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Lavori – Qualificazione – Raggruppamento – Incremento del quinto – art. 61 d.P.R. n. 207/2010 – Interpretazione

CGA Regione Sicilia, 11.04.2022 n. 450

Il problema che si pone è se le due società che compongono il raggruppamento possono o meno beneficiare dell’incremento del quinto previsto dall’art. 61, comma 2, del d.P.R. n. 207 del 2010, che consente loro di raggiungere l’importo di qualificazione per la categoria di lavori OG 10 previsto dal bando.
L’appellante ha sostenuto che il 20 % dei “lavori posti a base di gara”, necessario per ottenere l’aumento del quinto della qualificazione nella categoria OG 10 ai sensi dell’art. 61 comma 2 del d.P.R. n. 270 del 2010, deve essere rapportato all’importo totale dei lavori a base di gara (€ 50.000.000,00), mentre l’ANAS e la controinteressata hanno fatto riferimento, quale parametro di riferimento, all’importo dei lavori nella categoria oggetto della qualificazione (€ 7.500.000,00).
L’art. 61 comma 2 del d.P.R. n. 207 del 2010 dispone testualmente, per quanto d’interesse, che “La qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto; nel caso di imprese raggruppate o consorziate la medesima disposizione si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara”.

Il Consiglio di Stato, con una pronuncia del 2021, ha aderito all’impostazione fatta propria dall’appellante, affermando che “l’inequivoco tenore letterale della disposizione regolamentare citata consente di ricavare le seguenti regole”:
– la qualificazione in una categoria abilita l’impresa singola a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto: dunque, ogni impresa può partecipare alle gare ed eseguirne i rispettivi lavori avuto riguardo alla propria qualificazione in una specifica categoria e nei limiti della classifica posseduta, aumentata del quinto;
– nel caso di imprese raggruppate o consorziate “la medesima disposizione” si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata: ciò significa che, anche nel caso di raggruppamento, ciascuna singola impresa è abilitata a partecipare ed eseguire i lavori in riferimento alla propria qualificazione in una categoria e nei limiti della classifica col beneficio dell’incremento del quinto, ma subordinatamente alla ulteriore condizione che essa sia qualificata per un importo pari ad almeno un quinto “dell’importo dei lavori a base di gara”, da interpretarsi in senso letterale come importo complessivo a base di gara.
“Non vi sono, nella disposizione citata, elementi testuali che possano legittimare una interpretazione diversa. Né se ne intravedono sul versante sistematico.
La ratio della norma è quella di non esasperare gli effetti della qualificazione “virtuale” quando le imprese esecutrici siano una pluralità e il requisito di qualificazione risulti, di conseguenza, molto frazionato. Essa persegue tale fine attraverso il “blocco” della premialità nel caso di raggruppamenti il cui partecipante ha una qualificazione inferiore ad un quinto del monte lavori, così da disincentivare, rectius, da eliminare l’incentivo al frazionamento eccessivo” (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2021 n. 3040).
Nell’occasione il Consiglio di Stato ha quindi confermato la sentenza di primo grado con la quale il Tar aveva statuito che una delle mandanti del raggruppamento escluso non era meritevole dell’incremento del quinto, in quanto questo è riconoscibile solamente nell’ipotesi di possesso di qualificazione, “nella stessa categoria da incrementare”, per un importo pari ad almeno il 20% dell’importo a base d’asta.

Il Collegio ritiene che l’art. 61 comma 2 del d. lgs. n. 50 del 2016 presenti, se così interpretato, specie nella parte in cui è richiesto il possesso della qualificazione “nella stessa categoria da incrementare” pari al 20% dell’importo complessivo a base d’asta, un’antinomia interna che non consente di applicarlo tutte le volte in cui il 20% dell’importo dei lavori a base d’asta è superiore, come nel caso di specie, all’importo dei lavori della categoria per la quale si chiede di usufruire dell’aumento del quinto.
In questi casi, l’interpretazione accolta dalla pronuncia del Consiglio di Stato del 2021 conduce infatti al risultato paradossale di subordinare l’aumento del quinto della categoria interessata (di cui i singoli partecipanti al raggruppamento possiedono i requisiti solo parzialmente, essendosi associati a tal fine) ad una condizione che impone di possedere detto requisito, per ogni singola impresa del raggruppamento, in misura superiore all’importo totale previsto dalla stazione appaltante per quella categoria.
Applicando la suddetta linea interpretativa al caso in esame le imprese del raggruppamento aggiudicatario, per beneficiare dell’incremento del quinto per la categoria OG 10, relativamente alla quale il bando prevede lavori d’importo pari € 7.500.000,00 (suddivisi fra le due partecipanti al raggruppamento), avrebbero dovuto possedere, ciascuna, una qualificazione di € 10.000,000,00, cioè superiore allo stesso requisito di partecipazione previsto per quella categoria per tutto il raggruppamento.
Anche a voler aderire a detto indirizzo interpretativo, volto a ritenere che la condizione del possesso di qualificazione per un importo pari ad almeno il 20% abbia quale parametro di riferimento l’importo a base d’asta, nel rispetto del dato strettamente testuale evidenziato nella sentenza sopra richiamata, esso deve quanto meno essere interpretato in un senso che renda usufruibile, da parte del raggruppamento, la possibilità di suddividere i requisiti di partecipazione secondo le regole di gara.
Sicché deve ritenersi che, se il 20% vede quale parametro di riferimento, da porre nel denominatore della frazione di un quinto, l’importo complessivo a base di gara (così come affermato nella richiamata sentenza n. 3040 del 2021), il dato da porre al numeratore deve essere omogeneo e così comprendere le complessive qualificazioni possedute (anche in altre categorie) dalla società partecipante al raggruppamento che intenda usufruire del quinto di incremento.
Così facendo il requisito cui l’art. 61 comma 2 del d.P.R. n. 207 del 2010 subordina l’aumento del quinto è conforme al dato letterale e garantisce l’esigenza, evidenziata dal Consiglio di Stato nel 2021, di evitare che la premialità del quinto esasperi gli effetti della qualificazione virtuale quando le imprese esecutrici sono una pluralità e il requisito di qualificazione risulta, di conseguenza, molto frazionato, seppur nel rispetto della ratio dell’istituto del raggruppamento.
La disciplina dei raggruppamenti d’impresa in materia di contratti pubblici è infatti finalizzata a consentire, attraverso il principio del cumulo dei requisiti, la partecipazione congiunta di una pluralità di operatori economici anche di ridotte dimensioni a gare di appalti di notevole entità e, al contempo, a consentire la realizzazione dell’appalto nell’interesse della stazione appaltante attraverso la valorizzazione dell’unione delle risorse e delle capacità tecnico-organizzative ed economico-finanziarie di più imprese, con ampliamento delle garanzie per la stessa stazione appaltante.

In questo senso, quindi, l’istituto in esame è diretto a garantire alle imprese un ampio margine di libertà di organizzazione dei fattori produttivi, con effetti strutturalmente pro-concorrenziali e comunque funzionali all’applicazione del principio di massima partecipazione. Sicché la relativa normativa deve essere applicata nel rispetto della ratio proconcorrenziale dell’istituto, con conseguente interpretazione non restrittiva dei requisiti di partecipazione, atteso anche il generale principio del favor partecipationis che connota la disciplina delle procedure a evidenza pubblica.Tale impostazione trova un riferimento nell’art. 19 direttiva UE 2014/24/UE, ai sensi del quale “I raggruppamenti di operatori economici, comprese le associazioni temporanee, sono autorizzati a partecipare a procedure di appalto”. Ove necessario, le amministrazioni aggiudicatrici possono specificare nei documenti di gara le modalità con cui i raggruppamenti di operatori economici devono ottemperare ai requisiti in materia di capacità economica e finanziaria o di capacità tecniche e professionali di cui all’articolo 58, “purché ciò sia proporzionato e giustificato da motivazioni obiettive”.

Riferimenti normativi:

art. 84 d.lgs. n. 50/2016

Lavori : modalità di partecipazione in caso di categorie a qualificazione obbligatoria

TAR Roma, 26.03.2022 n. 3423

La regola contenuta nell’art. 92, comma 1, d.P.R. n. 207 del 2010 – secondo cui è sufficiente la qualifica nella sola categoria prevalente, ove capiente per l’importo totale dei lavori, per colmare il deficit di qualificazione nelle categorie scorporabili – non può applicarsi alle categorie a qualificazione obbligatoria, ostandovi l’esigenza, avvertita dal legislatore con la previsione di tali categorie, di garantire il possesso di un livello minimo di qualificazione tecnica, ai fini della partecipazione alla gara e della conseguente esecuzione dei lavori.

L’art. 12, comma 2, d.l. n. 47 del 2014, nel porre un divieto all’operatore in possesso della qualificazione nella sola categoria prevalente di eseguire le lavorazioni riconducibili alla categoria OS34 “se privo delle relative adeguate qualificazioni” (lett. b), chiarisce che la qualifica nella sola categoria prevalente, anche se capiente per l’importo totale dei lavori, non consente di colmare il deficit di qualificazione nella categoria a qualificazione obbligatoria; la previsione di cui alla lett. b) del citato art. 12, comma 2, secondo cui il mancato possesso della qualificazione obbligatoria può essere sostituito dal ricorso al subappalto, rende evidente che tale istituto viene in rilievo in sede di partecipazione alla gara in quanto “sostitutivo” del requisito di qualificazione mancante.

Il concorrente privo delle qualificazioni obbligatorie richieste dalla legge per l’esecuzione di determinate categorie di lavori, in alternativa al subappalto necessario, può ricorrere all’avvalimento oppure inserire nel RTI un operatore che sia qualificato ad eseguire le lavorazioni nella misura minima richiesta dalla legge o dal bando; se il modulo organizzativo prescelto dal concorrente per l’esecuzione dei lavori di cui alle categorie a qualificazione obbligatoria è un raggruppamento orizzontale, è necessario che ciascuna delle mandanti dello stesso possieda i requisiti nella misura minima del 10% di quelli richiesti nel bando di gara per l’impresa singola, secondo quanto previsto dall’art. 92, comma 2, d.P.R. n. 207 del 2010.

Riferimenti normativi:

art. 84 d.lgs. n. 50/2016

fonte: sito della Giustizia Amministrativa

Scadenza SOA: per garantire continuità è sufficiente “attivarsi” per ottenere il rinnovo?

La giurisprudenza ha chiarito che è sufficiente, per garantire la continuità delle attestazioni, che nel termine di 90 giorni prima della scadenza della precedente qualificazione sia stato, se non stipulato il contratto con la SOA, almeno presentata istanza di rinnovo idonea a radicare l’obbligo dell’organismo di eseguire le connesse verifiche.
L’art. 76, comma 5, del DPR 5 ottobre 2010, n. 207 (ancora vigente in forza della previsione di cui all’art. 216, comma 14, d.lgs. n. 50 del 2016) stabilisce quanto segue: “L’efficacia dell’attestazione è pari a cinque anni con verifica triennale del mantenimento dei requisiti di ordine generale, nonché dei requisiti di capacità strutturale di cui all’articolo 77, comma 5. Almeno novanta giorni prima della scadenza del termine, l’impresa che intende conseguire il rinnovo dell’attestazione deve stipulare un nuovo contratto con la medesima SOA o con un’altra autorizzata all’esercizio dell’attività di attestazione”.
Il disposto letterale della norma è nel senso che almeno novanta giorni prima della scadenza del termine di validità dell’attestazione di qualificazione l’impresa interessata deve “stipulare un nuovo contratto” volto al rinnovo dell’attestazione medesima.
Tuttavia l’interpretazione emersa in giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, n. 7178/2020 e TAR Firenze n. 1232/2021), ferma restando la presenza del termine decadenziale di novanta giorni, mira a valorizzare, al pari della stipula del contratto, anche un più generale essersi attivato dell’operatore interessato nel suddetto termine, avviando contatti con la SOA aventi esplicito significato di richiedere e portare avanti il procedimento di rinnovo dell’attestazione in scadenza, non essendo rinvenibile un apprezzabile interesse per differenziare le due ipotesi, a condizione che l’attivarsi dell’operatore economico presso la società di attestazione sia esplicito ed inequivoco.

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    Affitto ramo d’azienda – SOA originaria – Mancato rinnovo o aggiornamento – Perdita dei requisiti di qualificazione (art. 84 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. V, 18.08.2021 n. 5916

    8.3. Correttamente la sentenza di prime cure ha dunque accolto in parte qua il ricorso e annullato l’aggiudicazione, ritenendo fondata la censura sulla violazione del principio di continuità nel possesso dei requisiti di qualificazione in capo alla Italscavi.
    8.4. La sentenza ha anzitutto puntualmente chiarito che l’affitto d’azienda ha determinato (come nel caso di cessione) una modificazione soggettiva e il venir meno dei requisiti che avevano consentito il rilascio dell’attestazione SOA in capo a -Omissis-: attestazione che doveva, per converso, perdurare per tutta l’esecuzione del contratto, non risultando invece neppure che la cedente abbia chiesto una nuova attestazione, sì che essa non potrebbe valersi dell’attestazione SOA rilasciata sulla base di una realtà aziendale diversa rispetto a quella risultante a seguito dell’affitto. La sentenza ha inoltre opportunamente richiamato, siccome dirimente ai fini della decisione del primo motivo di ricorso, il contenuto e la ratio del principio di continuità nel possesso dei requisiti di qualificazione, per poi chiarire le modalità con cui lo stesso principio operi nel caso di modificazioni soggettive dei concorrenti.
    Suddetto principio richiede che il possesso dei requisiti di ammissione alla gara sussista a partire dall’atto di presentazione della domanda di partecipazione e permanga per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 18 aprile 2014, n. 1987; Cons. Stato, sez. V, 30 settembre 2013, n. 4833 e 26 marzo 2012, n. 1732; Cons. Stato, sez. III, 13 luglio 2011, n. 4225; Cons. Stato, Ad. pl., 25 febbraio 2014, n. 10; nn. 15 e 20 del 2013; nn. 8 e 27 del 2012; n. 1 del 2010). Tale principio, spiega l’Adunanza Plenaria, per esigenze di “trasparenza e di certezza del diritto” deve ritenersi immanente all’intero procedimento di evidenza pubblica, a prescindere dalla indicazione, da parte del legislatore, di specifiche fasi espressamente dedicate alla verifica dei requisiti.
    8.5. Sulla ratio di tale principio giova richiamare espressamente, come fatto dall’appellata sentenza, alcuni passaggi dell’Adunanza Plenaria, 20 luglio 2015 n. 8, laddove in particolare si afferma che: «Proprio perché la verifica può avvenire in tutti i momenti della procedura (a tutela dell’interesse costante dell’Amministrazione ad interloquire con operatori in via permanente affidabili, capaci e qualificati), allora in qualsiasi momento della stessa deve ritenersi richiesto il costante possesso dei detti requisiti di ammissione; tanto, vale la pena di sottolineare, non in virtù di un astratto e vacuo formalismo procedimentale, quanto piuttosto a garanzia della permanenza della serietà e della volontà dell’impresa di presentare un’offerta credibile e dunque della sicurezza per la stazione appaltante dell’instaurazione di un rapporto con un soggetto, che, dalla candidatura in sede di gara fino alla stipula del contratto e poi ancora fino all’adempimento dell’obbligazione contrattuale, sia provvisto di tutti i requisiti di ordine generale e tecnico-economico-professionale necessari per contrattare con la P.A (…). E tale specifico onere di continuità in corso di gara del possesso dei requisiti, è appena il caso di rilevarlo, non solo è del tutto ragionevole, siccome posto a presidio dell’esigenza della stazione appaltante di conoscere in ogni tempo dell’affidabilità del suo interlocutore “operatore economico” (e dunque di poter monitorare stabilmente la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente ), ma è altresì non sproporzionato, essendo assolvibile da quest’ultimo in modo del tutto agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza, che gli operatori professionali devono tenere al fine di poter correttamente insistere e gareggiare nel concorrenziale mercato degli appalti pubblici; il che significa, per quanto qui ne occupa, garantire costantemente la qualificazione loro richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica (…)».
    8.6. Come noto, e come ribadito dalla stessa Adunanza Plenaria, l’attestazione SOA costituisce lo strumento necessario e sufficiente, nonché esclusivo, “di dimostrazione del possesso dei requisiti partecipazione alla gara”, che deve quindi permanere durante tutte le fasi della procedura di gara, anche in fase di esecuzione.
    I riflessi delle modifiche soggettive sull’attestazione SOA sono stati approfonditamente esaminati dalla giurisprudenza amministrativa. In particolare, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez, V, 16 gennaio 2015, n. 70) ha già chiarito che “… nel caso di cessione di ramo d’azienda, né il cedente né il cessionario possono valersi della attestazione di qualificazione posseduta dall’azienda ceduta, pur potendo richiederne una nuova alla società di attestazione. La nuova attestazione avrà però efficacia solo dopo il suo rilascio, vale a dire dopo che sono stati effettuati tutti i controlli del caso, lasciando l’azienda cessionaria, durante il periodo che intercorre tra l’incorporazione del ramo e l’ottenimento della nuova attestazione SOA, priva dell’attestato di qualificazione”; ne segue che, stante il disposto dell’art. 79, comma 11, del d.P.R. n. 207/2010, l’azienda che ceda un proprio ramo è onerata di “richiedere alla SOA una nuova attestazione”, di modo che “a seguito di tale richiesta, la società di attestazione instaura un nuovo procedimento di valutazione dei requisiti oggetto di trasferimento e di quelli acquisiti successivamente allo stesso, che si conclude, sussistendone le condizioni, con il rilascio alla cedente della nuova attestazione di qualificazione”; in mancanza si verifica irrimediabilmente una “soluzione di continuità” nel possesso dell’attestato di qualificazione, con conseguente perdita del requisito.
    Invero, la consolidata giurisprudenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, ha statuito che “… la cessione del ramo d’azienda non comporta, di per sé, l’automatica decadenza dalla qualificazione, occorrendo, per contro, procedere a una valutazione in concreto dell’atto di cessione, da condursi sulla base degli scopi perseguiti dalle parti e dell’oggetto del trasferimento. Per tal via, non è dubbio che l’accertamento positivo effettuato dalla SOA, su richiesta o in sede di verifica periodica, in ordine al mantenimento dei requisiti di qualificazione da parte dell’impresa cedente, comporti la conservazione dell’attestazione da parte della stessa senza soluzione di continuità, laddove – all’incontro – l’omessa verifica, a fronte del trasferimento di azienda, determina, tanto rispetto alla cedente quanto rispetto alla cessionaria, una soluzione di continuità nel possesso dei requisiti” (cfr. Cons. Stato, V, n. 5740/2019 cit.).
    8.7. Orbene, tali principi, pur essendo stati affermati con specifico riferimento al caso della cessione di azienda, sono, ad avviso del Collegio, estensibili anche al caso oggetto di giudizio dell’affitto di azienda, ravvisandosi, in entrambe le fattispecie, una modifica soggettiva dell’azienda.
    A tale riguardo, giova anzitutto rammentare che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 3 luglio 2017pur affermando che non tutti i casi di cessione del ramo di azienda determinano una perdita dei requisiti di qualificazione in capo al cedente, dovendosi accertare, di volta in volta, quale sia la causa concreta del contratto di cessione- ha chiarito in modo rigoroso i presupposti necessari affinché il cedente possa valersi dell’attestazione SOA anche a seguito della cessione di un proprio ramo. L’Adunanza Plenaria n. 3/2017, in particolare, ha affermato che affinché il cedente (nel nostro caso -Omissis-) possa valersi dell’attestazione SOA anche a seguito della cessione, è necessario che, in sede di verifica, su istanza di parte o periodica, la SOA abbia accertato il perdurante possesso in capo ad esso della presenza dei requisiti che avevano consentito l’originaria attestazione SOA.
    8.8. Alla luce dei su riportati principi, deve concludersi che, nel caso in esame, dagli atti di causa risulta invece, senza contestazioni sul punto, che, a seguito dell’affitto del ramo di azienda alla -Omissis-, la -Omissis2- non abbia ottenuto (né richiesto) una nuova attestazione, non potendo perciò la stessa più valersi dell’attestazione SOA rilasciata sulla base di una realtà aziendale diversa rispetto a quella risultante a seguito dell’affitto.

    [rif. art. 84 d.lgs. n. 50/2016]

    La SOA è vincolante per la Stazione Appaltante ?

    Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il rilascio delle attestazioni SOA integra una funzione pubblica di certificazione, potendosi equiparare l’attestato SOA ad un atto pubblico che fa fede fino a querela di falso del possesso dei requisiti in esso – appunto – attestati (ex multis, Cons. Stato, VI, 4 luglio 2012, n. 3905; V, 19 aprile 2011, n. 2401); in tal senso si pongono anche il comunicato AVCP n. 41 del 13 luglio 2004 e le determinazioni della stessa Agenzia nn. 6 del 21 aprile 2004 e 10 del 25 maggio 2004.
    La pubblica valenza accertativa delle attestazioni SOA trova eco nella previsione dell’art. 60, comma 3 del d.P.R. n. 207 del 2010, per cui “l’attestazione di qualificazione rilasciata a norma del presente titolo costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento di lavori pubblici”.
    In coerenza con la previsione dell’art. 60, anche l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP, poi divenuta ANAC) ribadiva, nel parere di precontenzioso n. 89 del 30 maggio 2012, che “Per la sola esecuzione dei lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro […] il legislatore ha previsto un sistema di qualificazione unico ed esclusivo tramite SOA (art. 40 D.Lgs. 163/2006), in virtù del quale ciascuna impresa è qualificata per una o più delle categorie di cui all’Allegato A DPR 207/2010 e classificata, nell’ambito di ogni categoria, secondo gli importi di cui all’art. 61, comma 4, DPR 207/2010.
    Al termine del procedimento di qualificazione la SOA rilascia all’impresa un’apposita attestazione, la quale costituisce requisito necessario e sufficiente per partecipare alle gare per gli affidamenti di lavori pubblici corrispondenti a quelli oggetto dell’attestazione”.
    La certificazione SOA – ove esistente e formalmente corretta – è dunque vincolante per l’amministrazione, che nel corso delle verifiche di sua competenza circa la sussistenza o meno dei presupposti di partecipazione alla gara dei singoli operatori economici non può sindacarne la correttezza o veridicità, se del caso per discostarsene (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 14.06.2021 n. 4622).

    [rif. art. 84 d.lgs. n. 50/2016]


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      Incremento del quinto della classifica di qualificazione in caso di Raggruppamento

      TAR Venezia, 09.06.2021 n. 779

      La stazione appaltante avrebbe, pertanto, dovuto escludere dalla gara il RTI aggiudicatario, in conformità al principio enunciato nella sentenza n. 6/2019 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato secondo il quale “In applicazione dell’art. 92, co. 2, DPR 5 ottobre 2010 n. 207, la mancanza del requisito di qualificazione in misura corrispondente alla quota dei lavori, cui si è impegnata una delle imprese costituenti il raggruppamento temporaneo in sede di presentazione dell’offerta, è causa di esclusione dell’intero raggruppamento, anche se lo scostamento sia minimo ed anche nel caso in cui il raggruppamento nel suo insieme (ovvero un’altra delle imprese del medesimo) sia in possesso del requisito di qualificazione sufficiente all’esecuzione dell’intera quota di lavori”.
      Le imprese -Omissis1- e -Omissis2- non possono avvalersi dell’incremento del quinto della propria classifica di qualificazione ai sensi dell’art. 61, comma 2, d.P.R. n. 207/2010, il quale dispone che: “La qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto; nel caso di imprese raggruppate o consorziate la medesima disposizione si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara; nel caso di imprese raggruppate o consorziate la disposizione non si applica alla mandataria ai fini del conseguimento del requisito minimo di cui all’articolo 92, comma 2”.
      La giurisprudenza ha, invero, chiarito che per beneficiare dell’incremento virtuale di cui all’art. 61, comma 2, DPR 207/2010 occorre la qualificazione pari a un quinto con riferimento non alla singola categoria, ma all’importo totale dei lavori di gara (Cons. St. n. 3040/2021 secondo cui “…nel caso di imprese raggruppate o consorziate “la medesima disposizione” si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata: ciò significa che, anche nel caso di raggruppamento, ciascuna singola impresa è abilitata a partecipare ed eseguire i lavori in riferimento alla propria qualificazione in una categoria e nei limiti della classifica col beneficio dell’incremento del quinto, ma subordinatamente alla ulteriore condizione che essa sia qualificata per un importo pari ad almeno un quinto “dell’importo dei lavori a base di gara”): circostanza che nella specie non si verifica.

      Certificazioni di qualità estere utilizzabili in Italia

      Indicazioni in merito all’utilizzo delle certificazioni di qualità al fine del conseguimento dell’attestazione di qualificazione.

      L’Autorità Anticorruzione ha chiarito che le certificazioni di qualità emesse da Organismi accreditati da Enti riconosciuti dall’associazione mondiale degli Enti di Accreditamento (IAF- International Accreditation Forum Multilateral Agreements) sono utilizzabili al fine del conseguimento dell’attestazione di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici. Questo al pari di quelle emesse da Organismi accreditati da Enti aderenti all’associazione europea EA (European cooperation Multilateral Agreement). Ciò in base al principio generale del mutuo riconoscimento, volto a favorire la libera circolazione dei beni e dei servizi sui mercati internazionali.
      Le indicazioni fornite dall’Autorità fanno riferimento alle previsioni dell’articolo 84, comma 4, del codice dei contratti pubblici. Il Comunicato di chiarimento, firmato dal Presidente Giuseppe Busia, è datato 9 giugno 2021.

      Comunicato Presidente ANAC 09.06.2021

      Capacità tecnica e professionale : differenza tra appalto di servizi e di lavori

      Consiglio di Stato, sez. V, 07.06.2021 n. 4298

      Nell’appalto di servizi, quale è quello oggetto di giudizio, di norma rileva, ai fini del possesso del requisito di capacità tecnica e professionale, l’avvenuto svolgimento di servizi analoghi nell’arco temporale di riferimento, non anche il possesso della documentazione che attesti il requisito. Questa è richiesta ai fini della comprova ai sensi dell’art. 32, comma 7, e 85, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016.
      La giurisprudenza richiamata dall’appellante, sia nel ricorso che nelle memorie del grado di appello, non è pertinente perché riguarda, per la gran parte, gli appalti di lavori.
      Per questa tipologia di appalti, vigendo il sistema unico di qualificazione dell’art. 84 del Codice dei contratti pubblici, l’esecuzione dei lavori non è solo documentata dal certificato di esecuzione dei lavori (CEL), ma è anche accertata con tale documento, in forza di poteri certificativi riconosciuti alle stazioni appaltanti.
      In ragione dell’esercizio di tali poteri certificativi, si è affermato in giurisprudenza che il certificato di esecuzione dei lavori è “un atto rientrante nella categoria dei c.d. accertamenti costitutivi, poiché l’effetto dell’accertamento è quello di costituire il requisito in capo all’impresa che richiede il certificato” (così testualmente Cons. Stato, V, 21 febbraio 2020, n. 1320, citata dall’appellante).

      Lavori – Qualificazione – Possesso CEL al momento della partecipazione alla gara – Necessità – Non è sufficiente l’avvenuta esecuzione (art. 83 , art. 84 , art. 86 d.lgs. n. 50/2016)

      Consiglio di Stato, sez. V, 15.12.2020 n. 8025

      8. La sentenza appellata ha correttamente ritenuto la legittimità del provvedimento di esclusione dalla procedura, motivato sull’insussistenza del requisito tecnico-organizzativo di cui all’art. 90 del d.P.R. 207/2010, per complessiva insufficienza dei lavori presentati, a comprova del requisito prescritto, in quanto inferiori ad € 150.000,00.
      8.1. La Stazione appaltante ha, infatti, a ragione valutato che l’impresa concorrente dovesse essere in possesso, già al momento della partecipazione, del certificato di esecuzione lavori comprovante i requisiti dichiarati in fase di ammissione e che tali certificati dovessero avere una data antecedente alla pubblicazione del bando: con ciò non è incorsa in alcuna confusione tra la qualificazione e il relativo mezzo di prova.
      8.2. Come affermato da questo Consiglio di Stato, “non vi è dubbio che altro è l’esecuzione dei lavori e altro è ancora la documentazione dei lavori eseguiti: tuttavia, la lettura sistematica delle disposizioni normative sul Certificato di esecuzione lavori induce a ritenere che solamente l’impresa che sia in possesso, al momento della presentazione della domanda, del CEL può dichiarare il possesso del requisito, poiché solo quell’impresa è in grado di comprovarlo. In ultimo, allora il requisito dell’esecuzione dei lavori coincide con quello del possesso del Certificato di esecuzione dei lavori” (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 28 dicembre 2017, n. 6135).
      8.3. Non può, pertanto, condividersi la tesi dell’appellante secondo la quale era sufficiente l’esecuzione, nel quinquennio di riferimento, dei lavori appartenenti alla categoria richiesta dal bando, senza alcuna garanzia circa il buon esito degli stessi, potendo la concorrente produrre tale attestazione anche in un momento successivo alla partecipazione.
      8.4. Come bene rilevato dal primo giudice, il principale tra gli argomenti posti a fondamento del ricorso, ovvero che andrebbero distinte la effettiva qualificazione (derivante dallo svolgimento dei lavori) dalla certificazione degli stessi (che costituirebbe solo un mezzo di prova della precedente), si rivela artificiosamente volto a scindere due elementi che, nell’economia della gara, devono coesistere e devono essere posseduti alla data di presentazione della domanda.
      8.5. La certificazione dei lavori regolarmente eseguiti è, difatti, elemento essenziale, in quanto attiene alla tutela della necessità che il requisito esperienziale sia certo e validato da parte dell’Autorità munita del potere di verificarne il presupposto e, quindi, deve sussistere al momento della presentazione della domanda: altrimenti, l’ammissione della concorrente perderebbe qualunque predicato di stabilita e certezza, risultando condizionato non già soltanto alla mera prova di quanto dichiarato, ma della stessa regolare esecuzione dei lavori che attiene alla dimensione sostanziale della qualificazione della concorrente; dal che la violazione della par condicio tra tutte le concorrenti e della speditezza del procedimento di gara.
      Tali principi devono infatti essere garantiti mediante il rispetto di un termine certo entro il quale il partecipante deve possedere i requisiti di qualificazione (che, dichiarati dal concorrente nella domanda di partecipazione, devono essere mantenuti per tutta la gara, sino all’esecuzione dell’affidamento) e le relative complete attestazioni: termine che non può che coincidere con quello della scadenza per la presentazione delle offerte.
      Pertanto, già in data anteriore alla scadenza del termine di presentazione della domanda, ciascun concorrente doveva disporre dell’attestazione con la prova del buon esito delle lavorazioni pregresse: in caso contrario, come qui avvenuto, l’impresa non risultava né qualificata nel requisito previsto dal bando né in possesso del relativo mezzo di prova.
      La riserva di prova cui accenna l’appellante va riferita, pertanto, esclusivamente all’attività di controllo che la Stazione appaltante svolge sui requisiti dichiarati dai concorrenti al momento della presentazione della domanda, senza con ciò implicare la possibilità per il concorrente di qualificarsi sino al compimento di tale attività e, dunque, anche in data successiva alla presentazione della domanda.
      8.5. La tesi sostenuta dall’appellante contrasta con le disposizioni normative in tema di certificato di esecuzione lavori ed è smentita dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (puntualmente richiamata dalla sentenza appellata: cfr. Cons. di Stato, V, 28 dicembre 2017, n. 6135), i cui principi, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità, sono stati correttamente applicati dal Tribunale amministrativo alla fattispecie oggetto di giudizio.
      8.6. Come rammentato in quest’ultima decisione, l’art. 86, comma 5-bis, D.Lgs. 50/2016 stabilisce che: “l’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione dei lavori redatto secondo lo schema predisposto dall’ANAC con le linee guida di cui all’articolo 83, comma 2”.
      L’art. 84, comma 4, del medesimo D.Lgs. 50/2016 prevede espressamente che “tra i requisiti tecnico-organizzativi rientrano i certificati rilasciati alle imprese esecutrici dei lavori pubblici da parte delle stazioni appaltanti”.
      L’art. 79, comma 6, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 – tuttora applicabile in virtù di quanto previsto dagli artt. 83, co. 2 ult. periodo e 216, co. 14, D.Lgs. 50/2016 – stabilisce che: “l’esecuzione dei lavori è documentata dai certificati di esecuzione dei lavori previsti dagli articoli 83, comma 4 e 84, indicati dall’impresa e acquisiti dalla SOA ai sensi dell’articolo 40, comma 3, lettera b), del codice, nonché secondo quanto previsto dall’articolo 86”.
      Il CEL è previsto, poi, dall’art. 83, comma 4, d.P.R. cit. tra i documenti che consentono di provare la sussistenza dei requisiti tecnico – organizzativi ovvero economico – finanziari necessari per l’emissione delle attestazioni SOA.
      Il comma 2 del medesimo articolo precisa inoltre che, ai fini del rilascio delle attestazioni richieste, “I lavori da valutare sono quelli eseguiti regolarmente e con buon esito…”.
      Il comma 4 specifica, poi, che “I certificati di esecuzione lavori sono redatti in conformità allo schema di cui all’allegato B e contengono la espressa dichiarazione dei committenti che i lavori eseguiti sono stati realizzati regolarmente e con buon esito”.
      Alla luce delle disposizioni su riportate nonché di quanto previsto dal già richiamato art. 90 del d.P.R. 207/2010, deve dunque evidenziarsi che sia il dato normativo sia la lex specialis di gara, utilizzando le locuzioni “importo dei lavori analoghi eseguiti direttamente” e “aver eseguito direttamente, […], lavori analoghi”, si riferiscono ad una corretta e “certificata” esecuzione dei lavori appaltati.
      8.7. Il documento attraverso il quale il committente accerta e dimostra la regolare esecuzione dei lavori e, nel complesso, il buon esito dell’appalto, e, dunque, l’affidabilità e la professionalità dell’appaltatore, è il certificato di esecuzione dei lavori, che, nel caso di lavorazioni in OG 2 “restauro e manutenzione dei beni immobili sottoposti a tutela”, deve essere altresì munito, ai sensi dell’art. 12 del Decreto MiBACT del 22 agosto 2017 n. 154, del visto della Autorità preposta alla tutela del vincolo territorialmente competente. Sotto questo profilo, come ha evidenziato il giudice di prime cure, si tratta di una prescrizione non irragionevole, né meramente formale, in quanto concorre a rendere certa la regolare esecuzione dei lavori anche con riguardo all’Autorità preposta al vincolo di tutela.
      8.8. Alla luce delle considerazioni che precedono, l’operatore economico acquista il possesso del requisito di qualificazione tecnico-organizzativo solo a seguito dell’accertamento della regolare esecuzione dei lavori e del buon esito dell’appalto tramite l’emissione del certificato di esecuzione dei lavori. In detto certificato si dà, infatti, atto dell’avvenuta esecuzione in maniera regolare e con buon esito dei lavori, nonché del risultato delle contestazioni reciprocamente mosse dalle parti contrattuali in seguito all’esecuzione dei lavori.
      Del resto, come evidenziato dalla difesa dell’-OMISSIS-, anche la Delibera ANAC n. 681 del 17 luglio 2019 afferma claris verbis che per gli appalti di lavoro pari o inferiore a 150.000,00 €, in assenza di qualificazione SOA, la partecipazione alle gare è subordinata al possesso dei requisiti previsti dall’art. 90 del d.P.R. n. 207/2010 e che il requisito dell’esecuzione diretta dei lavori analoghi nel quinquennio antecedente la data di pubblicazione del bando “può ritenersi integrato non dalla mera esecuzione dei lavori nel periodo di riferimento, ma dalla esecuzione regolare e con buon esito dei lavori, così come certificata dalla stazione appaltante”.
      8.9. Insomma, contrariamente a quanto sostiene parte appellante, il certificato di regolare esecuzione non ha valenza meramente probatoria, ma valore costitutivo del requisito di partecipazione e pertanto deve essere conseguito dal concorrente prima della scadenza del termine per la presentazione della domanda: invero, l’emissione del certificato di esecuzione dei lavori contribuisce in modo determinante ad integrare, anche dal punto di vista strettamente sostanziale, il possesso del requisito di qualificazione, poiché solo a seguito dell’accertamento da parte della committenza della regolare esecuzione dei lavori e del buon esito dell’appalto, esso può ritenersi definitivamente costituito.
      In applicazione dei su riportati principi giurisprudenziali, la sentenza appellata, meritando piena conferma, ha dunque accolto il ricorso e annullato l’aggiudicazione sul rilievo per cui l’impresa ricorrente, alla data di presentazione della domanda, aveva contabilizzato i lavori, ma non ancora ottenuto il Certificato di esecuzione dei lavori, sicché non era in possesso del requisito richiesto dal bando, ai fini dell’ammissione alla procedura: risulta, infatti, per quanto finora detto, priva di base la distinzione, prospettata da parte appellante, tra effettuazione dei lavori e certificazioni, in quanto la comprova dei requisiti deve avvenire in relazione al possesso di quanto dichiarato ai fini dell’ammissione alla gara”.

      Categoria prevalente e subappalto delle categorie scorporabili

      TAR Cagliari, 27.11.2020 n. 661

      In tema di qualificazione nei lavori pubblici, il principio generale è quello per cui l’operatore economico può partecipare alla gara qualora sia in possesso dei requisiti nella categoria prevalente per l’importo totale dei lavori, con l’unica precisazione che, nel caso in cui le eventuali categorie scorporabili previste nel bando rientrino tra quelle a “qualificazione obbligatoria”, è necessario subappaltare queste ultime ad una impresa specificamente qualificata.
      Tale regola trova oggi fondamento nell’art. 12, comma 2, del D.L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito con modifiche in L. 23 maggio 2014, n. 80 rubricato “Disposizioni urgenti in materia di qualificazione degli esecutori dei lavori pubblici” (in precedenza, v. art. 109, comma 2, del d.P.R. n. 207/2010), il quale alla lettera a) detta il principio generale per cui:
      “a) l’affidatario, in possesso della qualificazione nella categoria di opere generali ovvero nella categoria di opere specializzate indicate nel bando di gara o nell’avviso di gara o nella lettera di invito come categoria prevalente può, fatto salvo quanto previsto alla lettera b), eseguire direttamente tutte le lavorazioni di cui si compone l’opera o il lavoro, anche se non è in possesso delle relative qualificazioni, oppure subappaltare dette lavorazioni specializzate esclusivamente ad imprese in possesso delle relative qualificazioni”.
      Alla lettera b) detta poi la disciplina per le scorporabili a qualificazione obbligatoria prevedendo che:
      “b) non possono essere eseguite direttamente dall’affidatario in possesso della qualificazione per la sola categoria prevalente, se privo delle relative adeguate qualificazioni, le lavorazioni, indicate nel bando di gara o nell’avviso di gara o nella lettera di invito, di importo superiore ai limiti indicati dall’articolo 108, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 maggio 2010, n. 207, relative alle categorie di opere generali individuate nell’allegato A al predetto decreto, nonché le categorie individuate nel medesimo allegato A con l’acronimo OS, di seguito elencate: OS 2-A, OS 2- B, OS 3, OS 4, OS 5, OS 8, OS 10, OS 11, OS 12-A, OS 13, OS 14, OS 18-A, OS 18-B, OS 20-A, OS 20-B, OS 21, OS 24, OS 25, OS 28, OS 30, OS 33, OS 34, OS 35. Le predette lavorazioni sono comunque subappaltabili ad imprese in possesso delle relative qualificazioni. Esse sono altresì scorporabili e sono indicate nei bandi di gara ai fini della costituzione di associazioni temporanee di tipo verticale. Resta fermo… omissis …”.

      La norma appena richiamata, in linea di assoluta continuità con le previgenti disposizioni in materia succedutesi nel tempo e recanti previsioni di identico tenore, stabilisce che un operatore economico affidatario di lavori pubblici – senza distinguere tra operatori singoli o a forma plurisoggettiva – è abilitato a eseguire le lavorazioni oggetto di affidamento se in possesso della qualificazione SOA nella sola categoria prevalente per l’importo totale dei lavori, salvo che le eventuali, ulteriori categorie scorporabili previste nel bando rientrino tra quelle a “qualificazione obbligatoria” (quali oggi specificate dal D.M. 10.11.2016 n. 248 che ha tra l’altro integrato l’elenco contenuto nel citato art. 12, comma 2, lett. b), del D.L. n. 47/2014, con le categorie OS12-B e OS32).
      In tal caso, infatti, qualificandosi nella categoria prevalente nei termini appena precisati, se e nella misura in cui non sia in possesso di adeguata qualificazione SOA nelle specifiche categorie scorporabili a qualificazione obbligatoria, l’operatore medesimo potrà qualificarsi comunque in gara, in relazione al possesso dei requisiti riferiti alla categoria prevalente per l’importo delle categorie scorporabili non specificamente possedute, purché dichiari di subappaltare le lavorazioni afferenti alle dette categorie a qualificazione obbligatoria ad altro operatore in possesso della occorrente, specifica qualificazione.
      […]
      La lunga esposizione in fatto e la dettagliata descrizione delle censure del ricorrente consentono di risolvere agevolmente la questione fissando i punti rilevanti:
      1) per le categorie scorporabili “a qualificazione non obbligatoria” rileva la qualificazione in possesso del concorrente per la categoria prevalente, ove sufficientemente capiente, mentre ai fini dell’esecuzione, tali categorie possono essere eseguite direttamente dal concorrente, anche se privo della relativa qualificazione, con facoltà, in alternativa, di subappaltarle anche integralmente entro il limite della quota (percentuale ammessa) dell’intero plafond stanziato per la componente “lavori” dell’appalto;
      2) se si parla di subappalto necessario [art. 105 d.lgs. n. 50/2016], va ricordato che esso è contemplato da precise norme legislative e regolamentari, così da costituire un istituto di sicura applicabilità nelle gare a prescindere da qualsiasi espresso richiamo da parte dei bandi e in relazione al significato da attribuire alle dichiarazioni rese dalla ricorrente nella compilazione del modulo di partecipazione fornito dall’amministrazione nella sua volontà di non fare affidamento sulle capacità di altri soggetti per soddisfare criteri di selezione, agevolmente riconducibile alla semplice consapevolezza della società di poter concorrere autonomamente alla gara grazie alla sua qualificazione nella categoria prevalente, salvo, poi, affidare concretamente in subappalto i lavori della categoria scorporabile a soggetto specificamente qualificato, come dichiarato;
      3) per la partecipazione alla gara di appalto per l’affidamento di lavori pubblici è sufficiente il possesso della qualificazione nella categoria prevalente per l’importo totale dei lavori e non è, quindi, necessaria anche la qualificazione nelle categorie scorporabili. L’affidatario – se sprovvisto della relativa qualificazione subappalterà l’esecuzione ad imprese che ne sono provviste. La validità e l’efficacia del subappalto postula, quali condizioni indefettibili, che il concorrente abbia indicato nella fase dell’offerta le lavorazioni che intende subappaltare e che abbia, poi, trasmesso alla Stazione Appaltante il contratto di subappalto;
      4) in definitiva, il possesso della qualificazione nella categoria prevalente, per l’importo totale dei lavori, giustifica di per sé la partecipazione ad una gara, indipendentemente dalla qualificazione nelle categorie scorporabili, da rendere necessariamente oggetto di subappalto in sede di offerta e di successivi adempimenti, attinenti alla fase di esecuzione contrattuale;
      5) pur comprendendo i dubbi della stazione appaltante in una materia così complessa, ritiene questo Collegio che la ricostruzione in diritto proposta dal raggruppamento ricorrente sia armonica anche rispetto ai principi di diritto eurounitario in punto di frazionabilità dei requisiti di partecipazione, reiteratamente affermati dalla Corte di Giustizia con riferimento agli artt. 47 e 48 della previgente direttiva 2004/18/CE (CGUE, 10 ottobre 2013, C 94/12, punti 29 – 35; CGUE, 14 gennaio 2016, C-234/14, punti 23 e 28; CGUE, 14 luglio 2016, C 406/14, punto 33) e non contraddetti dalla successiva direttiva 2014/24/UE.

      Computo dei 90 giorni per rinnovo attestazione SOA

      Consiglio di Stato, sez. V, 18.11.2020 n. 7178

      L’ultimo giorno di validità dell’attestazione di qualificazione non può considerarsi dies a quo del termine di 90 giorni (precedente la scadenza del termine di validità dell’attestazione di qualificazione), previsto dall’art. 76, comma 5, d.P.R. n. 207 del 2010, per presentare l’istanza di rinnovo e va pertanto conteggiata nel calcolo del termine.

      Le attestazioni di qualificazione costituiscono requisito di ammissione alle gare pubbliche che si impone a partire dall’atto di presentazione della domanda di partecipazione e per tutta la durata della procedura di evidenza pubblica, fino all’aggiudicazione definitiva e alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso (Cons. Stato, Ad. plen., n. 8 del 2015; id. n. 10 del 2014, n. 10; id. nn. 15 e 20 del 2013; id. nn. 8 e 27 del 2012; id. n. 4 del 2011; n. 1 del 2010; id., sez. IV, 18 aprile 2014, n. 1987; id., sez. V, 30 settembre 2013, n. 4833; id. 26 marzo 2012, n. 1732; id., sez. III, 13 luglio 2011, n. 4225).
      E’ pertanto inconfigurabile la soluzione di continuità in ordine al possesso del requisito: l’operatore economico che partecipa a una gara pubblica deve garantire costantemente il possesso della qualificazione richiesta e la possibilità concreta della sua dimostrazione e verifica, ciò che assicura alla stazione appaltante l’affidabilità e la perdurante idoneità tecnica ed economica del concorrente. Si tratta di un onere non sproporzionato, perchè assolvibile in modo agevole, mediante ricorso all’ordinaria diligenza richiesta agli operatori professionali che gareggiano nel mercato concorrenziale degli appalti pubblici (Cons. Stato, Ad. plen., n. 8 del 2015).
      Del resto, per evitare la predetta soluzione di continuità e scongiurare il pericolo che l’operatore economico partecipante alle gare pubbliche incorra nelle conseguenze negative derivanti dalla scadenza dell’attestazione nel periodo sopra indicato, l’ordinamento di settore appronta rimedi specifici.
      La giurisprudenza è ferma nel riconoscere che al fine della verifica della continuità del possesso del requisito è sufficiente che l’impresa abbia stipulato con la SOA il relativo contratto, o abbia presentato una istanza di rinnovo idonea a radicare l’obbligo dell’organismo di eseguire le connesse verifiche, nel termine normativamente previsto, cioè nei 90 giorni precedenti la scadenza del termine di validità dell’attestazione, ai sensi dell’art. 76, comma 5, d.P.R. n. 207 del 2010 (ex multis, Cons. Stato, Ad. plen., n. 16 del 2014; id. . 27 del 2012; id., sez. V, 8 marzo 2017, n. 1091).
      In altre parole, nelle gare pubbliche, al fine della verifica della continuità del possesso dei requisiti speciali di partecipazione di cui all’attestazione SOA, è sufficiente che l’impresa abbia presentato, ai sensi dell’art. 76, comma 5, d.P.R. n. 207 del 2010, istanza di rinnovo nel termine di 90 giorni precedenti la scadenza del termine di validità dell’attestazione: tale condizione, testimoniando la diligenza del concorrente che prima della scadenza dell’attestazione anzidetta si è tempestivamente premurato di richiederne il rinnovo, confidando nella sua tempestiva evasione, rende il concorrente non penalizzabile con l’esclusione, in applicazione del principio del favor partecipationis e tenuto conto dell’efficacia retroattiva della verifica positiva, idonea a creare una saldatura con il periodo successivo alla scadenza della precedente attestazione, fino all’esito positivo della domanda di rinnovo, sempre che la stessa sopraggiunga prima della data fissata dal provvedimento di aggiudicazione definitiva per stipula del contratto di appalto. Infatti, il rilascio di una nuova attestazione SOA certifica non solo la sussistenza dei requisiti di capacità da una data ad un’altra, ma anche che l’impresa non ha mai perso requisiti in passato già valutati e certificati positivamente, ma li ha mantenuti anche nel periodo intercorrente tra la domanda di rinnovo e quella di rilascio della nuova certificazione, senza alcuna soluzione di continuità (Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2018, n. 2051; id. 8 marzo 2017, n. 1091).
      Diversamente, il decorso dei predetti 90 giorni non preclude di per sé il rilascio dell’attestazione: essa deve però considerarsi nuova e autonoma rispetto all’attestazione scaduta, e comunque decorrente, quanto a efficacia, dalla data del suo effettivo rilascio, senza, cioè, retroagire al momento di scadenza della precedente, ovvero senza saldarsi con quest’ultima (Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2018, n. 4148).

      ​​​​​​Quanto al computo dei 90 giorni, ha affermato la Sezione che l’ultimo giorno di validità dell’attestazione non può considerarsi il dies a quo di cui all’art. 76, comma 5, del d.P.R. n. 207 del 2010 e va pertanto conteggiata nel calcolo.
      Ove così non fosse, detto ultimo giorno andrebbe (teoricamente) considerato anche il dies ad quem per il rilascio della nuova attestazione, ai sensi dell’art. 76, comma 3 del d.P.R. n. 207 del 2010, che stabilisce che gli organismi SOA hanno ordinariamente 90 giorni di tempo dalla stipula del contratto per il rilascio della stessa: ma tale conclusione comporterebbe la sovrapposizione tra il primo giorno di validità della nuova attestazione e l’ultimo giorno di validità della precedente, e sottrarrebbe un giorno al periodo di validità quinquennale delle SOA, di cui all’art. 84, comma 11, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, Codice dei contratti pubblici.
      Più in dettaglio, poiché, come visto, nell’ottica del d.P.R. n. 207 del 2010 le attestate in scadenza devono stipulare il contratto per la nuova attestazione almeno 90 giorni prima della scadenza dell’attestazione (art. 76, comma 5) e, a loro volta, come sopra, le SOA, salvo proroga, devono rilasciare il nuovo certificato entro 90 giorni dalla stipula (art. 76, comma 3), considerare l’ultimo giorno utile per la stipula comporterebbe la fissazione del termine di 90 giorni assegnato alla SOA per emettere il certificato alla data del 26 ottobre 2018, con conseguente non coincidenza del dies a quo dell’impresa e del dies ad quem dell’organismo di attestazione, e scadenza di quest’ultimo prima della scadenza del termine quinquennale della precedente attestazione.
      Non rileva il fatto che i termini di cui all’art. 76, commi 5 e 3, del d.P.R. n. 207 del 2010, abbiano diversa natura (il primo è un termine minimo; il secondo un termine massimo): si tratta in ambedue i casi di un ben preciso range nel quale si collocano gli adempimenti dell’operatore economico e dell’organismo di attestazione, che possono pertanto essere legittimamente effettuati in ogni segmento temporale ivi collocato: nessuno di essi, pertanto, può sottrarsi all’esigenza di una interpretazione aderente alla comune finalità delle due previsioni, che è quella di predisporre un sistema di oneri che, laddove rispettato, consente di evitare soluzioni di continuità nell’attestazione dei requisiti.
      Infine, non si tratta dell’applicabilità o meno alla materia che occupa degli ordinari criteri di computo dei termini, bensì, più limitatamente, della corretta individuazione del dies a quo di cui all’art. 76, comma 5, d.P.R. n. 207 del 2010. ​​​​​​​​​​​​​​

      fonte: sito Giustizia Amministrativa

      Avvalimento SOA – Subordinato alla produzione in gara della SOA dell’impresa ausiliata – Clausola – Nullità parziale – Pronuncia dell’Adunanza Plenaria (art. 89 d.lgs. n. 50/2016)

      Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 16.10.2020 n. 22

      La clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016 ed è pertanto nulla ai sensi dell’art. 83, comma 8, ultimo periodo, del medesimo decreto legislativo (1).

      La nullità ex art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 della clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata configura un’ipotesi di nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa (2). 

      Al cospetto della nullità della clausola escludente contra legem del bando di gara non sussiste l’onere per l’impresa di proporre alcun ricorso perchè tale clausola – in quanto inefficace e improduttiva di effetti – si deve intendere come ‘non apposta’, a tutti gli effetti di legge, salvo impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente (3). 

      La questione era stata rimessa da Cons. St., sez. V, 17 marzo 2020, n. 1920

      (1) Il Codice dei contratti pubblici, in linea con la giurisprudenza del Consiglio di Stato divenuta infine prevalente, nel vigore del d.lgs. n. 163 del 2006 (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 30 novembre 2015, n. 5396; id. 26 maggio 2017, n. 2627), dopo un primo indirizzo che negava l’ammissibilità dell’avvalimento sul presupposto del carattere intrinsecamente e insostituibilmente soggettivo e quasi “personalistico” della certificazione di qualità, ammette ora l’avvalimento delle certificazioni di qualità e, in particolare, delle attestazioni SOA, poiché riconosce che anche la certificazione di qualità costituisce un requisito speciale di natura tecnico-organizzativa, come tale suscettibile di avvalimento, in quanto il contenuto dell’attestazione concerne il sistema gestionale dell’azienda e l’efficacia del suo processo operativo. 

      Conferma di tale possibilità, coerente con la ratio dell’avvalimento, quale delineata dalla Adunanza plenaria già con la sentenza n. 23 del 4 novembre 2016 in riferimento al d.lgs. n. 163 del 2006, intesa a favorire il principio della massima partecipazione alle procedure di gara, si è avuta non solo nella legge delega per l’emanazione dell’attuale codice (legge n. 11 del 2016), che, nell’art. 1, comma 1, lett. zz), ha previsto che «il contratto di avvalimento indichi nel dettaglio le risorse e i mezzi prestati, con particolare riguardo ai casi in cui l’oggetto di avvalimento sia costituito da certificazioni di qualità o certificati attestanti il possesso di adeguata organizzazione imprenditoriale ai fini della partecipazione alla gara», ma nella stessa formulazione dell’art. 89, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016, come modificato dal d.lgs. n. 56 del 2017, nella parte in cui si prevede che l’operatore economico possa soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale, di cui all’art. 83, comma 1, lett. b) e c), d.lgs. n. 50 del 2016, necessari per partecipare ad una procedura di gara – con esclusione dei requisiti di cui all’art. 80 – avvalendosi delle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. 

      Per i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, il possesso di detti requisiti di qualificazione avviene esclusivamente, ai sensi dell’art. 84, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016, mediante attestazione da parte delle società organismi di attestazione (SOA) autorizzate dall’ANAC. 

      Tuttavia, per evitare che l’avvalimento dell’attestazione SOA, ammissibile in via di principio per il favor partecipationis che permea l’istituto dell’avvalimento, divenga in concreto un mezzo per eludere il rigoroso sistema di qualificazione nel settore dei lavori pubblici, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha più volte ribadito che l’avvalimento dell’attestazione SOA è consentito ad una duplice condizione: 

      a) che oggetto della messa a disposizione sia l’intero setting di elementi e requisiti che hanno consentito all’impresa ausiliaria di ottenere il rilascio dell’attestazione SOA; 

      b) che il contratto di avvalimento dia conto, in modo puntuale, del complesso dei requisiti oggetto di avvalimento, senza impiegare formule generiche o di mero stile. 

      È stato così affermato che, in materia di gare pubbliche, quando oggetto dell’avvalimento sia un’attestazione SOA di cui la concorrente sia priva, occorre, ai fini dell’idoneità del contratto, che l’ausiliaria metta a disposizione dell’ausiliata l’intera organizzazione aziendale, comprensiva di tutti i fattori della produzione e di tutte le risorse, che, complessivamente considerata, le ha consentito di acquisire l’attestazione da mettere a disposizione (Cons. St., sez. V, 16 maggio 2017, n. 2316; id. 12 maggio 2017, n. 2226), sicché è onere del concorrente dimostrare che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto e, nel caso di specie, l’attestazione SOA, quale mero requisito astratto e valore cartolare, ma assume la specifica obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in relazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità. 

      Tali condizioni, del resto, sono coerenti con la ricostruzione dogmatica dell’istituto dell’avvalimento nelle gare pubbliche, ricondotto anche di recente dalla Adunanza plenaria (sent. n. 13 del 2020) ai c.d. contratti d’impresa. 

      In effetti anche le negoziazioni private conoscono tali tipi di collaborazione tra imprese, che hanno lo stesso (o comunque simile) risultato economico a quello che si realizza con l’avvalimento, solamente che per esse si fa ricorso ad istituti e meccanismi propri di quell’ordinamento (noleggio, affitto, consorzio, gruppo societario, subappalto, cessione di ramo d’azienda e così via). 

      In realtà sia gli strumenti civilistici sia l’avvalimento sono destinati ad amplificare l’effetto c. d. reale proprio del contratto di società, ossia la creazione di una struttura economica che vive oltre il contratto che l’ha generata. Sicché, l’avvalimento serve “ad integrare una organizzazione aziendale realmente esistente ed operante nel segmento di mercato proprio dell’appalto posto a gara, ma che, di certo, non consente di creare un concorrente virtuale costituito solo da una segreteria di coordinamento delle attività altrui, né di partecipare alla competizione ad un operatore con vocazione statutaria ed aziendale completamente estranea rispetto alla tipologia di appalto da aggiudicare” (Cons. Stato, sez. V, n. 1772 del 20 novembre 2013; negli stessi sensi sembra andare id., sez. III,. n. 3702 del 10 giugno 2020). Con la conseguenza che è stata ben presto avvertita l’esigenza di evitare il possibile fenomeno del c. d. “avvalificio”, in cui cioè potessero operare imprese che si limitassero ad utilizzare la capacità economica di altre imprese, nonché di rendere possibile il controllo su tutte quelle forme di avvalimento che si sono delineate a seguito dell’applicazione pratica dell’istituto, come quello frazionato, quello plurimo e incrociato nonché il c.d. avvalimento ‘sovrabbondante’, e infine per sanzionare le forme di avvalimento vietate, come quello c.d. ‘a cascata’ (Adunanza Plenaria n. 13 del 2020, cit.).

      Nel delineato quadro normativo, sussistendo il rispetto delle condizioni cui la giurisprudenza del Consiglio di Stato subordina la legittimità del ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA e, per converso, non ricorrendo alcuna delle ipotesi, anche indirette, in cui l’avvalimento risulta vietato, l’obbligo, imposto all’ausiliata dal disciplinare di gara, espressamente a pena di esclusione, di produrre la propria attestazione SOA, quando questa vorrebbe avvalersi dell’attestazione SOA dell’ausiliaria, non solo è contraddittorio rispetto alla previsione dello stesso articolo 20 (il quale consente che «i concorrenti possono soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale richiesti nel disciplinare di gara, avvalendosi dell’attestazione SOA di altro soggetto»), ma si pone in contrasto con gli artt. 84 e 89, d.lgs. n. 50 del 2016, che non escludono la possibilità dell’avvalimento dell’attestazione SOA né, tantomeno, subordinano tale possibilità alla condizione di depositare in sede di gara l’attestazione SOA dell’impresa ausiliata in proprio: come ha ritenuto la sentenza n. 5834 del 23 agosto 2019 della Sezione V del Consiglio di Stato, una siffatta previsione si traduce in un vero e proprio divieto di applicare l’istituto dell’avvalimento mediante la previsione di un adempimento apparentemente formale che, in modo surrettizio ma certamente a pena di esclusione per il concorrente, ne comprime l’operatività senza alcuna idonea copertura normativa. 

      Ha aggiunto l’Alto Consesso che in un contesto normativo ormai mutato e volto a consentire la massima espansione all’avvalimento senza, però, sminuire l’affidabilità economica e tecnica delle imprese partecipanti alla gara, non si può dare seguito all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1772 del 27 marzo 2013, la quale ha inteso, peraltro, evitare gli effetti distorsivi del sistema, potenzialmente derivanti dall’ammissione dell’avvalimento della SOA in presenza di «mera sommatoria delle attestazioni SOA dell’impresa avvalente e dell’impresa ausiliaria, prescindendo dal fatto che ciascuna di esse sia autonomamente in possesso della qualificazione necessaria alla partecipazione alla gara»: nel ben diverso caso di specie, non è contestato che l’impresa ausiliaria sia in possesso dell’attestazione SOA richiesta per lo svolgimento dei lavori. 

      Neppure si può ritenere che la clausola in questione sia legittima (come sembra prospettare la sezione remittente), sulla base dell’art. 83, comma 8, primo periodo, d.lgs. n. 50 del 2016, laddove prevede che «le stazioni appaltanti indicano le condizioni di partecipazione richieste, che possono essere espresse come livelli minimi di capacità». 

      Infatti, rileva il principio di tassatività delle cause di esclusione, affermato dallo stesso art. 83, comma 8, sicché la discrezionalità, comunque non illimitata né insindacabile, della pubblica amministrazione nel disporre ulteriori limitazioni alla partecipazione, integranti speciali requisiti di capacità economico-finanziaria o tecnica che siano coerenti e proporzionati all’appalto, è potere ben diverso dalla facoltà, non ammessa dalla legge, di imporre adempimenti che in modo generalizzato ostacolino la partecipazione alla gara, come è avvenuto nel presente caso per l’avvalimento dell’attestazione SOA, senza adeguata copertura normativa e in violazione del principio della concorrenza (v., in questo senso, anche Cons. St., sez. V, 26 maggio 2015, n. 2627).

      (2) La giurisprudenza, cui poi si è allineata anche la dottrina, il principio basilare su cui si è retta la teorica dell’atto amministrativo e dei conseguenti rapporti sostanziali e processuali -e che ha operato per decenni alla stregua di una norma positiva- è quello secondo cui lo stato naturale della fattispecie invalida è l’annullabilità. Sicché il sistema relativo all’invalidità si è incentrato sull’unico vizio principale, ossia l’illegittimità. 

      In questo sistema non ha trovato spazio la nullità, così come disciplinata dal codice civile a proposito dell’invalidità del contratto. La giurisprudenza più risalente riteneva che non può aversi nullità se legittimati a chiedere l’annullamento giudiziale o in autotutela sono solo i partecipanti al procedimento, se l’azione va proposta in brevi termini di decadenza, se il vizio non è rilevabile d’ufficio e se infine il provvedimento viziato è sanabile. Anche se –va ricordato- progressivamente sono state introdotte dalla legge ipotesi in cui la violazione di una norma imperativa è stata espressamente qualificata in termini di nullità e come tale riconosciuta in giurisprudenza (si pensi, per esempio, alle assunzioni disposte in violazione di divieti legislativi). 

      D’altro canto anche nei rapporti civilistici la fattispecie nulla produce effetti, nonostante se ne predicasse l’improduttività degli effetti, l’imprescrittibilità, l’impugnabilità da chiunque avesse interesse, la rilevabilità d’ufficio. Inoltre vi era la chiara consapevolezza che i termini nullità e annullabilità venivano usati dal legislatore in maniera non rigorosa e che fossero presenti nell’ordinamento casi di nullità relativa e casi di annullabilità assoluta. Gli esempi sono molti e noti: l’uso improprio del vocabolo “validità” nell’art. 1398 del codice civile, che invece contempla un chiaro caso di inefficacia, la conversione del negozio nullo in cui si producono gli effetti benché di una fattispecie negoziale altra con effetti diversi e più ridotti, l’usucapione e la pubblicità sanante, le nullità in materia di diritto di famiglia e di contratto di lavoro. 

      In coerenza con l’indicato sistema, incentrato sul binomio invalidità/annullabilità, è andata anche la l. 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo sino a quando non è intervenuta la legge 11 febbraio 2005, n.15, che ha inserito, all’interno dell’originario impianto, l’intero capo IV bis, che all’art. 21-septies, intitolato «Nullità del provvedimento», stabilisce: «E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge». 

      Alla disciplina sostanziale è seguita quella processuale, ossia quella contenuta nell’art. 31 c.p.a., intitolato «Azione avverso il silenzio e declaratoria di nullità», che, al comma 4, stabilisce: «La domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di 180 giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all’art. 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV». L’ultimo rimando si riferisce al procedimento relativo al giudizio di ottemperanza, dove nella lettera indicata si stabilisce: «Dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato». Infine l’art. 133, che, elencando le materie rientranti nella giurisdizione esclusiva, al comma 1, lett. a), n. 5 vi include: «(la) nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato». 

      Dalla normativa indicata si ricava che sono state circoscritte a quattro le ipotesi di nullità ammesse, che diventano le uniche, tranne l’azione dichiarativa e quella della nullità c. d. testuale, visto che la giurisprudenza amministrativa ha escluso che ci fosse spazio per la cosiddetta nullità virtuale o di protezione di cui all’articolo 1418, primo comma, del codice civile, in quanto essa avrebbe avuto l’effetto di minare la stabilità e la continuità dell’azione amministrativa. 

      Infatti la medesima sezione remittente, in una pronuncia intervenuta quando era appena entrato in vigore il codice del processo amministrativo e che non risulta superata, ha statuito che: «La norma, introdotta dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, tra le varie opzioni possibili -ossia tra quella di inserire nel sistema della patologia dell’atto tutte le ipotesi di nullità (testuale strutturale e virtuale) previste dall’articolo 1418 del codice civile e quella di ritenere sufficiente la categoria dell’annullabilità per quanto riguarda i rapporti amministrativi- ha scelto la soluzione di compromesso, ossia quella di escludere la nullità per contrasto con norme imperative di legge, giudicando tale categoria particolarmente pericolosa rispetto alle esigenze di certezza e di stabilità dell’azione amministrativa. In altri termini, le cause di nullità debbono intendersi a numero chiuso, così come peraltro già ritenuto dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato ( Cons. Stato, VI, 13 giugno 2007, n. 3173; V 26 novembre 2008, n. 5845). Pertanto, le ipotesi astrattamente riconducibili alla nullità c. d. virtuale vanno ricondotte al vizio di violazione di legge, atteso che le norme riguardanti l’azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative e quindi non disponibili da parte dell’amministrazione.>>. (Cons. Stato, sez. V, n. 1498 del 15 marzo 2010).

      Rispetto alla nullità civilistica le più visibili differenze sono costituite dal breve termine di decadenza per proporre l’azione di accertamento della nullità e il fatto che nella classica nullità strutturale (rectius: negoziale, attinente alla struttura), ossia quella che deriva dall’assenza degli elementi costitutivi dell’atto, manca una norma che espressamente indichi quali sono, contrariamente all’ipotesi contenuta nell’art. 1418, secondo comma, del codice civile, letto in correlazione con l’art. 1325 del medesimo codice. 

      Invece le ipotesi del difetto assoluto di attribuzione e del provvedimento adottato in violazione del giudicato sono proprie del diritto amministrativo e sconosciute dal diritto civile, dove il problema della violazione del giudicato non si pone, essendo sufficiente per fornire la tutela necessaria l’actio iudicati. 

      Infine, la ragione della previsione del termine di decadenza di 180 giorni, per la cui decorrenza vale quanto statuito dall’art. 41, comma 2, c.p.a., va rinvenuta nella necessità di dare certezza e stabilità ai rapporti amministrativi; ragione che è la stessa per cui, a proposito dell’azione di annullamento è previsto il breve termine di 60 giorni per impugnare, ridotto a 30 negli altri casi espressamente previsti dal codice, tra cui il caso in esame. Peraltro, anche il diritto civile conosce casi di nullità in cui la relativa azione deve essere proposta entro un termine di decadenza, basti pensare alla materia delle nullità matrimoniali, di cui all’articolo 117, comma 4, del codice civile. 

      Ai fini della presente decisione più che le differenze con la nullità civilistica vanno individuati i punti di contatto, poiché essi consentono di delineare una sorta di quadro unico del sistema delle nullità. 

      Va premesso che al momento in cui la nullità è stata espressamente inserita nella legge generale sul procedimento amministrativo, la giurisprudenza e la dottrina civilistica avevano già da tempo superato l’impostazione derivante dalla tradizione pandettistica e, analizzando le norme del codice civile così come applicate nel diritto vivente, avevano dovuto prendere atto che in materia di invalidità le teorizzazioni generali costituiscono una via metodologicamente non esaustiva. Tant’è che –come osservato negli studi più recenti- nella contrattualistica moderna vi è una continua interferenza tra regole di validità, riferite alla struttura originaria dell’atto, e regole di comportamento, attinenti al profilo funzionale e legate alla responsabilità delle parti. 

      Non a caso si è sempre più assottigliata la differenza tra nullità e annullabilità, a lungo ritenute categorie impermeabili e poi progressivamente sfumate in figure intermedie, quali, ad esempio, le invalidità rilevabili d’ufficio ma sanabili, ovvero sanabili ma non rilevabili d’ufficio. Cosicché è venuta meno anche la distinzione classica originariamente fondata tra rimedi dettati a tutela di interessi generali (nullità) e rimedi volti a proteggere uno solo dei contraenti (annullabilità). Pertanto, di fronte ad una norma che preveda che l’esito conseguente alla sua violazione determini la nullità non significa che la scelta del legislatore abbia fatto esclusivamente riferimento ad un interesse generale o pubblico, ma anche a interessi privati o di categorie di soggetti qualificati. In altri termini la norma presuppone una combinazione di criteri diversi alla luce dei quali il giudice deve valutare, caso per caso, la compatibilità tra le specifiche clausole del contratto e gli interessi o i valori che l’ordinamento intende garantire attraverso la norma imperativa. 

      La breve rassegna delle posizioni civilistiche intorno all’istituto della nullità si giustifica sia perché esso è nato in quell’ordinamento, sia perché consente di poterlo meglio collocare in un ordinamento, quello amministrativo, che ha funzionato senza mai avvertirne la mancanza. 

      La nullità dell’atto amministrativo -figura generale, assieme all’annullabilità, dell’invalidità e che può essere riguardata non solo come vizio, ma anche come azione, eccezione in senso tecnico e come sanzione- va analizzata nel contesto ordinamentale specifico, diverso da quello civile. 

      Essa opera in presenza di un provvedimento amministrativo, che viene emanato nell’ambito di un procedimento rigorosamente disciplinato e che costituisce la forma necessaria dell’azione tendenzialmente unilaterale, ancorché sempre più spesso partecipata, del potere amministrativo. Quest’ultimo si apre, prosegue e si chiude all’insegna del principio per cui l’amministrazione deve curare l’interesse pubblico datogli in attribuzione dalla legge in maniera da raggiungere il massimo risultato possibile con il minimo mezzo. 

      Il profilo dell’illegittimità del provvedimento, anche quando ridondi sul procedimento che lo contiene, rileva in maniera efficace solo in sede processuale, a meno che l’amministrazione non ritenga di aprire un procedimento di secondo grado di autotutela. 

      Pertanto la nullità emerge nel processo, che ha le sue regole. Quindi chi intenda farla valere deve necessariamente proporre l’azione di annullamento dell’atto emanato in esecuzione di un provvedimento che si assume nullo, mentre l’azione di accertamento è ammissibile solo nei pochi casi in cui il soggetto abbia interesse al mero accertamento e non al suo annullamento; ipotesi difficilmente riscontrabile quando l’amministrazione, proseguendo nel suo itinerario procedimentale, emani altri atti, che il primo presuppongano, i quali producono effetti sulla situazione sostanziale o procedimentale del soggetto inciso. 

      Nel complesso delineato contesto ordinamentale, l’Adunanza Plenaria ritiene che la clausola escludente – che si ponga in violazione dell’art. 83, comma 8, del ‘secondo codice’ sugli appalti pubblici – non si possa considerare annullabile (e dunque efficace). 

      Valgano al riguardo le considerazioni che seguono. 

      Ancor prima dell’entrata in vigore del ‘primo codice’ dei contratti pubblici (d.lg. n. 163 del 2006), per la tradizionale giurisprudenza amministrativa (Adunanza Plenaria, sentenza n. 1 del 2003) l’impresa potenzialmente lesa da una clausola escludente aveva l’onere di proporre subito un ricorso giurisdizionale, sicché si doveva considerare tardiva la sua impugnazione unitamente all’esclusione, se proposta dopo la scadenza del termine di impugnazione del bando. 

      Tale giurisprudenza è stata ribadita nel vigore del testo originario dell’art. 46 del ‘primo codice’ sui contratti pubblici, finché il decreto legge n. 70 del 2011 ha modificato tale art. 46, introducendo il principio della ‘tassatività delle cause di esclusione’ e disponendo al comma 1-bis che ‘sono comunque nulle’ le ‘clausole escludenti’ che violano tale principio. 

      Le finalità di tale riforma sono volte a imporre alla stazione appaltante di emanare gli ulteriori atti del procedimento senza attribuire rilievo alla clausola escludente contra legem, nonché a consentire la piena tutela giurisdizionale – senza preclusioni – quando poi sia emanato l’atto di esclusione. 

      Sul significato di tale nullità si è pronunciata l’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 9 del 2014, per la quale “la sanzione della nullità… è riferita letteralmente alle singole clausole della legge di gara esorbitanti dai casi tipici; si dovrà fare applicazione, pertanto, dei principi in tema di nullità parziale e segnatamente dell’art. 1419, comma 2, c.c. (vitiatur sed non vitiat”). 

      Questa sentenza ha aggiunto che “la nullità di tali clausole incide sul regime dei termini di impugnazione …, atteso che la domanda di nullità si propone nel termine di decadenza di centottanta giorni e la nullità può sempre essere eccepita dalla parte resistente ovvero rilevata dal giudice d’ufficio’, e che la clausola escludente nulla è ‘priva di efficacia e dunque disapplicabile da parte della stessa stazione appaltante ovvero da parte del giudice”. 

      L’art. 83, comma 9, del vigente codice degli appalti (d.lg. n. 50 del 2016) ha confermato il principio di tassatività delle cause di esclusione e ha ribadito che ‘sono comunque nulle’ le clausole escludenti in contrasto con tale principio. 

      Ritiene l’Adunanza Plenaria che la nullità della clausola escludente contra legem, ora prevista dall’art. 83, comma 9, del codice, vada intesa anch’essa come nullità in senso tecnico (con la conseguente improduttività dei suoi effetti), similmente a quanto è stato deciso per la corrispondente disposizione del novellato art. 46 del ‘primo codice’. In altri termini, la clausola è nulla, ma tale nullità, se da un lato non si estende al provvedimento nel suo complesso (vitiatur sed non vitiat), d’altro canto impedisce all’amministrazione di porre in essere atti ulteriori che si fondino su quella clausola, rendendoli altrimenti illegittimi e quindi, attesa l’autoritatività di tali atti applicativi, annullabili secondo le regole ordinarie. 

      Ritenere che la nullità sancita dal comma 8, ultima parte, dell’articolo 83 vada intesa come annullabilità si porrebbe in contrasto con la scelta del legislatore di qualificare come nulla la clausola escludente contra legem, e dunque non solo con il tenore testuale della legge, cui occorre attribuire primario rilievo in sede ermeneutica, ma anche con la sua composita ratio, volta a individuare un equilibrio tra radicale invalidità della clausola per contrasto con norma imperativa, ordinaria autoritatività dei provvedimenti amministrativi e interesse del ricorrente a far valere l’invalidità, in termini di nullità, quando essa si traduca in un provvedimento applicativo (esclusione o aggiudicazione) lesivo in concreto della sua situazione soggettiva tutelata. 

      (3) Ha chiarito l’Alto Consenso che non si possono considerare applicabili l’art. 21-septies, l.  n. 241 del 1990 e l’art. 31 c.p.a., i quali si riferiscono ai casi in cui un provvedimento sia nullo ed ‘integralmente’ improduttivo di effetti: la clausola escludente affetta da nullità, in base al principio vitiatur sed non vitiat già affermato dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2014, non incide sulla natura autoritativa del bando di gara, quanto alle sue ulteriori determinazioni. 

      Il legislatore, nel prevedere la nullità della clausola in questione, ha disposto la sua inefficacia, tanto che – se anche il procedimento dura ben più dei sei mesi previsti dall’art. 31 c.p.a. per l’esercizio della azione di nullità – la stazione appaltante comunque non può attribuire ad essa rilievo perché ritenuta “inoppugnabile”. 

      I successivi atti del procedimento, inclusi quelli di esclusione e di aggiudicazione, pur basati sulla clausola nulla, conservano il loro carattere autoritativo e sono soggetti al termine di impugnazione previsto dall’art. 120 c.p.a., entro il quale si può chiedere l’annullamento dell’atto di esclusione (e degli atti successivi) per aver fatto illegittima applicazione della clausola escludente nulla. 

      L’art. 120 c.p.a. non prevede alcuna deroga al termine di decadenza di trenta giorni, che sussiste qualsiasi sia il vizio – più o meno grave – dell’atto impugnato. Né può farsi discendere, quanto meno nell’ordinamento amministrativo, la nullità di un atto applicativo di un precedente provvedimento solo parzialmente affetto da una nullità riferita a una sua specifica clausola inidonea a inficiare la validità di quel provvedimento nel suo complesso. 

      Non vi è dunque alcun onere, in conclusione, per le imprese partecipanti alla gara di impugnare (entro l’ordinario termine di decadenza) la clausola escludente nulla e quindi “inefficace” ex lege, ma vi è uno specifico onere di impugnare nei termini ordinari gli atti successivi che facciano applicazione (anche) della clausola nulla contenuta nell’atto precedente. ​​​​​​​

      fonte: sito della Giustizia Amministrativa

      SOA – Ultravigenza – Operatività – Non è sufficiente un accordo con una società “esterna” all’organismo di attestazione (art. 84 d.lgs. n. 50/2016)

      TAR Napoli, 23.03.2020 n. 1220

      Come noto, secondo la giurisprudenza che il Collegio condivide e ribadisce anche in questa sede, “in materia di accertamento dei requisiti di ordine speciale per il conseguimento degli appalti di lavori pubblici, vige il principio secondo cui le qualificazioni richieste dal bando debbono essere possedute dai concorrenti non solo al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, ma anche in ogni successiva fase del procedimento di evidenza pubblica e per tutta la durata dell’appalto, senza soluzione di continuità”, tale principio con particolare riguardo alle attestazioni SOA risponde “ad evidenti esigenze di certezza e di funzionalità del sistema di qualificazione obbligatoria, imperniato sul rilascio da parte degli organismi di attestazione di certificati che costituiscono condizione necessaria e sufficiente per l’idoneità ad eseguire contratti pubblici”; e “pertanto, l’impresa che partecipa alla procedura selettiva deve dimostrare di possedere, dalla presentazione dell’offerta fino all’eventuale fase di esecuzione dell’appalto, la qualificazione tecnico-economica richiesta dal bando” (per tutte Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4 e Adunanza Plenaria 20 luglio 2015, n. 8).
      Parte ricorrente ha rilevato che l’attestazione SOA prodotta dalla controinteressata reca quale data di decorrenza il 27 settembre 2019, mentre la precedente attestazione scadeva il 18 settembre.
      Rileva il Collegio che tale discrasia di date non sarebbe di per sé stessa decisiva, stante la previsione di cui all’art. 76 co. 5 del d.P.R. n. 207/2010 sulla c.d. ultravigenza dell’attestato SOA a mente della quale: “L’efficacia dell’attestazione è pari a cinque anni con verifica triennale del mantenimento dei requisiti di ordine generale, nonché dei requisiti di capacità strutturale di cui all’articolo 77, comma 5. Almeno novanta giorni prima della scadenza del termine, l’impresa che intende conseguire il rinnovo dell’attestazione deve stipulare un nuovo contratto con la medesima SOA o con un’altra autorizzata all’esercizio dell’attività di attestazione”.
      Nondimeno, come rilevato di recente dalla Sezione, deve rilevarsi che: “l’adempimento di cui al citato art. 76, comma 5, del d.P.R. n. 207 del 2010 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante Codice dei contratti pubblici) discende direttamente dalla diligente condotta dell’impresa richiedente l’attestazione, mentre il superamento dei termini prescritti per l’istruttoria può comportare sanzioni a carico dell’Organismo di certificazione, ma non preclude l’effetto retroattivo della certificazione stessa, ove infine positivamente rilasciata, con riconosciuta ultravigenza del precedente attestato, in pendenza della procedura di verifica ritualmente attivata (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2013, n. 3398, TAR Puglia, Bari, sez. I, 9 giugno 2016, n. 737, TAR Lazio, Roma, sez. III, 6 aprile 2017, n. 4296)” (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. I, 12 agosto 2019, n. 4340).
      Si è quindi aggiunto che, se la ratio sottesa alla regola dell’ultravigenza della SOA risiede nel non far ricadere sull’impresa concorrente le conseguenze della durata del processo di verifica da parte dell’organismo di attestazione, occorre comunque che l’impresa abbia posto in essere nel termine di 90 giorni precedenti alla scadenza del termine di efficacia della SOA tutte le attività necessarie per radicare l’obbligo dell’organismo di eseguire le verifiche, a pena dell’applicazione delle predette sanzioni configurabili solo in quanto sull’organismo di attestazione SOA sia sorto il relativo obbligo di svolgere le verifiche in presenza di un accordo vincolante in tal senso.
      Del resto l’art. 76, co. 5 del d.P.R. 207/2010, per consentire l’ultravigenza della SOA parla espressamente di stipula di un nuovo contratto, non potendo essere sufficiente a tal fine una semplice richiesta in tal senso effettuata dalla ricorrente con una mail, peraltro mancante degli elementi essenziali per configurarla come vera e propria proposta contrattuale e nemmeno prodotta nella fase del contraddittorio procedimentale con la stazione appaltante.
      Diversamente argomentando, per garantirsi l’effetto retroattivo dell’eventuale nuova attestazione, all’impresa sarebbe sufficiente manifestare all’organismo di attestazione anche genericamente la propria intenzione di rinnovare la SOA indipendentemente dall’accettazione di quest’ultimo che, per avventura, potrebbe anche non riscontrare la richiesta (cfr. TAR Campania, n. 4340/2019, cit.). (…)
      Ritiene il Collegio che l’accordo tra la controinteressata e la -Omissis- s.r.l. non valga, invece, a determinare la tempestività della richiesta di rinnovo per come prescritta dall’art. 76, co. 5 sopra citato sotto il profilo soggettivo. E infatti, non è contestato che la -Omissis- s.r.l. non sia un organismo di attestazione SOA, trattandosi di soggetto “esterno” alla società a ciò preposta, secondo quanto confermato nella PEC trasmessa in data 11 febbraio 2020 dalla stessa -Omissis- SOA S.p.A. (organismo di attestazione) all’odierna controinteressata con cui (…) conferma che la -Omissis- s.r.l. è incaricata dello “svolgimento dell’attività commerciale” per proprio conto.
      Ne consegue che ogni eventuale accordo tra l’odierna controinteressata e quest’ultima società (…) non tiene luogo del contratto di rinnovo che, invece, deve intercorrere direttamente tra l’impresa che richiede il rinnovo e l’organismo di attestazione, salva la sussistenza di una procura, della quale però non vi è traccia agli atti, che consenta di riferire direttamente alla mandataria gli accordi conclusi dalla mandataria.

      [rif. art. 84 d.lgs. n. 50/2016]

      Cronavirus: Proroga termini Sistema di Qualificazione per lavori sopra 150.000 euro

      Misure di contrasto COVID-19. Pubblicato il comunicato del Presidente con cui si forniscono indicazioni in relazione alla proroga dei termini per il Sistema Qualificazione esecuzione lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro.

      Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione nel corso dell’adunanza del 4 marzo 2020, ha fornito alle SOA autorizzate alcune indicazioni utili a superare le difficoltà organizzative per gli operatori economici, derivanti dall’introduzione delle misure adottate per il contrasto e la prevenzione della diffusione del virus COVID-19, che hanno ridotto l’operatività di Amministrazioni e Enti pubblici incluse nelle aree territoriali individuate dal d.p.c.m. del 25 febbraio 2020, maggiormente interessate dall’emergenza sanitaria in atto.

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      Comunicato del Presidente del 04 marzo 2020

      Qualificazione per l’esecuzione di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro
      Criticità correlate ai provvedimenti legislativi adottati per il contrasto e la prevenzione della diffusione del virus COVID-19.
      Richiesta, avanzata dall’Associazione di categoria delle SOA GENERALSOA, di proroga dei termini per la conclusione dei contratti di attestazione.

      Con comunicazione acquisita dall’Autorità in data 27 febbraio 2020, l’Associazione di categoria delle SOA GENERALSOA ha rappresentato che per effetto dei provvedimenti legislativi adottati per il contrasto e la prevenzione della diffusione del virus COVID-19, stanno emergendo sensibili difficoltà organizzative per gli operatori economici con sedi legali e operative nelle regioni maggiormente interessate dall’emergenza sanitaria in atto. Nello specifico, ciò riguarda le regioni individuate dal d.p.c.m. del 25 febbraio 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del d.l. 6/2020 (Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Liguria e Piemonte).
      Analoghe difficoltà – a dire della citata Associazione – vengono segnalate dalle Amministrazioni pubbliche ricadenti nei territori suindicati, alle quali le SOA si rivolgono per la verifica della documentazione presentata dalle imprese ai fini del conseguimento dell’attestazione di qualificazione.
      Per tali ragioni e limitatamente agli ambiti territoriali individuati nel d.p.c.m. del 25 febbraio 2020, GENERALSOA ha richiesto che per i contratti di attestazione stipulati tra Imprese e Organismi di Attestazione, la cui istruttoria, in forza delle vigenti disposizioni, dovrà necessariamente concludersi entro il 31 marzo p.v., possa essere concessa – su richiesta degli operatori economici – una proroga di 60 giorni.

      In relazione alle problematiche esposte l’Autorità deve comunque rimarcare l’imprescindibile esigenza che le imprese accedano alla qualificazione solo in esito ad un rigoroso procedimento di accertamento del possesso dei requisiti richiesti dalla norma.
      Poiché appare verosimile che le problematiche organizzative prospettate possano causare un fisiologico rallentamento delle attività amministrative necessarie ad assicurare un elevato standard degli accertamenti dovuti, si desume che il dilatarsi delle tempistiche potrebbe avere come conseguenza l’impossibilità da parte delle SOA di concludere l’iter di attestazione entro i termini indicati dall’art. 76, comma 3, del d.p.r. 207/2010 (novanta giorni dalla stipula del contratto, con possibilità di sospensione per chiarimenti o integrazioni documentali per un periodo complessivamente non superiore a novanta giorni), trascorsi i quali le SOA sono tenute a “rilasciare l’attestazione o comunque il diniego di rilascio della stessa”.
      Se concretizzata, detta circostanza – derivante da cause di forza maggiore – lederebbe quegli operatori economici che in situazioni ‘ordinarie’ avrebbero potuto conseguire l’attestato di qualificazione nell’arco massimo dei 180 giorni (90 + 90 di eventuale sospensione) previsti dalla norma vigente.
      Tanto premesso l’Autorità – atteso il carattere straordinario delle circostanze descritte – ritiene che la richiesta formulata da GENERALSOA sia meritevole di accoglimento e, pertanto, che sia necessario fornire un’indicazione relativa a tutti i contratti di attestazione interessati, aventi scadenza entro il 31 marzo 2020, ammettendo che, per tali contratti, la sospensione dell’istruttoria possa estendersi fino ad un massimo di 150 gg (centocinquanta giorni) in luogo dei 90 (novanta) previsti dall’art. 76, comma 3, del d.p.r. 207/2010.
      Detta deroga potrà essere disposta per tutte le imprese che ne facciano richiesta, purché aventi sedi legali e operative nelle regioni individuate dal citato d.p.c.m., o che, ai fini della qualificazione, abbiano esibito dichiarazioni e documenti che devono essere sottoposti al vaglio di Amministrazioni pubbliche situate nelle medesime regioni.
      Al ricorrere di quest’ultima ipotesi, competerà alle SOA valutare l’effettiva entità e rilevanza delle difficoltà prospettate dalla singola impresa, al fine di agire in deroga ai termini ordinari.
      Le SOA che riceveranno le richieste di usufruire dell’anzidetta deroga sui termini temporali di sospensione dell’istruttoria di qualificazione, dovranno trasmettere all’Autorità (entro il termine del 31 marzo 2020) l’elenco delle imprese richiedenti.


      Aggiornamento 19.03.2020 

      Indicazioni sulla proroga dei termini per il Sistema Qualificazione esecuzione lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro

      Misure di contrasto COVID-19. Indicazioni in relazione alla proroga dei termini per il Sistema Qualificazione esecuzione lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro. Comunicato del Presidente del 4 marzo 2020. Ambito territoriale di applicazione.

      Il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione nel corso dell’adunanza del 17 marzo 2020, preso atto che le disposizioni contenute nel d.p.c.m. del 9 marzo 2020 hanno esteso all’intero territorio nazionale l’applicazione delle misure adottate per il contrasto e la prevenzione della diffusione del virus COVID-19, che hanno ridotto l’operatività di Amministrazioni e Enti pubblici, ha deliberato che le indicazioni fornite con il Comunicato del 4 marzo u.s. assumono necessariamente una valenza generalizzata e devono perciò ritenersi applicabili a tutto il territorio nazionale.

      Clausole di esclusione atipiche – Divieto di avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite – Rimessione all’Adunanza Plenaria

      Consiglio di Stato, sez. V, 17.03.2020 n. 1920

      E’ rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, d.lgs. n. 50 del 2016, le prescrizioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89, d.lgs. n. 50 del 2016, precluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale; in particolare, se possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA.

      Ha ricordato la Sezione che le clausole del bando di gara riguardanti i requisiti di partecipazione alle procedure selettive vanno tempestivamente impugnate allorché, contenendo clausole impeditive dell’ammissione dell’interessato alla selezione, si configurino come escludenti, quindi idonee a generare una lesione immediata, diretta ed attuale, nella situazione soggettiva dell’interessato, dal momento che la loro asserita lesività non si manifesta e non opera per la prima volta con l’aggiudicazione, bensì nel momento anteriore nel quale i requisiti di partecipazione sono stati assunti come regole per l’amministrazione; tali sono tipicamente quelle legate a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, esattamente e storicamente identificate, preesistenti alla gara stessa, e non condizionate dal suo svolgimento (Cons. Stato, Ad. Plen. 29 gennaio 2003, n. 1 e, da ultimo, id., Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4).
      La regola è stata recepita dall’art. 120, comma 5, c.p.a., laddove sancisce l’onere della tempestiva impugnazione, nel termine di trenta giorni, decorrente dalla pubblicazione, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, qualora siano “autonomamente lesivi”.
      La previsione della nullità testuale dell’art. 83, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 impone tuttavia il coordinamento, sul piano processuale, dell’art. 120, comma 5, c.p.a. con l’art. 31, comma 4, dello stesso Codice, ponendo perciò la questione della prevalenza di quest’ultima disposizione ogniqualvolta la prescrizione della legge di gara, pur autonomamente ed immediatamente lesiva, in quanto riguardante requisiti soggettivi, sia riconducibile alla fattispecie di divieto di cause di esclusione atipiche.
      Ancora, va considerato che lo stesso comma 8 dell’art. 83, d.lgs. n. 50 del 2016 assegna alle stazioni appaltanti il compito di indicare le condizioni di partecipazione richieste, con la facoltà di esprimerle come livelli minimi di capacità, tra cui rientra a pieno titolo il possesso di attestazione SOA.

      fonte: sito G.A.