Venendo al merito della censura il Collegio osserva che in base al disciplinare di gara e al capitolato speciale approvati con la determinazione a contrarre del 14 novembre 2022, n. 35, in relazione al Lotto 4 riguardante il conferimento di rifiuti ingombranti erano previsti un prezzo unitario € 210,00 per tonnellata e una base d’asta annuale pari a € 420.000,00.
A seguito della rettifica del RUP in data 22 novembre 2022 è stato indicato un prezzo unitario € 255,00 a tonnellata e una base d’asta pari € 688.000,00.
Si tratta di modifiche effettuate su elementi essenziali dell’appalto, sui quali il RUP non poteva intervenire e in relazione alle quali non si esplicita alcuna motivazione a sostegno dell’intervento, non potendosi ritenere sufficiente il generico riferimento a “refusi” contenuti nella tabella di cui all’art. 3 del disciplinare.
Non rileva, ai fini della fondatezza della censura, la modalità con cui tale rettifica è stata portata a conoscenza dei partecipanti o comunque è stata pubblicizzata. Incidendosi su elementi essenziali dell’operazione negoziale la rettifica avrebbe dovuto essere effettuata dallo stesso soggetto che, in nome e per conto della stazione appaltante, ha adottato la determina a contrarre con i relativi atti della gara, ovvero, nel caso di specie, l’amministratore delegato della -OMISSIS-
Va osservato che nella determina a contrarre del 14 novembre 2022, con cui tra l’altro la stazione appaltante ha nominato il RUP, l’amministratore delegato non ha delegato il RUP medesimo ad adottare modifiche della legge di gara. Sicchè la rettifica è stata adottata dal RUP senza alcuna legittimazione né poteri.
Invero, in senso contrario alla deduzione di parte ricorrente, non appare fondata la censura in merito alla data di inizio del servizio al 1 ottobre 2022, con esecuzione del contratto in via d’urgenza.
In primo luogo infatti, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del d.l. 16.7.2020, n. 76 convertito, con modificazioni, dalla l. 11.9.2020, n. 120 e, successivamente, dell’art. 51, comma 1, lett. f), del d.l. 31.5.2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla l. 29.7.2021, n. 108, in relazione alle procedure pendenti disciplinate dal Codice dei Contratti, i cui bandi o avvisi, con i quali si indice una gara, sono già stati pubblicati alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, e in ogni caso per le procedure disciplinate dal medesimo decreto legislativo avviate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 30 giugno 2023, “è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l’esecuzione del contratto in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del D.Lgs. n. 50 del 2016, nelle more della verifica dei requisiti di cui all’articolo 80 del medesimo decreto legislativo, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura”.
La norma in discorso sembra effettivamente autorizzare sempre l’esecuzione del contratto in via d’urgenza e tale conclusione è supportata anche dalla giurisprudenza che si è occupata di tale disposizione, come richiamata dalla parte controinteressata: “è stato infatti chiarito che nel periodo di applicazione dell’art. 8, comma 1, d.l. n. 76 del 2020, successivamente convertito con l. n. 120 del 2020 (secondo cui fino al 30 giugno 2023 «è sempre autorizzata la consegna dei lavori in via di urgenza e, nel caso di servizi e forniture, l’esecuzione del contratto in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, nelle more della verifica dei requisiti di cui all’articolo 80 del medesimo decreto legislativo, nonché dei requisiti di qualificazione previsti per la partecipazione alla procedura»), la consegna anticipata è considerata «quale regola ordinaria della procedura» (T.a.r. per la Sicilia, sez. st. Catania, sez. I, n. 2555 del 2020)” (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 11 febbraio 2022, n. 463).
In ogni caso, le esigenze pubbliche di cui all’art. 32, comma 8 del Codice sono argomentate dalla stazione appaltante, che ha rilevato “l’assoluta necessità di evitare pericolo per l’igiene e la salute pubblica” connessa all’eventuale assenza di gestione del servizio pubblico.
La tesi della ricorrente per escludere tali esigenze è quella per cui sarebbe stato possibile continuare, da parte della stessa, a gestire il servizio in regime di proroga tecnica.
Sotto tale profilo, da un lato, la stazione appaltante ha ben argomentato che ““la c. d. proroga tecnica dell’appalto può essere disposta per un periodo che non può superare, mai e per nessuna ragione, i sei mesi dalla scadenza contrattuale. Questi sei mesi, a loro volta, sono spirati il 4.10.2020. Essendo divenuto impossibile ricorrere agli strumenti ordinari per assicurare un servizio indefettibile come la raccolta dei rifiuti solidi urbani, nei due anni trascorsi da allora, sino a conclusione della nuova gara d’appalto, è stato necessario ricorrere a ordinanze sindacali contingibili e urgenti con i quali è stato richiesto a codesta società di garantire il servizio. Tale strumento di carattere eccezionale e temporaneo, in conformità alle caratteristiche sue proprie, è stato impiegato al solo fine di assicurare la continuazione del servizio per il tempo strettamente necessario alla definizione del nuovo affidamento (…)” (doc. 6 Comune – nota del 25.9.2022); dall’altro, rileva il Tribunale che le esigenze di pubblico interesse, in un caso quale quello che occupa, devono essere valutate senza considerare la possibilità di continuare a disporre una proroga tecnica in favore dell’appaltatore uscente, posta l’evidente possibilità di abuso del processo in tal caso da parte di quest’ultimo.
3.2.1. E’ condivisibile, in linea di principio, l’affermazione dell’appellante secondo cui la violazione del periodo di stand still non è da sola sufficiente alla dichiarazione di inefficacia del contratto.
Infatti, l’art. 121, comma 1, lett. c), c.p.a. richiede, a tale ultimo fine, che ricorrano, oltre al mancato rispetto del termine dilatorio stabilito dall’art. 11, comma 10, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (oggi art. 32, comma 9, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), le seguenti due ulteriori condizioni:
– che la violazione “abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto”;
– che tale violazione, “aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento”. In sintesi, la violazione del termine di stand still non è da sola sufficiente all’annullamento dell’aggiudicazione, né consente la dichiarazione di inefficacia del contratto, ai sensi dell’art. 121, comma 1, lett. c) e comma 4, c.p.a..
3.2.2. Tuttavia essa ha incidenza autonoma sull’applicazione delle sanzioni alternative di cui all’art. 123 c.p.a.
Quest’ultima disposizione prevede, infatti, due distinte fattispecie costitutive dell’applicabilità delle sanzioni; e segnatamente:
a) la prima, prevista dal comma 1, individua i presupposti per l’applicabilità delle sanzioni alternative facendoli coincidere con quelli sopra detti per la dichiarazione di inefficacia del contratto, dal momento che, per come risulta dal combinato disposto degli artt. 121, comma 4, e 123, comma 1 (che appunto richiama l’art. 121 comma 4), le sanzioni si applicano nelle stesse situazioni in cui si dovrebbe pronunciare la dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi dell’art. 121, comma 1, ma il giudice ritenga che, ricorrendo le esigenze di cui al comma 2 dell’art. 121, il contratto debba restare efficace, in tutto o in parte;
b) la seconda è chiaramente enunciata nell’art. 123, comma 3, c.p.a. secondo cui “Il giudice applica le sanzioni di cui al comma 1 anche qualora il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito per la stipulazione del contratto, ovvero è stato stipulato senza rispettare la sospensione della stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva, quando la violazione non abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e non abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento”.
Dal disposto dell’art. 123 c.p.a. si evince quindi che la violazione dello stand still è presupposto per l’applicazione delle sanzioni alternative sia nel caso in cui essa aggrava le conseguenze dei vizi propri dell’aggiudicazione (comportando l’applicazione dell’art. 121 c.p.a. in luogo dell’art. 122 c.p.a.), sia nel caso in cui non vi siano vizi propri dell’aggiudicazione, nella situazione contemplata dall’art. 123, comma 3, c.p.a. In tale seconda evenienza detta violazione non comporta l’annullamento dell’aggiudicazione né la dichiarazione di inefficacia del contratto ed assume una portata più marcatamente afflittivo – sanzionatoria.
L’applicabilità della sanzione alternativa della riduzione della durata contrattuale anche in mancanza di vizi dell’aggiudicazione priva di fondamento gli argomenti dell’appellante basati sul disposto dell’art. 123, comma 1, c.p.a.
Nel caso di specie, essendo stato accertato, nel precedente giudizio, il vizio della procedura di gara consistito nell’illegittima composizione della commissione di gara, la sentenza, quale inevitabile conseguenza dell’illegittimità dell’aggiudicazione definitiva, ne ha disposto l’annullamento.
Tuttavia la sanzione alternativa della riduzione del periodo di durata contrattuale, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, sarebbe stata applicabile anche se non fosse stato accertato detto vizio e quindi anche se l’aggiudicazione non fosse stata annullata, poiché non era, né è, in discussione la violazione del termine di stand still.
3.2.3. In senso specularmente opposto a quanto sostenuto dall’appellante, va affermato che, se non ci fosse stata la violazione del termine di stand still, non sarebbe stata applicabile la sanzione alternativa.
Ne consegue che ciò che rileva, ai fini di tale applicazione, è la riferibilità o meno all’affidatario dell’inosservanza del termine per la stipulazione del contratto.
Come si dirà anche trattando dei restanti due motivi di appello, l’affidatario, in qualità di contraente, non può non essere coinvolto nella vicenda che riguarda la stipulazione del contratto.
Perciò, salvi casi del tutto eccezionali e marginali (ad esempio quando sia stato indotto in errore sul decorso del termine di stand still da informazioni errate o fuorvianti da parte della stazione appaltante), non ricorre alcuna esigenza di tutelare un asserito legittimo suo affidamento nel corretto operato dell’amministrazione.
Giova ricordare che, nella situazione affine della responsabilità della pubblica amministrazione per l’affidamento suscitato nel destinatario di un provvedimento ampliativo illegittimamente emanato e poi annullato (con particolare riguardo all’ipotesi di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture, successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale), si è pronunciato questo Consiglio di Stato, con sentenza dell’Adunanza plenaria, 29 novembre 2021, n. 21.
Nel rinviare alla motivazione della sentenza, è sufficiente richiamare i principi di diritto ivi affermati, che attengono all’esigenza di tutela del legittimo affidamento dell’operatore economico nei confronti della pubblica amministrazione. In particolare si è ritenuto che l’azione risarcitoria è fondata se la lesione è imputabile quanto meno a colpa dell’amministrazione, ma anche che “a sua volta non deve essere inficiato da colpa l’affidamento del concorrente” (punto 17 della motivazione). Pertanto la responsabilità della pubblica amministrazione “postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa” (punto 20 della motivazione).
Argomentando anche in base a quanto previsto dall’art. 1338 cod. civ., norma richiamata nella detta sentenza, va escluso il risarcimento se la conoscenza di una causa invalidante il contratto è comune ad entrambe le parti che conducono le trattative (cfr., in questo senso, tra le altre, Cass. civ, III, 18 maggio 2016, n. 10156, che, proprio in riferimento all’invalidità derivante da una norma di legge, ha affermato che “in materia di invalidità negoziale, ove essa derivi dalla violazione di una norma imperativa o proibitiva di legge, o di altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, cioè tali da dover essere note, per presunzione assoluta, alla generalità dei cittadini, ovvero tali, comunque, da potere essere conosciute attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa contrattuale a carico dell’altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse”; cfr., di recente anche Cass. civ., II, 14 febbraio 2022, n. 4715).
Analoghe considerazioni sono riferibili al caso, ricorrente nel presente giudizio, in cui il contratto sia “inficiato” dalla violazione del termine dilatorio stabilito ex lege per la sua stipulazione e perciò assoggettabile alle sanzioni alternative di cui all’art. 123 c.p.a., tra cui la riduzione della durata contrattuale.
Quest’ultima, quanto agli effetti, è infatti equiparabile alla dichiarazione di inefficacia (temporalmente limitata) che può conseguire all’annullamento dell’aggiudicazione nella fattispecie presa in considerazione dall’Adunanza plenaria, sebbene si configuri (non come l’effetto della caducazione del contratto ma) come sanzione alternativa alla dichiarazione di inefficacia.
Quesito: L’articolo 32 comma 14 del D.Lgs. 50/2016 e smi al secondo paragrafo indica che “… in caso di procedura negoziata ovvero per gli affidamenti di importo non superiore a 40.000 euro, la stipula del contratto può avvenire mediante corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere, anche tramite posta elettronica certificata o strumenti analoghi negli altri Stati membri”. Ad avviso di questa Stazione Appaltante, la parte della norma che indica “…ovvero per gli affidamenti di importo non superiore a 40.000 euro” è riferita agli affidamenti diretti, incrementati dalla L. 108/21 Semplificazioni-bis ad € 139.000 + IVA per beni e servizi ed € 150.000 + IVA per i lavori. Per quanto precede si chiede se, in assenza di un’indicazione normativa di senso contrario, possa ritenersi applicabile il predetto articolo del Codice a tutti gli affidamenti diretti entro tali importi. Qualora così non fosse, ragionando all’inverso, si concretizzerebbe il paradosso in base al quale, per gli affidamenti diretti compresi tra gli € 40.001 + IVA e le soglie di cui all’art. 1, co. 2, lett. a), L. n. 120/2020 e smi, ci si troverebbe obbligati a dover effettuare stipule contrattuali più gravose e complesse, rispetto a quelle di possibile utilizzo per le procedure negoziate di cui alla lett. b) della medesima norma, contraddistinte da importi superiori. Si chiede conferma di tale interpretazione normativa.
Risposta: In merito al quesito posto si rappresenta che la disciplina prevista dall’art. 1 del Decreto-Legge 76/2020, convertito con modificazioni con Legge n. 120/2020 e ss.mm.ii., introduce disposizioni volte ad incentivare gli investimenti pubblici nel settore delle infrastrutture e dei servizi pubblici e a far fronte alle ricadute economiche negative a seguito delle misure di contenimento e dell’emergenza sanitaria globale del COVID-19. Dunque, le indicate nuove modalità di affidamento previste per gli appalti sotto-soglia sono volte, da un lato, ad accelerare le attività della SA e, dall’altro, a ridurre gli oneri per gli operatori economici. Tanto premesso, si ritiene che la possibilità di concludere il contratto mediante corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere ai sensi dell’articolo 32, comma 14 del D.Lgs. 50/2016, alla luce delle nuove modalità di affidamento previste dal DL 76/2020 e ss. mm. ii., sia applicabile agli affidamenti diretti per lavori di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 139.000 euro, disciplinati dall’art. 1, comma 2, lett. a) dell’indicato DL 76/2020 e ss.mm.ii. (Parere MIMS n. 1398/2022)
Contrariamente a quanto si sostiene col primo motivo di appello, la condotta ed il provvedimento della stazione appaltante sono legittimi, essendo irrilevante che si ritenga applicabile l’art. 83, comma 9, ovvero l’art. 85, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016.
7.1. La circostanza che si tratti di un requisito di ammissione, che va non soltanto dichiarato, ma anche comprovato, in corso di gara, induce a ritenere che la sua mancata tempestiva dimostrazione ricada nell’ambito di applicazione del soccorso istruttorio di cui all’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016 (disposizione riprodotta nella clausola n. 17, comma 1, e specificata nei commi 2-5, del disciplinare di gara).
Depone in tal senso la constatazione che l’art. 83, comma 9, del Codice dei contratti pubblici non fissa un termine ultimo per l’esercizio del soccorso istruttorio in sede di gara, quale potrebbe essere, ad esempio, l’adozione del provvedimento di aggiudicazione, poiché tale attività è correlata al momento in cui la stazione appaltante valuta la regolarità e completezza della documentazione fornita; ne segue che se la valutazione è compiuta per l’offerente per la prima volta in fase di verifica va consentito alla stazione appaltante di richiederne la regolarizzazione o integrazione (così Cons. Stato, V, 2 novembre 2021, n. 7302).
In senso contrario non vale richiamare, come fanno le appellanti, la sentenza di questa Sezione V, 16 gennaio 2020, n. 399, poiché riferita ad un caso di soccorso istruttorio attivato per porre rimedio ad una carenza del requisito (garanzia provvisoria) sopravvenuta alla gara, per cui era stato concesso dalla stazione appaltante un termine risultato superiore a dieci giorni.
D’altronde, la giurisprudenza riconosce, in linea di principio, la possibilità di attivare il soccorso istruttorio anche dopo l’aggiudicazione, nel caso in cui, dichiarato il possesso dei requisiti di capacità economica – finanziaria e tecnico – professionale, il concorrente, in sede di comprova, produca documentazione insufficiente o incompleta o errata, comunque, inidonea a dimostrare il requisito così come posseduto e dichiarato all’atto di presentazione della domanda di partecipazione (cfr. Cons. Stato, V, 22 febbraio 2021, n. 1540).
7.2. Inoltre, si è ritenuto che, anche nel vigore del codice attuale e pur in mancanza di espressa previsione nella lex specialis, è consentito alla stazione appaltante imporre un termine perentorio per l’invio della documentazione necessaria ai fini della stipula del contratto d’appalto (eventualmente anche ai sensi dell’art. 85, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016), rendendosi anzi necessario ad evitare l’indefinito protrarsi della fase evidenziale precedente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2018, n. 738); il principio (riaffermato da Cons. Stato, V, 2 novembre 2021, n. 7302) vale a maggior ragione nel caso, come quello in esame, in cui la fissazione di un termine era stabilita dalla legge di gara.
6.2. In base all’art. 33, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 “La proposta di aggiudicazione è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti, decorrenti dal ricevimento della proposta di aggiudicazione da parte dell’organo competente”.
6.3. In base all’art. 32, comma 5, d.lgs. n. 50/2016 “La stazione appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione ai sensi dell’articolo 33, comma 1, provvede all’aggiudicazione”.
6.4. Secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio:
a) la proposta di aggiudicazione, atto prodromico al provvedimento di aggiudicazione, costituisce un atto endoprocedimentale privo di valore decisorio e che necessita conferma (Cons. Stato Sez. III, 11 maggio 2021, n. 3709; Sez. V, 31 luglio 2019, n. 5428);
b) la proposta di aggiudicazione, non costituendo un provvedimento “definitivo” (Cons. Stato Sez. V, 11 gennaio 2022, n. 200), non costituisce un provvedimento impugnabile (Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2022, n. 7; Cons. Stato Sez. V, 10 ottobre 2019, n. 6904).
6.5. La determinazione n. 302 del 20 ottobre 2021, impugnata unitamente agli altri atti del procedimento di gara, ha ad oggetto “l’approvazione dei verbali di gara e la proposta di aggiudicazione” e non costituisce dunque il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto.
6.6. Come correttamente rilevato dal T.a.r., il tenore testuale dell’atto (dove si dà atto di “approvare…ai sensi e per gli effetti dell’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, la proposta di aggiudicazione…”), i riferimenti normativi in esso citati (specialmente, il riferimento all’art. 33, comma 1, c.p.a.) e l’indicazione che seguiranno ulteriori fasi della procedura (“…l’aggiudicazione definitiva avverrà a seguito del completamento con esito favorevole delle verifiche previste dalla vigente normativa in materia”) depongono per questa qualificazione giuridica.
6.7. L’assunto di parte che sia la determinazione n. 302 del 20 ottobre 2021 che la comunicazione n. 40302 del 20 ottobre 2021 contengano alcuni elementi di ambiguità non induce il Collegio ad una diversa interpretazione, ancorché se ne terrà conto nel regolamento delle spese di lite nei confronti del Comune.
6.7.1. La circostanza che la determinazione impugnata faccia riferimento alla possibilità di impugnare l’atto innanzi alla giurisdizione amministrativa costituisce, in questo caso, un’indicazione errata e si riduce all’inserimento di una mera formula di stile che non muta la qualificazione giuridica dell’atto in cui essa inserita.
6.7.2. La circostanza, poi, che nella citata nota di trasmissione si parli di provvedimento di aggiudicazione e di “comunicazione [della] aggiudicazione ai sensi dell’art. 76, comma 5, lett. a), del d.lgs. n. 50/2016” (e ciò potrebbe indurre a pensare che si tratti di un provvedimento di aggiudicazione definitivo) risulta “neutralizzato” dal dato che la suddetta comunicazione fa altresì riferimento, nel testo, all’approvazione dei verbali di gara e della proposta di aggiudicazione, e, soprattutto, dall’affermazione contenuta nell’ultimo periodo secondo cui “…a norma dell’articolo 32, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, […] l’aggiudicazione definitiva avverrà a seguito del completamento con esito favorevole delle verifiche previste dalla vigente normativa in materia”. 6.8. In definitiva, dunque, l’atto impugnato nel presente giudizio costituisce l’atto di controllo (di legittimità e di opportunità da parte dell’organo competente) – per l’appunto, “l’approvazione” – della “proposta di aggiudicazione”, strumentale all’emanazione del provvedimento di aggiudicazione. Esso non costituisce, per converso, il provvedimento che conclude il procedimento di gara, né fa assurgere a “provvedimento di aggiudicazione” la proposta approvata. Conseguentemente, in linea con i principi giurisprudenziali innanzi richiamati e con quelli di carattere generale del processo amministrativo, non trattandosi dell’atto conclusivo del procedimento non costituisce atto amministrativo autonomamente impugnabile.
Il Collegio rileva che l’offerta tecnica offerta dall’appellane non riguarda la stessa dotazione di arredi ‘minima’ poi quotata nell’offerta economica, ma si riferisce ad una soluzione progettuale più ampia, comprensiva anche di prodotti diversi, costituiti da forniture di pregio e di alto livello. Tale proposta non consente di operare una distinzione, come invece sostiene la società appellante, tra la proposta base e quella tecnica aggiuntiva, atteso che non è chiarito quali arredi non corrispondano all’offerta economica. A tale riguardo, correttamente il giudice di primo grado ha evidenziato che neppure la relazione tecnica consentirebbe di chiarire l’esistenza di prodotti alternativi estranei all’offerta. Ne consegue che la proposta offerta da -OMISSIS- in sostanza può essere definita ‘plurima’, perché appare all’evidenza che la società appellante ha proposto una sola offerta tecnica, ma ha presentato due listini con due offerte economiche, eventualmente, cumulabili. Una offerta così strutturata va esclusa dalla gara, tenuto conto del chiaro tenore letterale dell’art. 32, comma 4, del Codice appalti, ove si prevede che in sede di gara per l’aggiudicazione dell’appalto pubblico “ciascun concorrente non può presentare più di una offerta”. La disposizione impone ai partecipanti alle gare pubbliche di concorrere con un’unica proposta tecnica ed economica, fatte naturalmente salve le migliorie dell’offerta. Il principio non solo risponde all’obiettivo di assicurare l’effettiva par condicio tra gli operatori economici nella competizione, ma soprattutto ‘assurge a baluardo dell’interesse pubblico a far emergere la migliore offerta, in sede di presentazione della stessa’ (Cons. Stato, Sez. III, 26 luglio 2021, n. 5336). L’offerta, oltre ad essere ‘plurima’, è anche ‘condizionata’, atteso che appare evidente che per ottenere la fornitura la stazione appaltante avrebbe dovuto accettare il sovraprezzo aggiuntivo della lista dei prodotti alternativi.
Secondo la giurisprudenza consolidata, ricorre l’offerta ‘condizionata’ nel caso in cui l’offerente subordini il proprio impegno contrattuale ad uno schema modificativo rispetto a quello proposto dalla stazione appaltante: in tal caso l’offerta va dichiarata inammissibile, atteso che le regole che informano la materia degli appalti pubblici esigono, a tutela della par condicio e della certezza dei rapporti giuridici (funzionali alla corretta esecuzione dell’appalto), la perfetta conformità tra il regolamento predisposto dalla stazione appaltante e l’offerta presentata dal candidato.
Detta conformità non sussiste allorquando il concorrente subordini appunto la sua adesione al contratto a condizioni non univoche ed estranee all’oggetto del procedimento o ad elementi non previsti nelle norme di gara o al capitolato.
Nel caso di specie, la lex specialis non prevedeva la possibilità di presentare due proposte progettuali diverse, ma consentiva, a fronte di un’unica soluzione di arredo, di offrire alla stazione appaltante anche dei prodotti alternativi o aggiuntivi, che però andavano esclusi dalla valutazione da compiere in sede di gara.
Ciò non avrebbe consentito a -OMISSIS- di presentare più di una offerta, come invece ha fatto, incorrendo nella violazione dell’art. 32, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016, che impone a tutti gli operatori economici di presentare un’unica proposta tecnica ed una sola proposta economica, in ragione del principio della unicità dell’offerta.
Né era consentito all’appellante subordinare la fornitura dell’unica proposta descritta nell’offerta tecnica all’accettazione da parte della stazione appaltante del sovraprezzo aggiuntivo della lista dei prodotti alternativi, atteso che una simile tecnica di offerta vale a configurare un’ipotesi tipica di offerta condizionata, che rende l’offerta inammissibile e passibile di esclusione dalla procedura di gara, come in effetti accaduto con il provvedimento impugnato.
Sulla base dei rilievi espressi, è evidente, dunque, che la società appellante ha introdotto modificazioni ed apposto condizioni, rispetto a profili non marginali della proposta negoziale, idonei ad inverare un’offerta condizionata e plurima e perciò non ammissibile. Ne consegue che è legittima la scelta della stazione appaltante di escludere dalla procedura un’offerta che non consentiva di prefigurare un quadro certo, improntato alla massima linearità e chiarezza, dei rispetti obblighi contrattuali rispetto agli atti di gara, introducendo elementi diversi nel sinallagma contrattuale che valgono a conferire all’offerta quel carattere di indeterminatezza e condizionamento tale da renderla inammissibile.
Occorre premettere come la giurisprudenza abbia ormai da tempo affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa con riferimento allo spatium temporale che va dall’aggiudicazione della pubblica gara alla stipula del contratto (in tal senso, per tutte, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 391, secondo cui “nelle procedure connotate da concorsualità aventi ad oggetto la conclusione di contratti da parte della p.a. spetta al giudice amministrativo la cognizione dei comportamenti ed atti assunti prima dell’aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, tra tali atti essendo compreso anche quello di revoca della aggiudicazione stessa”).
L’aggiudicazione non determina, infatti, l’insorgenza di vincoli negoziali o, comunque, di obblighi civilistici alla conclusione del contratto, sicché la situazione soggettiva facente capo al privato deve qualificarsi d’interesse legittimo.
Ne consegue l’ammissibilità dell’azione avverso il silenzio, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a ., per contrastare l’inerzia serbata dall’amministrazione sulla richiesta di contrattualizzazione e, dunque, ottenere la declaratoria di un relativo obbligo di provvedere in capo alla stazione appaltante ( in tal senso, da ultimo, T.A.R. Lazio, Latina, Sezione I, n. 569/2021).
A ciò si aggiunga come l’obbligo giuridico di provvedere sulle istanze dei privati sia ad oggi riconosciuto non solo nei casi espressamente contemplati dalla legge, ma anche in ipotesi ulteriori nelle quali specifiche ragioni di giustizia ed equità impongano l’adozione di un provvedimento espresso oppure tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’amministrazione (per tutte, da ultimo, Consiglio di Stato, Sezione VI, 18 maggio 2020, n. 3120). Ne consegue che, nel caso di specie, a fronte dell’intervenuta aggiudicazione della procedura in favore della società ricorrente, vi sia un obbligo giuridico della stazione appaltante di determinarsi, esprimendo e comunicando la definitiva la volontà di stipulare o meno il contratto in questione e, in caso affermativo, invitando la società alla sottoscrizione dello stesso.
L’obbligo giuridico di provvedere non ha, dunque, ad oggetto la conclusione del contratto – esito questo a cui l’amministrazione non è vincolata – bensì la determinazione, di natura prettamente autoritativa e come tale equiparabile ad un provvedimento, della volontà di addivenire o meno alla sua stipulazione.
Chiarito come sopra il tema dell’odierno contenzioso, è d’uopo rammentare che ai fini dell’interpretazione delle clausole di una lex specialis trovano applicazione le norme in materia di contratti e anzitutto il criterio letterale e quello sistematico, ex artt. 1362 e 1363 Cod. civ. (da ultimo, Cons. Stato, V, 2 marzo 2022 n.1486; 6 agosto 2021, n. 5781; 8 aprile 2021, n. 2844; 8 gennaio 2021, n. 298; III, 24 novembre 2020, n. 7345; 15 febbraio 2021, n. 1322): conseguentemente, le stesse clausole non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in una funzione integrativa, diretta a evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale delle parole utilizzate e dalla loro connessione; soltanto ove il dato testuale presenti evidenti ambiguità, deve essere prescelto dall’interprete il significato più favorevole al privato (Cons. Stato, VI, 6 marzo 2018, n. 1447; V, 27 maggio 2014, n. 2709). […]
Sicchè, alla luce del predetto chiarimento, anche gli eventuali dubbi interpretativi evocati dall’appellante circa l’esatto significato da attribuire alle clausole di cui trattasi, nonostante il loro chiaro tenore, erano dissipabili alla luce del predetto chiarimento, considerata la sua specifica funzione. E invero, nelle gare pubbliche, le FAQ (Frequently Asked Questions), ovvero i chiarimenti in ordine alla valenza delle clausole della legge di gara fornite dalla stazione appaltante anteriormente alla presentazione delle offerte, “non costituiscono un’indebita, e perciò illegittima, modifica delle regole di gara, ma una sorta di interpretazione autentica, con cui l’amministrazione chiarisce la propria volontà provvedimentale, in un primo momento poco intelligibile, precisando e meglio delucidando le previsioni della lex specialis” (Cons. Stato, V, 2 marzo 2022, n. 1486; III, 22 gennaio 2014, n. 290; IV, 21 gennaio 2013, n. 341), sicché esse, per quanto non vincolanti, orientano i comportamenti degli interessati e non possono essere considerate tamquam non essent.
Peraltro, con specifico riferimento agli importi richiesti per i lavori eseguiti in seguito alla consegna anticipata, sui quali il T.a.r. non si è pronunciato, e che vengono semplicemente esposti in appello senza alcun rilievo critico circa l’omesso esame della domanda, in disparte la genericità del gravame, deve rilevarsi che la pretesa trova titolo nella diversa responsabilità discendente dall’esecuzione del rapporto (sia pure anticipata rispetto alla stipula del contratto, per effetto della consegna dei lavori in via di urgenza), come eccepito dal Comune e precisato anche nella decisione dell’Adunanza plenaria.
Si vedano, altresì, al riguardo:
– Consiglio di Stato sez. V, 2/8/2019, n.5498, secondo il quale, qualora intervenga la c.d. esecuzione anticipata dello stipulando contratto, per solito giustificata da ragioni di urgenza, l’instaurazione di un “rapporto contrattuale (che trae, comunque, titolo nell’esito della fase selettiva) prefigura, sia pure in termini di anticipazione rispetto alle ordinarie scansioni temporali e agli ordinari adempimenti formali, una fase propriamente esecutiva”, le cui vicende si strutturano in termini di adempimento delle obbligazioni contrattuali e di responsabilità conseguente al loro inadempimento;
– Consiglio di Stato, Sezione VI, 6/6/2012 n. 3320, secondo il quale “le obbligazioni nascenti a carico delle parti a seguito della consegna anticipata dei lavori, pur se di carattere preparatorio e temporaneo, in quanto destinate a restare definitivamente suggellate nel contratto, sono effettivamente sorte e non potrebbe dubitarsi della loro piena vincolatività, pena altrimenti la frustrazione dell’istituto acceleratorio, finalizzato a soddisfare il prevalente interesse pubblico alla conclusione dei lavori appaltati nel rispetto di termini particolarmente stringenti. E pertanto, nonostante l’assenza di quello che viene propriamente definito “vincolo contrattuale”, l’inadempimento …… configura comunque un’ipotesi di inadempimento contrattuale”.
L’Amministrazione può agire in autotutela, rimuovendo d’ufficio un provvedimento di aggiudicazione definitivo ed efficace, anche dopo la stipula del contratto, ricorrendone i presupposti; così è legittimata ad esercitare i poteri codificati dagli artt. 21 quinquies e 21 nonies L. n. 241/1990 anche nella fase antecedente, pienamente soggetta alle regole pubblicistiche.
L’art. 32, 8° comma, del Codice fa espressamente “salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalla legge” anche quando sia “divenuta efficace l’aggiudicazione”. Come il Consiglio di Stato, Sez. III, 22.3.2017 n. 1310 ha affermato “Un simile potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa anzitutto da parte della stessa Amministrazione procedente, deve riconoscersi a questa anche dopo l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto (v., sul punto, Cons. St., sez. V, 26 giugno 2015, 3237), con conseguente inefficacia di quest’ultimo, e trova un solido fondamento normativo, dopo le recenti riforme della l. n. 124 del 2015, anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa” .
L’ammissibilità dell’autoannullamento (sia ante che post aggiudicazione definitiva) rende irrilevante la problematica che è stata posta con il primo motivo di ricorso inerente l’asserita “acquisita efficacia” dell’aggiudicazione, a seguito del positivo riscontro dei requisiti generali e speciali (che la PA invece contesta, essendo le verifiche ancora in corso e non ultimate).
Il profilo concernente l’eventuale efficacia del provvedimento di aggiudicazione a -OMISSIS-, non implica che la decisione assunta sia insuscettibile di rivalutazione, in sede di riesame, prima della stipula del contratto, qualora emergano e siano riscontrate insufficienze/anomalie dell’offerta.
L’ammissibilità dell’esercizio del potere in autotutela, sussistendo i necessari presupposti e riscontri, va affermato, con possibile piena esplicazione (sia in ipotesi di aggiudicazione efficace che non).
Codice identificativo: 1153
Data ricezione: 28/01/2022
Argomento: Procedure di aggiudicazione
Oggetto: È possibile derubricare un’RdO MEPA ad una semplice richiesta di preventivi?
Quesito: Secondo alcune correnti di pensiero, per svolgere procedure entro i limiti d’importo previsti dalla L. 108/21 Semplificazioni bis per l’affidamento diretto, sarebbe possibile utilizzare l’RdO MEPA per effettuare una ricerca di preventivi. Nello specifico, in tal caso, gli atti amministrativi della pratica d’acquisto conterrebbero, nell’oggetto, la dicitura “affidamento diretto previa indizione di un’RdO sul MEPA” oppure “affidamento diretto previa acquisizione informale di offerte tramite RdO MEPA”. Ad avviso di questa Stazione Appaltante tale prassi non è corretta poiché rischia di confondere, tra loro, le seguenti due distinte procedure diversamente normate:
1 – l’affidamento diretto mediato con cui vengono reperiti, quale best practice, due o più preventivi (Es.: tramite email o PEC ma non con RdO MEPA) col migliore dei quali si perfeziona l’acquisto tramite una Trattativa Diretta MEPA, finalizzata a spuntare un ulteriore miglioramento del prezzo;
2 – l’RdO MEPA che è invece una procedura negoziata a tutti gli effetti, molto più formale nonché subordinata a precipue regole (Es.: l’obbligo di dover a priori formalizzare il criterio di aggiudicazione, l’eventuale controllo dell’anomalia dell’offerta, l’avviso di avvio e termine di procedura sopra gli € 40.000 + IVA ai sensi dell’art. 1 delle L. 120/20 e smi etc.).
L’impossibilità d’utilizzo dell’RdO MEPA per la mera acquisizione di preventivi, finalizzati al successivo affidamento diretto, parrebbe condivisa dalla recente sentenza del TAR Sicilia di Palermo – Sez. III, n. 1892 dell’11/06/2021 con la quale, il giudice amministrativo, è intervenuto su un contenzioso vertente proprio tale argomento. In sintesi: è corretto oppure no utilizzare l’RdO MEPA quale semplice richiesta di preventivi finalizzati ad un successivo affidamento diretto, perfezionato tramite stipula della medesima RdO, negli acquisti al di sotto degli importi previsti dall’art. 1, lett. a) dalla L. 120/20 e smi?
Risposta: Con riferimento a quanto richiesto, si ritiene che (entro le fasce di importo che consentono l’affidamento diretto) non sia precluso richiedere preventivi anche tramite Mepa o altro mercato elettronico. Resta fermo che, se trattasi di semplice richiesta di preventivi cui seguirà una trattativa diretta, la procedura non sarà inquadrata come procedura negoziata, bensì come affidamento diretto. Si ricorda che, al di là dello strumento di acquisto e di negoziazione prescelto, la stazione appaltante dovrà rendere chiaro in determina a contrarre quanto previsto all’art. 32, comma 2 del Codice e rispettare le regole della procedura prescelta, ai sensi del decreto semplificazioni e ss. mm. ii.
Il D.lgs. n. 50/2016, infatti, opera una chiara distinzione tra la “proposta di aggiudicazione”, “l’approvazione della proposta di aggiudicazione” e “l’aggiudicazione”.
La “proposta di aggiudicazione”, che è formulata dalla commissione giudicatrice composta da esperti nello specifico settore relativo all’oggetto del contratto d’appalto, è soggetta ad “approvazione” dell’organo competente secondo l’ordinamento della stazione appaltante e nel rispetto dei termini dallo stesso previsti (in mancanza di fissazione di detto termine lo stesso è individuato ope legis in trenta giorni) (art. 33, comma 1). L’”aggiudicazione”, invece, costituisce il provvedimento conclusivo della procedura di gara in forza del quale viene attribuito il bene della vita.
La “proposta di aggiudicazione” rappresenta un atto endoprocedimentale e, come tale, non è soggetto ad autonoma impugnazione (in tali termini, T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 5.6.2020, n. 212; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, 23.6.2020, n. 240). L’art. 204 del nuovo Codice degli appalti difatti sancisce espressamente l’inammissibilità della impugnazione della “proposta di aggiudicazione” in quanto atto privo di lesività essendo destinato ad essere superato dall’”aggiudicazione”.
Parimenti non impugnabile è “l’approvazione della proposta di aggiudicazione” che si sostanzia in quell’attività di “verifica della proposta di aggiudicazione” prevista dall’art. 32, comma 5, del D.Lgs n. 50/2016, ovvero nell’attività di controllo sulla proposta di aggiudicazione rientrante nel più generale controllo degli atti della procedura attuato dalla stazione appaltante (che autonomamente individua l’organo compente, ovvero, in mancanza, il R.u.p.), disciplinata dall’art. 33, comma 1, del D.Lgs. n. 50/2016 (in tali termini, cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27 aprile 2020 n. 2655).
Solo all’esito della suddetta attività di verifica sulla “proposta di aggiudicazione”, la stazione appaltante provvede all’”aggiudicazione” che costituisce un’autonoma e distinta manifestazione di volontà della stazione appaltante.
Il provvedimento di “aggiudicazione”, che deve essere necessariamente espresso, segue, quindi, “l’approvazione della proposta di aggiudicazione”, che può intendersi perfezionata anche qualora la stazione appaltante non si sia pronunciata nei termini di legge, come prevede testualmente l’art. 33, comma 1, ultima parte del D.Lgs. n. 50/2016. In definitiva, dopo “l’approvazione della proposta di aggiudicazione”, atto privo di carattere lesivo, che sia espressa o tacita, deve comunque necessariamente intervenire “l’aggiudicazione”. Come di recente è stato puntualmente rimarcato in giurisprudenza, dal combinato disposto degli artt. 32, comma 5, e 33, comma 1, del D.Lgs. 50/2016 emerge con meridiana evidenza la distinzione formale, oltre che logica, dell’approvazione della proposta di aggiudicazione e del provvedimento definitivo di aggiudicazione: solo quest’ultimo concretizza e rende attuale l’interesse all’impugnazione (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I – sentenza 2 aprile 2021 n. 2247).
Orbene, così come all’esito negativo della verifica del possesso dei requisiti ex art. 32, comma 7, del d.lgs. n. 50 del 2016, la stazione appaltante procede al ritiro del provvedimento di aggiudicazione nei confronti dell’aggiudicatario che ne sia risultato privo, parimenti l’inadempimento da parte dell’aggiudicatario dell’obbligo, previsto negli atti di gara, di procedere d’urgenza all’inizio dei lavori, su richiesta dell’amministrazione, nelle more della stipula del contratto, legittima la decadenza dall’aggiudicazione e la determinazione di incameramento della cauzione (cfr. Cons. Stato, V, 2 ottobre 2014, n. 4918).
Va perciò confermata la legittimità del provvedimento impugnato, fondato tra l’altro sulle note del RUP del 14 gennaio 2019 e del 6 febbraio 2019, che danno conto della “volontà dimostrata dall’impresa di voler procrastinare l’avvio delle lavorazioni […]” e della compromissione dell’interesse pubblico al “regolare svolgimento delle attività scolastiche”, a causa del “mancato rispetto del cronoprogramma previsto nei documenti di gara e … quello ridefinito in data 28/12/2018)”.
6.1. La sentenza di questo Consiglio di Stato, III, 31 agosto 2016, n. 3755, relativa ad una fattispecie di illecito rifiuto dell’aggiudicatario a stipulare il contratto con l’amministrazione appaltante, ha riconosciuto in favore di quest’ultima il risarcimento del danno pari ai maggiori esborsi di denaro conseguenti all’aggiudicazione disposta per “scorrimento” in favore del concorrente secondo classificato.
Il caso concreto è analogo al presente, non costituendo differenza significativa, ai fini dell’individuazione delle voci di danno risarcibili, la circostanza di fatto – su cui insiste l’appellante – che nel caso oggetto della citata decisione il bando di gara non avesse previsto il versamento di una garanzia provvisoria per la partecipazione alla procedura.
6.1.1. Siffatta previsione farebbe la differenza se si ritenesse che, in presenza di garanzia provvisoria obbligatoria, prestata dall’aggiudicatario in fase di gara e suscettibile di escussione, oggi, ai sensi dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, non fosse possibile per la stazione appaltante agire per il risarcimento del danno effettivo e di maggior importo.
In proposito la sentenza di primo grado condivide il principio (già richiamato dalla sentenza n. 3755/2016) che la stazione appaltante può agire per ottenere il risarcimento del danno effettivo per il caso di mancato stipula del contratto imputabile all’aggiudicatario, quando esso ecceda l’importo della cauzione provvisoria.
Per questa parte la sentenza non è stata specificamente appellata.
Peraltro, il detto principio è stato già affermato in giurisprudenza da Cass. S.U. 4 febbraio 2009, n. 2634 (la quale, nel vigore dell’art. 30 della legge n. 109 del 1994 – ha configurato la cauzione provvisoria o la garanzia fideiussoria in sua sostituzione, non come clausola penale, bensì come caparra confirmatoria, che consente al beneficiario non solo di incamerare immediatamente le somme oggetto della cauzione, ma anche di agire per il risarcimento del maggior danno), nonché da Cons. Stato, IV, 22 dicembre 2014, n. 6302, sia pure con affermazione incidentale.
6.1.2. L’appellante critica piuttosto le voci di danno riconosciute dal primo giudice e i relativi criteri di liquidazione.
Allo scopo richiama i numerosi precedenti giurisprudenziali anche di questo Consiglio di Stato, tra cui la sentenza 28 gennaio 2019, n. 697, che riguardano pretese risarcitorie avanzate nei confronti della pubblica amministrazione per responsabilità precontrattuale della stazione appaltante per la mancata stipulazione del contratto di appalto.
Orbene, il Collegio condivide l’affermazione ripetuta dalla giurisprudenza amministrativa (anche nella sentenza n. 697/19, citata dall’appellante, nonché in altre precedenti e successive, tra cui, da ultimo Cons. Stato, V, n. 5274/21) che, in tale fattispecie, i danni sono limitati al solo interesse c.d. negativo, ravvisabile, nel caso delle procedure ad evidenza pubblica, nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative.
6.1.3. Tuttavia si ritiene che, nel caso in cui non si addivenga alla stipulazione del contratto per fatto colpevole dell’aggiudicatario, la responsabilità di quest’ultimo non si fonda sulla lesione del diritto di autodeterminarsi liberamente nell’attività negoziale, che la detta giurisprudenza pone a fondamento della responsabilità precontrattuale della p.a. e che tipicamente fa capo al soggetto privato.
E’ evidente che tale posizione giuridica soggettiva non è predicabile nei confronti dell’Amministrazione aggiudicatrice, atteso che questa, in quanto tenuta, nella scelta del contraente, al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica non gode della medesima “libertà di autodeterminazione” del privato, se non, come già affermato in giurisprudenza “nel senso della tutela dell’affidamento riposto nel buon esito delle procedure, scongiurando fattori di indebito procrastinamento della definizione delle stesse e conseguentemente dell’interesse pubblico sotteso all’attivazione della procedura concorsuale” (così testualmente Cons. Stato, II, 31 dicembre 2020, n. 8546).
In definitiva, la responsabilità del privato aggiudicatario per la mancata stipulazione del contratto a lui imputabile non trova la sua fonte diretta nella violazione dei canoni generali della correttezza e della buona fede nelle trattative precontrattuali: nel caso in cui sia il comportamento colpevole del privato aggiudicatario a compromettere il buon esito della procedura, non è possibile adoperare “a parti rovesciate” le stesse categorie concettuali e giuridiche elaborate dalla giurisprudenza in tema di responsabilità della pubblica amministrazione verso il privato.
Piuttosto va tenuto presente che è la stessa legge a sancire che l’aggiudicatario “decaduto” debba rispondere per la “mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione” dovuta ad ogni fatto a lui riconducibile (art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016) ed a prevedere (all’art. 32, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016) che l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine a disposizione della stazione appaltante per addivenire alla stipula (nel caso di specie rispettato, secondo quanto accertato con sentenza passata in giudicato)
Il privato offerente, pertanto, una volta intervenuta l’aggiudicazione è obbligato alla stipulazione del contratto.
Si tratta di un’obbligazione, che trova la sua ratio nella tutela dell’interesse pubblico alla sollecita definizione della procedura di affidamento e la sua fonte, non nel contratto (non ancora stipulato), bensì nel fatto di essere aggiudicatario all’esito di una pubblica gara. Si tratta di un fatto che, ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., si pone come “idoneo a produrre” la relativa obbligazione di stipulare il contratto.
In sintesi, l’amministrazione – come bene osserva la Toscana Aeroporti negli scritti difensivi – gode di una tutela “rafforzata” rispetto a quella di cui gode il privato aggiudicatario nei suoi confronti, nella stessa fase che precede la stipulazione del contratto.
E’ peraltro il caso di sottolineare che la peculiare disciplina normativa rende inapplicabile alla fattispecie lo strumento civilistico dell’art. 2932 cod. civ., poiché la formazione e la stipulazione dei contratti pubblici sono per legge soggette a requisiti procedimentali e formali che ne rendono impraticabile la costituzione per sentenza.
Conseguentemente, quando l’obbligazione ex lege del privato di addivenire alla stipulazione del contratto rimanga inadempiuta per fatto dell’aggiudicatario, questi è soggetto all’escussione della garanzia prestata per la partecipazione alla gara e, se l’inadempimento sia a lui imputabile anche a titolo di colpa, è tenuto al risarcimento del danno in misura pari all’eccedenza rispetto alla già prestata cauzione (arg. ex art. 1218 c.c.).
Di qui la risarcibilità della lesione non solo del c.d. interesse negativo, ma anche dell’interesse c.d. positivo dell’amministrazione correlato alla già intervenuta individuazione del futuro contraente.
Restano con ciò superati i rilievi critici dell’appellante, mentre la motivazione della sentenza va integrata come sopra.
6.1.4. Il danno risarcibile è quindi pari –come riconosciuto in sentenza – al pregiudizio sofferto dall’amministrazione, stazione appaltante, per il maggior prezzo di aggiudicazione, a seguito di nuova gara (cui si aggiunge il rimborso delle spese di indizione di tale nuova gara) ovvero a seguito dello “scorrimento” della graduatoria.
Poiché quest’ultimo comporta l’aggiudicazione al concorrente che segue l’aggiudicatario “decaduto” alle condizioni dallo stesso proposte, il danno risarcibile è commisurabile non solo ai maggiori esborsi di denaro cui è esposta la stazione appaltante, ma, sussistendone le condizioni, al pregiudizio per l’eventuale inferiore qualità della prestazione.
6.2. Nel caso di specie, il danno corrispondente al maggior prezzo di aggiudicazione è stato quantificato nell’importo, in sé non contestato, di € 51.300,00, pari alla differenza delle offerte economiche.
Va disattesa la pretesa della società -Omissis- di eliminazione o riduzione della quantificazione del danno in applicazione dell’art. 1227, comma 2, cod. civ., invocata anche in appello.
Ribadita la portata eccezionale dell’art. 140 del d.lgs. n. 163 del 2006 (non applicabile quindi alla fattispecie oggetto del presente contenzioso), la scelta della stazione appaltante di fare scorrere la graduatoria, invece di indire una nuova gara non è censurabile sotto nessuno dei profili addotti dall’appellante, atteso che:
-non sussisteva alcun obbligo in tal senso, trattandosi di scelta discrezionale rimessa alla stazione appaltante, sulla cui legittimità si è tra l’altro pronunciata, con efficacia di giudicato esterno, la sentenza del T.a.r. Toscana n. 1119/2015, avente ad oggetto anche il provvedimento di aggiudicazione in favore di -Omissis-;
-dal punto di vista dell’entità del risarcimento, l’appellante non ha fornito la prova, nemmeno indiziaria, che la scelta di indire una nuova gara sarebbe stata meno onerosa per la stazione appaltante; all’opposto, tale scelta (oltre ad esporre l’amministrazione all’eventuale ricorso della -Omissis-, che aveva formulato un’offerta peggiore di quella della -Omissis-, ma comunque rispondente alle richieste della lex specialis) avrebbe certamente comportato i maggiori oneri procedimentali connessi all’indizione della nuova gara ed i maggior esborsi dovuti alla proroga del servizio da parte del precedente gestore od al rifiuto di questi di gestire in proroga.
In definitiva, non è addebitabile alla stazione appaltante alcun comportamento rilevante ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cod. civ. 6.3. Resta da dire della voce di danno “da minore qualità” dell’offerta della seconda aggiudicataria, che il primo giudice ha accolto nell’an, pur riducendo considerevolmente il quantum richiesto dalla stazione appaltante e pervenendo quindi a liquidare la somma di € 20.520,00, a fronte di quella richiesta di € 106.947,00. Trattandosi di danno di difficile, se non impossibile, liquidazione nel suo preciso ammontare, s’impone la valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ.. La tipologia di danno comporta che vada eseguita una comparazione qualitativa tra le due offerte in competizione. Il metodo seguito dal primo giudice è stato quello di maggiorare il danno emergente già liquidato di una percentuale corrispondente a quella della differenza del punteggio attribuito alle due offerte tecniche (28 punti per la società -Omissis- contro i 16,6 punti della società -Omissis-). Si tratta di un metodo che non è stato specificamente contestato dall’appellante, la quale, con l’atto di appello, si è limitata a censurare il risultato come “abnorme e sproporzionato”. La censura presenta evidenti profili di inammissibilità, per violazione del canone di specificità di cui all’art. 101, comma 1, cod. proc. amm. Peraltro, nel merito, non si riscontrano l’irragionevolezza e la sproporzione lamentate in appello sol che si consideri che, come osserva la difesa di -Omissis-, la differenza di punteggio tra le due offerte è dipesa dalla migliore valutazione ottenuta da -Omissis- per tutti e tre i criteri relativi all’offerta tecnica. In particolare, l’offerta dell’aggiudicataria, poi decaduta, è stata giudicata più apprezzabile sia per le “proposte migliorative” (primo criterio), che per le “caratteristiche tecniche dei mezzi messi a disposizione per l’appalto” (secondo criterio) e per la “maggiore esperienza determinata attraverso la quantità di contratti gestiti nel triennio precedente al bando” (terzo criterio). Orbene, pur nell’inevitabile opinabilità della liquidazione equitativa c.d. pura, si tratta di prestazioni integrative o di elementi qualitativi significativi di cui la -Omissis- è stata privata a causa della “decadenza” della -Omissis-.
6.4. Va perciò confermata la sentenza di primo grado anche in punto di quantificazione dei danni risarcibili.
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