Archivi tag: art. 3

Settori speciali : attività strumentali ai fini dell’ applicazione del Codice dei contratti pubblici

Consiglio di Stato, sez. V, 05.12.2022 n. 10634

8.1.1. È incontestato in specie che – come espressamente affermato dalla sentenza impugnata – la Aeroporto -OMISSIS- costituisce una «impresa pubblica» ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. t), d.lgs. n. 50 del 2016.
A tal riguardo, ai fini dell’applicazione della Parte II del Codice dei contratti pubblici, l’art. 3, comma 1, lett. e), n. 1.1), d.lgs. n. 50 del 2016 riconduce a sua volta le imprese pubbliche (insieme con le «amministrazioni aggiudicatrici») nel novero dei cd. «enti aggiudicatori» allorché svolgenti «una delle attività di cui agli articoli da 115 a 121», e cioè operanti in uno dei cd. «settori speciali».
A sua volta, l’art. 114, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che le disposizioni di cui al Capo I (dedicato appunto agli «Appalti nei settori speciali») si applichino «agli enti aggiudicatori che sono amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche che svolgono una delle attività previste dagli articoli da 115 a 121», fra cui rientra anche lo «sfruttamento di un’area geografica per la messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi o interni e di altri terminali di trasporto ai vettori aerei, marittimi e fluviali» (art. 119 d.lgs. n. 50 del 2016).
Simmetricamente, l’art. 14, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 stabilisce che «le disposizioni del […] codice non si applicano agli appalti e concessioni aggiudicati dagli enti aggiudicatori per scopi diversi dal perseguimento delle attività di cui agli articoli da 115 a 121 […]».
Se ne ricava un sistema compiuto – coerente con quello già previsto dal precedente decreto legislativo n. 163 del 2006 – espressamente applicabile anche alle imprese pubbliche, in base al quale “il soggetto privato che opera in virtù di diritti esclusivi, così come l’impresa pubblica, è obbligato ad indire gare ad evidenza pubblica solo al ricorrere di due concorrenti presupposti: quando esso opera nei settori speciali; quando oggetto dell’affidamento siano attività strumentali a quella svolta nei settori speciali” (Cons. Stato, V, 29 gennaio 2018, n. 590, confermata da Cass., SS.UU., 13 maggio 2020, n. 8849; già Cons. Stato, V, 26 maggio 2015, n. 2639).
In tale prospettiva “l’assoggettabilità dell’affidamento di un servizio alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l’appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma anche in applicazione di un parametro di tipo oggettivo, attento alla riferibilità del servizio all’attività speciale” (Cons. Stato, Ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16); infatti, “per determinare se l’affidamento di un appalto sia assoggettato alla disciplina dei settori speciali occorre sia un presupposto soggettivo (l’affidante dev’essere un ente operante nei settori speciali) sia un presupposto oggettivo (l’appalto deve essere strumentale all’attività speciale)” (Cons. Stato, n. 590 del 2018, cit.).
A sua volta, “Il concetto di strumentalità dell’appalto dev’essere interpretato in modo ragionevolmente restrittivo”, intendendosi per tale un affidamento che sia finalizzato “agli scopi propri (core business) dell’attività speciale” (Cons. Stato, n. 590 del 2018, cit.; Id., Ad. plen. 11 del 2016, cit.).
Tutto quanto sopra, peraltro, come si evince chiaramente dall’art. 14, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, vale tanto per gli appalti quanto per le concessioni affidate dagli enti aggiudicatori (cfr. pure, al riguardo, il richiamo dell’art. 164, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 alla I e II parte del Codice dei contratti pubblici, incluse le disposizioni sulle esclusioni dalla disciplina).
Tanto premesso, si rende necessario nella specie qualificare l’oggetto dell’affidamento controverso, verificando anzitutto se lo stesso possa o meno ricondursi ad attività strumentali alla gestione aeroportuale di cui all’art. 119 d.lgs. n. 50 del 2016.
La giurisprudenza di questa V Sezione si è già soffermata su tale tematica della “strumentalità” all’attività di gestione aeroportuale ex art. 119 d.lgs. n. 50 del 2016, chiarendo, da ultimo, che “Nel settore degli aeroporti e del trasporto aereo il criterio della strumentalità consente di individuare come attività speciali quelle riguardanti prestazioni di servizi che rientrano nella c.d. aviation (cfr. Cons. Stato, V, n. 590/2018 e id., V, 12 dicembre 2018, n. 7031 nonché id., V, 19 novembre 2018, n. 6534, secondo cui, riguardo all’attività concernente lo sfruttamento del sedime aeroportuale per il funzionamento dell’aerostazione, sono incluse nel perimetro dei settori speciali ‘tutte le attività necessarie a soddisfare le esigenze del traffico aereo, dal momento dell’atterraggio a quello del decollo, nonché quelle immediatamente e direttamente correlate allo svolgimento del servizio di trasporto, che riguardano merci e passeggeri’), cui si contrappongono le attività c.d. non aviation” (Cons. Stato, V, 8 marzo 2021, n. 1918; analogamente, cfr. Cass., SS.UU., 13 maggio 2020, n. 8849).
In proposito s’è ulteriormente posto in risalto che “[…] le attività aviation comprendono: a) l’aviation in senso stretto, relativa alla gestione, allo sviluppo ed alla manutenzione delle infrastrutture e degli impianti (elencate all’all. B del d. lgs. n. 18/1999), l’offerta di servizi e delle attività connesse all’approdo ed alla partenza degli aeromobili e i servizi di sicurezza aeroportuale; b) l’handling (o servizi di assistenza a terra, elencati nell’all. A del d. lgs. n. 18 cit.), inerente le attività commerciali complementari, accessorie e strumentali alla prestazione di trasporto aereo, svolte in ambito aeroportuale, nonché le operazioni funzionali al decollo ed all’approdo degli aeromobili nonché alla partenza e all’arrivo dei passeggeri, svolte sia ‘airside’ (imbarco/sbarco di passeggeri, bagagli e merci; bilanciamento degli aeromobili; smistamento e riconcilio dei bagagli; guida al parcheggio; rifornimenti etc.) sia in ‘area passeggeri’ (servizi di biglietteria, informazioni, check in, lost and found, informazioni etc.): attività assoggettate, con il d. lgs. n. 18 cit., ad un regime di liberalizzazione regolamentata, in coerenza con la politica comunitaria di apertura alla concorrenza del mercato del trasporto aereo.
Per contro, rientrano nelle attività non aviation: c) il travel retail (cioè a dire il complesso delle attività commerciali al dettaglio offerte ai passeggeri, agli operatori ed ai visitatori all’interno dell’aeroporto: negozi, bar, ristoranti etc.); d) le altre attività, svolte sia all’interno dell’area aeroportuale (affissioni pubblicitarie, banche, farmacie, lavanderie, alberghi, slot machines etc.) sia all’esterno (gestione dei parcheggi)” (cfr., per quanto di rilievo, Cons. Stato, V, 2 ottobre 2019, n. 6603, pur relativa agli specifici profili dell’assoggettabilità al regime dell’accesso, che peraltro la pronuncia riconosce anche in relazione all’attività non aviation).
8.1.2. Nel caso di specie l’affidamento aveva ad oggetto “la subconcessione per l’esercizio della gestione di due punti vendita multiprodotto in regime Duty Free/Duty Paid […] e Duty Free […]”, e cioè di un “punto vendita situato in sala imbarchi Schengen” della misura di “circa mq. 715” composto degli spazi indicati nella lettera d’invito a offrire, e di un ulteriore “punto vendita situato in sala imbarchi extra Schengen” composto a sua volta degli spazi dettagliatamente descritti dalla medesima lettera.
È evidente, in proposito, come la fattispecie sia assimilabile a tutti gli effetti a una subconcessione di spazi ricompresi nell’area aeroportuale, seppure con destinazione dedicata (cfr., ancora, la lettera d’invito: “Gli spazi in subconcessione nei regimi suddetti dovranno essere dedicati alla vendita de[lle] seguenti categorie merceologiche”, con la previsione peraltro che “Per tutte le tipologie merceologiche rimane in capo al concessionario acquisire le eventuali autorizzazioni qualora necessarie secondo le disposizioni di legge vigenti”).
Dal che discende, sotto un primo profilo, che s’è in presenza di un rapporto – concernente la gestione delle aree aeroportuali, in relazione a servizi di natura commerciale – esclusivamente tra il concessionario e il soggetto terzo, cui l’amministrazione concedente rimane estranea (cfr. la convenzione di concessione del 12 luglio 2004, in atti, che all’art. 3.2 sancisce un mero obbligo di comunicazione all’Enac dell’affidamento in subconcessione di aree e locali destinati ad attività non aeronautiche; analogamente, cfr. la circolare Enac 22 marzo 2018, sub art. 5.2), rapporto che si qualifica come derivato e sul quale non può ravvisarsi un collegamento con l’atto autoritativo concessorio, che assume il portato di mero presupposto della subconcessione: il che vale di suo ad escludere la natura pubblicistica del rapporto e la correlata giurisdizione amministrativa (Cons. Stato, n. 2639 del 2015, cit., e richiami ivi; cfr. anche Cass., SS.UU., 10 gennaio 2017, n. 4884; 1 dicembre 2009, n. 26823; 21 ottobre 2005, n. 20339).
Sotto altro concorrente profilo, alla luce di quanto osservato, s’è di fronte nella specie ad attività cd. “non aviation”, di natura squisitamente commerciale (non rientrante nell’elenco di cui all’allegato A) al d.lgs. n. 18 del 1999 recante «Attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità») e dunque non qualificabile in termini di servizio strumentale stricto sensu all’attività di cui all’art. 119 d.lgs. n. 50 del 2016: per questo l’attività controversa risulta ex se sottratta al regime dell’evidenza pubblica di cui al medesimo d.lgs. n. 50 del 2016 e alla correlata giurisdizione del giudice amministrativo invocata dall’appellante (cfr. Cass., n. 8849 del 2020, cit.; 18 aprile 2016, n. 7663; Cons. Stato, n. 590 del 2018, cit.).
Né rileva, in senso contrario, il fatto che la Aeroporto -OMISSIS- rivesta la natura di impresa pubblica, atteso che il suesposto regime è analogo per siffatte imprese e per i soggetti privati nella comune veste di «enti aggiudicatori» – cui l’art. 14, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 fa riferimento – ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e) e 114, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016 (cfr., peraltro, già Cons. Stato, Ad. plen., n. 16 del 2011, cit., spec. par. 35).
In senso inverso non vale richiamare neanche il considerando n. 25 della direttiva 2014/23/UE giacché, posto il valore non vincolante dei considerando in sé, lo stesso – come già chiarito da questa Sezione – non corrisponde ad alcuna norma che tracci la nozione di servizi strumentali in termini tali da ricomprendervi l’attività commerciale “non aviation” (Cons. Stato, V, 12 dicembre 2018, n. 7031); e ciò prescindendo dal fatto che, peraltro, lo stesso considerando richiama in termini generali le attività «pertinenti» nel settore aeroportuale, non già quelle propriamente strumentali.
Per tali ragioni è da escludere che, a fronte di una sub-concessione di spazi finalizzati alla prestazione di attività commerciale “non aviation” si sia in presenza di affidamenti pubblici di servizi strumentali all’attività aeroportuale rientranti nel perimetro di applicazione del d.lgs. n. 50 del 2016, e dunque soggetti a giurisdizione amministrativa ex art. 133, comma 1, lett. e), Cod. proc. amm., come dedotto dall’appellante.
Sulla base di quanto suesposto non sono neppure condivisibili le diverse valutazioni svolte dalla giurisprudenza richiamata dall’appellante (i.e., CGA, n. 512 del 2021, cit.; 7 luglio 2020, n. 549; 23 maggio 2017, n. 221; 2 maggio 2017, n. 205), incentrate sulla qualificazione in termini di concessione di servizi (anziché subconcessione di beni con destinazione ad attività commerciale “non aviation”, nei termini suindicati) di affidamenti di tal fatta operati dal concessionario, a sua volta inteso quale articolazione dell’amministrazione, esercente una funzione pubblica: è assorbente, in diverso senso, la considerazione che le imprese pubbliche (quali enti aggiudicatori) soggiacciono all’applicazione del d.lgs. n. 50 del 2016 solo in relazione ad affidamenti di attività strumentali, ex art. 14, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 (corrispondente all’art. 19, par. 1, dir. 2014/25/UE), e tali sono quelle “aviation”, né è del resto dato riscontrare nella specie una concessione (o “subconcessione”) di servizi, di cui il gestore non è ex se titolare in relazione alle suddette attività in sé e che non trasferisce all’affidatario, concessione di servizi che comunque non è dato ravvisare a fronte del contenuto dell’affidamento, avente a oggetto spazi ricompresi nelle aree aeroportuali, da destinare ad attività commerciali.

Definizione di microimpresa , piccola e media impresa (art. 3 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. VI, 02.09.2022 n. 7667

2.1‒ Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera aa), del d.lgs. n. 50 del 2016, per microimprese, piccole e medie imprese devono intendersi: «le imprese come definite nella Raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione del 6 maggio 2003. In particolare, sono medie imprese le imprese che hanno meno di 250 occupati e un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro; sono piccole imprese le imprese che hanno meno di 50 occupati e un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro; sono micro imprese le imprese che hanno meno di 10 occupati e un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro».
Il legislatore ha considerato rilevanti per la qualificazione giuridica di ‘PMI’ gli indici elencati nell’art. 2 dell’allegato alla citata Raccomandazione ‒ segnatamente, quelli occupazionale e del fatturato annuo, ovvero, in alternativa, del bilancio ‒ senza distinguere ai fini del calcolo dei predetti indici tra «impresa autonoma», «impresa associata» e «impresa collegata» (come invece si fa nel successivo art. 3 dell’allegato alla Raccomandazione), e senza neppure richiamare l’art. 6 dello stesso allegato, relativo alla determinazione dei dati dell’impresa.
La lettera della disposizione è chiara in tal senso: viene richiamata genericamente la definizione di “microimprese, piccole e medie imprese” riportata nella Raccomandazione relativa alla definizione delle micro-imprese, piccole e medie imprese, per poi specificare in modo puntuale («In particolare, sono medie imprese […]») gli indicatori necessari e sufficienti ai fini della qualificazione delle ‘PMI’ (effettivi, dati di bilancio e fatturato) e senza attribuire alcuna rilevanza giuridica ad eventuali forme di controllo o di collegamento con soggetti estranei alla gara ai fini dell’imputazione dei predetti criteri dimensionali.
La voluntas legis di non operare un richiamo all’intero portato della Raccomandazione n. 2003/361/CE ‒ recependo sì la tipologia di ‘soglie’ ma da imputarsi alla comune nozione giuridica di impresa giuridicamente autonoma, al fine probabilmente di facilitare maggiormente l’accesso delle PMI alle procedure di gara ‒ non contrasta con il primato delle fonti del diritto dell’Unione. La Raccomandazione è, infatti, un atto cui difetta un’efficacia precettiva diretta, generale ed erga omnes, consistendo, come è noto, in un’esortazione a tenere un certo comportamento suggerito, senza neppure obbligo di risultato (l’art. 288 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea recita: «[…] Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti»).
La stessa Raccomandazione in commento prevede poi, nella sua stessa formulazione, significativi margini di flessibilità: prevedendo che le soglie indicate all’art. 2 dell’allegato «costituiscono valori massimi» (potendo gli Stati membri «stabilire, in taluni casi, soglie inferiori»); ovvero facendo salva la possibilità di «impiegare unicamente il criterio degli effettivi per l’attuazione di determinate politiche, eccetto nei settori disciplinati dalle varie normative in materia di aiuti pubblici».
Del resto, anche sul piano dell’inquadramento sistematico, non può parlarsi di una scelta normativa incoerente: il Codice dei contratti pubblici, al fine della verifica dei requisiti generali e speciali, considera di norma quelli posseduti dalla singola impresa partecipante e non quelli, eventualmente maggiori, facenti capo ad imprese collegate o controllate, salvo ovviamente il ricorso all’avvalimento o al raggruppamento di imprese.

Subappalto della sola manodopera : condizioni

Quesito: Si chiede di chiarire se il subappalto della sola manodopera, nel caso di lavori, è legittimo, ed eventualmente a quali condizioni.

Risposta: I fenomeni di frammentazione organizzativa dell’impresa, moltiplicati anche per effetto dell’innovazione tecnologica e della globalizzazione, favoriscono il ricorso agli appalti e alla somministrazione coinvolgendo la materia del lavoro che non rientra nelle competenze di questo servizio. Si chiarisce infatti che il subcontratto di sola manodopera può configurarsi come cottimo di cui all’art. 3 comma 1 lettera ggggg-undecies del Codice Contratti, oppure come somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20 e segg. del D. Lgs 276/2003 (Riforma Biagi) consentita unicamente se operata da soggetti abilitati.
Limitandoci al perimetro degli appalti, si ricorda che il contratto di cottimo si differenzia dal subappalto in quanto il primo ha ad oggetto l’affidamento della sola lavorazione (o della sola posa in opera), mentre i materiali vengono forniti direttamente, in tutto o in parte, dall’appaltatore.
Al riguardo, il TAR Marche Sez. I, sent. 23 aprile 2020, n. 59 ritiene legittimo che l’appaltatore – ai fini dell’esecuzione di un appalto di lavori – si riservi la fornitura del materiale affidando a terzi la posa in opera, nel presupposto che il cottimista sia qualificato per l’intera lavorazione. Secondo i giudici, “il legislatore ha collegato espressamente la capacità tecnico-economica del subappaltatore (sintetizzata nella SOA) all’importo complessivo delle opere che egli è chiamato ad eseguire (il che risponde al criterio generale a cui è informato il sistema di esecuzione dei lavori pubblici, ossia che l’appaltatore può eseguire solo i lavori per i quali è qualificato, sia in termini qualitativi che quantitativi), e non anche alle modalità di determinazione della quota subappaltabile”.
La Corte di Cassazione Sez. Lavoro nella sentenza n. 22796 del 20.10.2020 ha focalizzato l’attenzione sulla distinzione tra appalti c.d. leggeri, intendendosi per tali quelli “in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro” ed appalti c.d. pesanti che si caratterizzano, invece, per l’impiego preponderante di materiali e mezzi. Infatti, negli appalti “pesanti”, il requisito dell’autonomia organizzativa in capo all’appaltatore deve essere inteso, se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, mentre, in presenza di un appalto del primo tipo, la Corte ha statuito il principio di diritto secondo cui è sufficiente, ai fini della liceità, che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti, e che il requisito della “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore”, previsto dal citato articolo 29, possa individuarsi, in presenza di particolari esigenze dell’opera o del servizio, anche nell’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto.
Sulla base delle suddette considerazioni, la risposta al primo quesito è positiva a condizione che venga in considerazione il cottimo ai sensi dell’art. 3 comma 1 lettera ggggg-undecies del Codice Contratti oppure la somministrazione di manodopera di cui al D. Lgs. 276/2003.
Relativamente al secondo quesito, si ricorda che il cottimista deve possedere la qualificazione SOA in una classifica di importo almeno corrispondente alla totalità dei lavori che egli deve eseguire e dunque comprendente anche il valore dei materiali e delle attrezzature messi a disposizione dall’appaltatore. Ai sensi dell’art. 105 comma 13, è disposta la corresponsione diretta al cottimista dell’importo dovuto per le prestazioni, mentre, in base al comma 18 dello stesso art. 105, il cottimo deve essere autorizzato e copia autentica del contratto va trasmessa alla stazione appaltante con allegata la dichiarazione circa la sussistenza o meno di eventuali forme di controllo o di collegamento a norma dell’articolo 2359 del codice civile con il titolare del cottimo. Infine si ricorda che la stazione appaltante è tenuta alle verifiche e controlli dei lavoratori impiegati nell’ambito del cantiere (Parere MIMS n. 1288/2022)

    PER QUESITI O INFORMAZIONI SUI SERVIZI DI RISPOSTA RAPIDA, CONSULENZA E SUPPORTO SPECIALISTICO E SULLA PIATTAFORMA GARE TELEMATICHE DI SENTENZEAPPALTI.IT O PER UN PREVENTIVO GRATUITO, SI INVITA A COMPILARE IL MODULO SEGUENTE

    Richiesta:*

    Nome, cognome, Ente o Società:*

    Email:*

    N.B. I servizi sono attivabili su richiesta e modulabili sulla base di specifiche esigenze. Per ulteriori informazioni si invita a visitare le pagine dedicate del sito oppure a contattare info@sentenzeappalti.it.

    PRIVACY. Letta l’informativa sulla privacy, si acconsente all’utilizzo dei dati inseriti nel presente modulo ed all’invio di eventuale materiale informativo. 
    

    Accettazione privacy*

    Differenza tra concessione di un bene pubblico e concessione di servizi

    Consiglio di Stato, sez. V, 16.06.2022 n. 4949

    Esaminando con ordine le questioni prospettate con il suddetto mezzo, va disattesa la denuncia alla sentenza impugnata nella parte in cui qualifica la procedura in esame come finalizzata alla conclusione di un contratto di concessione di bene e non, come sostiene l’appellante, un contratto di concessione di servizi.
    L’art. 3, comma 1, lettera vv) d.lgs. n. 50 del 2016 definisce come ‘concessione di servizi, un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera II) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi.
    Secondo il consolidato orientamento di questo di Consiglio di Stato (v. Cons. Stato n. 2810 del 2020), l’elemento qualificante della concessione di servizi è costituito dal trasferimento del rischio economico/operativo a carico dell’affidatario. In presenza di una concessione di servizi, le modalità di remunerazioni pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (CGUE 15 ottobre 2009, nella causa C-196/08; CGUE 13 novembre 2008, nella causa C-437/07); in particolare, una concessione di servizi richiede che l’amministrazione concedente/aggiudicatrice abbia trasferito integralmente o in misura significativa all’operatore privato il rischio di gestione economica connesso all’esecuzione del servizio(v. CGUE 21 maggio 2015, nella causa C-269/14). In altri termini, la figura della concessione è connotata dall’elemento del trasferimento all’impresa concessionaria del rischio operativo, inteso come rischio di esposizione alle fluttuazioni di mercato che possono derivare da un rischio sul lato della domanda e sul lato dell’offerta, ossia da fattori al di fuori della sfera di controllo delle parti (v. Considerando 20 e l’art. 5, n. 1, della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione).
    Nessuna di tali condizioni è ravvisabile nella fattispecie in esame.
    La giurisprudenza prevalente individua il criterio discriminante tra ‘componente beni’ e ‘componente servizi’ negli obiettivi di fondo perseguiti dall’Amministrazione concedente, i quali, se travalicano il mero utilizzo ordinario del bene (secondo la sua destinazione dichiarata negli atti di gara), collocandosi in una prospettiva più ampia, qualificano necessariamente il rapporto in termine di servizi.
    Come correttamente precisato dal giudice di prima istanza “per non perdere di vista i termini della questione, che si sta trattando della concessione dei locali del bar – ristorante di Cala Reale sull’Isola dell’Asinara”, sicché appare evidente che l’obiettivo di fondo perseguito dall’Amministrazione concedente, non travalica il fine di concedere al privato l’utilizzo di un bene previo pagamento di corrispettivo (si tratta di uno schema “modale” di concessione del bene che ricalca il negozio della locazione, laddove, la natura pubblica della proprietà del bene, rende rilevanti le connotazioni qualitative dell’attività da svolgere nei locali, corrispondente alla, naturalmente vincolante, destinazione d’uso del bene oggetto della concessione, espressa, come si vedrà, nella legge di gara). Nella specie, infatti, il Direttore dell’Ente Parco ha affidato alla RTI -OMISSIS- la concessione dei locali del bar-ristorante, per il canone mensile di euro 2.083,34, secondo le prescrizioni del bando di gara e delle proposte operative migliorative dichiarate in fase di gara.
    A sostegno dell’assunto depone la lettura dell’art. 1 del Capitolato speciale, oggetto della concessione, dal quale non è dato evincere un superamento del mero utilizzo, dietro corrispettivo, del bene, in quanto semplicemente si precisa che: “ il gestore dovrà assicurare le attività di ristoro in linea con i principi e le finalità istitutive del Parco e dovrà contribuire attraverso la futura gestione al miglioramento dell’esperienza complessiva dei visitatori del Parco, in particolare per ciò che riguarda il profilo enogastronomico.” In relazione alle modalità di espletamento dell’attività di ristoro non si aggiunge nulla, se non che “a tal fine è auspicabile che i candidati alla gestione soddisfano i principi di base e di miglioramento della carta Qualità di Servizi turistici della Rete dei Parchi e delle Aree Protette”.
    Tenuto conto che l’esito della procedura si struttura nell’affidamento all’aggiudicataria della gestione del bar – ristorante sull’Isola dell’Asinara, tale rapporto, così come configurato negli atti di gara, può trovare titolo solo in un atto concessorio, potendo tale bene essere trasferito, per quello specifico uso, solo mediante “concessione del bene”.

    Appalto di servizi e concessione di servizi : inquadramento giuridico (art. 3 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Napoli, 15.06.2022 n. 4059

    La risoluzione della controversia discende dall’inquadramento giuridico del rapporto in contestazione che, per le ragioni di seguito illustrate, va qualificato come concessione di servizi devoluta alla giurisdizione esclusiva di questo giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c) del c.p.a. (“controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonché afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”).
    Al riguardo, giova rammentare che il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione da parte del concessionario del c.d. “rischio operativo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2426/2021): mentre l’appalto ha struttura bifasica tra appaltante ed appaltatore ed il compenso di quest’ultimo grava interamente sul primo, nella concessione, connotata da una dimensione triadica, il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione. In altri termini, l’appalto di servizi comporta un corrispettivo che, senza essere l’unico, è versato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre nella concessione di servizi il corrispettivo della prestazione di servizi consiste nel diritto di gestire il servizio, o da solo o accompagnato da un prezzo, e la concessionaria non è direttamente retribuita dalla amministrazione aggiudicatrice ma ha il diritto di riscuotere la remunerazione presso terzi.
    Tale indirizzo è, peraltro, coerente con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. Unite, n. 9965/2017), secondo cui la qualificazione di un’operazione come concessione di servizi o come appalto pubblico di servizi va svolta esclusivamente alla luce del diritto dell’Unione Europea. Ebbene, ai fini del diritto dell’Unione, un appalto pubblico di servizi comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi mentre, al contrario, è ravvisabile concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del concessionario di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio, traendo la propria remunerazione dai proventi ricavati dagli utenti, di modo che sul concessionario gravi il rischio legato alla gestione del servizio (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 10 novembre 2011, causa C-348/10; 10 marzo 2011, causa C-274/09; 18 luglio 2007, causa C-382/05; 20 ottobre 2005, causa C-264/03; 18 gennaio 2007, causa C-220/05).
    La nozione unionale di concessione di pubblico servizio è stata chiaramente recepita dalle norme di settore che si sono succedute:
    – dapprima il D.Lgs. n. 163/2006, art. 3, comma 12, che ha attuato le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, ha stabilito che la “concessione di servizi” è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo;
    – in seguito, la lettera vv) del D.Lgs. n. 50/2016, art. 3, di attuazione delle direttive n. 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE, ha definito “concessione di servizi” il “contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale uno o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera II) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi”.
    Nella concessione di servizi è centrale, quindi, l’elemento del “rischio operativo” che sussiste qualora l’aggiudicatario rinvenga il proprio profitto direttamente nei pagamenti ai quali sono tenuti gli utenti dei servizi. Tale nozione si rinviene nella definizione di concessione fornita dall’art. 5 della successiva direttiva n. 2014/23/UE, in cui si legge del rischio “legato alla gestione dei lavori o dei servizi, comprendente un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o entrambi”, configurabile allorché, “in condizioni normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”.
    Analoga definizione è contenuta nell’art. 3, lett. zz) del D.Lgs. n. 50/2016, laddove per “rischio operativo” si intende “Il rischio legato alla gestione dei lavori o dei servizi sul lato della domanda o sul lato dell’offerta o di entrambi, trasferito all’operatore economico. Si considera che l’operatore economico assuma il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, per tali intendendosi l’insussistenza di eventi non prevedibili non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. La parte del rischio trasferita all’operatore economico deve comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dall’operatore economico non sia puramente nominale o trascurabile”.
    Anche la giurisprudenza amministrativa si è adeguata a questa distinzione, rimarcando (tra varie, Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2624/2014) che, quando l’operatore privato si assume i rischi della gestione del servizio, rifacendosi sostanzialmente sull’utente mediante la riscossione di un qualsiasi tipo di canone, tariffa o diritto, allora si ha concessione, ragione per cui si può affermare che è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi; tanto, che è giunta a ritenere (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 13/2013) che la concessione di servizi presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione, appunto, del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi e di sfruttare economicamente il servizio o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

    Differenza tra appalto e somministrazione di personale

    Consiglio di Stato, sez. III, 03.05.2022 n. 3457

    Il Consiglio di Stato, con la sentenza della Sez. V, n. 1571/2018, ha chiarito i tratti distintivi che connotano in modo tipico il contratto d’appalto e valgono a differenziarlo dalla somministrazione di personale, precisando che essi “consistono nell’assunzione da parte dell’appaltatore:
    a) del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta;
    b) del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa;
    c) del rischio di impresa (si veda in tal senso l’art. 29 del d.lgs. 276/2003, il quale recita: “Ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione di mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”).
    I richiamati profili di differenziazione si compendiano nel fatto che attraverso il contratto di appalto una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, secondo lo schema dell’obbligazione di risultato; nel contratto di somministrazione, al contrario, l’agenzia invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore, secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi.
    Da ciò ulteriormente consegue che nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire.

    Riferimenti normativi:

    art. 3 d.lgs. n. 50/2016

    Piano Economico Finanziario (PEF) – Funzione – Valutazione del rischio e dell’ equilibrio economico finanziario (art. 165 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. V, 04.02.2022 n. 795

    L’esame deve prendere le mosse dalla funzione che assume il piano economico finanziario nelle concessioni di lavori e di servizi. Secondo la definizione legale contenuta nell’art. 3, comma 1, lettere uu) [concessione di lavori] e vv) [concessione di servizi], del Codice dei contratti pubblici, formulata in piena coerenza con il diritto unionale, la concessione è un contratto a titolo oneroso che ha per oggetto l’affidamento, da parte della stazione appaltante, della esecuzione di lavori o della fornitura e gestione di servizi in cui il concessionario ricava il corrispettivo ad esso spettante per l’esecuzione del contratto esercitando il diritto a gestire le opere o i servizi e a trattenere i ricavi della gestione, assumendosi i rischi connessi a tale gestione (e principalmente, nella concessione di servizi o in cui la parte relativa ai servizi è prevalente rispetto ai lavori, il rischio derivante dalla domanda del servizio). La concession,e sia di lavori pubblici che di servizi, si caratterizza pertanto per un dato: la remunerazione degli investimenti compiuti dall’operatore economico privato e delle prestazioni rese nell’esecuzione della concessione è costituita dal diritto di gestire funzionalmente ed economicamente il servizio (o i servizi) erogati attraverso le opere pubbliche realizzate. Il che significa, come d’altronde emerge agevolmente dalla lettura sia delle definizioni di cui all’art. 3, comma 1, cit. (si vedano anche le lettere zz), aaa), bbb) e ccc), nelle quali è scolpita la definizione delle diverse tipologie di rischi trasferiti in capo al concessionario), che dell’art. 165 del Codice dei contratti pubblici, che i servizi in questione debbono avere una chiara natura imprenditoriale, nel senso che si rivolgono ad un mercato composto da una pluralità di utenti che ne domandano le prestazioni. Il rischio assunto dal concessionario si valuta proprio intorno alla aleatorietà della domanda di prestazioni poiché l’errore di valutazione del livello di domanda attendibile evidentemente condiziona la remuneratività dell’investimento e misura la validità imprenditoriale dell’iniziativa economica. Si tratta, come noto, di una tipologia di rischio imprenditoriale diversa da quella riscontrabile nel contratto di appalto (di lavori, servizi o forniture), proprio perché entra in giuoco un elemento imponderabile (cioè la domanda di prestazioni per quel servizio pubblico, non determinabile a priori); elemento che nell’appalto non compare.
    In questo quadro il piano economico finanziario ha la funzione di garantire l’equilibrio economico e finanziario dell’iniziativa (ossia la «contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria») attraverso la «corretta allocazione dei rischi» (art. 165, comma 2, cit.; corretta allocazione che può eventualmente essere temperata da un intervento finanziario posto a carico dell’amministrazione concedente), lungo tutto l’arco temporale della gestione (si osservi che nella procedura di gara in esame la lettera di invito consentiva ai concorrenti di proporre una durata massima pari a 30 anni). Se la concessione si qualifica per il trasferimento del rischio operativo dal concedente al concessionario, il PEF è lo strumento mediante il quale si attua la concreta distribuzione del rischio tra le parti del rapporto, la cui adeguatezza e sostenibilità deve essere valutata dall’amministrazione concedente alla luce delle discipline tecniche ed economiche applicabili e sulla base delle eventuali prescrizioni che la stessa amministrazione ha dettato con la lex specialis della procedura per la selezione del concessionario.
    Controllo che non si svolge secondo gli schemi propri del giudizio di anomalia dell’offerta nelle procedure d’appalto, il cui oggetto è comunque circoscritto sia per la (di regola) limitata durata nel tempo dell’affidamento, sia per l’assenza di uno specifico rischio operativo e della domanda in capo all’appaltatore. L’assunzione del rischio imprenditoriale da parte del concessionario, i limiti entro i quali tale assunzione è ammissibile e non compromette il proficuo svolgimento dell’attività affidata al terzo [la convenienza economica e la sostenibilità finanziaria: art. 3, comma 1, lett. fff)], è l’oggetto delle valutazioni riservate all’amministrazione concedente.
    La ricostruzione sinteticamente delineata riprende gli orientamenti più recenti (cfr. Cons. Stato, V, 26 maggio 2020 n. 3348; V, 2 settembre 2019, n. 6015; V, 13 aprile 2018, n. 2214) che sottolineano come la funzione del PEF sia quella di dimostrare la concreta capacità dell’operatore economico di eseguire correttamente le prestazioni per l’intero arco temporale prescelto, attraverso la prospettazione di un equilibrio economico e finanziario di investimenti e connessa gestione che consenta all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione (v. anche Cons. Stato, V, 26 settembre 2013, n. 4760). In altri termini il PEF è un documento che giustifica la sostenibilità dell’offerta, quale dimostrazione che l’impresa è in condizione di trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività (Cons. Stato, V, 10 febbraio 2010, n. 653).

    Lavori su chiesa con finanziamenti pubblici : applicazione Codice contratti pubblici

    Le parrocchie che ricevono finanziamenti pubblici per il restauro della chiesa e del sagrato, devono applicare anch’esse il codice degli appalti e la normativa dei lavori pubblici come un qualsiasi ente pubblico.

    E’ quanto ha ribadito Anac, intervenendo sulla richiesta di parere avanzata dalla Regione Autonoma Sardegna, la quale ha finanziato in maniera cospicua in misura superiore al 50% dell’intervento, importanti lavori di restauro di un complesso ecclesiale del capoluogo sardo, di dichiarato interesse culturale storico artistico. L’importo della ristrutturazione supera il milione di euro.

    La parrocchia, pertanto, dovrà attenersi all’applicazione del codice dei contratti pubblici per l’esecuzione di tutti i lavori, come pure per i vari affidamenti dei servizi di architettura e di ingegneria.
    I restauri, sottolinea l’Autorità nel parere firmato dal presidente Giuseppe Busia, “sono di importo superiore a un milione di euro e sono sovvenzionati per oltre il 50% direttamente dalla Regione”.

    Parere sulla Normativa del 10 gennaio 2022.pdf

    fonte: sito ANAC

    Servizi di natura intellettuale : definizione

    Con riguardo alla interpretazione di tale locuzione, premesso che il Codice dei contratti pubblici non contiene una definizione di servizi di natura intellettuale, la giurisprudenza ha già avuto modo di evidenziare che: “in coerenza alla ratio dell’art. 95, comma 10, del codice dei contratti pubblici ciò che differenzia la natura intellettuale di un’attività è l’impossibilità di una sua standardizzazione e, dunque, l’impossibilità di calcolarne il costo orario” e che non può essere qualificato come appalto di servizi di natura intellettuale quello che “ricomprende anche e soprattutto attività prettamente manuali” o che “non richiedono un patrimonio di cognizioni specialistiche per la risoluzione di problematiche non standardizzate”; di conseguenza, per servizi di natura intellettuale si devono intendere quelli che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, costituenti ideazione di soluzioni o elaborazione di pareri, prevalenti nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e all’organizzazione di mezzi e risorse; al contrario va esclusa la natura intellettuale del servizio avente ad oggetto l’esecuzione di attività ripetitive che non richiedono l’elaborazione di soluzioni personalizzate, diverse, caso per caso, per ciascun utente del servizio, ma l’esecuzione di meri compiti standardizzati (cfr. Consiglio di Stato,  sez. III, n. 1974/2020; id, sez. IV, n. 7094/2021; n. 1291/2021; n. 4806/2020).

      PER QUESITI O INFORMAZIONI SUI SERVIZI DI RISPOSTA RAPIDA, CONSULENZA E SUPPORTO SPECIALISTICO E SULLA PIATTAFORMA GARE TELEMATICHE DI SENTENZEAPPALTI.IT O PER UN PREVENTIVO GRATUITO, SI INVITA A COMPILARE IL MODULO SEGUENTE

      Richiesta:*

      Nome, cognome, Ente o Società:*

      Email:*

      N.B. I servizi sono attivabili su richiesta e modulabili sulla base di specifiche esigenze. Per ulteriori informazioni si invita a visitare le pagine dedicate del sito oppure a contattare info@sentenzeappalti.it.

      PRIVACY. Letta l’informativa sulla privacy, si acconsente all’utilizzo dei dati inseriti nel presente modulo ed all’invio di eventuale materiale informativo. 
      

      Accettazione privacy*

      Gestione degli accordi quadro e delle convenzioni Consip : indicazioni da ANAC

      Indicazioni in merito alla gestione degli accordi quadro e delle convenzioni quadro di cui all’articolo 3, comma 1, lettera cccc) del Codice dei contratti pubblici.

      Comunicato del Presidente del 7 luglio 2021

      Nell’esercizio dell’attività istituzionale di competenza dell’Autorità sono emerse criticità nella gestione degli accordi quadro e delle convenzioni da parte di alcune centrali committenza e soggetti aggregatori. In particolare, sono stati accertati errori nella stima dei fabbisogni delle amministrazioni aderenti e carenze nell’indicazione dei limiti individuali di adesione, oltre che l’omissione dei controlli sull’esecuzione degli accordi. Sulla base di tali problematiche, è emersa l’esigenza di richiamare gli enti interessati alla corretta applicazione della normativa vigente e alla esatta ripartizione delle competenze tra il soggetto centralizzatore/aggregatore degli acquisti, il fornitore e l’amministrazione aderente agli accordi.
      L’articolo 3, comma 1, lettera cccc) del codice dei contratti pubblici definisce «strumenti di acquisto» gli strumenti di acquisizione che non richiedono apertura del confronto competitivo, tra cui rientrano:
      i) le convenzioni quadro di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stipulate, ai sensi della normativa vigente, da Consip S.p.A. e dai soggetti aggregatori;
      ii) gli accordi quadro stipulati da centrali di committenza quando gli appalti specifici vengono aggiudicati senza riapertura del confronto competitivo;
      iii) il mercato elettronico realizzato da centrali di committenza nel caso di acquisti effettuati a catalogo.
      La legge 3 dicembre 1999, n. 488 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (Legge finanziaria 2000), all’articolo 26 – Acquisto di beni e servizi – stabilisce che «Il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, stipula, anche avvalendosi di società di consulenza specializzate, selezionate anche in deroga alla normativa di contabilità pubblica, con procedure competitive tra primarie società nazionali ed estere, convenzioni con le quali l’impresa prescelta si impegna ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi deliberati dalle amministrazioni dello Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria».
      Il decreto 24 febbraio 2000 recante «Conferimento alla Consip S.p.a. dell’incarico di stipulare convenzioni e contratti quadro per l’acquisto di beni e servizi per conto delle amministrazioni dello Stato» attribuisce espressamente alla centrale di committenza:
      a) funzioni di assistenza alle stazioni appaltanti nel pianificare e monitorare i volumi complessivi dei fabbisogni dei diversi beni e servizi, definendo gli standard e le modalità per le analisi comparativeinterne ed esterne;
      b) l’utilizzo, sia in fase preventiva che nella gestione della convenzione e dei contratti quadro, di strumenti idonei alla realizzazione del monitoraggio dei consumi e al controllo della spesa;
      c) il compito di determinare le modalità di adesione delle amministrazioni alle convenzioni e ai contratti quadro;
      d) il compito di garantire un’attività di supporto a richiesta su specifiche esigenze della pubblica amministrazione e di comunicazione e informazione sulle attività poste in essere.
      L’Autorità ritiene che da tali previsioni possano essere tratte utili indicazioni di principio valevoli per tutte le forme di aggregazione e centralizzazione delle committenze, a prescindere dalle obbligazioni assunte contrattualmente. Ciò in considerazione:
      i) della coincidenza di funzioni e finalità perseguite;
      ii) di motivi di opportunità che impongono il controllo dell’esecuzione dell’accordo/convenzione e, in particolare, delle adesioni successive.
      L’esigenza è quella di garantire il rispetto della normativa vigente e, in particolare, di scongiurare che, attraverso adesioni in aumento rispetto ai fabbisogni stimati, si verifichi il superamento della capienza massima dell’accordo, in contrasto con le regole dell’evidenza pubblica.
      Ciò posto, si richiamano le centrali di committenza, i soggetti aggregatori e le stazioni appaltanti al rispetto delle seguenti indicazioni. Le centrali di committenza e i soggetti aggregatori supportano le stazioni appaltanti nella pianificazione dei fabbisogni e nel monitoraggio dei consumi e della spesa, al fine della corretta quantificazione della domanda complessiva e, quindi, dell’importo da porre a base di gara per l’affidamento dell’accordo quadro o della convenzione. Sulla base dei fabbisogni comunicati dalle stazioni appaltanti interessate, le centrali di committenza e i soggetti aggregatori pianificano le gare da approntare nel periodo di riferimento. Le centrali di committenza e i soggetti aggregatori definiscono chiaramente le modalità di adesione all’accordo quadro / convenzione, la capienza massima dell’accordo e i limiti quantitativi imposti a ciascuna stazione appaltante. Definiscono, altresì, le condizioni e le modalità per l’adesione in misura superiore rispetto al fabbisogno stimato, ad esempio, richiedendo la sottoscrizione di un nuovo contratto con ilfornitore nei limiti della capienza massima dell’accordo / convenzione.
      Le centrali di committenza e i soggetti aggregatori disciplinano, in modo chiaro e dettagliato, gli obblighi posti a carico del fornitore. Lo stesso può impegnarsi nei limiti dell’importo massimo previsto nell’accordo/convenzione; pertanto, al fine del rispetto di tale limite, è essenziale procedere al monitoraggio costante delle adesioni, prevedendo idonee azioni di comunicazione e di controllo, con individuazione dei soggetti responsabili.
      Con riferimento ai contratti destinati ad un elevato numero di stazioni appaltanti, sarebbe preferibile la previsione di un sistema di controllo automatizzato che blocchi nuove adesioni al raggiungimento della capienza massima dell’accordo. Le centrali di committenza / soggetti aggregatori controllano l’esecuzione dell’accordo quadro / convenzione, anche al fine del monitoraggio dei consumi e della spesa. Tale attività è distinta rispetto al controllo in merito all’esecuzione dei contratti discendenti, che è rimesso, invece, alla singola amministrazione. Ciò, a meno che la delega di funzioni in favore della centrale di committenza/soggetto aggregatore non riguardi anche la fase di esecuzione del contratto discendente.
      In tale ipotesi spetta al soggetto delegato anche il controllo dell’esecuzione del contratto discendente. Le centrali di committenza e i soggetti aggregatori possono prevedere, nel bando di gara, misure per garantire la continuità del servizio o della fornitura nel caso in cui la capienza massima sia raggiunta prima del termine fissato di vigenza dell’accordo quadro / convenzione, quali la possibilità dell’attivazione di lotti aggiuntivi per il caso in cui sia esaurita la capienza dell’accordo con riferimento ad alcuni lotti. Nel caso in cui, a seguito di circostanze impreviste e imprevedibili, si renda necessario procedere alla variazione dell’accordo quadro o della convenzione, la modifica deve essere autorizzata dal RUP del modulo aggregativo al ricorrere dei presupposti previsti dall’articolo 106 del codice dei contratti pubblici e nei limiti ivi previsti. La variazione autorizzata si ripercuote sui contratti di adesione, determinandone la possibilità di aumento nei limiti della nuova capienza dell’accordo quadro. Per ulteriori chiarimenti si vedano il Comunicato del Presidente del 27 marzo 2021 e la Delibera n. 461 del 16 giugno 2021.

      Organismo di diritto pubblico ed applicazione del Codice dei contratti pubblici

      Consiglio di Stato, sez. V, 15.07.2021 n. 5348

      Aspetto decisivo ed assorbente della stessa è la possibilità o meno di attribuire, nel caso di specie, la natura di organismo di diritto pubblico alla FIGC, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016 e dell’art. 2, comma primo, p.to 4 della direttiva UE n. 24 del 2014 (cfr. già l’art. 2, par. 9 della direttiva 2004/18/CE).
      La riconduzione a tale categoria, infatti, comporterebbe l’obbligo per la FIGC di applicare alle proprie gare d’appalto la disciplina prevista dal vigente Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50), ai sensi del combinato disposto degli artt. 1, comma primo e 3, comma primo lett. a) del medesimo decreto legislativo.
      Tre sono, come noto, le condizioni perché possa parlarsi di un “organismo di diritto pubblico” ai fini dell’applicazione della normativa in questione: deve trattarsi, in particolare, di un soggetto 1) dotato di personalità giuridica; 2) sottoposto ad influenza pubblica dominante; 3) istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale.
      Si tratta, in ispecie, di una tipologia di amministrazione fondata su parametri oggettivi, ossia sulla tipologia delle attività esercitate e sulla natura delle stesse; i requisiti in questione non sono inoltre tra loro alternativi, ma devono essere posseduti cumulativamente (ex multis, Cons. Stato, V, 12 dicembre 2018, n. 7031) e sono valutati dal giudice caso per caso, in quanto l’elenco degli organismi di diritto pubblico – di cui all’allegato IV del Codice dei contratti pubblici – non ha carattere tassativo ma solo esemplificativo.
      In questi termini, può ben condividersi la valutazione del primo giudice per cui, ai fini della qualificazione in esame, “occorre in primo luogo analizzare la configurazione data dal legislatore alle federazioni sportive. In merito il d.lgs. n. 242/1999, dopo avere previsto all’art. 1 che il “Il Comitato olimpico nazionale italiano … ha personalità giuridica di diritto pubblico … ed è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali”, al successivo art. 15 dispone che “Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del CONI. Ad esse partecipano società ed associazioni sportive e, nei soli casi previsti dagli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate in relazione alla particolare attività, anche singoli tesserati” (comma 1), precisando che “Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione” (comma 2).
      Si tratta, pertanto, di enti cui il legislatore ha attribuito personalità giuridica di diritto privato, cui però sono assegnate funzioni di rilievo pubblicistico quali, secondo lo Statuto del CONI, art. 23, quelle “relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associazioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di
      affiliazione; al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici; all’utilizzazione di contributi pubblici, alla prevenzione e repressione del doping, nonché le attività relative alla preparazione olimpica e all’alto livello di formazione dei tecnici, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi”.
      Le Federazioni sportive sono quindi istituzionalmente deputate allo svolgimento delle funzioni sopra elencate, di modo che la connotazione privatistica della forma associativa dalle stesse rivestite convive, per definizione, con la valenza pubblicistica di parte delle attività svolte.
      Dall’espressa dizione legislativa risulta la sussistenza del requisito, richiesto per la configurabilità dell’organismo di diritto pubblico, della personalità giuridica; né può dubitarsi del fatto che le fondazioni siano istituite per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, essendo le stesse, come visto, enti senza fini di lucro deputati al controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici, alla preparazione olimpica, all’utilizzazione e alla gestione degli impianti sportivi”.
      Ritiene invece il Collegio di non poter condividere le conclusioni raggiunte nelle sentenze appellate in ordine al il terzo requisito, dato alternativamente: 1) dall’essere l’attività dell’ente finanziata in modo maggioritario dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico; 2) dalla circostanza che la gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi; 3) ovvero che l’organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.
      Al riguardo, la richiamata decisione del 3 febbraio 2021 della Corte di giustizia dell’Unione europea è nel senso che “i criteri alternativi figuranti all’articolo 2, paragrafo 1, punto 4, lettera c), della direttiva 2014/24, quali ricordati al punto 34 della presente sentenza, rispecchiano tutti la stretta dipendenza di un organismo nei confronti dello Stato, delle autorità regionali o locali o di altri organismi di diritto pubblico, e che, per quanto riguarda più precisamente il criterio relativo alla vigilanza sulla gestione, una vigilanza siffatta si basa sulla constatazione di un controllo attivo sulla gestione dell’organismo in questione idoneo a creare una dipendenza di quest’ultimo nei confronti dei poteri pubblici, equivalente a quella che esiste allorché è soddisfatto uno degli altri due criteri alternativi, ciò che può consentire ai poteri pubblici di influire sulle decisioni del suddetto organismo in materia di appalti pubblici (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2003, Adolf Truley, C-373/00, EU:C:2003:110, punti 68, 69 e 73 nonché la giurisprudenza ivi citata)”.
      Sulla base di tali presupposti, se è vero che, in linea di principio, un controllo a posteriori non soddisfa il secondo dei criteri alternativi previsti dall’art. 2, par. 1, punto 4, lettera c), della direttiva 2014/24/UE – il quale deve essere interpretato “nel senso che la gestione di una federazione sportiva nazionale deve considerarsi posta sotto la vigilanza di un’autorità pubblica, tenendo conto, da un lato, dei poteri di cui tale autorità è investita nei confronti di una federazione siffatta e, dall’altro, del fatto che gli organi fondamentali di detta autorità sono composti in via maggioritaria da rappresentanti dell’insieme delle federazioni sportive nazionali” – in quanto non consente ai poteri pubblici di influire sulle decisioni dell’organismo de quo in tale settore (cfr. Corte giust. UE 12 settembre 2013, IVD, C-526/11, EU:C:2013:543, p.to 29 e giurisprudenza ivi citata), va però verificato, caso per caso, se “nei fatti, i diversi poteri spettanti al CONI nei confronti della FIGC hanno l’effetto di creare una dipendenza di tale federazione rispetto al CONI, tale per cui quest’ultimo possa influire sulle decisioni di detta federazione in materia di appalti pubblici.
      A questo proposito, lo spirito di competizione sportiva, la cui organizzazione e concreta gestione sono di spettanza delle federazioni sportive nazionali, come si è detto al punto 55 della presente sentenza, impone di non considerare tali diversi poteri del CONI in un’accezione troppo tecnica, ma di dare agli stessi un’interpretazione più sostanziale che formale”.
      Ritiene il Collegio, ad un complessivo esame delle risultanze di causa, che i poteri di direzione e controllo del CONI nei confronti della FIGC non siano tali da imporre a quest’ultima – per la quale, va ricordato, non opera (a differenza della maggior parte delle Federazioni sportive nazionali) il decisivo principio del finanziamento pubblico maggioritario – regole di gestione dettagliate e pervasive.
      Non è infatti dato riscontrare – per mutuare le parole della Corte di giustizia – che il riconoscimento della FIGC ai fini sportivi consenta, di per sé solo, al CONI di esercitare (sia pure successivamente) un controllo attivo sulla gestione di tale Federazione, al punto di consentirgli di influire sulle decisioni di quest’ultima in materia di appalti pubblici. Né un potere di tal genere è implicito nella possibilità – attribuita sempre al CONI dall’art. 5, comma 2, lett. a) e dall’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 242 del 1999, oltre che dagli artt. 20, comma 4 e 23, commi 1-bis e 1-ter del relativo Statuto – di adottare nei confronti delle Federazioni sportive italiane atti di indirizzo, deliberazioni, orientamenti e istruzioni concernenti l’esercizio dell’attività sportiva disciplinata dalle stesse.
      D’altro canto, le stesse difese del CONI in giudizio danno atto di come le disposizioni appena richiamate siano solamente finalizzate ad imporre alle Federazioni sportive nazionali regole generali ed astratte, relative più in generale all’organizzazione sportiva nella sua dimensione pubblica, ma non anche a consentire un intervento diretto ed attivo nella loro attività di gestione, così da poter influire sulle decisioni in materia di appalti pubblici.
      In ordine poi al potere del CONI di approvare – limitatamente ai fini sportivi – gli statuti delle Federazioni sportive nazionali di cui agli artt. 7, comma 5 lett. 1) e 22, comma 5, del proprio Statuto, va rilevato che la sottostante valutazione è in realtà circoscritta al riscontro di conformità degli statuti alla legge, allo Statuto del CONI ed ai principi fondamentali stabiliti dal CONI stesso.
      In questi termini, non è dato quindi individuare l’imposizione alla FIGC di vincoli idonei a comprimerne l’autonomia di gestione interna.
      Neppure è decisiva, in favore della qualificazione come organismo di diritto pubblico della FIGC, l’attribuzione al CONI del potere di approvare i bilanci consuntivi e quelli di previsione annuali delle Federazioni sportive nazionali, ex artt. 15, comma 3, d.lgs. n. 242 del 1999 e 7, comma 5, lettera g2) e 23, comma 2, del relativo Statuto, non essendo stato fornito dal CONI alcun riscontro da cui poter desumere che, obiettivamente, si sia in presenza di un intervento più pervasivo rispetto alla mera verifica contabile dei bilanci consuntivi e dell’equilibrio del bilancio di previsione, sino a comportare un vero e proprio controllo attivo sulla gestione di detta Federazione.
      Al riguardo, è la stessa difesa del CONI a riconoscere che “il CONI non ha, in materia, il potere di apporre un proprio veto sull’approvazione del bilancio, il quale, infatti, in caso di mancata approvazione da parte della Giunta, può (rectius: deve) essere approvato dall’Assemblea federale”.
      Trattasi dunque di una forma di controllo solamente indiretto nei confronti delle attività economiche svolte dalle Federazioni, per di più limitato al rispetto dei vincoli di destinazione (in sé piuttosto generici) apposti alla contribuzione pubblica – contribuzione che nel caso della FIGC è minoritaria ai fini della copertura delle spese da questa sostenute, in quanto pari ad appena il 21% circa delle entrate della Federazione – ossia la promozione dello sport giovanile, la preparazione olimpica e lo svolgimento di attività di alto livello.
      Analogamente dicasi per il potere – attribuito al CONI dall’art. 5, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 242 del 1999, nonché dall’art. 6, comma 4, lettere e) ed el), dall’art. 7, comma 5, lettera e) e dall’art. 23, comma 3, del relativo Statuto – di controllare l’esercizio delle attività a valenza pubblicistica affidate alle Federazioni sportive nazionali nonché, più in generale, il buon funzionamento delle stesse, circoscritto ai settori del regolare svolgimento delle competizioni, della preparazione olimpica, dell’attività sportiva di alto livello e dell’utilizzazione degli aiuti finanziari.
      Tali conclusioni non vengono neppure contraddette dal combinato disposto degli artt. 7 e 9 della Deliberazione CONI n. 1271 del 2004, per cui il Comitato “può richiedere documenti e disporre ispezioni per verifiche nella gestione amministrativo contabile delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate riferita al contributo erogato. La Giunta Nazionale, qualora attraverso gli atti in suo possesso o gli accertamenti svolti, riscontri irregolarità relative all’utilizzazione dei finanziamenti per attività o spese non attinenti alle finalità delle Federazioni sportive nazionali […] adotta i provvedimenti necessari e può proporre al Consiglio Nazionale l’irrogazione delle sanzioni di cui all’articolo 9”.
      Sebbene a detto riscontro possa far seguito, a seconda della gravità dell’infrazione riscontrata, la sospensione o la riduzione dei contributi – ovvero ancora la decadenza dagli stessi – laddove l’irregolarità non sia stata rimossa, non è dato desumere che “riguardi altresì la gestione in corso delle suddette federazioni, segnatamente sotto il profilo dell’esattezza delle cifre, della regolarità, della ricerca di economie di spesa, della redditività e della razionalità” (Corte giust. UE, 27 febbraio 2003, Adolf Truley, C-373/00, EU:C:2003:110, punto 73).
      Circa poi il potere del CONI di nominare, a norma dell’art. 7, comma 5, lettera hi) del suo Statuto, dei revisori dei conti in propria rappresentanza nelle Federazioni sportive nazionali (lo Statuto della FIGC prevede, all’art. 31, che “Il Collegio dei revisori dei conti è composto dal Presidente, eletto dall’Assemblea, e da due componenti, nominati dal CONI”), è lo stesso Comitato Olimpico Nazionale a riconoscere, nei propri scritti difensivi, che ai detti “revisori dei conti non è consentito determinare la politica generale o il programma della Federazioni”. Il che a fortiori esclude che tali revisori possano influire sulla politica di gestione della Federazione suddetta, segnatamente in materia di appalti pubblici, non essendo decisivo a sminuire il precedente rilievo l’appunto per cui il collegio dei revisori dei conti – organo che esercita il controllo contabile della FIGC – nella sua composizione, subirebbe pur sempre la maggioranza delle nomine dal CONI (due revisori dei conti ed il Presidente, quest’ultimo eletto dall’Assemblea federale).
      Analogamente non è possibile desumere la sussistenza dei presupposti per qualificare la FIGC quale organismo di diritto pubblico dal generale potere del CONI di commissariare le Federazioni sportive nazionali in caso di gravi irregolarità nella gestione, di gravi violazioni dell’ordinamento sportivo, di impossibilità di funzionamento di tali federazioni o di problemi di regolarità delle competizioni sportive (ex atrt. 5, comma 2, lettera e-ter ed art. 7, comma 2, lettera f) del d.lgs. n. 242 del 1999, nonché art. 6, comma 4, lettera fi, art. 7, comma 5, lettera f e art. 23, comma 3, dello Statuto del CONI), non emergendo dagli atti di causa – e segnatamente dalle difese del Comitato Olimpico Nazionale – elementi da cui desumere che l’esercizio di tale potere implichi un controllo permanente sulla gestione di tali Federazioni.
      Alla luce delle considerazioni che precedono, deve dunque concludersi che la Federazione Italiana Giuoco Calcio non è riconducibile al novero degli organismi di diritto pubblico, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3, lett. d), del d.lgs. n. 50 del 2016 ed all’art. 2, comma primo, p.to 4 della direttiva UE n. 24 del 2014. Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore di quello civile, in ordine alla specifica vertenza per cui è causa, con conseguente applicazione del regime processuale di cui all’art. 11 Cod. proc. amm.

      Appalto di servizi – Concessione di servizi – Differenze (art. 3 , art. 164 d.lgs. n. 50/2016)

      Consiglio di Stato, sez. VI, 04.05.2020 n. 2810

      In linea di diritto, occorre premettere che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la differenza tra un appalto di servizi e una concessione di servizi risiede nel corrispettivo della fornitura di servizi, nel senso che un appalto pubblico di servizi comporta un corrispettivo che è pagato direttamente dall’amministrazione aggiudicatrice al prestatore di servizi, mentre si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assuma il rischio legato alla gestione dei servizi in questione (CGUE 15 ottobre 2009, nella causa C-196/08; CGUE 13 novembre 2008, nella causa C-437/07); in particolare, una concessione di servizi richiede che l’amministrazione concedente/aggiudicatrice abbia trasferito integralmente o in misura significativa all’operatore privato il rischio di gestione economica connesso all’esecuzione del servizio (v. CGUE 21 maggio 2015, nella causa C-269/14). In altri termini, la figura della concessione è connotata dall’elemento del trasferimento all’impresa concessionaria del rischio operativo, inteso come rischio di esposizione alle fluttuazioni di mercato che possono derivare da un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta, ossia da fattori al di fuori dalla sfera di controllo delle parti (v. il Considerando 20 e l’art. 5, n. 1, della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione).

      Tale orientamento è, peraltro, stato recepito dall’art. dall’art. 3, comma 1, lettera vv), d.lgs. n. 50/2016, che definisce come “concessione di servizi” un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera ll) riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi.
      Anche secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato l’elemento qualificante della concessione di servizi è costituito dal trasferimento del rischio economico/operativo a carico dell’affidatario. In particolare, è stato affermato che, nel campo dei servizi pubblici, si ha concessione, quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto, quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’amministrazione aggiudicatrice, sicché può affermarsi che è la modalità della remunerazione il tratto distintivo della concessione dall’appalto di servizi (v. Cons. Stato, Sez. VI , 4 settembre 2012, n. 4682; Cons. Stato, Sez. V, 3 maggio 2012 n. 2531).  

      Sistema dinamico di acquisizione per acquisti di uso corrente: servizi di pulizia ed igiene ambientale, servizi sanitari, sociali e connessi

      Il sistema dinamico di acquisizione è un procedimento di acquisizione interamente elettronico, per acquisti di uso corrente, le cui caratteristiche generalmente disponibili sul mercato soddisfano le esigenze di una stazione appaltante, aperto per tutta la sua durata a qualsivoglia operatore economico che soddisfi i criteri di selezione (art. 3, lett. aaaa, d.lgs. n. 50/2016).

      Per acquisti di uso corrente, le cui caratteristiche, così come generalmente disponibili sul mercato, soddisfano le esigenze delle stazioni appaltanti, è possibile avvalersi di un sistema dinamico di acquisizione, che può essere diviso in categorie definite di prodotti, lavori o servizi sulla base delle caratteristiche dell’appalto da eseguire. Tali caratteristiche possono comprendere un riferimento al quantitativo massimo ammissibile degli appalti specifici successivi o a un’area geografica specifica in cui gli appalti saranno eseguiti (art. 55, d.lgs. n. 50/2016).

      Recentemente il Consiglio di Stato, sez. V, 26.03.2020 n. 2094 ha affrontato il tema della compatibilità del sistema dinamico di acquisizione con l’affidamento dei servizi di pulizia, alla luce del richiamato art. 55, che ne consentirebbe l’utilizzo solamente per acquisti di uso corrente, con caratteristiche standardizzate.
      Secondo la richiamata pronuncia, tuttavia, il servizio di pulizia risente di tanti elementi, oltre che del fattore umano, dei macchinari e dei prodotti utilizzati, nessuno dei quali ne escluderebbe la natura di acquisto di uso corrente (tale è il parametro di legge, e non già quello del “servizio standardizzato”, che era contemplato nel precedente regime di cui al d.lgs. n. 163 del 2006). Appare dunque postulabile la compatibilità del sistema dinamico di acquisizione per i servizi di pulizia ed igiene ambientale di cui necessitano le amministrazioni, aventi di regola le medesime caratteristiche.

      Analogamente, il TAR Firenze, 28.03.2020 n. 371 si è pronunciato a favore della praticabilità del sistema dinamico di acquisizione relativamente ai servizi sanitari, sociali e connessi, in base al dato normativo di cui all’art. 142, comma 5 sexies, del d.lgs. n. 50/2016, il quale prevede l’applicabilità delle procedure di aggiudicazione disciplinate dagli articoli da 54 a 58 e da 60 a 65.

        PER QUESITI O INFORMAZIONI SUI SERVIZI DI RISPOSTA RAPIDA, CONSULENZA E SUPPORTO SPECIALISTICO E SULLA PIATTAFORMA GARE TELEMATICHE DI SENTENZEAPPALTI.IT O PER UN PREVENTIVO GRATUITO, SI INVITA A COMPILARE IL MODULO SEGUENTE

        Richiesta:*

        Nome, cognome, Ente o Società:*

        Email:*

        N.B. I servizi sono attivabili su richiesta e modulabili sulla base di specifiche esigenze. Per ulteriori informazioni si invita a visitare le pagine dedicate del sito oppure a contattare info@sentenzeappalti.it.

        PRIVACY. Letta l’informativa sulla privacy, si acconsente all’utilizzo dei dati inseriti nel presente modulo ed all’invio di eventuale materiale informativo. 
        

        Accettazione privacy*

        Attività accessorie e di supporto alla progettazione – Ancorché non abbiano comportato la firma di elaborati progettuali – Utilizzo come requisiti di partecipazione per l’affidamento dei servizi di architettura e ingegneria – Limiti (art. 3 , art. 46 d.lgs. n. 50/2016)

        TAR Firenze, 19.03.2020 n. 343

        L’art. 252 del D.P.R. 207/2010 ricomprendeva fra i servizi di architettura ed ingegneria quelli concernenti la redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, del piano di sicurezza e coordinamento e le attività tecnico amministrative concernenti la progettazione.
        La predetta norma è stata espressamente abrogata dal D.Lgs 50/2016 e sostituita dall’art. 3 comma 1 lett. vvvvv) del predetto decreto il quale, invece, definisce più genericamente la predetta tipologia di servizi come “servizi riservati ad operatori economici esercenti una professione regolamentata ai sensi dell’art. 3 della direttiva 2005/36/CE”.
        Sulla scorta di tale modifica normativa l’ANAC ha condivisibilmente ritenuto che nell’attuale contesto normativo possano essere spesi come requisiti di partecipazione alle procedure per l’affidamento dei servizi di architettura ed ingegneria i servizi di consulenza afferenti attività accessorie e di supporto alla progettazione, ancorché non abbiano comportato la firma di elaborati progettuali, a condizione: a) che si tratti di attività svolte nell’esercizio di una professione regolamentata per la quale è richiesta una particolare qualifica professionale; b) che l’esecuzione della prestazione sia documentata mediante contratto di conferimento dell’incarico e relative fatture di pagamento (comunicato del Presidente dell’ANAC del 14/12/2016 il cui contenuto è stato ripreso nelle Linee guida n. 1).

        [rif. art. 46 d.lgs. n. 50/2016)

        Concessione o appalto di servizi – Affidamento in uso di un bene pubblico – Differenze strutturali – Riflessi sulla verifica di anomalia (art. 3 , art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

        TAR Brescia, 20.01.2020 n. 45 

        La giurisprudenza (sia quella amministrativa sia quella della Corte di cassazione) [ha] pacificamente qualificato come concessione di servizi il rapporto con cui una p.a. affida ad un privato la gestione di un servizio bar e ristorazione all’interno di un complesso immobiliare di proprietà demaniale. Su tale piano è stato, infatti, ormai chiarito, con principi validi anche per la vicenda per cui è causa, che, ad esempio, “va qualificato come concessione di servizi il rapporto con cui è stato affidato da una Azienda sanitaria ad un privato la gestione di un servizio bar e ristorazione all’interno di un complesso ospedaliero, in quanto sussistono entrambi i requisiti contenutistici: il servizio di gestione del bar interno è reso ad un pubblico di utenti del presidio ospedaliero, ed il rischio di gestione del servizio ricade sull’aggiudicatario, che non è dunque remunerato dall’Amministrazione, ma si rifà sugli utenti. Né può indurre ad una diversa soluzione la circostanza che, in correlazione anche con l’affidamento in uso di locali (…), sia previsto dal bando di gara il versamento, da parte del concessionario, di un canone annuo, come pure l’obbligo dello stesso di svolgere i lavori di predisposizione e di adeguamento funzionale dei locali. Poiché l’attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale costituisce un pubblico servizio, nel caso di specie vista la natura mista del rapporto risultavano applicabili alla procedura per l’affidamento le regole della concessione di servizi ovvero di altro modulo procedimentale che tenesse nella debita considerazione, sul piano dinamico, lo svolgimento dell’attività” (cfr., ex aliis, T.A.R. Molise, n. 26 del 2010).” (TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 10 gennaio 2018, n. 18) [rif. art. 3 d.lgs. n. 50/2016, ndr.].

        Va riconosciuto, comunque, che il rispetto della disciplina relativa al giudizio di congruità dell’offerta deve essere nella specie scrutinato tenendo in considerazione le differenze strutturali sussistenti tra concessione e appalto; diversamente da quanto accade per gli appalti di servizi, ove la prestazione è resa in favore dell’amministrazione, per le concessioni il compenso di cui beneficia l’aggiudicatario deriva direttamente dall’utenza che fruisce del servizio ed il rischio economico connesso alla gestione e all’eventuale stima in difetto delle voci di spesa non ricade sull’amministrazione, alla quale è comunque riconosciuto il canone. [rif. art. 97 d.lgs. n. 50/2016, ndr.]

        Tanto premesso, per orientamento giurisprudenziale consolidato il sub-procedimento di anomalia dell’offerta è finalizzato a verificare, anche attraverso il contraddittorio con il concorrente interessato, la complessiva serietà, attendibilità e sostenibilità della sua offerta e non mira a ricercarne specifiche e singole inesattezze. Il giudizio finale ha carattere tecnico-discrezionale ed è sindacabile in sede giurisdizionale limitatamente ai casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza o travisamento dei fatti emersi nell’istruttoria, non potendo il vaglio sul corretto esercizio del potere sfociare in una nuova valutazione dell’offerta o di sue singole voci da parte del giudice amministrativo. (Ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2018, n. 2603). Peraltro lo scostamento del costo della manodopera da quello indicato dalle tabelle ministeriali di cui all’articolo 23, comma 16 del d.lgs. 50/2016 non comporta un giudizio necessitato di anomalia e inadeguatezza dell’offerta, costituendo detti valori un mero parametro di riferimento, da cui è possibile discostarsi in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità di costi inferiori, fermo restando il necessario rispetto dei minimi salariali retributivi.