibrio economico e finanziario di investimenti e connessa gestione che consenta all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione (v. anche Cons. Stato, V, 26 settembre 2013, n.4760). In altri termini il PEF è un documento che giustifica la sostenibilità dell’offerta, quale dimostrazione che l’impresa è in condizione di trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività (Cons. Stato, V, 10 febbraio 2010, n. 653).
8.6. Ciò premesso, deve essere ulteriormente ribadito che le valutazioni circa la sostenibilità del PEF e dell’offerta rientrano in un ambito di valutazione tecnica riservato all’amministrazione concedente, tendenzialmente insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza.

Concessione : carattere orientativo del valore stimato del fatturato (art. 167 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 01.12.2022 n. 10567

8.1. E’ utile premettere che:
– in materia di concessione di servizi il rischio imprenditoriale di cui il concessionario è portatore discende non solo dal flusso di accesso degli utenti al servizio e dalle variazioni di mercato, ma anche da scelte dell’imprenditore in merito all’organizzazione dei propri mezzi e delle modalità di offerta del servizio, in quanto capaci di orientare la domanda e di condizionare, almeno in una certa misura, i fattori esogeni sopra indicati; pertanto, la previa stima approssimativa del fatturato compiuta dalla stazione appaltante non è neanche astrattamente idonea a neutralizzare tale area imprenditoriale (in tal senso, Cons. Stato, III, n. 2926/2017);
– se nella lex specialis deve essere indicato il volume dei ricavi che il servizio può generare, al fine di orientare gli operatori economici sulla dimensione economica del servizio da dare in affidamento, l’operatore economico resta però libero, assumendosi il rischio imprenditoriale, di organizzare i propri mezzi e l’offerta, per massimizzare il guadagno derivante dalla concessione; di conseguenza, colui che partecipa a una gara per una concessione di servizi può formulare un’offerta ipotizzando che la gestione del servizio gli consenta di realizzazione ricavi maggiori rispetto a quelli stimati dall’amministrazione concedente e da questa indicati nella legge di gara, assumendosi però il rischio delle proprie valutazioni (in tal senso, T.A.R. Calabria, I, n. 1600/2017);
– tali orientamenti, espressi nella vigenza dell’art. 29 del d.lgs. 163/1996, restano validi anche alla luce dell’art. 167 del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 50/2016 e s.m.i..

Compensazione prezzi materiali: applicabile solo agli appalti pubblici non alle concessioni

La compensazione dei prezzi dei materiali da costruzione, introdotta dal cosiddetto “Decreto sostegni bis”, è applicabile soltanto agli appalti pubblici in corso di esecuzione, e non alle concessioni, come affermato da ANAC nel Parere funzione consultiva n. 51 del 12 ottobre 2022.
Il “Decreto sostegni bis” ha introdotto un meccanismo di compensazione a favore delle imprese appaltatrici delle opere pubbliche, riconosciuta per variazioni percentuali dei prezzi dei materiali da costruzione superiori all’8% verificatesi nel 2021 e rilevate dal MiMIM. Tale meccanismo, però, fa riferimento ai contratti in corso, con l’obiettivo di mitigare l’eccezionale aumento dei prezzi di alcuni materiali da costruzione verificatosi nel corso del 2021.
L’ANAC precisa che tale Decreto non ha reintrodotto l’istituto della revisione dei prezzi bensì una sorta di indennizzo che il Legislatore ha voluto riconoscere all’appaltatore. Tale indennizzo è applicabile solo agli appalti pubblici, e non alle concessioni come si evince anche da una Circolare del MIMS del 25 novembre 2021 che detta indicazioni esclusivamente con riferimento all’appaltatore ed all’appalto pubblico, e non alle concessioni. Una considerazione che troverebbe conferma anche nel cosiddetto “Decreto Ucraina” n. 21/2022, che ha esteso l’indennizzo previsto per gli appalti pubblici ai contraenti generali, senza includere espressamente i concessionari.
Peraltro, rileva ANAC, l’istituto della compensazione non è coerente con le caratteristiche del rapporto concessorio: nella concessione, infatti, il concessionario assume i rischi inerenti le attività di costruzione e quelli connessi alla messa a disposizione dell’opera in fase di gestione. Pertanto il concessionario contribuisce con capitale proprio al finanziamento dell’opera e sopporta il rischio operativo derivante dallo sfruttamento economico dell’opera. I rischi dell’operazione e anche della realizzazione delle opere restano in capo al concessionario medesimo.

fonte: sito ANAC

Appalto di servizi e concessione di servizi : inquadramento giuridico (art. 3 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Napoli, 15.06.2022 n. 4059

La risoluzione della controversia discende dall’inquadramento giuridico del rapporto in contestazione che, per le ragioni di seguito illustrate, va qualificato come concessione di servizi devoluta alla giurisdizione esclusiva di questo giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) del c.p.a. (“controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”).
Al riguardo, giova rammentare che il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione da parte del concessionario del c.d. “rischio operativo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2426/2021): mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sul primo, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione. In altri termini, l’appalto di servizi comporta un corrispettivo che, senza essere l’unico, è versato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre nella concessione di servizi il corrispettivo della prestazione di servizi consiste nel diritto di gestire il servizio, o da solo o accompagnato da un prezzo, e la concessionaria non è direttamente retribuita dalla amministrazione aggiudicatrice ma ha il diritto di riscuotere la remunerazione presso terzi.
Tale indirizzo è, peraltro, coerente con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. Unite, n. 9965/2017), secondo cui la qualificazione di un’operazione come concessione di servizi o come appalto pubblico di servizi va svolta esclusivamente alla luce del diritto dell’Unione Europea. Ebbene, ai fini del diritto dell’Unione, un appalto pubblico di servizi comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi mentre, al contrario, è ravvisabile concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del concessionario di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio, traendo la propria remunerazione dai proventi ricavati dagli utenti, di modo che sul concessionario gravi il rischio legato alla gestione del servizio (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 10 novembre 2011, causa C-348/10; 10 marzo 2011, causa C-274/09; 18 luglio 2007, causa C-382/05; 20 ottobre 2005, causa C-264/03; 18 gennaio 2007, causa C-220/05).
La nozione unionale di concessione di pubblico servizio è stata chiaramente recepita dalle norme di settore che si sono succedute:
– dapprima il D.Lgs. n. 163/2006, art. 3, comma 12, che ha attuato le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, ha stabilito che la “concessione di servizi” è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo;
– in seguito, la lettera vv) del D.Lgs. n. 50/2016, art. 3, di attuazione delle direttive n. 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE, ha definito “concessione di servizi” il “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale uno o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera II) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”.
Nella concessione di servizi è centrale, quindi, l’elemento del “rischio operativo” che sussiste qualora l’aggiudicatario rinvenga il proprio profitto direttamente nei pagamenti ai quali sono tenuti gli utenti dei servizi. Tale nozione si rinviene nella definizione di concessione fornita dall’art. 5 della successiva direttiva n. 2014/23/UE, in cui si legge del rischio “legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o entrambi”, configurabile allorché, “in condizioni normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”.
Analoga definizione è contenuta nell’art. 3, lett. zz) del D.Lgs. n. 50/2016, laddove per “rischio operativo” si intende “Il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico. Si considera che l’operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, per tali intendendosi l’insussistenza di eventi non prevedibili non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita all’operatore economico deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dall’operatore economico non sia puramente nominale o trascurabile”.
Anche la giurisprudenza amministrativa si è adeguata a questa distinzione, rimarcando (tra varie, Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2624/2014) che, quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui si può affermare che è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi; tanto, che è giunta a ritenere (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 13/2013) che la concessione di servizi presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione, appunto, del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi e di sfruttare economicamente il servizio o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

Il principio di rotazione si estende anche alle concessioni ?

L’art. 36, comma 2, lett. b), del d.lgs n. 50/2016 prevede che debba essere rispettato il principio di rotazione degli inviti, in caso di “affidamento diretto [inferiore alle soglie di cui all’articolo 35] previa valutazione …, per i servizi e le forniture, di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici”.
Il richiamato principio comporta, di norma, il divieto di invitare a procedure negoziate dirette all’assegnazione di un appalto il contraente uscente nonché l’operatore economico invitato e non risultato affidatario nella precedente procedura , salvo che la stazione appaltante fornisca adeguata, puntuale e rigorosa motivazione delle ragioni che hanno indotto a derogarvi (facendo, in particolare, riferimento, al numero eventualmente circoscritto e non adeguato di operatori presenti sul mercato; al particolare e difficilmente replicabile grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero al peculiare oggetto ed alle specifiche caratteristiche del mercato di riferimento).
La sua ratio è quella di evitare che il gestore uscente, forte della conoscenza della strutturazione del servizio da espletare acquisita nella precedente gestione, possa agevolmente prevalere sugli altri operatori economici (cfr. Cons. St., V, 17.03.2021, n. 2292), quindi di garantire alle imprese concorrenti una posizione paritaria.
Come affermato dalla giurisprudenza (cfr.: Tar Abruzzo, Pescara, 5.9.2020, n. 251; Tar Toscana, I, 2.1.2018, n. 17), il principio di rotazione si estende anche alle concessioni, in virtù di quanto stabilito dall’art. 164, comma 2, del d.lgs n. 50/2016, secondo cui: “Alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, del presente codice, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione”.
D’altra parte, essendo le stesse, per appalti e concessioni, le modalità e le procedure di affidamento, va da sé che, in caso di procedura negoziata, si applichi detto principio, rimanendo valida la ratio.
Va ricordato, infine, che il principio di rotazione è ritenuto inapplicabile nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione dei partecipanti attraverso inviti (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 04.02.2020, n. 875; Consiglio di Stato, sez. V, 05.11.2019 n. 7539). (in tal senso, TAR Bari, 06.05.2022 n. 618).

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    Requisiti del concessionario in caso di concessione mista : combinazione dei regimi giuridici

    Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2021 n. 7414

    L’art. 28, Contratti misti di appalto, comma 1, ultimo periodo, del d.lgs. 50/2016 (“L’operatore economico che concorre alla procedura di affidamento di un contratto misto deve possedere i requisiti di qualificazione e capacità prescritti dal presente codice per ciascuna prestazione di lavori, servizi, forniture prevista dal contratto”) è chiaro nell’escludere che nell’ambito di una procedura avente a oggetto una concessione mista la stazione appaltante possa prescindere dalla verifica del possesso in capo agli aspiranti dei requisiti di qualificazione e capacità per ciascuna delle tipologie di affidamento di cui l’appalto si compone.
    Il Consiglio di Stato ha anche di recente ribadito, in relazione a un analogo affidamento, che l’art. 28, comma 1, ultimo periodo, del Codice, come già ritenuto dalla pregressa giurisprudenza, si avvale del criterio della “combinazione dei regimi giuridici” in deroga a quello della “prevalenza” utilizzato nello stesso comma 1 per individuare la disciplina generale del contratto misto. E si tratta di una giurisprudenza di sicuro interesse, in quanto testimonia la peculiare valenza che l’art. 28 assume nel sistema degli affidamenti pubblici.
    In particolare, si è osservato (V, 13 luglio 2020, n. 4501) che:
    a) la norma in parola riproduce la previsione a suo tempo dettata dall’art. 15 dell’abrogato Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, già interpretata da dottrina e giurisprudenza nel senso di attribuire alla qualificazione obbligatoria per ciascuna delle prestazioni oggetto dell’appalto il ruolo di vero e proprio requisito di partecipazione alla procedura di affidamento, a differenza di quanto previsto dal previgente art. 8, comma 11-septies della l. 11 febbraio 1994, n. 109, che assegnava invece alla qualificazione obbligatoria il diverso ruolo di requisito necessario ai fini dell’esecuzione dei lavori (e che, più in generale, limitava l’applicazione delle disposizioni in materia di qualificazione all’ipotesi in cui i lavori rappresentassero la prestazione economicamente prevalente e non avessero carattere meramente accessorio rispetto all’oggetto principale del contratto misto: Cons. Stato, V, 30 maggio 2007, n. 2765);
    b) la giurisprudenza, facendo applicazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 163 del 2006, ha ritenuto legittima una prescrizione di lex specialis che imponeva ai concorrenti di allegare la loro pregressa esperienza per ciascuna delle prestazioni (servizi e lavori) comprese nel contratto, a prescindere dalla prevalenza dell’una o dell’altra (Cons. Stato, V, 28 febbraio 2012, n. 1153);
    c) la mancanza di cenni espliciti, nella legge di gara, al possesso dei requisiti di qualificazione relativi alla componente relativa ai lavori di un contratto misto è supplita dal meccanismo della inserzione automatica di clausole, analogamente a quanto previsto in ambito civilistico dagli artt. 1339 e 1374 Cod. civ., cosicché neppure viene in considerazione l’esercizio del potere di soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante (Cons. Stato, III, 18 luglio 2017, n. 3541);
    d) analogo approccio è stato mantenuto al riguardo dell’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, che – ai fini della partecipazione alla gara, e non solo dell’esecuzione dell’appalto – impone ai concorrenti il possesso dei requisiti di qualificazione e capacità relativamente a ogni singola prestazione costituente l’appalto misto (Cons. Stato, III, 7 agosto 2017, n. 3918);
    e) pertanto, i concorrenti devono allegare e comprovare la loro pregressa esperienza e il possesso dei requisiti di idoneità professionale, di capacità economica e finanziaria e di capacita tecniche e professionali per ciascuna delle prestazioni (servizi e lavori) comprese nel contratto, a prescindere dalla prevalenza dell’una o dell’altra (Cons. Stato, V, 26 febbraio 2012, n. 1153);
    f) diversamente opinando, l’intera procedura di gara sarebbe illegittima per non aver previsto i necessari requisiti di qualificazione per selezionare gli operatori economici idonei all’esecuzione di opere pubbliche.
    Le conclusioni sopra raggiunte sono coerenti con l’impostazione delle norme eurounitarie cui si conformano le disposizioni nazionali, che, in disparte la specifica fonte sulla cui base l’amministrazione provvede alla loro individuazione (art. 95, comma 1, d.P.R. 207/2010; art. 83, comma 1, lett. c), d.lgs. 50/2016), impongono al concorrente, già all’atto di partecipazione alla gara, la dimostrazione delle capacità necessarie a eseguire “tutte” le prestazioni dedotte in contratto, capacità le quali devono essere possedute in proprio, o assicurate mediante il ricorso all’ATI con un soggetto che a sua volta le possiede, ovvero ancora all’avvalimento, istituti da tempo previsti e regolati nell’ordinamento settoriale proprio ai fini pro-concorrenziali considerati dal primo giudice.

    Concessione – Business plan – Ragionevolezza – Verifica necessaria (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. III, 11.10.2021 n. 6820

    Le appellanti muovono, in particolare, dalla considerazione che il concessionario assume il rischio della gestione economica del medesimo servizio, e di conseguenza, egli non può che essere ritenuto libero di formulare l’offerta sulla base della propria previsione di ricavi. Laddove tale previsione dovesse rivelarsi infondata, il concessionario subisce le conseguenze economiche dell’errore, ma ciò sarebbe l’effetto, nella tesi degli appellanti, del trasferimento al privato del rischio di gestione dei servizi.
    9. Il Collegio non nega che la tesi abbia qualche elemento di fondamento. Tuttavia essa si scontra con un dato lasciato sullo sfondo dall’impostazione difensiva, tutt’altro che irrilevante ad avviso del Collegio per la composizione della controversia: l’inserimento del contratto di concessione in una fattispecie di evidenza pubblica in cui le parti offrono servizi e impegni, e sulla base di questi sono comparativamente vagliati dalla commissione aggiudicatrice. La verifica di non anomalia non ha infatti avuto a oggetto la ponderazione del rischio del concessionario connesso alla dinamica della domanda nel tempo, quanto, piuttosto, la verosimiglianza e sostenibilità degli impegni che l’offerente ha dichiarato di voler assumere nei confronti dell’amministrazione e per il quale è stato preferito al controinteressato.
    9.1. Ciò che è venuto in rilievo, in altri termini, è la ragionevolezza delle assunzioni del business plan circa l’entità della domanda aggiunta generata dalla nuova iniziativa del concessionario. Trattasi di una valutazione necessaria e non ultronea. Se mancasse una verifica siffatta, e lo scenario della domanda fosse considerato una variabile irrilevante per il sol fatto di ricadere nella sfera del concessionario, si legittimerebbero offerte del tutto scollate dai principi della sana gestione, foriere di inadempimenti e disservizi, ineluttabilmente collegati all’esigenza del concessionario di recuperare margini operativi non fisiologicamente connessi all’intrapresa nella sua primigenia descrizione cartolare e contrattuale.

    [rif. art. 97 d.lgs. n. 50/2016]

    Le deroghe del Decreto Semplificazioni si applicano per l’ affidamento di concessioni sotto soglia ?

    Parere MIMS n. 862 del 25.02.2021 

    Codice identificativo: 862
    Data ricezione: 25/02/2021

    Argomento: Concessioni

    Oggetto: CONCESSIONE DI SERVIZIO – PROCEDURA SOTTO SOGLIA

    Quesito:
    Nel procinto di affidare a terzi una concessione di servizio di gestione dei parcheggi a pagamento, appurato che in base al piano finanziario redatto, il valore della concessione è al di sotto della soglia di cui all’art. 35 comma 1 lettera a) del Codice, ci si chiede se sia possibile attivare la gara per l’affidamento della concessione ai sensi del Decreto semplificazioni (D.L. 76/2020 convertito in Legge 120/2020) e precisamente avviare una procedura negoziata con invito a 5 soggetti, preceduta dall’emissione di UN AVVISO PUBBLICO di ricerca di manifestazioni di interesse a partecipare ai sensi dell’art. 1 comma 2 lettera b) del DL 76/2020. In altre parole: considerare la concessione sotto soglia, quindi andare all’art. 36 comma 2 del Codice e poi andare all’art. 1 comma 2 del DL semplificazioni il quale DEROGA all’art. 36 comma 2 del Codice. Tutto questo sarebbe comunque retto dall’art. 164 comma 1 del Codice sulle concessioni.

    Risposta:
    L’art. 36 del Codice e le deroghe introdotte dal c.d. “decreto semplificazioni” trovano applicazione anche per le procedure relative all’affidameto delle concessioni.

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      Proroga concessioni demaniali marittime : rimessione Adunanza Plenaria Consiglio di Stato

      All’Adunanza plenaria le proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico -ricreative

      Dec. Pres. C.S. 24 maggio 2021, n. 160

      Devono essere rimesso all’Adunanza plenaria le questioni relative a:
      1) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali (art. 1, comma 683, l. n. 145 del 2018) o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative; in particolare, se, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussista, o no, l’obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea e se detto obbligo, qualora sussistente, si estenda a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in genere e i soggetti ad essi equiparati, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l’attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all’accertamento dell’efficacia della fonte sia riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spetti anche agli organi di amministrazione attiva;
      2) nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l’amministrazione dello Stato membro sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell’Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell’art. 21-octies, l. n. 241 del 1990 e s.m.i., nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento sia intervenuto un giudicato favorevole costituisca ostacolo all’annullamento d’ufficio;
      3) se, con riferimento alla moratoria introdotta dall’art. 182, comma 2, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, qualora la predetta moratoria non risulti inapplicabile per contrasto col diritto dell’Unione europea, debbano intendersi quali “aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” anche le aree soggette a concessione scaduta al momento dell’entrata in vigore della moratoria, ma il cui termine rientri nel disposto dell’art. 1, commi 682 e seguenti, l. 30 dicembre 2018, n. 145.

      Il Presidente del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione relativa alla esercitando il potere previsto dall’art. 99, comma 2, c.p.a., secondo cui “prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d’ufficio, può deferire all’adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali”.
      Ha affermato il Presidente che la questione, di notevole impatto sistemico, afferisce al rapporto tra il diritto nazionale e il diritto unionale, con specifico riguardo al potere di disapplicazione delle norme interne, ritenute contrastanti con quelle sovranazionali, da parte del giudice amministrativo.
      La questione riveste, quindi, una particolare rilevanza economico-sociale che rende opportuna una pronuncia della Adunanza plenaria, onde assicurare certezza e uniformità di applicazione del diritto da parte delle amministrazioni interessate nonché uniformità di orientamenti giurisprudenziali.
      Essendo detta questione relativa alla doverosità, o no, della disapplicazione, da parte dello Stato in tutte le sue articolazioni, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative configura “una questione di massima di particolare importanza”, ai sensi del comma 2 dell’art. 99 c.p.a.. ​​​​​​​

      fonte: sito della Giustizia Amministrativa

      Concessione di servizio, appalto di servizi e rischio della domanda

      In primo luogo, in termini generali il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi proprio per l’assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda.
      Invero, mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sull’appaltante, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione.
      E’, dunque, insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al concessionario, anzi costituisca il rischio principale assunto dal concessionario.
      Del resto, anche nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006, costante giurisprudenza aveva evidenziato che nelle concessioni di servizi vige il principio dell’ordinaria invariabilità del canone, con conseguente inapplicabilità dell’istituto della revisione dei prezzi, proprio invece degli appalti (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 22.03.2021 n. 2426; cfr. id., sez. V, 27.03.2013 n. 1755).

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        Concessione demaniale marittima – Rilascio – Procedura di selezione – Necessità

        Consiglio di Stato, sez. VI, 09.03.2021 n. 2002

        Rilevato che la Sezione ha già avuto modo di affermare in epoca recentissima (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2021 n. 1436) e con riferimento ad una vicenda sovrapponibile a quella qui oggetto di ricorso per ottemperanza, che correttamente l’amministrazione, in sede di esecuzione del giudicato, deve tenere conto del quadro normativo nel quale si inserisce la riedizione del potere occasionata dalla necessità di eseguire il giudicato di un giudice (amministrativo), chiarendo nello specifico, proprio con riguardo al diniego di rilascio di una concessione demaniale marittima (per uso turistico ricreativo) nonostante la presenza di un giudicato che aveva annullato un precedente provvedimento di rilascio invitando l’amministrazione a svolgere l’attività istruttoria della quale era carente la precedente procedura, che:
        – il nuovo contesto è connotato dalla presa in considerazione dell’efficacia del quadro giuridico unionale, ricavabile, a sostegno della tesi del comune, dalla nota sentenza Corte UE Promoimpresa del 14 luglio 2016 come un quadro giuridico che impone la procedura selettiva, ove il comune decida di esternalizzare la gestione degli arenili a fini turistico-ricreativi per la scarsità della risorsa predetta;
        – non può operare per questa parte, dunque, la retroattività dell’esecuzione del giudicato, la quale va intesa in senso non assoluto, ma ragionevolmente commisurato alle circostanze del caso concreto ed alla natura dell’interesse legittimo coinvolto (nella specie, pretensivo), poiché l’obbligo de quo non incide sui tratti liberi dell’azione amministrativa non coinvolti dallo stesso giudicato e, in primo luogo, sui poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi rispetto a quest’ultimo (cfr, per tutte, Cons. Stato, Ad. pl., 9 giugno 2016 n. 11), avendo la sentenza imposto sì la riedizione del potere, ma senza specificarne il quomodo rispetto all’assegnazione con o senza gara;
        – conseguentemente non v’è elusione del giudicato nel caso in cui l’atto di diniego è stato motivato – nella riedizione del potere – con riferimento a quei principi unionali che impongono la gara;

        Ribadito dunque che:
        – per un verso la sentenza n. 4013/2018, per quel che emerge in modo chiaro dalla lettura della motivazione, per i tratti qui essenziali sopra riportata, ha tracciato il corretto percorso procedurale prodromico al rilascio della concessione demaniale marittima con riferimento alle attività preliminari e istruttorie che il Comune di -Omissis- avrebbe dovuto porre in essere prima di procedere a “qualsiasi tipo” di rilascio, nulla specificando circa le corrette modalità attraverso le quali il rilascio avrebbe dovuto avvenire, se in forma diretta ovvero previa selezione, non costituendo tale profilo oggetto della controversia definita con la sentenza della quale qui si chiede l’esecuzione;
        – sotto altro versante l’ente competente al rilascio della concessione demaniale marittima ad uso turistico ricreativo, in ragione della normativa disciplinante il settore, non può procedere in via diretta al rilascio stesso ma solo all’esito di una selezione tra gli aspiranti concessionari se non previa selezione (cfr, ex multis, Corte giust. UE 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14, Promoimpresa S.r.l. e C-67/15, Mario Melis e altri nonché Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2021 n. 1416, Sez. VI, 17 luglio 2020 n.4610, 18 novembre 2019 n. 7874 e 6 giugno 2018 n. 3412);