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Calcolo del valore stimato e del canone della concessione

Consiglio di Stato, sez. V, 24.08.2023 n. 7927

14. L’art. 167 del d.lgs. n. 50 del 2016 rubricato ‘metodi di calcolo del valore stimato delle concessioni’, che ha recepito la direttiva 2014/23/UE stabilisce al comma 1 che ‘il valore di una concessione, ai fini di cui all’articolo 35, è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi’, aggiungendo, al comma 2, che ‘il valore stimato è calcolato al momento dell’invio del bando di concessione o, nei casi in cui non sia previsto un bando, al momento in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore avvia la procedura di aggiudicazione della concessione’ e, al comma 4, che ‘il valore stimato della concessione è calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione’ (Cons. Stato n. 2017 del 2411). Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, la norma, ancorando la stima al fatturato conseguibile dal concessionario, impone di determinare la remunerazione reale dell’investimento. Infatti, il valore della concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, quale corrispettivo dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali servizi.
Orbene, la giurisprudenza ha, in più occasioni, chiarito che il valore della concessione non può essere ancorato unicamente al parametro del canone di concessione (Cons. Stato n. 2411 del 2017), e ciò soprattutto rispetto alla concessione di cd. opere fredde, quale quella oggetto di causa, caratterizzate dal fatto che il concessionario non è destinato a ricevere i pagamenti dagli utenti finali del servizio, sicchè emerge all’evidenza che quella del fatturato si inquadra come “una stima prospettica, che richiede l’attualizzazione di ogni ricavo futuro ritraibile dalla gestione del servizio per tutta la durata dell’affidamento”, atteso che ‘va parametrata al fatturato complessivo che si prevede possa derivare dalla fornitura dei servizi a favore della massa degli utenti’ (Cons. Stato, n. 4343 del 2016).
In sostanza, stante il carattere prospettico della stima del fatturato, quest’ultimo avrebbe dovuto comprendere sia i valori presenti che i valori futuri attualizzati al momento dell’indizione della gara.
Come precisato dal T.A.R. nella sentenza impugnata: “nel caso di specie il valore indicato dal bando, pari a euro 2.858.580,00 derivante dalla moltiplicazione per venti anni di un canone fisso, non rispecchia i reali introiti conseguibili dal concessionario, i quali comprendono, in base a quanto indicato nel piano economico finanziario allegato alla proposta di project financing, anche gli incrementi di canone plausibilmente discendenti dall’aumento dei prezzi dell’energia e dell’inflazione. Proprio considerando tali ulteriori valori, infatti, il piano economico finanziario illustra una proiezione complessiva del fatturato pari a complessivi euro 3.299.732,00”.
Si deve ragionevolmente concludere che l’errata determinazione del valore della concessione non ha consentito di formulare un’offerta corretta, completa, consapevole e ponderata, sicchè ha rappresentato una ragione idonea a sorreggere le decisioni adottate con le Delibere impugnate di ritirare i precedenti provvedimenti con cui la proposta di -OMISSIS- è stata valutata rispondente all’interesse pubblico e inserita nel piano triennale delle opere pubbliche (Delibera del C.C. n. 40 del 2020 e della G.C. n. 179 del 2020).
Né può assumere rilievo l’obiezione illustrata dalla società ricorrente circa il fatto che il valore della concessione era conoscibile ab initio, atteso che, come si è detto, stante il chiaro tenore letterale dell’art. 21 quinquies l. 241 del 1990, la revoca è un atto sempre ammissibile in ipotesi, come quella di specie, di rivalutazione dell’interesse pubblico originario (ius poenitendi).
Quanto alle critiche riferite alla asserita confusione dell’Amministrazione nella utilizzazione di un provvedimento di annullamento piuttosto che di revoca, va ribadito quanto puntualmente e condivisibilmente precisato dal T.A.R., secondo cui ‘a prescindere dalla locuzione formale utilizzata (‘annullare e revocare’), le delibere in questione costituiscono, quantomeno con riferimento all’aspetto relativo al valore della concessione, espressione del potere di revoca in autotutela ex art. 21 quinquies l.241/1990. La proposta di parternariato pubblico privato è stata infatti ritirata non tanto per profili d’illegittimità, quanto perché dimostratasi, alla luce dell’errata valutazione dei costi per l’amministrazione, non rispondente all’interesse del comune’, laddove invece l’aggiudicazione della concessione è stata annullata ex art. 21 nonies l. 241 del 1990.
Né può essere predicata alcuna contraddittorietà tra gli atti autotutela, con riferimento alla Determinazione dirigenziale n. 130 del 2022, qualificata come atto di annullamento, e le Delibere del Consiglio comunale n. 28 del 2022 e della Giunta n. 93 del 2022, come annullamento e revoca, atteso che uno stesso elemento fattuale può contemporaneamente rappresentare motivo di illegittimità del provvedimento o ragione di inopportunità dello stesso.
Tale ‘ratio decidendi’ va sostenuta anche con riferimento all’ulteriore argomentazione illustrata nella sentenza impugnata dal Collegio di primo grado, il quale ha evidenziato come non è ‘neppure inconcepibile accorpare in un medesimo provvedimento l’esercizio del potere di annullamento e di revoca, purchè ciascuna delle due determinazioni sia incentrata, rispettivamente, sull’illegittimità e sulla rivalutazione del merito delle scelte iniziali”. Né può essere certamente considerato irragionevole e contraddittorio il comportamento dell’Amministrazione che abbia ritenuto una medesima valutazione discrezionale contestualmente fondamento dell’esercizio del proprio potere, senza precisare se tale potere sia espressione di ‘annullamento o revoca’ delle proprie precedenti determinazioni.

Concessione – Valore stimato – Fatturato presunto – Mancanza – Conseguenze (art. 167 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Brescia, 09.06.2017 n. 278

Il dato preteso dalla ricorrente (fatturato storico) non era in possesso della stazione appaltante, avendo l’attuale gestore del servizio rifiutato di renderlo noto.
Le predette modalità di determinazione del prezzo a base d’asta, pur conducendo a un ammontare per apparecchio notevolmente superiore al canone corrente, non appare aprioristicamente irragionevole, sia in assenza di un parametro di riferimento (alla luce del rifiuto opposto dal gestore uscente) sia in considerazione dell’ampia platea di spazi coinvolti (corrispondenti a un numero di erogatori quasi 8 volte superiore a quello attuale).
In buona sostanza, anche aderendo alla prospettazione dell’inosservanza del metodo di calcolo del “valore stimato delle concessioni” (questione che sarà meglio approfondita in sede di merito), l’omissione non appare imputabile alla stazione appaltante, ricollegandosi alla mancata collaborazione del gestore uscente.
Una recente pronuncia su un caso analogo (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV – 24/3/2017 n. 706) ha stabilito che “la mancata indicazione del fatturato presunto – specie se surrogata dall’individuazione di altri dati oggettivi e rilevanti per la ricostruzione dell’utile ritraibile – non comporta di per sé l’illegittimità della lex specialis”, tenuto anche conto della peculiarità del caso concreto, nella specie costituito proprio dal fatto che “l’amministrazione, trattandosi di concessione, non è stata in grado di ottenere dati oggettivi al riguardo. La stessa acquisizione delle scritture contabili della precedente affidataria (attestata nel corso del giudizio) non le ha permesso di ricavare i suddetti dati, in presenza di un dato aggregato nazionale, da cui non è ricavabile, per ciò solo, il fatturato conseguito tramite i singoli affidamenti”.
L’organo di appello ha rilevato come “Deve convenirsi con l’appellante nell’affermazione secondo la quale la conoscenza del fatturato ricavabile è elemento importante per la formulazione di una offerta adeguatamente consapevole, e che la stazione appaltante è tenuta, a tale scopo, a rendere pubblico il dato. Peraltro, tale onere grava sull’Amministrazione se questa è in possesso del dato in questione, mentre, ovviamente, essa non può essere gravata di tale onere quando non ne ha conoscenza. Ragionando in termini diversi la gara non potrebbe essere mai bandita, in quanto per l’indizione sarebbe condizionata a un adempimento impossibile. Occorre sottolineare, inoltre, come l’Amministrazione abbia posto a disposizione delle imprese il dato di cui disponeva, costituito dai canoni pagati dal precedente gestore, e che questo aveva fornito un dato ambiguo, per i fini che ora interessano, costituito dal fatturato globale costruito da diverse attività”. (Consiglio di Stato, sez. III – 8/6/2017 n. 2781).