La controinteressata ha dimostrato di essere in possesso dell’attestazione SOA in questione sin dal 28 ottobre 2022, quindi in data antecedente alla delibera di indizione della gara in esame.
Vero è che l’attestazione non risultava sul portale ANAC, ma il mancato inserimento non comporta l’inefficacia dell’attestazione.
In particolare, per l’art. 86, comma 1, d.lgs. 50/2016 i “soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, provano il possesso dei requisiti di qualificazione di cui all’articolo 83, mediante attestazione da parte degli appositi organismi di diritto privato autorizzati dall’ANAC”.
In sostanza, il possesso dell’attestazione SOA non acquista efficacia all’atto dell’inserimento sul portale ANAC ma all’atto del rilascio della relativa certificazione da parte dell’organismo accreditato che svolge “una funzione pubblicistica di certificazione, che sfocia nel rilascio di un’attestazione con valore di atto pubblico, sicché la loro attività configura un “esercizio privato di pubblica funzione” e le attestazioni di qualificazione, risultato dell’attività di certificazione delle SOA, sono peculiari atti pubblici, destinati ad avere una specifica efficacia probatoria” (TAR Lazio, sez. I, 11 novembre 2019, n. 12934).
Quesito: La scrivente Stazione appaltante è nella fase di aggiudicazione di una procedura bandita ai sensi del d.lgs. 50/2016. L’offerente verso cui è stata disposta, da parte del RUP, la proposta di aggiudicazione è un operatore estero transfrontaliero extra UE, con sede legale in UK. Come noto, a partire dalla mezzanotte del 31 gennaio 2020, il Regno Unito non è più uno Stato membro dell’UE ed è pertanto considerato un “Paese terzo” anche in materia di appalti pubblici Corre l’obbligo di evidenziare, tuttavia, che il 1º gennaio 2021 il Regno Unito ha aderito all’accordo dell’OMC sugli appalti pubblici e che a norma di tale accordo “l’Unione europea e il Regno Unito si sono reciprocamente impegnati a garantire agli operatori, ai beni e ai servizi dell’altra parte l’accesso a determinate opportunità nel settore degli appalti pubblici”. Ciò premesso, la scrivente stazione appaltante si interroga sulle modalità di verifica circa l’effettivo possesso da parte del predetto operatore economico dei requisiti di partecipazione, atteso che l’art. 88 prevede espressamente che “Le stazioni appaltanti al fine di facilitare la presentazione di offerte transfrontaliere, le informazioni concernenti i certificati e altre forme di prove documentali… richiedono in primo luogo i tipi di certificati o le forme di prove documentali che sono contemplati da e-Certis”. Risulta però che tale sistema non sia utilizzabile per operatori esterni all’UE, tanto che i certificati dei paesi con sede UK non sono selezionabili. Alla luce di tale problematica, si chiede con che modalità la scrivente Stazione appaltante può procedere con il controllo sull’effettivo possesso dei requisiti generali ex art. 80 del d.lgs. 50/2016 in capo all’operatore economico, atteso che anche il sistema E-certis non pare applicabile al caso di specie e che all’interno della normativa non pare delineata alcuna specifica procedura per la problematica de qua.
Risposta: Con riferimento al quesito posto, si rappresenta che, ai fini dello svolgimento delle verifiche sui requisiti di partecipazione, l’art. 86 del Codice reca un elenco tassativo di mezzi di prova che possono essere chiesti direttamente agli operatori economici, ponendo, per il resto, in capo alle stazioni appaltanti l’onere di ricercare i documenti probatori d’ufficio. Orbene, in assenza di disposizioni codicistiche specifiche in ordine alla verifica della sussistenza dei requisiti di partecipazione in capo agli operatori economici non aventi sede legale in uno dei Paesi membri dell’UE, si ritiene applicabile l’art. 3 del D.P.R. n. 445/2000: in particolare, gli stati, le qualità personali e i fatti, sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all’originale, dopo aver ammonito l’interessato sulle conseguenze penali della produzione di atti o documenti non veritieri. In alternativa, si ritiene opportuno chiedere direttamente al soggetto interessato la produzione di una dichiarazione giurata resa dinanzi all’autorità giudiziaria o amministrativa competente, a un notaio o a un organismo professionale qualificato a riceverla nel Paese di origine o di provenienza. (Parere MIMS n. 1359/2022)
Il Collegio ritiene che il requisito delle referenze bancarie vada interpretato in modo non restrittivo in accordo con il principio del “favor partecipationis”. Del resto, l’art. 86 co. 4 d.lgs. 50/2016 (cd. codice appalti) in combinato disposto con la parte I dell’allegato XVII al medesimo codice appalti prevede che “di norma” la solidità finanziaria vada dimostrata mediante alcuni mezzi di prova e, in particolare, con: “a) idonee dichiarazioni bancarie o, se del caso, comprovata copertura assicurativa contro i rischi professionali; b) presentazione dei bilanci o di estratti di bilancio, qualora la pubblicazione del bilancio sia obbligatoria in base alla legislazione del paese di stabilimento dell’operatore economico; c) una dichiarazione concernente il fatturato globale e, se del caso, il fatturato del settore di attività oggetto dell’appalto, al massimo per gli ultimi tre esercizi disponibili in base alla data di costituzione o all’avvio delle attività dell’operatore economico, nella misura in cui le informazioni su tali fatturati siano disponibili”.
La disposizione, peraltro, va intesa nel senso che “di norma” debba essere impiegato solo uno dei mezzi di prova richiesti e tanto ha condotto la giurisprudenza a consentire la presentazione di un mezzo alternativo persino in mancanza di un’espressa previsione del bando (v. T.A.R. Palermo sez. III, 04/08/2020, n.1753 nonché T.A.R. Roma, sez. III, 15/03/2021, n.3103) o di ritenere dimostrata la solidità finanziaria sulla scorta dei bilanci anche in mancanza di una delle due referenze bancarie richieste (C.d.S., sez. III, Sent. n. 5294 del 13.7.2021).
[…]
In secondo luogo, anche volendo prescindere dalla conclusione appena raggiunta, va rammentato che le “idonee referenze bancarie” vanno “intese nel senso che gli istituti creditizi devono riferire sulla qualità dei rapporti in atto con le società, per le quali le referenze sono richieste, quali la correttezza e la puntualità di queste nell’adempimento degli impegni assunti con l’istituto, l’assenza di situazioni passive con lo stesso istituto o con altri soggetti, sempre che tali situazioni siano desumibili dai movimenti bancari o da altre informazioni in loro possesso; tali referenze possono essere richieste dalle stazioni appaltanti agli operatori in considerazione della circostanza che hanno una sicura efficacia probatoria dei requisiti economico-finanziari necessari per l’aggiudicazione di contratti pubblici: e ciò in base al fatto notorio che il sistema bancario eroga credito a soggetti affidabili sotto tali profili” (C.d.S., sez. V, n. 2910/2020; v. anche C.d.S., sez. III, Sent. n. 2507/2021).
Piuttosto, oggetto del thema decidendum è l’onere documentale imposto dalla legge di gara per l’attribuzione di un maggior punteggio all’offerta tecnica. Le norme di riferimento non sono tanto quelle che disciplinano la selezione delle offerte relativamente ai requisiti di partecipazione degli operatori economici (sezione II del capo III del titolo III del d.lgs. n. 50 del 2016, in particolare gli artt. 86, in tema di mezzi di prova, e 83, in tema di soccorso istruttorio) quanto quelle che attengono ai criteri di valutazione dell’offerta e di aggiudicazione dell’appalto (titolo IV, in specie artt. 94 e 95, del d.lgs. n. 50 del 2016). In particolare, ai sensi dell’art. 95, comma 1, i criteri di aggiudicazione sono accompagnati da specifiche che consentono “l’efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di valutare il grado di soddisfacimento dei criteri di aggiudicazione delle offerte”, essendo inoltre rimessa alle stazioni appaltanti la verifica della “accuratezza delle informazioni e delle prove fornite dagli offerenti”.
Nella procedura di gara oggetto del presente contenzioso – così come in quella oggetto del precedente di questa Sezione V, 17 luglio 2020, n. 4603, correttamente citato in sentenza perché riguardante un caso analogo, al contrario di quanto si assume con l’appello – il disciplinare di gara indicava la tipologia di documentazione che gli operatori economici avrebbero dovuto produrre a comprova della disponibilità offerta per l’esecuzione contemporanea di più cantieri, e specificava (per di più con l’impiego del grassetto, dato questo non contestato) che l’allegazione del documento era necessaria “al fine dell’attribuzione del punteggio”.
I concorrenti erano, dunque, avvertiti che sarebbe stata ritenuta prova adeguata esclusivamente la predetta documentazione, e non altra, per verificare le informazioni rilevanti ai fini dell’attribuzione del punteggio. La commissione giudicatrice ha attribuito zero punti al r.t.i. -Omissis- per il criterio relativo proprio perché non ha potuto effettuare tale verifica con le modalità richieste dalla legge di gara. In definitiva si è trovata nell’impossibilità di valutare “la coerenza del libro matricola col numero di cantieri contemporaneamente offerti”, quindi dell’impegno del concorrente a garantire “per ognuno dei cantieri eseguiti in contemporanea …il rispetto di tutte le prescrizioni contrattuali nonché delle prestazioni offerte in sede di partecipazione alla procedura di affidamento” (come da criterio B.4). A questa impossibilità non è certo seguita l’esclusione del concorrente – sicché non appaiono pertinenti i precedenti giurisprudenziali richiamati in tema di fattispecie escludenti – bensì la mancata attribuzione del punteggio corrispondente, nel rispetto peraltro del principio di parità di trattamento dei concorrenti. In proposito va tenuto presente quanto chiarito dalla commissione giudicatrice nel corso della seduta del 24 aprile 2020, costituente – come osserva la difesa della controinteressata – ragionevole applicazione del principio dell’auto-vincolo, peraltro del tutto conforme alla prescrizione della legge di gara. 4.2. L’omissione nella quale è incorso il r.t.i. -Omissis- non avrebbe potuto essere colmata mediante la valutazione di altra parte dell’offerta, specificamente del modulo B.7, perché la scelta, chiaramente effettuata dalla stazione appaltante, di collegare l’attribuzione del punteggio non ad una auto-dichiarazione del concorrente bensì ad un documento da tenersi obbligatoriamente da parte degli operatori del settore è funzionale proprio ad evitare le situazioni di incertezza (ivi comprese eventuali contestazioni proprio ai sensi degli artt. 80 d.lgs. n. 50 del 2016 e 77 bis del d.P.R. n. 445 del 2000, citati dall’appellante) e di disparità di trattamento che sarebbero potute derivare da un giudizio della commissione basato su auto-dichiarazioni. Efficace, sul punto, è l’obiezione dell’avvocatura civica per la quale si è voluto evitare che l’auto-dichiarazione di impegno all’esecuzione contemporanea di più cantieri fosse comprovata da un’altra auto-dichiarazione.
Per contro, il l.u.l. è un documento obbligatorio, il cui contenuto è fissato per legge e quindi uguale per tutti gli operatori economici obbligati alla sua tenuta, secondo quanto prescritto 39 (Adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro) del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (“Il datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, deve istituire e tenere il libro unico del lavoro nel quale sono iscritti tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Per ciascun lavoratore devono essere indicati il nome e cognome, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l’anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative.
Nel libro unico del lavoro deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte o gestite dal datore di lavoro, compresi le somme a titolo di rimborso spese, le trattenute a qualsiasi titolo effettuate, le detrazioni fiscali, i dati relativi agli assegni per il nucleo familiare, le prestazioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Le somme erogate a titolo di premio o per prestazioni di lavoro straordinario devono essere indicate specificatamente. Il libro unico del lavoro deve altresì contenere un calendario delle presenze, da cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato, nonché l’indicazione delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro, anche non retribuite, delle ferie e dei riposi. Nella ipotesi in cui al lavoratore venga corrisposta una retribuzione fissa o a giornata intera o a periodi superiori è annotata solo la giornata di presenza al lavoro.”).
Va perciò confermata la statuizione della sentenza secondo cui il l.u.l. non è surrogabile con il contenuto del modulo B.7; né, occorre aggiungere, con altre auto-dichiarazioni del concorrente, sicché nemmeno è condivisibile l’assunto dell’appellante che la stazione appaltante avrebbe potuto – ed anzi dovuto – chiedere chiarimenti.
Le considerazioni che precedono sono sufficienti ad esonerare il collegio dalla verifica in concreto della idoneità delle informazioni contenute nel modulo B7 e/o della loro coincidenza con quelle risultanti dal libro unico del lavoro depositato in atti dall’appellante, dato che nella presente vicenda non solo un’altra parte dell’offerta, ma nemmeno la dichiarazione sostitutiva, era idonea perché non era quanto richiesto dalla legge di gara.
4.3. Dal momento che la quaestio iuris non attiene all’ambiguità dell’offerta, né a carenze documentali concernenti i requisiti di partecipazione delle imprese in r.t.i. sono infondate le censure dell’appellante concernenti sia la richiesta di chiarimenti che l’attivazione del soccorso istruttorio.
Va escluso, come detto, che la legge di gara lasciasse spazio alcuno per la richiesta di chiarimenti. Questi servono ad interpretare la volontà dell’offerente od a superare fraintendimenti o imprecisioni che riguardano elementi dell’offerta, mentre l’onere documentale in contestazione aveva tutt’altro contenuto e diversa finalità.
Unica soluzione praticabile per l’attribuzione del punteggio sarebbe stata quella di consentire al concorrente di produrre tardivamente il libro unico del lavoro delle imprese componenti il raggruppamento, di cui era stata omessa l’allegazione all’offerta tecnica.
Si sarebbe venuto con ciò a determinare un aggravio dell’operato della commissione di gara, non nella fase delle verifiche amministrative (cui è riferito il disposto dell’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016), bensì nella fase di valutazione delle offerte tecniche e di attribuzione del relativo punteggio, con inevitabili e palesi ripercussioni sulla efficacia, tempestività e correttezza della procedura di gara (arg. ex art. 30, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016), nonché sulla certezza e parità di trattamento nel compimento delle operazioni della commissione giudicatrice, che la stazione appaltante aveva inteso salvaguardare dettando la contestata disposizione della legge di gara (come bene evidenziato dal T.a.r. nella motivazione sopra riportata).
4.3.1. I precedenti giurisprudenziali richiamati dall’appellante, sia nell’atto di appello che negli scritti successivi, non sono pertinenti, dal momento che attengono:
– o alla richiesta di chiarimenti per superare le ambiguità dell’offerta (Cons. Stato, n.680/2020) ovvero a situazioni in cui i dati mancanti riguardano l’offerta in sé considerata, sì da poter essere completati con altre parti della stessa offerta o con i documenti prodotti a comprova delle dichiarazioni effettuate (Cons. di Stato, n. 3539/2021);
– o al soccorso istruttorio, anche in relazione ad elementi dell’offerta, ma qualora le carenze documentali nelle quali sia incorso l’operatore economico non costituiscono imprecisioni dell’offerta o difformità di essa rispetto alle prescrizioni del capitolato prestazionale, quanto, piuttosto, inesattezze documentali frutto di meri errori materiali (id est, insiti all’offerta stessa e resi manifesti dal suo medesimo contenuto) o di imprecisioni imputabili alla formulazione degli atti di gara (Cons. Stato, n. 2146/2020) ovvero danno luogo a situazioni di irregolarità non essenziale (come nel caso della certificazione scaduta di cui a Cons. Stato, n. 5850/2021);
– o, infine, a mezzi di prova richiesti per la verifica funzionale dell’offerta, ma la cui presentazione non era imposta dalla legge di gara unitamente a quella dell’offerta medesima, bensì successivamente per attestare la conformità ai CAM dei prodotti offerti (Cons. Stato, n. 3166/2021).
Vale sottolineare che la condotta della stazione appaltante nel caso oggetto del presente giudizio non è in sé contraria al principio del favor partecipationis, perché il mancato rispetto dell’onere documentale in contestazione, a differenza dei casi giurisprudenziali citati, non comportava l’esclusione del concorrente, ma soltanto la mancata attribuzione del punteggio corrispondente ad uno dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica, laddove il suo rispetto era assolutamente esigibile ed agevole per il concorrente, trattandosi di documento nella sua certa disponibilità.
4.3.2. Alla luce di quanto già precedentemente evidenziato, non vengono qui in rilievo carenze documentali dovute a imprecisioni imputabili alla formulazione degli atti di gara, o frutto di meri errori materiali nella compilazione dell’offerta, bensì l’omessa produzione dell’unico documento chiaramente richiesto per l’attribuzione di uno dei punteggi relativi all’offerta tecnica.
In proposito, è pertinente la giurisprudenza sul principio di auto-responsabilità, per il quale ciascuno sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella presentazione della documentazione, anche perché, in presenza dell’inosservanza di oneri documentali imposti chiaramente a tutti i concorrenti, l’invito all’integrazione nei confronti di uno soltanto costituirebbe una palese violazione della par condicio (cfr. Cons. Stato, III, 22 maggio 2019, n. 3331, richiamata dalla difesa comunale).
4.3.3. L’interpretazione di cui sopra è in linea con l’art. 56 della direttiva 2014/24/UE, in specie col comma 3 (Se le informazioni o la documentazione che gli operatori economici devono presentare sono o sembrano essere incomplete o non corrette, o se mancano documenti specifici, le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la presente direttiva, agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione in questione entro un termine adeguato, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza). Nel caso in esame la richiesta di integrazione documentale avrebbe violato il principio della parità di trattamento, in quanto avrebbe consentito di sopperire ad un comportamento negligente del concorrente, nonostante la chiara formulazione della lex specialis.
Conforme è la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di chiarimenti che possano essere richiesti dalle stazioni appaltanti, trattando i candidati “in maniera uguale e leale” e comunque mai per ovviare alla mancanza di un documento o di un’informazione la cui comunicazione era richiesta dai documenti dell’appalto, poiché l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta ad osservare rigorosamente i criteri da essa stessa fissati (cfr. C.G.U.E. 10 maggio 2017, in C-131/16, nonché a contrario, C.G.U.E., 2 giugno 2016, in causa C-27/15).
8. La sentenza appellata ha correttamente ritenuto la legittimità del provvedimento di esclusione dalla procedura, motivato sull’insussistenza del requisito tecnico-organizzativo di cui all’art. 90 del d.P.R. 207/2010, per complessiva insufficienza dei lavori presentati, a comprova del requisito prescritto, in quanto inferiori ad € 150.000,00. 8.1. La Stazione appaltante ha, infatti, a ragione valutato che l’impresa concorrente dovesse essere in possesso, già al momento della partecipazione, del certificato di esecuzione lavori comprovante i requisiti dichiarati in fase di ammissione e che tali certificati dovessero avere una data antecedente alla pubblicazione del bando: con ciò non è incorsa in alcuna confusione tra la qualificazione e il relativo mezzo di prova. 8.2. Come affermato da questo Consiglio di Stato, “non vi è dubbio che altro è l’esecuzione dei lavori e altro è ancora la documentazione dei lavori eseguiti: tuttavia, la lettura sistematica delle disposizioni normative sul Certificato di esecuzione lavori induce a ritenere che solamente l’impresa che sia in possesso, al momento della presentazione della domanda, del CEL può dichiarare il possesso del requisito, poiché solo quell’impresa è in grado di comprovarlo. In ultimo, allora il requisito dell’esecuzione dei lavori coincide con quello del possesso del Certificato di esecuzione dei lavori” (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 28 dicembre 2017, n. 6135). 8.3. Non può, pertanto, condividersi la tesi dell’appellante secondo la quale era sufficiente l’esecuzione, nel quinquennio di riferimento, dei lavori appartenenti alla categoria richiesta dal bando, senza alcuna garanzia circa il buon esito degli stessi, potendo la concorrente produrre tale attestazione anche in un momento successivo alla partecipazione. 8.4. Come bene rilevato dal primo giudice, il principale tra gli argomenti posti a fondamento del ricorso, ovvero che andrebbero distinte la effettiva qualificazione (derivante dallo svolgimento dei lavori) dalla certificazione degli stessi (che costituirebbe solo un mezzo di prova della precedente), si rivela artificiosamente volto a scindere due elementi che, nell’economia della gara, devono coesistere e devono essere posseduti alla data di presentazione della domanda. 8.5. La certificazione dei lavori regolarmente eseguiti è, difatti, elemento essenziale, in quanto attiene alla tutela della necessità che il requisito esperienziale sia certo e validato da parte dell’Autorità munita del potere di verificarne il presupposto e, quindi, deve sussistere al momento della presentazione della domanda: altrimenti, l’ammissione della concorrente perderebbe qualunque predicato di stabilita e certezza, risultando condizionato non già soltanto alla mera prova di quanto dichiarato, ma della stessa regolare esecuzione dei lavori che attiene alla dimensione sostanziale della qualificazione della concorrente; dal che la violazione della par condicio tra tutte le concorrenti e della speditezza del procedimento di gara. Tali principi devono infatti essere garantiti mediante il rispetto di un termine certo entro il quale il partecipante deve possedere i requisiti di qualificazione (che, dichiarati dal concorrente nella domanda di partecipazione, devono essere mantenuti per tutta la gara, sino all’esecuzione dell’affidamento) e le relative complete attestazioni: termine che non può che coincidere con quello della scadenza per la presentazione delle offerte. Pertanto, già in data anteriore alla scadenza del termine di presentazione della domanda, ciascun concorrente doveva disporre dell’attestazione con la prova del buon esito delle lavorazioni pregresse: in caso contrario, come qui avvenuto, l’impresa non risultava né qualificata nel requisito previsto dal bando né in possesso del relativo mezzo di prova. La riserva di prova cui accenna l’appellante va riferita, pertanto, esclusivamente all’attività di controllo che la Stazione appaltante svolge sui requisiti dichiarati dai concorrenti al momento della presentazione della domanda, senza con ciò implicare la possibilità per il concorrente di qualificarsi sino al compimento di tale attività e, dunque, anche in data successiva alla presentazione della domanda. 8.5. La tesi sostenuta dall’appellante contrasta con le disposizioni normative in tema di certificato di esecuzione lavori ed è smentita dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (puntualmente richiamata dalla sentenza appellata: cfr. Cons. di Stato, V, 28 dicembre 2017, n. 6135), i cui principi, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità, sono stati correttamente applicati dal Tribunale amministrativo alla fattispecie oggetto di giudizio. 8.6. Come rammentato in quest’ultima decisione, l’art. 86, comma 5-bis, D.Lgs. 50/2016 stabilisce che: “l’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione dei lavori redatto secondo lo schema predisposto dall’ANAC con le linee guida di cui all’articolo 83, comma 2”. L’art. 84, comma 4, del medesimo D.Lgs. 50/2016 prevede espressamente che “tra i requisiti tecnico-organizzativi rientrano i certificati rilasciati alle imprese esecutrici dei lavori pubblici da parte delle stazioni appaltanti”. L’art. 79, comma 6, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 – tuttora applicabile in virtù di quanto previsto dagli artt. 83, co. 2ult. periodo e 216, co. 14, D.Lgs. 50/2016 – stabilisce che: “l’esecuzione dei lavori è documentata dai certificati di esecuzione dei lavori previsti dagli articoli 83, comma 4 e 84, indicati dall’impresa e acquisiti dalla SOA ai sensi dell’articolo 40, comma 3, lettera b), del codice, nonché secondo quanto previsto dall’articolo 86”. Il CEL è previsto, poi, dall’art. 83, comma 4, d.P.R. cit. tra i documenti che consentono di provare la sussistenza dei requisiti tecnico – organizzativi ovvero economico – finanziari necessari per l’emissione delle attestazioni SOA. Il comma 2 del medesimo articolo precisa inoltre che, ai fini del rilascio delle attestazioni richieste, “I lavori da valutare sono quelli eseguiti regolarmente e con buon esito…”. Il comma 4 specifica, poi, che “I certificati di esecuzione lavori sono redatti in conformità allo schema di cui all’allegato B e contengono la espressa dichiarazione dei committenti che i lavori eseguiti sono stati realizzati regolarmente e con buon esito”. Alla luce delle disposizioni su riportate nonché di quanto previsto dal già richiamato art. 90 del d.P.R. 207/2010, deve dunque evidenziarsi che sia il dato normativo sia la lex specialis di gara, utilizzando le locuzioni “importo dei lavori analoghi eseguiti direttamente” e “aver eseguito direttamente, […], lavori analoghi”, si riferiscono ad una corretta e “certificata” esecuzione dei lavori appaltati. 8.7. Il documento attraverso il quale il committente accerta e dimostra la regolare esecuzione dei lavori e, nel complesso, il buon esito dell’appalto, e, dunque, l’affidabilità e la professionalità dell’appaltatore, è il certificato di esecuzione dei lavori, che, nel caso di lavorazioni in OG 2 “restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela”, deve essere altresì munito, ai sensi dell’art. 12 del Decreto MiBACT del 22 agosto 2017 n. 154, del visto della Autorità preposta alla tutela del vincolo territorialmente competente. Sotto questo profilo, come ha evidenziato il giudice di prime cure, si tratta di una prescrizione non irragionevole, né meramente formale, in quanto concorre a rendere certa la regolare esecuzione dei lavori anche con riguardo all’Autorità preposta al vincolo di tutela. 8.8. Alla luce delle considerazioni che precedono, l’operatore economico acquista il possesso del requisito di qualificazione tecnico-organizzativo solo a seguito dell’accertamento della regolare esecuzione dei lavori e del buon esito dell’appalto tramite l’emissione del certificato di esecuzione dei lavori. In detto certificato si dà, infatti, atto dell’avvenuta esecuzione in maniera regolare e con buon esito dei lavori, nonché del risultato delle contestazioni reciprocamente mosse dalle parti contrattuali in seguito all’esecuzione dei lavori. Del resto, come evidenziato dalla difesa dell’-OMISSIS-, anche la Delibera ANAC n. 681 del 17 luglio 2019 afferma claris verbis che per gli appalti di lavoro pari o inferiore a 150.000,00 €, in assenza di qualificazione SOA, la partecipazione alle gare è subordinata al possesso dei requisiti previsti dall’art. 90 del d.P.R. n. 207/2010 e che il requisito dell’esecuzione diretta dei lavori analoghi nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando “può ritenersi integrato non dalla mera esecuzione dei lavori nel periodo di riferimento, ma dalla esecuzione regolare e con buon esito dei lavori, così come certificata dalla stazione appaltante”. 8.9. Insomma, contrariamente a quanto sostiene parte appellante, il certificato di regolare esecuzione non ha valenza meramente probatoria, ma valore costitutivo del requisito di partecipazione e pertanto deve essere conseguito dal concorrente prima della scadenza del termine per la presentazione della domanda: invero, l’emissione del certificato di esecuzione dei lavori contribuisce in modo determinante ad integrare, anche dal punto di vista strettamente sostanziale, il possesso del requisito di qualificazione, poiché solo a seguito dell’accertamento da parte della committenza della regolare esecuzione dei lavori e del buon esito dell’appalto, esso può ritenersi definitivamente costituito. In applicazione dei su riportati principi giurisprudenziali, la sentenza appellata, meritando piena conferma, ha dunque accolto il ricorso e annullato l’aggiudicazione sul rilievo per cui l’impresa ricorrente, alla data di presentazione della domanda, aveva contabilizzato i lavori, ma non ancora ottenuto il Certificato di esecuzione dei lavori, sicché non era in possesso del requisito richiesto dal bando, ai fini dell’ammissione alla procedura: risulta, infatti, per quanto finora detto, priva di base la distinzione, prospettata da parte appellante, tra effettuazione dei lavori e certificazioni, in quanto la comprova dei requisiti deve avvenire in relazione al possesso di quanto dichiarato ai fini dell’ammissione alla gara”.
Le norme statali specificamente richiamate dalla “lex specialis” di gara, a loro volta, dispongono: – l’art. 86 (“Mezzi di prova”), comma 4 del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50 che: “4. Di norma, la prova della capacità economica e finanziaria dell’operatore economico può essere fornita mediante uno o più mezzi di prova indicati nell’allegato XVII, parte I. L’operatore economico, che per fondati motivi non è in grado di presentare le referenze chieste dall’amministrazione aggiudicatrice, può provare la propria capacità economica e finanziaria mediante un qualsiasi altro documento considerato idoneo dalla stazione appaltante”; – l’Allegato XVII (“Mezzi di prova dei criteri di selezione”) – “Parte I: Capacità economica e finanziaria”, per quanto di riferimento, che: “Di regola, la capacità economica e finanziaria dell’operatore economico può essere provata mediante una o più delle seguenti referenze: …. b) presentazione dei bilanci o di estratti di bilancio, qualora la pubblicazione del bilancio sia obbligatoria in base alla legislazione del paese di stabilimento dell’operatore economico”. 4.3.2 – Il combinato disposto degli artt. 86 e dell’Allegato XVII del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (richiamati nel Disciplinare di gara) prevede, quindi, la presentazione del bilancio di esercizio quale mezzo di prova dei richiesti requisiti economico-finanziari nelle ipotesi in cui l’ordinamento nazionale stabilisca l’obbligatorietà della pubblicazione del bilancio di esercizio. La “ratio legis” delle suddette previsioni normative va rinvenuta nell’oggettivo rilievo che solo con l’avvenuta pubblicazione il bilancio di esercizio perde il valore di atto societario meramente interno per divenire idoneo a provare (all’esterno) la situazione economico-finanziaria della società (in quanto cristallizzata, almeno tendenzialmente, al momento della pubblicazione medesima), con il correlato (e derivato) effetto di affidamento/conoscibilità/verificabilità da parte dei terzi, ivi incluse le Amministrazioni aggiudicatrici (ai fini della certa e consapevole valutazione della solidità economico-finanziaria dei partecipanti alla procedura selettiva) e gli altri operatori economici concorrenti (“par condicio”). (…) Vale la pena precisare, per mera completezza espositiva (…), che il bilancio di esercizio è documento del tutto differente rispetto al bilancio sociale di cui all’art. 9, comma 2 del Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 112 (“Revisione della disciplina in materia di impresa sociale, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera c) della legge 6 giugno 2016, n. 106”), e che solo rispetto al bilancio sociale sussiste la facoltatività del deposito presso la C.C.I.A.A., secondo le indicazioni delle Linee Guida di cui al citato art. 9, comma 2 (poi emanate con D.M. 4 luglio 2019).
Il Certificato esecuzione lavori è disciplinato dall’art. 86, comma 5 – bis, 18 aprile 2016, n. 50 “Mezzi di prova” il quale, nella formulazione vigente al momento dell’indizione della gara, prevedeva: “L’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione dei lavori redatto secondo lo schema predisposto dall’ANAC con le linee guida di cui all’articolo 83, comma 2”. L’art. 79, comma 6, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 210 stabilisce, poi, che: “L’esecuzione dei lavori è documentata dai certificati di esecuzione dei lavori previsti dagli articoli 83, comma 4 e 84, indicati dall’impresa e acquisiti dalla SOA ai sensi dell’articolo 40, comma 3, lett. b), del codice, nonché secondo quanto previsto dall’articolo 86”. L’acquisizione dei certificati da parte della SOA è necessaria alla qualificazione dell’impresa resa da detto organismo e l’art. 83, comma 2, d.P.R. n. 210 specifica che a tal fine “I lavori da valutare sono quelli eseguiti regolarmente e con buon esito iniziati e ultimati nel periodo di cui ai precedenti commi, ovvero la parte di essi eseguita nel quinquennio, per il caso di lavori iniziati in epoca precedente o per il caso di lavori in corso di esecuzione alla data della sottoscrizione del contratto con la SOA, calcolata presumendo un avanzamento lineare degli stessi”. L’art. 83, comma 4 d.P.R. n. 210 cit., poi, prevede che: “I certificati di esecuzione lavori sono redatti in conformità dello schema di cui all’allegato B e contengono la espressa dichiarazione dei committenti che i lavori eseguiti sono stati realizzati regolarmente e con buon esito; se fanno dato luogo a vertenze in sede arbitrale e giudiziaria, ne viene indicato l’esito”. Il certificato di esecuzione lavori costituisce, dunque, una certificazione richiesta dall’impresa al committente (anche privato, cfr. art. 84 comma 2, d.P.R. n. 201 cit.) per la dimostrazione del possesso del requisito di idoneità tecnica – organizzativa, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria in quanto la committenza certifica l’avvenuta esecuzione in maniera regolare e con buon esito dei lavori, nonché se risultano, e con quale esito, le contestazioni reciprocamente mosse dalle parti contrattuali in seguito all’esecuzione dei lavori. Non v’è ragione per ritenere che l’impresa possa richiedere alla committenza (pubblica o privata) il rilascio del certificato di esecuzione solamente quando il contratto d’appalto sia stato integralmente concluso, nel senso che non residuano più prestazioni dovute a carico di entrambe le parti. Il certificato di esecuzione lavori può essere rilasciato anche qualora il contratto d’appalto non sia ancora concluso, ovvero, detto altrimenti, se i lavori sono ancora in corso di esecuzione, per quella parte di lavori che il R.u.p. attesti completata con buon esito e contabilizzata. Rileva, in tal senso, il dato normativo: l’art. 83, comma 2, d.P.R. n. 210 cit. in precedenza riportato ammette la possibilità che la SOA sia chiamata a valutare lavori “in corso di esecuzione alla data di sottoscrizione del contratto con la SOA”; e, d’altra parte, non è un caso che lo schema di certificato fornito dall’Allegato B al regolamento (al Quadro 6.1.) preveda si dia risposta alla domanda se “I lavori sono in corso …SI/NO”. In un precedente specifico (…) è stato, però, chiarito che dal combinato disposto delle norme che disciplinano il C.E.L. si evince che “l’impresa acquisisce il requisito tecnico organizzativo, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria, col rilascio del Certificato di esecuzione lavori” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2017, n. 6135). Si è in presenza, dunque, di un atto rientrante nella categoria dei c.d. accertamenti costitutivi, poiché l’effetto dell’accertamento è quello di costituire il requisito in capo all’impresa che richiede il certificato. Dalle considerazioni esposte deriva che il ragionamento svolto dal giudice di primo grado non può essere condiviso in quanto il C.E.L. non attesta l’affidabilità dell’impresa nell’esecuzione di tutte le obbligazioni sorte dal contratto di appalto, ma solo la corretta esecuzione dei lavori, ossia la sua capacità tecnico – organizzativa, ed è per questa ragione che può senz’altro ammettersi che la committenza certifichi anche lavori eseguiti in forza di contratto non ancora concluso, ma che, nondimeno l’impresa deve essere in possesso del C.E.L., con il quale intende dar prova del requisito, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta. Costituisce, infatti, principio consolidato quello per cui i requisiti di qualificazione devono essere posseduti dal momento della presentazione della domanda e per tutta la durata di esecuzione del contratto; consentire l’integrazione del C.E.L. nel corso della procedura costituirebbe palese violazione del principio della par condicio tra i concorrenti.
La giurisprudenza amministrativa riguardante il possesso del requisito del “fatturato minimo nel settore di attività oggetto dell’appalto” così attualmente codificato dall’art. 83, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 50 del 2016 ha precisato che “quando il bando prevede l’ammissione esclusivamente delle imprese che hanno prodotto negli anni precedenti un determinato fatturato non globale, ma specificamente attinente a rapporti identici o analoghi a quello da instaurare in esito al procedimento (…) la stazione appaltante non richiede un requisito di natura finanziaria (per la quale si provvede, ad esempio, con il richiamo al fatturato globale), ma un requisito di natura tecnica (consistente nel possesso di precedenti esperienze che consentono di fare affidamento sulla capacità dell’imprenditore di svolgere la prestazione richiesta (…)” (così, tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, 23.02.2015 n. 864), evidentemente finalizzato a garantire che la selezione venga svolta tra concorrenti che diano prova di adeguata affidabilità nell’espletamento di un determinato servizio, per aver avuto precedenti esperienze nel settore di attività oggetto di gara o in settori analoghi (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 06.04.2017 n. 1608; nonché già sez. V, 28.07.2015 n. 3717 e 25.06.2014 n. 3220); con la precisazione che, pur rilevando l’identità del settore imprenditoriale o professionale, il confronto va fatto in concreto tenendo conto del contenuto intrinseco delle prestazioni (Consiglio di Stato, V, 12.05.2017 n. 2227). Coerentemente con la finalità appena detta, lo stesso art. 83, al comma 7 prevede che la dimostrazione del requisito sia fornita utilizzando i mezzi di prova di cui all’art. 86, commi 4 e 5, vale a dire – per quanto qui rileva – mediante uno o più mezzi di prova indicati nell’allegato XVII, parte I, del Codice. (…) Nondimeno, tenuto conto delle regole della procedura ad evidenza pubblica seguita per la selezione del concessionario, non si può ritenere che la pubblica amministrazione che l’ha indetta possa, o addirittura debba svolgere in corso di gara (in fase di ammissione o in fase di verifica del possesso dei requisiti ai sensi dell’art. 32, comma 7, del d.lgs. n. 50 del 2016) un’istruttoria volta ad appurare le attività in concreto esercitate, andando oltre le dichiarazioni rese dalla stessa concorrente ed oltre la produzione documentale posta a disposizione del seggio di gara e del RUP.
In una gara telematica (art. 58 d.lgs. n. 50/2016) un’attestazione sostitutiva della comunicazione con esito negativo in ordine alla regolarità fiscale del concorrente (art. 80 d.lgs. n. 50/2016), acquisita dal RUP tramite il sistema AVCpass ma da imputarsi ad un’anomalia del sistema, non può certamente far venir meno il ruolo dell’Agenzia delle Entrate, soggetto competente ad attestare la regolarità fiscale e i cui dati confluiscono nella Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (art. 86, comma 2, d.lgs. n. 50/2016) (cfr. TAR Roma, 10.01.2018, n. 226). Un’attestazione dell’Agenzia delle Entrate ha confermato che l’esito dell’interrogazione del sistema AVCpass (Delibera ANAC n. 157 del 17.02.2016) da parte della stazione appaltante era errato, poiché il debito dell’impresa alla data della verifica era inferiore alla soglia di regolarità fiscale di 5.000 euro. In conformità al preferibile indirizzo della giurisprudenza amministrativa, l’iniziale posizione irregolare risultante dal sistema AVCpass è dunque da ritenersi irrilevante, poiché tale sistema è fisiologicamente destinato ad essere utilizzato solo nella fase di produzione delle dichiarazioni e non riguarda le successive verifiche svolte dalla Stazione appaltante, che non è vincolata alle risultanze del sistema AVCpass, peraltro superate dalle certificazioni che, come detto, hanno confermato il possesso del requisito. Come è noto, in ossequio ad un principio sostanzialistico in tema di possesso dei requisiti di partecipazione alle gare d’appalto, recentemente valorizzato, non può certo darsi prevalenza alle modalità meramente formali di verifica dei requisiti di partecipazione prescritti dalla lex specialis (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 28.07.2016, n. 3421). In tale prospettiva, la P.A. ha legittimamente esercitato una facoltà di approfondimento istruttorio (art. 83 d.lgs. n. 50/2016) per assolvere compiutamente all’obbligo di verifica dei requisiti, in quanto ha richiesto ed ottenuto ulteriori informazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate (Consiglio di Stato, V, 29.01.2018 n. 591).
Relativamente all’affidamento di servizi di progettazione (art. 24 e art. 46 ad.lgs. n. 50/2016) quanto alla mancata esecuzione dei lavori progettati per privati e alla mancata approvazione di quelli progettati per l’Amministrazione, il Collegio ha rilevato quanto segue. Innanzitutto, si rileva che quanto disposto dall’articolo 263 comma 2 del dpr n. 207 del 2010 non è stato recepito nella nuova disciplina in materia di appalti pubblici (cfr. ora l’art. 86 comma 5 d.lgs. n. 50 del 2016 in relazione ai mezzi di prova di cui all’allegato XVII parte II). L’articolo 263 cit. è stato immediatamente abrogato dall’art. 217 del d.lgs. n. 50 del 2016, e del resto le Linee Guida n. 1 (non vincolanti) adottate in materia dall’ANAC non hanno affrontato la questione (cfr. Consiglio di Stato parere 1767 del 2016: “Non è stata invece affrontata la questione concernente i limiti entro i quali è possibile utilizzare a comprova del possesso di tali requisiti i servizi di progettazione svolti in favore dei committenti privati; profilo in precedenza disciplinato dall’art. 263, comma 2, d.P.R. n. 207 del 2010, la cui ambigua formulazione ha dato luogo ad un contrasto di giurisprudenza in seno al Consiglio di Stato – Cons. Stato, V, 10 febbraio 2015, n. 692 e 25 maggio 2015, n. 2567”) Né tali disposizioni possono essere ritenute espressione di principi generali e quindi ultrattive, atteso che è appena il caso di rilevare che la previsione dell’approvazione per la progettazione per committenti pubblici e l’esecuzione dei lavori progettati nel caso di committenti privati rispondeva a una mera logica di certezza della prova dell’avvenuta attività di progettazione e non alla necessità della verifica della sua idoneità a conseguire l’aggiudicazione (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 4629 del 2016; Tar Trieste sentenza n. 64 del 2017). Ne consegue che, nel caso di progettazioni per conto di privati che però non restano in ambito privato in quanto funzionali all’ammissione a una gara pubblica, il requisito della prova dell’avvenuta progettazione deve essere rinvenuto nell’ammissione alla gara del committente privato, che postula appunto una valutazione di idoneità della medesima progettazione in relazione all’oggetto della gara; valutazione che è appunto verificabile al pari di qualsiasi approvazione poiché resta agli atti di gara. Del resto, come noto, durante la vigenza dell’articolo 263 comma 2 cit., v’erano due orientamenti che sostanzialmente non concordavano in ordine all’oggetto della prova da fornire in caso di progettazioni eseguite per conto di privati: se dovesse essere la progettazione stessa o se invece dovessero essere i lavori progettati (su tali distinti orientamenti cfr. Consiglio di Stato sentenza n. 2567 del 2015). Orbene, il Collegio in ogni caso condivide la tesi secondo cui la ratio di tale norma fosse appunto l’esigenza di provare solo l’avvenuta progettazione, atteso che l’idoneità di tale progettazione a fungere da requisito di partecipazione nel caso di committenti privati non si dimostra necessariamente con l’esecuzione dei lavori stessi. Ciò sia perché l’articolo 263 succitato, richiedendo la possibilità di una prova attraverso fatture e contratti, si è necessariamente dovuto riferire a documenti nella disponibilità dei progettisti (e non quindi degli esecutori dei lavori) sia perché, come già evidenziato, non necessariamente l’idoneità della progettazione è dimostrata dalla effettiva esecuzione dei lavori. Il rinvio al punto 2.2.2.3. (ora 2.2.2.4.) delle Linee Guida n. 1, di attuazione del D.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”, operato dalla ricorrente, non è poi pertinente. A parte la circostanza che le linee guida in questione hanno carattere non vincolante e quindi hanno funzione di mero indirizzo, analogamente alle circolari nell’ambito del potere di direzione; ed è quindi possibile per le stazioni appaltanti discostarsene, specie in casi in cui la scelta dell’Amministrazione appaia più conforme ai principi generali e più ragionevole (cfr. Consiglio di Stato parere 1767 del 2016), come sarebbe nel caso di specie alla luce della suesposta opzione ermeneutica preferita da questo Tribunale. In ogni caso, quanto richiamato dalla ricorrente e contenuto nelle linee guida si riferisce solo all’approvazione di varianti al progetto originariamente appaltato, e si suppone che con riferimento alle varianti la previsione della previa approvazione possa avere lo scopo di accertarne in modo oggettivo il contenuto e il relativo importo, trattandosi di una modifica a quanto posto a oggetto della gara originaria (mentre, coerentemente con l’opzione interpretativa qui seguita, nello stesso alinea si evidenzia che hanno rilievo ai fini della qualificazione anche l’esecuzione di prestazioni accessorie alla progettazione “purché l’esecuzione della prestazione, in mancanza della firma di elaborati progettuali, sia documentata mediante la produzione del contratto di conferimento dell’incarico e delle relative fatture di pagamento”).
2. Con riferimento alla censura secondo cui lo Studio avrebbe dovuto essere escluso perché non sarebbe presente nel casellario ANAC delle società di ingegneria e professionali, come previsto dall’art.6, D.M. n.263 del 2.12.2016, si rileva che, come evidenziato anche nello stesso sito dell’ANAC (pagina delle FAQ relative a tale servizio), la mancata iscrizione rileva solo come inadempimento a un obbligo di comunicazione e non ha alcun effetto costitutivo della legittimazione a partecipare alle gare.
1.E’ preclusa l’integrazione della domanda di partecipazione in esito del soccorso istruttorio attuato dalla stazione appaltante (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, 18 luglio 2017, n. 3514; sez. V, 22 agosto 2016, n. 3666). Secondo il Collegio, infatti, risulterebbe violata la par condicio tra i concorrenti, allorquando un’impresa – può beneficiare di un più ampio termine per dichiarare (e, quindi, dimostrare) il requisito tecnico – professionale rispetto a quello riconosciuto a tutte le altre imprese partecipanti. D’altronde, per giurisprudenza costante, nelle gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità (Cons. Stato, Adunanza plenaria, 20 luglio 2015, n. 8).
2. Non vi è dubbio che altro è l’esecuzione dei lavori e altro ancora è la documentazione dei lavori eseguiti e che il bando richiedeva come requisito tecnico professionale il primo; tuttavia, la lettura sistematica delle disposizioni normative sul Certificato di esecuzione lavori induce a ritenere che solamente l’impresa che sia in possesso, al momento della presentazione della domanda, del CEL può dichiarare il possesso del requisito, poiché solo quell’impresa è in grado di comprovarlo. In ultimo, allora, il requisito dell’esecuzione dei lavori coincide con quello del possesso del Certificato di esecuzione dei lavori. L’art. 86, comma 5 bis, d.lgs. 12 aprile 2016, n. 50, stabilisce che: “L’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione dei lavori redatto secondo lo schema predisposto dall’ANAC con le linee guida di cui all’articolo 83, comma 2”. In precedenza, all’art. 40, comma 3, lett. b) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, era precisato che “Tra i requisiti tecnico organizzativi rientrano i certificati rilasciati alle imprese esecutrici dei lavori pubblici da parte delle stazioni appaltanti”. L’art. 79, comma 6, d.p.r. 5 ottobre 2010, n. 210 stabilisce che: “L’esecuzione dei lavori è documentata dai certificati di esecuzione dei lavori previsti dagli articoli 83, comma 4 e 84, indicati dall’impresa e acquisiti dalla SOA ai sensi dell’articolo 40, comma 3, lettera b), del codice, nonché secondo quanto previsto dall’articolo 86”. Il certificato di esecuzione lavori è previsto, poi, dall’art. 83, comma 4, d.p.r. cit. tra i documenti che consentono di provare la sussistenza dei requisiti tecnico – organizzativi ovvero economico – finanziari necessari per l’emissione delle attestazioni SOA. Il comma 2 del medesimo articolo precisa che, ai fini del rilascio delle attestazioni richieste, “I lavori da valutare sono quelli eseguiti regolarmente e con buon esito …”. Il 4°comma specifica, poi, che: “I certificati di esecuzione lavori sono redatti in conformità allo schema di cui all’allegato B e contengono la espressa dichiarazione dei committenti che i lavori eseguiti sono stati realizzati regolarmente e con buon esito”. L’esito di eventuali contestazioni (in sede arbitrale o giudiziaria) è riportato sul certificato. Le citate disposizioni, lette in combinato tra loro, conducono ad affermare che l’impresa acquisisce il requisito tecnico organizzativo, costituito dall’aver svolto lavori per un certo importo in una certa categoria, col rilascio del Certificato di esecuzione lavori poiché in esso si dà atto dell’avvenuta esecuzione in maniera regolare e con buon esito dei lavori, nonché del risultato delle contestazioni reciprocamente mosse dalle parti contrattuali in seguito all’esecuzione dei lavori.
La regolarità contributiva deve sussistere per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante (Consiglio di Stato A.P. n. 10/2016; Consiglio di Stato n. 1006/2017); considerato, altresì, che non sussiste un divieto a carico della Stazione Appaltante di assumere d’ufficio la documentazione necessaria per la verifica dei requisiti e di quanto dichiarato dal concorrente i sede di gara e che, comunque, l’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall’art. 7 comma 3, D.M. 24 ottobre 2007, e ora recepito a livello legislativo dall’art. 31 comma 8, D.L. n. 69/2013, può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall’impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell’autodichiarazione resa ai fini della partecipazione alla gara;
Parte ricorrente negli atti successivi ha fondato la pretesa di esclusione dell’aggiudicataria sia sulla carenza del requisito economico finanziario di cui alla lett. B, punto 3 del disciplinare, sia sulle dichiarazioni non veritiere resa dalla medesima A.
Quest’ultima ha replicato evidenziando che, in ogni caso, dalla documentazione versata in atti si evince che l’importo della progettazione esecutiva aggiornata, svolta per il servizio “Lame” è pari ad € 1.730.176,41 (a fronte dell’importo previsto per il progetto originario pari ad € 2.615.449,95). Ritiene per questo che, anche a voler considerare l’importo ribassato, in ogni caso esso sarebbe sufficiente a raggiungere la soglia minima di € 4.500.000,00, richiesta dal disciplinare di gara (€ 3.890.056,90, riferito al servizio di progettazione prestato in favore del Comune di Grumo Appula, + € 1.730.176,41).
Il ricorrente ha controdedotto sul puto facendo riferimento alla produzione documentale della A., relativa alla certificazione rilasciata al Comune di Cassano delle Murge sul progetto rimodulato (doc. 9 depositato il 12.12.2016), per evidenziare che i lavori relativi alla categoria D.02 ammontano ad € 299.253,27, importo che, sommato ad € 3.890.056,90 (relativo al servizio svolto per il Comune di Grumo Appula), non sarebbe utile al raggiungimento della soglia minima fissata nel disciplinare, escludendo che possa essere computato anche l’importo riferito alla categoria D.04, pari ad € 457.976,35 in conformità alle Linee Guida Anac n. 1/2016. A., nella memoria del 18.03.2017, replica a sua volta richiamando l’art. 8 del D.M. 143/2013, ritenendo valido l’assunto per cui occorre tener conto “della categoria d’opera e del grado di complessità, fermo restando che gradi di complessità maggiore qualificano anche per opere di complessità inferiore all’interno della stessa categoria d’opera”. Ritiene, per questo, che andrebbero computati anche i servizi di progettazione riconducibili alla categoria D.04, in quanto categoria di complessità superiore a quella D.02, richiesta dal bando di gara. Il principio enunciato non sarebbe superato dalle Linee Guida dell’Anac, approvate con delibera n. 973 del 14.09.2016, contenente “Indirizzi generali sull’affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria“ che escluderebbe (solo in via tendenziale e senza superare il principio), dall’applicazione del suddetto principio alcune categorie tra le quali quella idraulica.
16.1. – Il Collegio ritiene che la vicenda, come ulteriormente integrata in corso di causa, non sia comunque idonea a fondare la pretesa di parte ricorrente volta all’esclusione dell’ATI A. s.rl. e ciò non solo per quanto già sopra evidenziato, ma anche sulla base di ulteriori dirimenti considerazioni:
16.1.a. – come già acclarato il servizio svolto dalla controinteressata non può ritenersi che non rilevi al fine della dimostrazione del possesso dei requisiti economico finanziari di cui alla lett. B del disciplinare di gara.
L’annullamento in autotutela riferito da parte ricorrente ha riguardato solo la progettazione esecutiva che è stata rimodulata e regolarmente approvata prima dello svolgimento della procedura di gara per cui è causa.
16.1.b. – Il sistema degli appalti pubblici si è evoluto in un’ottica sempre più orientata a una verifica sostanziale del possesso dei requisiti da parte dei concorrenti, espressione del principio di concorrenza, e sempre meno disponibile ad assecondare la logica della cosiddetta “caccia all’errore”.
In tale senso la giurisprudenza secondo cui “la portata delle singole clausole che comminano l’esclusione in termini generali e onnicomprensivi va valutata alla stregua dell’interesse che la norma violata è destinata a presidiare, per cui, ove non sia ravvisabile la lesione di un interesse pubblico effettivo e rilevante, va accordata la preferenza al “favor partecipationis”, con applicazione del principio, di derivazione comunitaria e rilevante, anche nell’ordinamento interno, di sanabilità delle irregolarità formali , con conseguente attenuazione del rilievo delle prescrizioni formali della procedura concorsuale” (cfr. T.A.R. Aosta 38/2012, T.A.R. Catania, sez. III, sent. 1981 del 22.07.2015. Cons. Sato, Sez. III, sent. 2376 del 9.05.2014).
16.1.c. – Applicando tali principi al caso in esame, deve ritenersi che comunque l’ATI A. non possa essere esclusa per mancanza del requisito di cui alla lett. B punto 3 del disciplinare.
Dalla certificazione aggiornata del 31.05.2016 relativa al servizio svolto per il Comune di Cassano delle Murge, come prodotta dalla controinteressata in data 12.12.2016 (doc.9), risulta un importo complessivo riferito all’Advenco pari a € 1.730.176,41. Sotto la voce “classi e categorie”, nella parte riferita a quella “idraulica” sono indicati due distinti importi: uno relativo alla categoria D.02 pari ad € 299.253,27 e l’altro alla categoria D.04, per un importo pari ad € 457.976,35.
Le parti controvertono su quale sia l’importo utile ai fine della dimostrazione del requisito di cui al punto 3 del disciplinare. Ad avviso del Collegio sono utilizzabili i due importi, per le considerazioni che seguono. Sul punto giova richiamare l’art. 8 del D.M. n. 143/2006 dove precisa che “gradi di complessità maggiore qualificano anche per opere di complessità inferiore all’interno della stessa categoria d’opera” e la Tavola Z-1 dove sono elencate le “Categorie delle opere – Parametro del grado di complessità – Classificazione dei servizi di corrispondenza”. Nella “Categoria Idraulica”, la voce relativa alle opere categoria “D.02” è attribuito un grado di complessità pari a 0,45, mentre alle opere categoria “D.04” è attribuito un grado di complessità pari a 0,65. La formulazione dell’art. 8 e la Tavola Z-1 sopra richiamate non lasciano margini di dubbio in ordine al fatto che – all’interno della medesima categoria di lavori (nel caso di specie quella “Idraulica”) – la qualificazione relativa a una destinazione funzionale per servizi di complessità superiore si estende anche alle destinazioni funzionali di livello inferiore. Come osservato in giurisprudenza, “Né, in tale quadro normativo, assume rilievo decisivo la deliberazione A.N.A.C., 25 febbraio 2015, n. 4, che ha messo in discussione l’applicabilità alla categoria “Idraulica” del principio secondo cui la qualificazione in una destinazione funzionale più complessa si estende a quelle di livello inferiore. Difatti, a prescindere dalla correttezza intrinseca di tale interpretazione del superiore dato normativo, nella stessa deliberazione A.N.A.C. si precisa che anche nell’ambito della Categoria “Idraulica” sono, comunque, da evitare esclusioni legate a motivi di pura forma e resta perciò necessario verificare l’esistenza di una “omogeneità sostanziale” tra le pregresse prestazioni svolte dal concorrente e quelle oggetto di gara” (T.A.R. Sardegna, sez. I, sent. 94 del 7.02.2017). Il fatto che l’Anac con Linee Guida n. 1 approvate il 14.09.2016 abbia ribadito quanto già affermato nella deliberazione n. 4/2015 non vale, comunque a superare il dato normativo di cui al D.M. 143/2013. Da ultimo, quand’anche si seguisse l’interpretazione più fedele alle suddette Linee Guida e si aderisse alla tesi per cui il servizio svolto per il Comune di Cassano delle Murge non sia idoneo, per come rimodulato, a raggiungere la soglia minima richiesta dal disciplinare di gara, più volte menzionato, deve ritenersi condivisibile quanto affermato dalla controinteressata nella memoria dell’11.03.2017, laddove ha sostenuto che, comunque, il requisito rispetto ai servizi di punta è stato dimostrato in quanto, oltre a quello in contestazione, essa ha indicato, nella domanda di partecipazione, altri servizi (n. 5), l’importo di ciascuno dei quali, sommato a quello non contestato riferito al Comune di Grumo Appula (pari ad € 3.890.056,90), è utile a raggiungere la soglia minima prevista dalla lex di gara per i due servizi di punta, pari ad € 4.500.000,00. Né convince la contestazione di parte ricorrente che qualifica l’argomentazione della controinteressata sopra riferita come pretesa di sostituzione del servizio di punta. Non è dato ravvisare alcun tentativo di modifica della domanda come presentata dalla controinteressata alla stazione appaltante. Inoltre, è la ratio sottesa alla richiesta di indicazione dei due servizi di punta a far ritenere comunque dimostrato il requisito di cui al punto 3, da parte della A. al momento della presentazione della domanda. La valutazione dei requisiti di capacità economico-finanziari e tecnico-organizzativi relativi al servizio di progettazione, in mancanza di un sistema di qualificazione formale analogo a quello presente per i lavori pubblici, avviene mediante la dimostrazione di avere svolto, in un determinato periodo temporale, specifiche attività indicate dalla legge, dal regolamento e dal bando di gara. La logica sottesa alla richiesta del servizio di punta è, infatti, quella di aver svolto singoli servizi di una certa entità complessivamente considerati (cfr. Cons. di Stato, n. 2464/2006, T.A.R. Abruzzo, sez. I, sent. 3 del 13.01.2016). Rileva, in sostanza, per potersi ritenere sussistente il requisito, che esistano due servizi che sommati tra loro raggiungano la soglia minima indicata dal disciplinare, non incidendo sul possesso del requisito la scelta di quale dei servizi sommare, quando ve ne siano più di due di considerevole entità. E’ il medesimo ricorrente a produrre l’elenco dei servizi di punta presentato in sede di gara da A. (doc. n. 6, depositato il 25.11.2016, unitamente al ricorso principale). Da tale documento si desume che ciascuno degli importi indicati sotto la categoria D.02, sommato a quello relativo al Comune di Grumo Appula, non contestato, contribuisce al raggiungimento della soglia minima pari ad € 4.500.000,00, prevista dal punto 3 del disciplinare di gara.
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