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Partenariato Pubblico Privato : per la valutazione proposta non è richiesta qualificazione della Stazione Appaltante (art. 62 d.lgs. 36/2023)

TAR Triste, 16.04.2025 n.  147

Giova, in ogni caso, evidenziare che:
– l’art. 63, comma 5, laddove stabilisce che la qualificazione riguarda, tra le altre, “la capacità di progettazione tecnico-amministrativa delle procedure” (lett.a) – aspetto su cui ha particolarmente insistito parte ricorrente – premette, a chiare lettere, che la stessa ha “ad oggetto le attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, servizio o lavoro”, che è cosa ben diversa dalla valutazione ed approvazione di un progetto di fattibilità (art. 193, comma 2), cui, laddove e/o da quando inserito tra gli strumenti di programmazione dell’ente concedente, può far seguito l’avvio della gara;
– l’art. 62, comma 18, richiede la qualificazione per i livelli di cui all’articolo 63, comma 2, lettere b) e c) ai fini dell’esercizio delle attività di “progettazione, affidamento ed esecuzione di contratti di partenariato – pubblico – privato” ovvero per la progettazione tecnico-amministrativa della procedura di affidamento e non, invece, per l’attività che connota la fase preliminare di individuazione dell’interesse pubblico e, coerentemente con esso, della proposta che ad esso meglio e/o maggiormente corrisponda. Un tanto risulta, peraltro, anche avvalorato dalla nuova prescrizione contenuta nell’art. 3, comma 5, dell’Allegato II.4, introdotta dal “primo Correttivo” approvato con d.lgs. n. 209/2024, che impone la qualificazione della stazione appaltante in relazione alla fase preliminare alla scelta del promotore nel partenariato, ma limitatamente al caso della procedura di finanza di progetto ad iniziativa pubblica di cui al nuovo comma 16 dell’art. 193 del Codice, ipotesi che assolutamente non ricorre nel caso di specie, ove viene, per converso, in rilievo una procedura ad iniziativa privata. Resta, in ogni caso, fermo che, in assenza di un’analoga disposizione espressa nella normativa previgente che regola la fattispecie che qui occupa, non poteva in alcun modo ritenersi richiesta alcuna qualificazione per lo svolgimento delle attività preliminari all’approvazione della proposta di project financing, viepiù in quelle ad iniziativa del privato;
– l’allegato II.4, all’art. 2, è esplicito nel richiedere la qualificazione “per gli affidamenti di lavori di importo pari o superiore a 500 mila euro e per l’acquisizione di servizi e forniture d’importo pari o superiore alle soglie previste per gli affidamenti diretti” ovvero, secondo la definizione di “affidamento del contratto” data dall’art. 3, comma 1, lett. a) dell’All. I.1 al nuovo Codice, per “l’atto o la procedura attraverso i quali il contratto è aggiudicato all’operatore economico selezionato o scelto dalla stazione appaltante”.
Senza trascurare, in ogni caso, di considerare che, come chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 27 luglio 2016, n. 22, la parola “affidamento” [cfr. l’art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a. e 120 comma 1 c.p.a.] è riferibile ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture: la stessa dev’essere decifrata come relativa all’atto con cui la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto; appare evidente che nessuna “procedura di affidamento” nel caso in esame è stata avviata, con conseguente inapplicabilità delle norme in tema di qualificazione della stazione appaltante.
Nel segmento procedimentale in questione – che è estraneo alla fase di scelta del contraente – viene, peraltro, notoriamente in rilievo l’esercizio preliminare del potere discrezionale dell’Amministrazione di individuazione dell’interesse pubblico da perseguire mediante la successiva gara, e dunque, appunto, di programmazione dell’opera o del servizio, tant’è che l’esito di questa procedura è, come già evidenziato, l’inserimento della proposta approvata negli strumenti di programmazione, cui può far seguito l’avvio della gara.

Contributo gara ANAC per anno 2025

Pubblicata sulla GURI n. 85 del 11.04.2025, la Delibera ANAC n. 598 del 30 dicembre 2024 recante “Attuazione dell’articolo 1, commi 65 e 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per l’anno 2025” con aggiornamento dell’importo del contributo dovuto dalle Stazioni Appaltanti e dagli Operatori Economici.

Di seguito contributi in relazione all’importo posto a base di gara:

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|         Importo stimato         | Quota stazioni  |Quota operatori|
|       appalto/concessione       |   appaltanti    |   economici   |
+=================================+=================+===============+
|Inferiore a € 40.000             |     Esente      |    Esente     |
+---------------------------------+-----------------+---------------+
|Uguale o maggiore a € 40.000 e   |                 |               |
|inferiore a € 150.000            |     € 35,00     |    Esente     |
+---------------------------------+-----------------+---------------+
|Uguale o maggiore a € 150.000 e  |                 |               |
|inferiore a € 300.000            |                 |    € 18,00    |
+---------------------------------+    € 250,00     +---------------+
|Uguale o maggiore a € 300.000 e  |                 |               |
|inferiore a € 500.000            |                 |    € 33,00    |
+---------------------------------+-----------------+---------------+
|Uguale o maggiore a € 500.000 e  |                 |               |
|inferiore a € 800.000            |                 |    € 77,00    |
+---------------------------------+    € 410,00     +---------------+
|Uguale o maggiore a € 800.000 e  |                 |               |
|inferiore a € 1.000.000          |                 |    € 90,00    |
+---------------------------------+-----------------+---------------+
|Uguale o maggiore a € 1.000.000  |                 |               |
|e inferiore a € 5.000.0000       |    € 660,00     |   € 165,00    |
+---------------------------------+-----------------+---------------+
|Uguale o maggiore a € 5.000.000  |                 |               |
|e inferiore a € 20.000.000       |                 |   € 220,00    |
+---------------------------------+    € 880,00     +---------------+
|Uguale o maggiore a € 20.000.000 |                 |   € 560,00    |
+---------------------------------+-----------------+---------------+

Soccorso istruttorio per omessa dichiarazione dei requisiti speciali (art. 101 d.lgs. 36/2023)

TAR Perugia, 14.04.2025 n. 423

Non può essere, difatti, condivisa, la lettura restrittiva dell’istituto del soccorso istruttorio fatta propria dalla stazione appaltante.
Ai sensi del primo comma dell’art. 101 d.lgs. n. 36 del 2023, il ricorso al soccorso istruttorio è consentito per «a) integrare di ogni elemento mancante la documentazione trasmessa alla stazione appaltante nel termine per la presentazione delle offerte con la domanda di partecipazione alla procedura di gara o con il documento di gara unico europeo, con esclusione della documentazione che compone l’offerta tecnica e l’offerta economica; … b) sanare ogni omissione, inesattezza o irregolarità della domanda di partecipazione, del documento di gara unico europeo e di ogni altro documento richiesto dalla stazione appaltante per la partecipazione alla procedura di gara, con esclusione della documentazione che compone l’offerta tecnica e l’offerta economica. Non sono sanabili le omissioni, inesattezze e irregolarità che rendono assolutamente incerta l’identità del concorrente».
Nel caso in esame la documentazione integrativa è stata presentata a sostegno del possesso di un requisito di capacità tecnico-professionale – pertanto di un elemento estraneo all’offerta tecnica o economica – già dichiarato in sede di domanda ed è relativa ad un contratto antecedente (pertanto già esistente) al termine per la presentazione dell’offerta.
Come ribadito dalla giurisprudenza amministrativa nelle stesse sentenze richiamate dalla difesa resistente (richiamando il precedente C.d.S., sez. VI, 24 febbraio 2022 n. 1308, riferito alla disciplina previgente ma pienamente mutuabile con riferimento alle previsioni vigenti) «Mentre nei procedimenti non comparativi il soccorso istruttorio dispiega la sua massima portata applicativa, nelle procedure selettive si impone un delicato bilanciamento tra i contrapposti interessi ‒ segnatamente: la massima partecipazione e la par condicio tra i concorrenti ‒ che la giurisprudenza ha in passato ritenuto di effettuare, distinguendo tra ‘regolarizzazione’, generalmente ammessa, ed ‘integrazione’ documentale, viceversa esclusa in quanto comportante un vulnus del principio di parità di trattamento tra i concorrenti. Sullo specifico terreno dei contratti pubblici, il legislatore ha inteso superare tale impostazione, ampliando l’ambito applicativo dell’istituto e superando quelle concezioni rigidamente formalistiche e burocratiche del diritto amministrativo che continuavano ad incentivare il contenzioso (ridotto ad una sorta di ‘caccia all’errore’ nel confezionamento della documentazione allegata alla domanda), con effetti pregiudizievoli in termini di tempestivo ed efficiente completamento delle procedure. All’esito di un complesso itinerario normativo, del soccorso istruttorio è ora possibile avvalersi, non soltanto per ‘regolarizzare’, ma anche per ‘integrare’ la documentazione mancante. L’attuale art. 83, comma 9, del codice dei contratti pubblici (come novellato dall’art. 52, comma 1, lettera d, del decreto legislativo n. 56 del 2017, che non prevede neanche più il pagamento di una sanzione pecuniaria) è chiaro nell’estendere l’ambito applicativo del soccorso istruttorio a tutte “le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda” e, in particolare, ai casi di “mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo”. Le fattispecie sottratte all’operatività dell’istituto sono oggi costituite soltanto dalle carenze e irregolarità che afferiscono “all’offerta economica e all’offerta tecnica”, e dalla “carenze della documentazione che non consentono l’individuazione del contenuto o del soggetto responsabile della stessa”. È quindi consentito alle amministrazioni aggiudicatrici di chiedere agli operatori economici di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione ove incomplete o non corrette, purché questo venga fatto entro un termine adeguato. Resta fermo che il mancato possesso (sostanziale) dei prescritti requisiti di partecipazione (alla data di presentazione della domanda) non è sanabile e determina l’esclusione dalla procedura di gara”. Secondo la sentenza in rassegna “Il soccorso istruttorio è espressione del ‘giusto procedimento’ e sottende una puntuale direttrice di valore: le regole precettive che disciplinano l’azione amministrativa non possono essere invocate per tutelare pretese che esulano dalla sfera di protezione degli interessi (pubblici e privati) che l’ordinamento, tramite di esse, intende presidiare. La procedimentalizzazione dei meccanismi di scelta (in cui consiste la disciplina della contrattualistica pubblica) è informata a due principali rationes: da un lato, è volta a prevenire arbitrio o corruttela; dall’altra, ha lo scopo di emulare le dinamiche della concorrenza (ciò in quanto l’Amministrazione pubblica non è in grado di percepire, come i comuni operatori privati, il vincolo esterno del mercato). Lo scopo della gara è dunque quello di selezionare il concorrente che, in possesso dei requisiti richiesti dalla legge di gara, risulti il più idoneo all’esecuzione delle prestazioni oggetto dell’affidamento. Il diritto pubblico ha lo scopo di premiare il ‘merito’ degli operatori privati, stimolandone efficienza e innovazione, e non di minare e rallentare le missioni degli apparati pubblici. Gli errori, le omissioni dichiarative e documentali che non intaccano le predette garanzie sostanziali, in quanto non alterano in alcun modo il leale confronto competitivo, non avvantaggiano cioè nessun concorrente a discapito degli altri, non possono quindi avere portata espulsiva”. Dopo aver enunciato i riportati principi generali la sezione V, nella fattispecie ivi esaminata, ha ritenuto che non fosse ravvisabile un uso distorto del soccorso istruttorio, avendo l’amministrazione consentito “di documentare (attraverso l’allegazione dei bilanci) il possesso in proprio di un requisito (il fatturato) posseduto ex ante (circostanza pacifica e incontestata nel presente giudizio)» aggiungendo che «il possesso in proprio del requisito del fatturato globale emergeva anche dalla documentazione prodotta unitamente alla domanda di partecipazione, ed in particolare dal possesso dell’attestato SOA per le categorie e qualifiche prescritte dalla lex specialis”» (C.d.S., sez. VII, 28 giugno 2024, n. 5712).
Nel caso che occupa, pur non trovando applicazione ratione temporis alla procedura per cui è causa la modifica introdotta al comma 11 dell’art. 100 d.lgs. n. 36 del 2023 dall’art. 32 del d.lgs. n. 209 del 2024, l’ulteriore contratto indicato in riscontro al soccorso istruttorio, sebbene sottoscritto nel 2014, doveva essere preso in considerazione dalla stazione appaltante per il periodo in cui questo si sovrappone con il triennio indicato dalla lex specialis.

Avvalimento premiale certificazione di parità di genere non applicabile infra raggruppamento (art. 104 d.lgs. 36/2023)

Consiglio di Stato, sez. VI, 11.04.2025 n. 3117

6 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
Il tema centrale del giudizio concerne il contratto di avvalimento premiale stipulato dalla mandataria -OMISSIS- a favore della mandante -OMISSIS- in relazione al criterio m) previsto dal Disciplinare ed avente ad oggetto la Certificazione di parità di genere di cui all’art. 46-bis del codice di pari opportunità tra uomo e donna, di cui al d.lgs. n. 198/2006.
I “Criteri di valutazione dell’offerta tecnica” precisano che si tratta di un criterio tabellare per il quale è prevista l’assegnazione di 2 punti in caso di possesso del detto certificato e di zero punti in caso di mancato possesso.
Nella propria domanda di partecipazione alla gara -OMISSIS- ha dichiarato che “il contratto d’avvalimento è stipulato per consentire all’ausiliata -OMISSIS- […] per migliorare la propria offerta, in quanto -OMISSIS- risulta carente della certificazione della parità di genere di cui all’art. 46-bis del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna di cui al D.Lgs 198/2006, richiesta alla lettera m) dei criteri di valutazione …”.
Come rilevato dall’appellante, è pacifico che il disciplinare al punto “3.6 Avvalimento” ha previsto l’ammissibilità, oltre all’avvalimento “qualificante”, ossia quello relativo ai requisiti di partecipazione, anche dell’avvalimento premiale relativo all’offerta, ossia di quello inutile ai fini della qualificazione e partecipazione alla gara dell’operatore economico, in quanto esclusivamente finalizzato a migliorare l’offerta.
6.1 – La prospettazione di parte appellante trascura invece che il medesimo disciplinare – come già evidenziato dal Giudice di primo grado – prevede l’inutilizzabilità dell’istituto dell’avvalimento per la dimostrazione dei requisiti generali o per soddisfare il requisito dell’iscrizione all’Albo nazionale dei gestori ambientali e, per quel che rileva ai fini del presente giudizio, vieta espressamente la partecipazione simultanea alla medesima gara dell’impresa ausiliaria e di quella ausiliata nel caso in cui l’avvalimento sia finalizzato a migliorare l’offerta.
Non solo, la prospettazione di parte appellante risulta in radicale contrasto con il punto 11 del medesimo disciplinare, che – in relazione al “Criterio m) – Certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al d.lgs. n. 198/2006” – prevede che “ai fini dell’ottenimento del punteggio premiale di due punti il concorrente deve presentare la certificazione in applicazione alla prassi UNI/PdR 125/2022 – Certificazione del sistema di gestione di parità di genere all’interno delle organizzazioni, rilasciato da un organismo autorizzato”, specificando espressamente che “in caso di RTI, consorzi, GEIE e reti d’impresa la certificazione deve essere presentata da tutti.”
Tale rilievo non consegue all’esame dei motivi riproposti, dal momento che già il Giudice di primo grado aveva accolto il primo motivo del ricorso originario ed avendo in sentenza già valorizzato la disposizione del disciplinare innanzi citata, essendo per l’effetto irrilevanti le eccezioni processuali sollevate dall’appellante.
7 – Le chiare disposizioni del Disciplinare innanzi richiamate, oltre a prevedere per l’ipotesi di avvalimento migliorativo il divieto di partecipazione simultanea alla medesima gara dell’impresa ausiliaria e di quella ausiliata, hanno espressamente richiesto, con una specifica disposizione relativa al punteggio premiale previsto per la certificazione di parità di genere, che ai fini dell’ottenimento dello stesso, tutte le imprese del costituendo raggruppamento fossero onerate a presentare tale certificazione, il che evidentemente esclude la possibilità di ricorrere all’avvalimento migliorativo per l’ottenimento di questo punteggio.

Costi della manodopera e ribasso indiretto (art. 41 d.lgs. 36/2023)

TAR Pescara, 10.04.2025 n. 146

Nonostante parte della giurisprudenza abbia ritenuto che “la non “ribassabilità” dei costi della manodopera, normativamente prevista, non impone implicitamente anche lo scorporo di questi ultimi dalla base d’asta” (Tar Sicilia 3787 del 2023), il Collegio osserva viceversa che tale obbligatorietà emerge non solo dalla chiarissima lettera dell’articolo 41 cit. (“. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso”), ma anche dalla ratio della disciplina, tesa a tutelare una separata considerazione dei medesimi, non solo per responsabilizzare gli operatori economici, come rilevato dal Consiglio di Stato nella pronuncia richiamata, ma anche per consentire che tali interessi da contemperare – quelli dei lavoratori e la iniziativa economica – abbiamo un margine autonomo di oscillazione rispetto alla rigidità del ribasso percentuale della base di gara;
– del resto la diversa soluzione giungerebbe addirittura a imporre a tutti i concorrenti un ribasso anche sulla manodopera, qualora si volesse offrire un ribasso sulla base d’asta, il tutto in contrasto con la eccezionalità di tale evenienza, non solo per la ratio indicata ma anche per il conseguente obbligo di controllo di anomalia;
– proprio perché il ribasso offerto anche sul costo della manodopera da luogo al controllo di anomalia della offerta, l’operatore è stato messo correttamente dalla legge nelle condizioni di calibrare detto ribasso indipendentemente da quello afferente all’offerta a base d’asta, atteso che appare del tutto pretestuoso e improbabile ritenere che la capacità di ottenere una maggiore organizzazione sul piano del costo della manodopera coincida perfettamente, in termini percentuali, con la capacità di contenere gli altri costi e dunque con la percentuale di ribasso offerta per la base d’asta;
– in altri termini, ritenere, con la citata giurisprudenza, che la unica base d’asta possa contenere in sé anche i costi della manodopera (pur se indicati nel loro importo al suo interno), vanifica la ratio del loro imposto “scorporo”, che mira appunto a un trattamento, anche del ribasso, del tutto separato; e ciò per le ragioni esposte;
[…] per quanto sinora esposto, tuttavia, questa è una interpretazione contra legem oltre che in contrasto con la disciplina della lex specialis, la quale, appunto in conformità ai principi illustrati, non consentiva un ribasso percentuale se non sulla base d’asta, pur ammettendo, con i limiti riferiti, un ribasso autonomo del costo della manodopera, da giustificare poi in sede di controllo di anomalia (se si ammettesse una interpretazione opposta, del resto, si giungerebbe al risultato assurdo di una gara in cui il controllo di anomalia è la norma e non l’eccezione: se si considera a base d’asta anche il costo della manodopera, tutti le offerte a ribasso sarebbero destinate a controllo di anomalia);

Farmacia comunale : regolamentazione e modalità di gestione

1. Regolamentazione pubblicistica dell’attività economica di rivendita dei farmaci in quanto servizio pubblico di rilevanza economica.

L’assistenza farmaceutica, ai sensi dell’art. 28, comma 1, della Legge n. 833 del 1978 (di istituzione del servizio sanitario nazionale) è erogata dalle aziende sanitarie locali attraverso le farmacie, di cui sono titolari enti pubblici (comuni e aziende ospedaliere) o soggetti privati.

Il servizio farmaceutico va qualificato in termini di servizio pubblico di rilevanza economica secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza (ex multis Consiglio di Stato, sez. III, 11 febbraio 2019, n. 992): l’esercizio di una farmacia costituisce pubblico servizio, infatti, così come riconosciuto dall’art. 33 del D. Lgs. n. 80/1998 e, in particolare, va collocato tra i servizi di rilevanza economica (in termini Consiglio di Stato, Sez. V, 15 febbraio 2007, n. 637).

Per Corte Costituzionale 10 ottobre 2006, n. 87, “la complessa regolamentazione pubblicistica dell’attività economica di rivendita dei farmaci è infatti preordinata ad assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista”.

2. Modalità di gestione di una farmacia comunale.

2.1 Forme di gestione previste dall’art. 9 Legge n. 475 del 1968.

Il D.L. 25 settembre 2009, n. 135, come convertito in L. n. 166/2009, ha escluso le farmacie comunali dall’ambito applicativo dell’art. 23-bis D.L. n. 112/2008, convertito in L. n. 133/2008 – esclusione confermata dall’art. 1, c. 3, lett. d), del d.P.R. 7 settembre 2010, n. 168 e poi dall’art. 4, co. 34, del D.L. n. 138/2011 (successivamente inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 199/2012) e s.m.i. – stabilendo che le modalità gestionali delle farmacie comunali siano quelle di cui all’art. 9 della L. n. 475/1968, così come modificato dall’art. 10 della L. n. 362/1991 recante “Norme concernenti il servizio farmaceutico”.

Le farmacie pubbliche, dunque, non risultano attratte nella sfera di applicazione delle norme concernenti i servizi pubblici locali.

Il citato articolo 9 L. 475/68 dispone che “la titolarità delle farmacie che si rendono vacanti e di quelle di nuova istituzione a seguito della revisione della pianta organica può essere assunta per la metà dal Comune. Le farmacie di cui sono titolari i comuni possono essere gestite, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, nelle seguenti forme:
a) in economia;
b) a mezzo di azienda speciale;
c) a mezzo di consorzi tra comuni per la gestione delle farmacie di cui sono unici titolari;
d) a mezzo di società di capitali costituite tra il Comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il Comune abbia la titolarità. All’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente tra il Comune e gli anzidetti farmacisti
”.

2.2 Forme di gestione del servizio farmaceutico comunale ulteriori rispetto a quelle indicate nell’art. 9 Legge n. 475 del 1968.

La giurisprudenza – da ultimo il parere del Consiglio di Stato n. 687/2022 – si è interrogata più volte sull’ammissibilità di forme di gestione delle farmacie comunali non previste dal citato art. 9 della Legge n. 475 del 1968, poiché, ad esempio, fra le forme di gestione individuate dalla predetta norma speciale non è stato previsto l’affidamento in concessione a terzi.

Sul punto il citato parere del Consiglio di Stato sottolinea che lo stesso legislatore ha previsto forme di gestione del servizio farmaceutico comunale ulteriori rispetto a quelle indicate nell’art. 9 della Legge n. 475 del 1968 che, dunque, non sono tassative.

Ed invero, “non si dubita che la gestione di una farmacia comunale possa essere esercitata da un Comune mediante società di capitali a partecipazione totalitaria pubblica (in house), benché tale modalità non sia stata prevista dal legislatore del 1968 (e del 1991), in coerenza con l’evolversi degli strumenti che l’ordinamento ha assegnato agli enti pubblici per svolgere le funzioni loro assegnate; e non si dubita che la gestione possa essere esercitata, come si è accennato, anche da società miste pubblico/private, con il superamento del limite dettato dall’art. 9 della L. n. 475 del 1968, secondo cui la gestione poteva essere affidata a società solo se costituite tra il Comune e i farmacisti (in termini Consiglio di Stato n. 5587/2014; in senso conforme Consiglio di Stato parere n. 687/2022).

L’affidamento della gestione è peraltro consentito con modalità in house, a patto che il Comune eserciti sulla società un “controllo analogo” a quello che eserciterebbe su proprie strutture organizzative; nel concetto di controllo analogo è peraltro ricompresa la destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’amministrazione aggiudicatrice.

È stato altresì chiarito con la stessa pronuncia che “si deve ritenere che un Comune, nel caso in cui non intenda utilizzare per la gestione di una farmacia comunale i sistemi di gestione diretta disciplinati dall’art. 9 della L. n. 475 del 1968, possa utilizzare modalità diverse di gestione anche non dirette; purché l’esercizio della farmacia avvenga nel rispetto delle regole e dei vincoli imposti all’esercente a tutela dell’interesse pubblico”.

In tale contesto, pur non potendosi estendere alle farmacie comunali tutte le regole dettate per i servizi pubblici di rilevanza economica, non può oramai più ritenersi escluso l’affidamento in concessione a terzi della gestione delle farmacie comunali attraverso procedure di evidenza pubblica.

Del resto l’affidamento in concessione a terzi attraverso gare ad evidenza pubblica “costituisce la modalità ordinaria per la scelta di un soggetto diverso dalla stessa amministrazione che intenda svolgere un servizio pubblico”.

Peraltro, si ritiene oggi unanimemente che l’assenza di una norma positiva che autorizzi la dissociazione tra titolarità e gestione non crei un ostacolo insormontabile all’adozione del modello concessorio.

Con riguardo al profilo afferente alla tutela della salute, l’obiettivo del mantenimento in capo al Comune delle proprie prerogative di Ente che persegue fini pubblicistici può essere garantito – in caso di affidamento a terzi – dalle specifiche regole di gara e, più precisamente, dagli obblighi di servizio pubblico da imporre al concessionario, idonei a permettere un controllo costante sull’attività del gestore e di garantire standard adeguati di tutela dei cittadini.

In questo senso, l’impostazione risulta perfettamente in linea con il principio comunitario di proporzionalità, per cui “le restrizioni al regime di piena concorrenza sono effettivamente ammesse nei limiti in cui risulti strettamente necessario con l’obiettivo da perseguire, nella specie, la salvaguardia della salute pubblica e del benessere dei cittadini” (in termini Consiglio di Stato, parere n. 687/2022; cfr. anche T.A.R. Lombardia, Brescia, 1° marzo 2016, n. 309).

In conclusione, sulla base delle norme e della giurisprudenza richiamate, la gestione di una farmacia comunale – da qualificarsi, si ripete, servizio pubblico di rilevanza economica – può essere esercitata dall’ente, oltre che con le forme dirette previste dal citato articolo 9 della L. n. 475 del 1968, sempre in via diretta, anche mediante società di capitali a partecipazione totalitaria pubblica (in house), ovvero può essere affidata in concessione a soggetti estranei al comune previo espletamento di procedure di evidenza pubblica in modo da garantire la concorrenza.

A tale conclusione era giunta anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione con deliberazione n. 15 del 23 aprile 2014, nella quale è stato osservato che l’affidamento in concessione a terzi – nel rispetto delle procedure dettate dal D. Lgs. n. 36/2023 – può costituire una delle modalità di gestione delle farmacie comunali, con l’ulteriore precisazione per cui la scelta in ordine alla modalità di gestione del predetto servizio è una decisione di specifica pertinenza dell’amministrazione competente, la quale sola può individuare la forma di gestione, diretta o indiretta, ritenuta maggiormente coerente con gli interessi pubblici sottesi al servizio stesso.

La chiave di volta del sistema, ai sensi del prima citato parere dell’ANAC, “è rappresentato dal fatto che l’oggetto sia predeterminato e non genericamente descritto, poiché altrimenti, è evidente, sarebbe agevole l’aggiramento delle regole pro-competitive a tutela della concorrenza”.

2.3 Approfondimento: criteri di aggiudicazione dei contratti di concessione aventi ad oggetto la gestione di una farmacia comunale.

Per quanto attiene ai criteri di aggiudicazione dei contratti di concessione, il bando di gara deve specificare l’oggetto dell’affidamento, i necessari requisiti di qualificazione generali e speciali di carattere tecnico ed economico-finanziario dei concorrenti, nonché il criterio di aggiudicazione che garantisca una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’amministrazione pubblica che ha indetto la procedura.

Ai sensi dell’art. 185 del D.Lgs. n. 36/2023, l’aggiudicazione dei contratti di contratti di concessione avviene sulla base di criteri di aggiudicazione oggettivi, tali da assicurare una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’ente concedente.

Come regola generale, si statuisce la necessità che le concessioni siano aggiudicate, ponendo a base di gara almeno un progetto di fattibilità, sulla scorta di criteri oggettivi tali da assicurare una valutazione delle offerte in condizioni di concorrenza effettiva in modo da individuare un vantaggio economico complessivo per l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore.

I criteri di aggiudicazione devono:

  • garantire la parità di trattamento di tutti i partecipanti;
  • non essere discriminatori, il che significa che non possono favorire prodotti o imprese locali o nazionali;
  • essere collegati all’oggetto della concessione;
  • essere oggettivi e non conferire una libertà incondizionata di scelta all’acquirente pubblico (ad esempio, criteri che si riferiscano alla “soddisfazione dell’amministrazione aggiudicatrice” o che diano la preferenza alle offerte “più accettabili per l’amministrazione aggiudicatrice” non possono essere ammesse);
  • includere, tra l’altro, criteri ambientali, sociali o relativi all’innovazione;
  • essere pubblicati in anticipo ed elencati in ordine decrescente di importanza. Questo obbligo di trasparenza permette agli offerenti di preparare bene le loro offerte e impedisce agli acquirenti di adattare i criteri alle offerte ricevute.

Tuttavia, se un acquirente pubblico riceve un’offerta che propone una soluzione innovativa con un livello eccezionale di prestazioni funzionali che non avrebbero potuto essere previste da un acquirente diligente, ai sensi del comma 4 dell’art. 185 del D. Lgs. n. 36/2023, l’ente concedente può modificare la classifica dei criteri di aggiudicazione per tenere conto di questo aspetto. In tal caso, l’acquirente deve garantire la parità di trattamento a tutti gli offerenti, effettivi o potenziali, pubblicando un nuovo invito a presentare offerte, oppure, in alcuni casi, un nuovo avviso di concessione.

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    Irregolarità fiscale prescinde da ente impositore (art. 95 d.lgs. 36/2023)

    TAR Catanzaro, 07.04.2025 n. 647

    La censura sub a) non è condivisibile in quanto l’allegato II.10 si limita ad utilizzare l’espressione “imposte e tassesenza distinguere tra i tributi per cui ente impositore è lo Stato e tributi per cui enti impositori sono gli enti locali.
    In particolare non può essere condivisa l’asserzione del ricorrente secondo cui l’art. 2 dell’all. II.10, nel collegare le imposte e tasse con l’attività di controllo o di liquidazione o di riscossione degli uffici, circoscriverebbe l’ambito di applicazione della norma ai soli tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate. Si tratta di una argomentazione che prova troppo, considerato che notoriamente anche gli enti locali sono dotati di uffici competenti ad effettuare attività di controllo e di liquidazione dei tributi. Né rileva in senso contrario che gli atti di accertamento siano nel caso di specie notificati dall’ente concessionario del servizio di riscossione: infatti, la circostanza che il Comune intenda affidare a un altro ente l’attività di riscossione non muta la natura giuridica del tributo.
    La censura sub b), invece, coglie nel segno. La l. n. 160 del 2019, a decorrere dal 2021, ha istituito il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, che ha sostituito: la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e il canone di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del codice della strada, di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province.
    Nell’ambito di tale procedimento di unificazione, il legislatore ha inteso utilizzare il termine “canone”, scelta terminologica che non è senza effetto, considerato che tale parametro lessicale è stato valorizzato dalla Corte Costituzionale con sent. n. 64/2008 per affermare la natura non tributaria del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
    Ad ulteriore dimostrazione va rilevato che la giurisprudenza tributaria in plurime occasioni ha affermato la natura privatistica del canone in discorso ed ha conseguentemente dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in favore del giudice ordinario (fra tutte cfr. Corte Giustizia Trib. I grado Udine sez. III, 15/02/2023, n.23).
    Ne segue che i debiti tributari ricollegati al CUP non dovevano essere considerati ai sensi dell’art. 95, comma 2, d.lgs. n. 36/2023 in quanto non rientranti nella definizione di “imposte e tasse” di cui all’art. 2, all. II.10 d.lgs. n. 36/2023.

    Subappalto : presupposti e fattispecie per le quali non è configurabile (art. 119 d.lgs. 36/2023)

    TAR Catanzaro, 09.04.2025 n. 664

    Orbene, sebbene possa essere condivisibile che la raccolta e trasporto dei rifiuti spiaggiati e galleggianti non sia l’oggetto principale dell’appalto, il Collegio ritiene che, nel caso di specie, non ricorrano, comunque, i presupposti previsti dal comma 3 dell’art. 119 comma 3, d.lgs. n. 36 del 2023, secondo il quale “non si configurano come attività affidate in subappalto, per la loro specificità, le seguenti categorie di forniture o servizi:
    a) l’affidamento di attività secondarie, accessorie o sussidiarie a lavoratori autonomi, per le quali occorre effettuare comunicazione alla stazione appaltante;
    b) la subfornitura a catalogo di prodotti informatici;
    c) l’affidamento di servizi di importo inferiore a 20.000 euro annui a imprenditori agricoli nei comuni classificati totalmente montani di cui all’elenco dei comuni italiani predisposto dall’ISTAT, oppure ricompresi nella circolare del Ministero delle finanze n. 9 del 14 giugno 1993, pubblicata nel supplemento ordinario n. 53 alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana n. 141 del 18 giugno 1993, nonché nei comuni delle isole minori di cui all’allegato A annesso alla legge 28 dicembre 2001, n. 448;
    d) le prestazioni secondarie, accessorie o sussidiarie rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto. I relativi contratti sono trasmessi alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto”.
    Ripercorrendo le fattispecie sopra elencate, risulta evidente che il contratto sottoscritto non è idoneo a integrare la fattispecie contemplata dalla lett. a), in quanto la -OMISSIS- S.r.l., che svolgerebbe il servizio di raccolta dei rifiuti spiaggiati e galleggianti, non è qualificabile quale lavoratore autonomo, come esplicitamente richiesto dalla disposizione, essendo una società di capitali, che svolge attività di impresa, con organizzazione di mezzi e rischio a proprio carico (che è poi l’elemento distintivo tra l’imprenditore e il lavoratore autonomo, caratterizzando il primo e mancando nel secondo; cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 21 agosto 2023, n. 7862, in merito alla riconducibilità della nozione di lavoratore autonomo alla categoria dei “prestatori d’opera” di cui all’art. 2222 del codice civile e alle differenze rispetto al subappalto).
    Non è configurabile neanche la fattispecie indicata alla lettera d), poiché il contratto con la -OMISSIS- S.r.l. non è stato stipulato prima dell’indizione della procedura di gara, ma al contrario dopo, come pacificamente ammesso anche dalla ricorrente.
    Sono, infine, del tutto estranee al caso di specie le ipotesi contemplate dalle lettere b) e c) (“subfornitura a catalogo di prodotti informatici” e “affidamento di servizi di importo inferiore a 20.000 euro annui a imprenditori agricoli nei comuni classificati totalmente montani […], nonché nei comuni delle isole minori di cui all’allegato A annesso alla legge 28 dicembre 2001, n. 448”).

    CCNL e verifica equivalenza dopo “correttivo” : obbligo di verifica della Stazione Appaltante (art. 11 d.lgs. 36/2023)

    TAR Lecce, 08.04.2025 n. 618

    Va anzitutto osservato che la controinteressata, con le giustificazioni rese, ha precisato di applicare integralmente il CCNL “Commercio Terziario”, sicché non è ravvisabile indeterminatezza o genericità circa il contratto che la ditta – in caso di aggiudicazione – avrebbe applicato ai lavoratori coinvolti nella commessa de qua, né può ritenersi integrata una violazione del principio della par condicio competitorum, trattandosi di un CCNL già indicato dall’operatore economico in sede di offerta, sebbene unitamente al CCNL “Metalmeccanico”.
    Ciò posto, l’art. 11 del D. Lgs. n. 36/2023 (ratione temporis vigente) stabilisce che «Gli operatori economici possono indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente» (comma 3) e che «Nei casi di cui al comma 3, prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione le stazioni appaltanti e gli enti concedenti acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. In quest’ultimo caso, la dichiarazione è anche verificata con le modalità di cui all’articolo 110» (comma 4).
    Come evidenziato dall’ANAC in una prima interpretazione della norma de qua (Relazione illustrativa al bando tipo n. 1/2023), la valutazione in esame “deve necessariamente avere ad oggetto sia le tutele economiche che quelle normative in quanto complesso inscindibile” e, a tali fini, si possono trarre utili elementi di riferimento dalle indicazioni fornite dall’Ispettorato nazionale del lavoro con la circolare n. 2 del 28.7.2020.
    Nel caso di specie, l’aggiudicataria si è avvalsa della facoltà riconosciuta dall’art. 11, comma 3, D. Lgs. 36/2023, indicando un CCNL diverso da quello previsto dal disciplinare di gara, senza, però, produrre una espressa dichiarazione di equivalenza tra i due contratti.
    A fronte di ciò, ritiene il Collegio che la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere, in ossequio al disposto dell’art. 11, comma 4, D. Lgs. 36/2023, sopra richiamato, all’acquisizione e alla verifica della dichiarazione di equivalenza dei CCNL, anche con le modalità di cui all’art. 110 del medesimo decreto legislativo, ciò che, tuttavia, non è avvenuto, non avendo l’Amministrazione proceduto a tali attività normativamente previste.
    Come condivisibilmente affermato da TAR Lombardia, Milano, Sez. VI, 30.1.2025, n. 296 «… se, da un lato, mediante l’istituto in esame il legislatore ha inteso riconoscere agli operatori economici una maggiore flessibilità nella propria organizzazione aziendale, quale corollario della libertà di iniziativa economica privata scolpita all’art. 41 Cost. (con la conseguenza che la norma in esame non può essere interpretata in senso eccessivamente restrittivo, in quanto occorre evitare di introdurre freni non necessari alla concorrenza e al principio di massima partecipazione – v. in tal senso T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, ord. 12.03.2024, n. 89), dall’altra tale facoltà deve contemperarsi con la ineludibile tutela dei lavoratori, la quale postula un’attenta disamina da parte della stazione appaltante circa l’equivalenza delle tutele (economiche e normative) riconosciute in forza del diverso CCNL prescelto dall’operatore economico.
    Al fine di precisare il contenuto della suddetta valutazione, del resto, il legislatore è recentemente intervenuto mediante l’art. 2, comma 1, lett. d), D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209, che – a far data dal 31.12.2024 – ha così modificato il comma 4 dell’art. 11 D.Lgs. 36/2023: «Nei casi di cui al comma 3, prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione le stazioni appaltanti e gli enti concedenti acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. In quest’ultimo caso, la dichiarazione è anche verificata con le modalità di cui all’articolo 110, in conformità all’allegato I.01.6».
    In particolare, l’art. 3 del predetto Allegato introduce una espressa presunzione di equivalenza, l’art. 4 precisa i criteri da tenere in considerazione ai fini della verifica di equivalenza nell’ipotesi in cui l’anzidetta presunzione non possa trovare applicazione (art. 4 Allegato I.01.6 al D.Lgs. 36/2023) e, infine, l’art. 5 (rubricato “Verifica della dichiarazione di equivalenza”) stabilisce che “1. Per consentire alle stazioni appaltanti ed enti concedenti di verificare la congruità dell’offerta ai sensi dell’articolo 110, gli operatori economici trasmettono la dichiarazione di equivalenza di cui all’articolo 11, comma 4, in sede di presentazione dell’offerta. 2. Prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione, la stazione appaltante o l’ente concedente verifica la dichiarazione di equivalenza presentata dall’operatore economico individuato”.
    Le disposizioni da ultimo richiamate – ancorché non operanti alla data di svolgimento della procedura evidenziale in esame – confermano (e precisano) quanto già previsto dal previgente art. 11, comma 4, D.Lgs. 36/2023, ossia come la determinazione di affidamento/aggiudicazione debba necessariamente essere preceduta dalla verifica della dichiarazione di equivalenza, la quale assume, pertanto, carattere obbligatorio»».
    Pertanto, in disparte la fondatezza della lamentata carenza del requisito dell’equivalenza delle tutele tra il CCNL applicato dalla controinteressata e quello individuato dall’ente concedente (il cui vaglio è precluso a questo Giudice ex art. 34, comma 2, c.p.a., trattandosi di potere amministrativo non ancora esercitato), il motivo di ricorso in esame è fondato, nei termini sin qui precisati.

    Servizi legali “esclusi” e disciplina nuovo Codice Appalti : natura , CIG , contributo e vigilanza ANAC , fiduciarietà incarico , modalità affidamento e contratto , differenze tra prestazione opera professionale per incarichi periodici saltuari ed appalto di servizi per incarichi continuativi organizzati (art. 3 , art. 13 , art. 56 D.Lgs. 36/2023)

    Consiglio di Stato, sez. V, 02.04.2025 n. 2776

    7. Con il motivo sub 3.1. si lamenta che il giudice di primo grado avrebbe ritenuto applicabile la comunicazione CIG anche ai patrocini legali che, in quanto contratti di prestazione d’opera, sarebbero “estranei” alla disciplina del codice dei contratti pubblici. Osserva al riguardo il collegio che:
    7.1. La categoria dei contratti “estranei” non esiste, essendo contemplata soltanto quella dei contratti “esclusi” ossia quegli appalti pubblici tra cui anche i servizi legali che, ai sensi dell’art. 56 del decreto legislativo n. 36 del 2023, sono sottratti dagli obblighi di evidenza pubblica (affidamento mediante gara);
    7.2. L’obbligo di “evidenza pubblica” riguarda in ogni caso il procedimento da applicare per individuare il soggetto chiamato a contrarre con la PA. A tale ultimo fine, infatti, l’art. 3 dell’Allegato I.1. al decreto legislativo n. 36 del 2023 prevede sia la procedura di evidenza pubblica, sia l’affidamento diretto. Entrambe le procedure sono poi dirette alla stipula finale di un contratto di “appalto pubblico”, ossia quei “contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più stazioni appaltanti e aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di beni o la prestazione di servizi” [art. 2, comma 1, lettera b), del citato Allegato I.1.];
    7.3. Con ciò si vuole dire che, quale che sia la procedura adottata per l’individuazione del contraente (evidenza pubblica o affidamento diretto), il contratto successivamente stipulato va comunque considerato alla stregua di “appalto pubblico”. E ciò dal momento che, con esso, la PA persegue un “fine pubblico” ossia una utilità collettiva che può variamente atteggiarsi in funzione delle specifiche esigenze dell’ente che rappresenta quella stessa comunità (realizzazione di un’opera oppure, come nel caso di specie, la difesa in giudizio degli interessi del medesimo ente esponenziale). E tale “fine pubblico”, il quale conferisce la matrice altrettanto pubblicistica al relativo contratto, va tenuto distinto dalle finalità che si intende invece perseguire mediante la procedura di evidenza pubblica, quelle ossia di garantire al tempo stesso imparzialità della PA, concorrenzialità nel mercato di riferimento settoriale e buon andamento dell’amministrazione (che deve sempre scegliere “il migliore”);
    7.4. In questa specifica direzione, lo stesso art. 56 del decreto legislativo n. 36 del 2023 qualifica i “servizi legali” alla stregua di “appalti pubblici” (cfr. comma 1, primo periodo) sebbene “esclusi” dai suddetti obblighi di “evidenza pubblica”. Ciò anche in forza della legislazione comunitaria la quale non distingue – ricomprendendole in un’unica generale nozione di appalto pubblico di servizio legale – tra singola difesa in giudizio e attività di consulenza legale, prescindendo dalla nozione civilistica nazionale e attraendo anche negozi qualificabili come contratto d’opera o contratto d’opera intellettuale;
    7.5. A ciò si aggiunga che la comunicazione CIG è strumentale al monitoraggio dei flussi finanziari cui è soggetta ogni tipo di transazione che effettua la PA. Come correttamente evidenziato da ANAC nelle impugnate linee guida: “Detta normativa si applica … in ogni caso in cui vengano erogate risorse pubbliche per l’esecuzione di contratti pubblici, a prescindere dallo svolgimento di una procedura di gara” (paragrafo 2.1. “Soggetti tenuti all’osservanza degli obblighi di tracciabilità”);
    7.6. L’art. 3, comma 1, della legge n. 136 del 2010 (Piano straordinario contro le mafie) prevede infatti che la “tracciabilità dei flussi finanziari” sia applicata “ai lavori, ai servizi e alle forniture pubbliche”. E ciò indipendentemente dalla procedura che è stata osservata “a monte” onde individuare il relativo contraente (evidenza pubblica oppure affidamento diretto, come sopra evidenziato);
    7.7. In siffatta direzione, il controllo circa il flusso di denaro pubblico viene effettuato prescindendo dallo svolgimento o meno, a monte, di una gara pubblica (si potrebbe anzi affermare che tale forma di controllo è a fortiori necessaria allorché un simile confronto competitivo sia del tutto mancato);
    7.8. Pertanto, poiché i “movimenti finanziari” debbono formare oggetto di monitoraggio in relazione a tutti gli appalti pubblici, e poiché i “servizi legali” sono da considerare alla stregua di “appalti pubblici” (sebbene sottratti alla procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente), va da sé che anche tali contratti di “servizi legali” siano soggetti alla suddetta comunicazione CIG;
    7.9. Come correttamente evidenziato da ANAC nella delibera impugnata: “le norme sulla tracciabilità dei flussi finanziari si applicano in tutti i casi in cui sia stipulato un contratto d’appalto pubblico tra operatore economico e committente pubblico, indipendentemente dall’esperimento o meno di una gara per l’affidamento dell’opera o del servizio” (par. 2.4. “I flussi finanziari soggetti a tracciabilità”);
    7.10. Entro questi esatti termini il motivo di appello sopra evidenziato deve quindi essere rigettato.

    8. Con il motivo sub 3.2. si impugna la parte della sentenza di primo grado in cui è stato affermato che ANAC svolgerebbe attività di vigilanza anche nei confronti dei “patrocini legali” ossia contratti di prestazione d’opera professionale che, in quanto tali, sarebbero del tutto “estranei” alla disciplina del codice dei contratti. Più in particolare i suddetti contratti (prestazione d’opera professionale) sarebbero diversi dagli appalti di servizi poiché sottratti da ogni obbligo di evidenza pubblica e al tempo stesso caratterizzati, data la natura strettamente fiduciaria dell’incarico da svolgere, dall’intuitus personae. Osserva al riguardo il collegio che:
    8.1. Come pure sopra evidenziato, non esiste la categoria dei contratti “estranei” ma soltanto quella dei contratti “esclusi”;
    8.2. La suddetta “esclusione” riguarda tuttavia l’applicazione dagli obblighi di evidenza pubblica (ossia la gara per l’individuazione del soggetto che deve contrarre con la PA) ma non elide al tempo stesso la natura “pubblica” del contratto di appalto che deve essere concluso con un dato professionista. L’esclusione riguarda dunque la “procedura di evidenza pubblica” ma non anche la “natura pubblica” del contratto stipulato. Ciò in quanto non si deve confondere tipologia e natura dei contratti con la procedura di scelta del contraente;
    8.3. E tanto sia che si qualifichi tale contratto alla stregua di prestazione d’opera professionale in quanto meramente occasionale (locatio operis), sia che lo si qualifichi come appalto di servizi in quanto diretto a disciplinare una serie continuativa di incarichi di patrocinio legale in forma complessa ed organizzata (locatio operarum: in questo caso occorrerebbe anzi una gara semplificata o “a regime alleggerito”, ai sensi dell’art. 127 del codice). Ciò dal momento che il decreto legislativo n. 36 del 2023 racchiude tali fenomeni contrattuali all’interno di un’unica definizione che è quella dei “servizi legali”. Dunque il relativo contratto è comunque un appalto pubblico di servizi (di natura legale, per l’appunto);
    8.4. In una complementare prospettiva, la constatazione che non si tratti di contratti del tutto “estranei” rispetto al predetto codice dei contratti risulta anzi avvalorata dal fatto che l’art. 13, comma 5, del decreto legislativo n. 36 del 2023, stabilisce che i “contratti esclusi” di cui al comma 2 della medesima disposizione, qualora garantiscano un certo ritorno economico, siano affidati nel rispetto dei principi di cui agli artt. 1, 2 e 3 dello stesso codice. Ebbene l’art. 3 appena richiamato contempla, a sua volta, il principio dell’accesso al mercato secondo cui: “Le stazioni appaltanti … favoriscono … l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità”. Formulazione questa più ampia rispetto a quella di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 50 del 2016 il quale pure prevedeva, per l’affidamento dei “contratti esclusi”, alcuni criteri nel cui novero non rientrava, tuttavia, anche la “concorrenza”;
    8.5. Dunque per simili “servizi legali” (quelli almeno non forniti in forma organizzata, per i quali si applicano le procedure semplificate o “alleggerite” di cui all’art. 127) l’amministrazione appaltante non è tenuta allo svolgimento di alcuna gara in senso stretto, ai sensi del codice dei contratti, ma risulta comunque chiamata ad osservare procedure che, in qualche misura, consentano alla amministrazione stessa di scegliere il relativo contraente (ossia il professionista) nel rispetto di taluni specifici principi tra cui anche quelli di imparzialità, pubblicità e concorrenza. Di qui la tendenziale regola, a titolo esemplificativo, di adottare interpelli affinché i singoli interessati possano manifestare la propria disponibilità, istituire elenchi da cui attingere i professionisti più idonei ed effettuare – ove possibile – una certa rotazione degli incarichi stessi;
    8.6. Di qui ancora l’esigenza che, anche sul rispetto di taluni principi fondamentali (art. 3 del decreto legislativo n. 36 del 2023, richiamato sul punto dall’art. 13, comma 5, e indirettamente dall’art. 56 stesso codice) possa vigilare una autorità indipendente di settore come l’ANAC la quale dovrà verificare, caso per caso, che non vi siano abusi o eventuali eccessi circa il ricorso al meccanismo procedimentale dell’affidamento diretto;
    8.7. Del resto, come si è detto nel paragrafo che precede occorre tenere ben presente la distinzione tra tipologia e natura dei contratti che può stipulare la pubblica amministrazione (art. 2 dell’Allegato I.1) e procedure per addivenire alla scelta del contraente (art. 3 stesso Allegato, il quale contempla sia la gara pubblica sia l’affidamento diretto). In siffatta direzione, anche l’affidamento di tali servizi legali comporta la stipula di un contratto di appalto pubblico sia che si tratti di prestazione d’opera professionale per incarichi periodici e saltuari, sia che si tratti di appalto di servizi in senso stretto per incarichi continuativi ed organizzati: nel primo caso (incarico saltuario ed occasionale) per la scelta del relativo contraente privato la PA non sarà tenuta, sul piano procedimentale, al rigoroso rispetto delle regole di evidenza pubblica ma soltanto ad osservare alcuni principi in tema di “accesso al mercato” (art. 3 del codice dei contratti); nel secondo caso (servizi legali continuativi svolti in forma organizzata) occorrerà seguire le procedure competitive a carattere semplificato o “alleggerito” di cui all’art. 127 del codice;
    8.8. Ad una simile conclusione (natura pubblica del contratto stipulato per il patrocinio legale anche soltanto occasionale) si perviene in base alla formulazione sia degli artt. 2 e 3 dell’Allegato I.1 del nuovo codice dei contratti, sia dell’art. 56 che, al primo periodo del primo comma, qualifica espressamente alla stregua di “appalti pubblici” anche i suddetti “servizi legali”. E tanto, come già si è detto, proprio in virtù di un’unica e più generale nozione comunitaria di “appalto pubblico di servizi legali”;
    8.9. Una simile impostazione è stata integralmente sposata dall’art. 222, comma 3, stesso codice, a norma del quale “l’ANAC … vigila sui contratti pubblici … nonché sui contratti esclusi dall’ambito di applicazione del codice”;
    8.10. La ratio di tale esplicita previsione è stata peraltro almeno in parte anticipata: consentire ad ANAC di evitare possibili abusi circa il ricorso all’affidamento diretto ossia il sostanziale rispetto del principio del c.d. “accesso al mercato” di cui all’art. 3 del codice dei contratti (che si traduce in strumenti di concorrenzialità ridotta o minima attraverso interpelli, formazione di elenchi di professionisti e rotazione degli incarichi ove possibile);
    8.11. In conclusione, ai fini della sottoposizione alla vigilanza ANAC non rileva il fatto che tali servizi legali possano formare oggetto di affidamento diretto sulla base della fiduciarietà dell’incarico e dunque dell’intuitus personae risultando piuttosto dirimente, in proposito, la circostanza che i relativi contratti siano comunque qualificati alla stregua di “appalti pubblici”, benché esclusi da procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente;
    8.12. Alla luce di tutte le considerazioni sopra svolte, anche tale profilo di censura deve essere rigettato in quanto è stato ampiamente dimostrato come pure i contratti esclusi quali quelli di specie (appalti pubblici di servizi legali) siano comunque soggetti alla vigilanza ANAC e dunque anche al pagamento del relativo contributo, come si avrà modo più avanti di vedere.

    9. Con il motivo sub 3.3. si evidenzia che sia la comunicazione CIG, sia il versamento del contributo ANAC si tradurrebbero, nella sostanza, in livelli di regolazione superiori rispetto a quelli stabiliti dalle direttive UE in materia di appalti, con ciò determinando una violazione del principio di gold plating. Viene al riguardo sollevata, altresì, questione di legittimità costituzionale delle disposizioni primarie che consentirebbero un simile approccio interpretativo ed applicativo. Osserva al riguardo il collegio che, sulla base di quanto evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza 27 maggio 2020, n. 100:
    9.1. Come pure rilevato “dall’Adunanza della commissione speciale del Consiglio di Stato, nel parere n. 855 del 1° aprile 2016, relativo allo schema di decreto legislativo recante «Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 28 gennaio 2016, n. 11» … il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione degli “oneri non necessari”, e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive». In questa prospettiva la comunicazione CIG, come si è visto al paragrafo 7 della presente decisione, risponde a fondamentali esigenze di prevenzione da infiltrazione malavitose nonché alla correlata necessità di garantire il buon andamento della PA (art. 97 Cost.) la quale deve poter contrarre e coltivare più in generale rapporti con soggetti che non siano coinvolti in vicende legate alla criminalità organizzata. Esigenze queste le quali comportano determinati adempimenti che, alla luce del chiaro dictum della Consulta, non potrebbero di certo venire meno, per la chiara rilevanza costituzionale dei valori sopra indicati, soltanto per garantire la massima semplificazione a vantaggio di professionisti che comunque si trovano ad operare, traendone un pur legittimo profitto economico, con apparati della pubblica amministrazione;
    9.2. Quanto invece al contributo ANAC, come già visto esso costituisce mera conseguenza del fatto che anche simili “contratti esclusi” siano comunque soggetti alla vigilanza di tale autorità. E ciò proprio allo scopo di vigilare sulla corretta osservanza dei principi del c.d. “accesso al mercato” di cui all’art. 3 del decreto legislativo n. 36 del 2023 (concorrenza, imparzialità, non discriminazione, etc.). Dunque la vigilanza ANAC, da cui discende il necessario versamento del relativo contributo per il suo funzionamento, costituisce il frutto di una scelta pro concorrenziale più ampia (ma non per questo vietata) rispetto al quadro eurounitario di riferimento normativo. Ed anche simili scelte (che ampliano come detto lo spettro delle capacità concorrenziali) sono immuni dal divieto di gold plating in quanto la stessa Corte costituzionale, nella citata sentenza, ha apertamente ammesso “un’applicazione più estesa di detta regola comunitaria, quale conseguenza di una precisa scelta del legislatore italiano. Tale scelta, proprio perché reca una disciplina pro concorrenziale più rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario, non è da questo imposta – e, dunque, non è costituzionalmente obbligata, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost., come sostenuto dallo Stato -, ma neppure si pone in contrasto […] con la citata normativa comunitaria, che, in quanto diretta a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile l’esistenza di un “margine di apprezzamento” del legislatore nazionale rispetto a princìpi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato» (sentenza n. 325 del 2010; nello stesso senso, sentenza n. 46 del 2013)”. In altre parole: a) il legislatore comunitario non impone l’esclusione dei servizi legali dalle procedure di evidenza pubblica ma lo auspica sebbene con forte accento (l’art. 10 della direttiva 2014/2024/UE afferma infatti che tali appalti “dovrebbero” essere esclusi da tali meccanismi procedurali): b) il legislatore interno si è tendenzialmente adeguato a tale indirizzo eurounitario (cfr. art. 56 codice dei contratti) temperandolo tuttavia con la applicazione di meccanismi di “concorrenzialità minima” o “ridotta” (ossia rispetto dei principi del c.d. “accesso al mercato”); c) tale maggiore concorrenzialità non costituisce violazione del divieto di gold plating, come evidenziato dalla Corte costituzionale; d) tale maggiore apertura comporta in ogni caso un intervento suppletivo di ANAC che, in ogni caso, è autorità che fa parte del sistema di governance in quanto primariamente addetta al “controllo dell’applicazione delle norme sugli appalti pubblici” (cfr. Titolo IV Direttiva 2014/2024/UE nonché artt. 221 ss. del decreto legislativo n. 36 del 2023, specificamente dedicato agli suddetti strumenti di governo del sistema degli appalti pubblici; e) tale intervento suppletivo di ANAC deve pertanto trovare adeguate forme di finanziamento anche da parte di simili contraenti (professionisti che stipulano contratti di appalto di servizi legali con la PA);
    9.3. Alla luce di quanto sopra considerato il motivo deve pertanto essere rigettato anche con riferimento alla sollevata questione di legittimità costituzionale, atteso che le considerazioni sopra svolte vanno riferite sia all’impianto deliberativo di ANAC, sia al tessuto normativo primario sopra partitamente descritto.

    10. Con il motivo sub 3.4. si lamenta che non sarebbe stata rilevata la violazione dell’art. 23 Cost. in quanto i suddetti adempimenti (comunicazione CIG e versamento ANAC) sarebbero stati disposti pur in assenza di una chiara base normativa di livello primario. Osserva al riguardo il collegio che, come peraltro in buona parte anticipato nei paragrafi che precedono:
    10.1. I servizi legali sono espressamente contemplati tra i “contratti esclusi” ai sensi dell’art. 56 del nuovo codice;
    10.2. I “contratti esclusi” sono a loro volta comunque soggetti alla vigilanza ANAC ai sensi dell’art. 222, comma 3, dello stesso codice;
    10.3. Lo stesso art. 222, al comma 12, fa espressamente salvo l’art. 1, comma 67, della legge n. 266 del 2005, a norma del quale tutto ciò che forma oggetto di vigilanza ANAC deve contestualmente formare oggetto di versamento di contributo (proprio per il funzionamento di ANAC);
    10.4. Da quanto sopra detto consegue la chiara sussistenza di una solida base normativa primaria affinché ANAC possa pretendere il versamento del contributo anche in relazione a simili contratti di appalto (servizi legali);
    10.5. Di qui il conseguente rispetto dell’art. 23 Cost. e dunque il rigetto, altresì, di tale specifica censura di appello.

    11. Con il motivo sub 3.5. si invoca la violazione della procedura specificamente contemplata dall’art. 1, comma 65, della legge n. 266 del 2005, in tema di versamento del contributo ANAC (in particolare: esame delle deliberazioni ANAC, le quali dispongono termini e modalità del versamento, anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri e del MEF). Tale censura, alla luce di una attenta analisi degli atti difensivi di primo grado, risulta essere stata tuttavia effettivamente introdotta soltanto in tale grado di giudizio. Di qui la violazione del divieto di ius novorum di cui all’art. 104, comma 1, c.p.a., e dunque la conseguente inammissibilità della specifica censura.

    12. Si chiede infine il rinvio alla Corte di giustizia UE per la violazione dell’art. 10 della direttiva n. 24 del 2014 ma la questione è infondata dal momento che il nuovo codice ha già escluso i suddetti servizi legali, come previsto dalla invocata disposizione eurounitaria, dal novero dei contratti non soggetti alle procedure ad evidenza pubblica contemplate dalla stessa direttiva. Né si potrebbe ipotizzare una violazione del suddetto principio di esclusione atteso che, in quella sede, il legislatore comunitario si è limitato all’utilizzo del modo condizionale del verbo servile (“Tali servizi legali dovrebbero … essere esclusi dall’ambito di applicazione della presente direttiva”) con ciò configurando una esclusione di tipo “tendenziale” e dunque non impedendo del tutto forme aggiuntive di concorrenzialità ridotta quali quelle contemplate dal citato art. 13, comma 5, del decreto legislativo n. 36 del 2023 (il quale richiama a sua volta l’art. 3 dello stesso codice); forme che sicuramente rispondono a criteri di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa diretti a consentire un minimo di “accesso al mercato” a vantaggio di tutti gli operatori dello specifico settore. Di qui il rigetto della suddetta richiesta di rinvio pregiudiziale.

    SOCCORSO ISTRUTTORIO : L’ ISTITUTO NELLE PIU’ RECENTI SENTENZE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO ANCHE ALLA LUCE DEL DECRETO CORRETTIVO

     

     

     

     

     

     

    Sommario: 1. Le tipologie di soccorso istruttorio; 2. L’evoluzione della antiformalistica; 3. Il principio di autoresponsabilità come limite al soccorso istruttorio; 4. Il soccorso istruttorio in ipotesi di clausole previste a pena di esclusione; 5. Perentorietà del termine assegnato, esclusione e principio della fiducia.

    Il focus propone una rassegna ragionata delle principali ultimissime sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato (con link alla versione integrale) aventi ad oggetto l’istituto del soccorso istruttorio disciplinato dall’art. 101 del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36). Dall’analisi della giurisprudenza emerge come la nuova disciplina del soccorso istruttorio si stia evolvendo in un’ottica sempre più antiformalistica, pur nel rispetto del principio della par condicio tra i concorrenti ma in aderenza al principio del risultato e della fiducia.

     

     1. Le tipologie di soccorso istruttorio.

    Come ribadito nella sentenza Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2025, n. 1425, alla luce delle modifiche all’istituto operate dall’art. 101 del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) è ora possibile distinguere tra:

    “a) soccorso integrativo o completivo (comma 1, lettera a) dell’art. 101 d. lgs. n. 36 cit., non difforme dall’art. 83, comma 9), che mira, in termini essenzialmente quantitativi, al recupero di carenze della c.d. documentazione amministrativa necessaria alla partecipazione alla gara (con esplicita esclusione, quindi, della documentazione inerente l’offerta, sia sotto il profilo tecnico che sotto il profilo economico), sempreché non si tratti di documenti bensì non allegati, ma acquisibili direttamente dalla stazione appaltante (in prospettiva, tramite accesso al fascicolo virtuale dell’operatore economico);

    b) soccorso sanante (comma 1 lettera b), anche qui non difforme dall’art. 83, comma 9 del d. lgs. n. 50), che consente, in termini qualitativi, di rimediare ad omissioni, inesattezze od irregolarità della documentazione amministrativa (con il limite della irrecuperabilità di documentazione di incerta imputazione soggettiva, che varrebbe a rimettere in gioco domande inammissibili);

    c) soccorso istruttorio in senso stretto (comma 3), che – recuperando gli spazi già progressivamente riconosciuti dalla giurisprudenza alle forme di soccorso c.d. procedimentale – abilita la stazione appaltante (o l’ente concedente) a sollecitare chiarimenti o spiegazioni sui contenuti dell’offerta tecnica e/o dell’offerta economica, finalizzati a consentirne l’esatta acquisizione e a ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante, superandone le eventuali ambiguità, a condizione di pervenire ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale assunto, e fermo in ogni caso il divieto (strettamente correlato allo stringente vincolo della par condicio) di apportarvi qualunque modifica;

    d) soccorso correttivo (comma 4): che, in realtà, a differenza delle altre ipotesi – rispetto alle quali si atteggia, peraltro, a fattispecie di nuovo conio, come tale insuscettibile, almeno in principio, di applicazione retroattiva – prescinde dall’iniziativa e dall’impulso della stazione appaltante o dell’ente concedente (sicché non si tratta, a rigore, di soccorso in senso stretto), abilitando direttamente il concorrente, fino al giorno di apertura delle offerte, alla rettifica di errori che ne inficino materialmente il contenuto, fermo il duplice limite formale del rispetto dell’anonimato e sostanziale della immodificabilità contenutistica” (cfr. anche Cons. Stato, V, 4 giugno 2024, n. 4984, che riprende la decisione del 21 agosto 2023, n. 7870).

    Nella sentenza TAR Lazio, Roma, Sez. Quarta Ter, 3 gennaio 2025 n.90, è stato chiarito che l’omissione della dichiarazione di volersi avvalere del subappalto necessario non è ascrivibile alle ipotesi del “soccorso integrativo” o del “soccorso sanante” invocate dalla ricorrente.

    Il “soccorso integrativo” (art. 101, comma 1, lett. a del Codice) “mira, in termini essenzialmente quantitativi, al recupero di carenze della c.d. documentazione amministrativa necessaria alla partecipazione alla gara”, mentre il “soccorso sanante” (art. 101, comma 1, lett. b) del Codice) “consente, in termini qualitativi, di rimediare ad omissioni, inesattezze od irregolarità della documentazione amministrativa” (cfr. Cons. St., sez. V, 21 agosto 2023, n. 7870).

    Di conseguenza, mentre il richiamo al “soccorso integrativo” appare, ad avviso del Collegio, del tutto inconferente, non discorrendosi, nel caso di specie, della possibilità di produrre ex post un documento comunque formato in data certa anteriore alla scadenza del termine di presentazione della domanda, il “soccorso sanante” incontra pur sempre il limite dell’impossibilità di emendare carenze “atte a strutturare i termini dell’offerta, con riguardo alla capacità economica, tecnica e professionale richiesta per l’esecuzione delle prestazioni messe a gara” (Cons. St., Sez. V, n. 7870 cit.), tra le quali vanno senz’altro ricompresi anche i profili attinenti alla qualificazione dell’operatore economico, alla stregua dell’art. 100, comma 4, del Codice, sede naturale cui ricondurre l’ubi consistam del subappalto necessario.

    Nella sentenza TAR Lazio, Roma, Sez. II, 9 gennaio 2025 n. 396, il Collegio ha affermato che, qualora la formulazione della relazione tecnica (ossia della relativa offerta) sia ritenuta “ambigua” o non meglio specificata, la stazione appaltante deve fare ricorso al c.d. “soccorso procedimentale” il quale si applica proprio per chiarire il contenuto e la volontà effettiva dell’offerta tecnica e di quella economica. In questo caso, ad avviso del TAR, si tratterebbe di un’ipotesi di “soccorso istruttorio in senso stretto” (art. 101, D. Lgs 36/2023, comma 3), che – recuperando gli spazi già progressivamente riconosciuti dalla giurisprudenza alle forme di soccorso c.d. procedimentale – abilita la stazione appaltante (o l’ente concedente) a sollecitare chiarimenti o spiegazioni sui contenuti dell’offerta tecnica e/o dell’offerta economica, finalizzati a consentirne l’esatta acquisizione e a ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante, superandone le eventuali ambiguità, a condizione di pervenire ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale assunto, e fermo in ogni caso il divieto (strettamente correlato allo stringente vincolo della par condicio) di apportarvi qualunque modifica.

    Alla luce del suddetto orientamento di giurisprudenza, il Collegio ha ritenuto che la stazione appaltante avesse, dunque, errato nell’interpretare l’offerta tecnica della ricorrente senza rilevare quantomeno la sua ambiguità e consentire alla stessa, attraverso l’attivazione del soccorso istruttorio, di chiarire la portata degli impegni assunti in relazione alle aperture straordinarie. Ed infatti, anche a voler ammettere l’ambiguità della formulazione utilizzata nella relazione tecnica illustrativa, ciò avrebbe dovuto formare oggetto di una richiesta di chiarimenti senza che una simile operazione potesse comportare una eventuale correzione o integrazione dell’offerta stessa e la violazione della par condicio tra i concorrenti.

    Nella sentenza TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 3 marzo 2025 n.803, è stato ribadito che il c.d. “soccorso istruttorio in senso stretto” abilita la stazione appaltante (o l’ente concedente) a sollecitare chiarimenti o spiegazioni sui contenuti dell’offerta tecnica e/o dell’offerta economica, finalizzati a consentirne l’esatta acquisizione e a ricercare l’effettiva volontà dell’impresa partecipante, superandone le eventuali ambiguità, a condizione di pervenire ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale assunto, e fermo in ogni caso il divieto (strettamente correlato allo stringente vincolo della par condicio) di apportarvi qualunque modifica. In presenza, quindi, di dubbi sulla congruità del costo della manodopera, l’Amministrazione avrebbe potuto concedere all’operatore economico l’anzidetto soccorso, sussistendone i presupposti. Né tale conclusione è preclusa dall’assenza di rettifica ovvero del c.d. “soccorso correttivo”, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 101, dovendosi tenere conto del principio della fiducia codificato dall’art. 2 D.Lgs. n. 36/2023.

     

    2. L’evoluzione della disciplina antiformalistica.

    Come chiarito da Consiglio di Stato, Sez. V, 20 febbraio 2025, n. 1425, non incidono sulla legittimità dell’affidamento e dell’aggiudicazione eventuali inesattezze del sub procedimento di verifica dei requisiti oggetto di autodichiarazione, in quanto l’esito della gara può essere disatteso solo nel caso in cui sia accertata un’effettiva causa di esclusione.

    Nello specifico, è stato efficacemente affermato dalla Sezione Quinta del Consiglio di Stato che: “l’istituto del soccorso istruttorio obbedisce, per vocazione generale (cfr. art. 6 l. n. 241/1990), ad una fondamentale direttiva antiformalistica che guida l’azione dei soggetti pubblici ed equiparati”.

    Di conseguenza, in materia di procedure per l’aggiudicazione di contratti pubblici, il soccorso istruttorio impedisce che, nei casi in cui risulti comunque rispettata la par condicio fra i partecipanti, le formalità imposte dalla legislazione sull’evidenza pubblica si traducano in un inutile pregiudizio per il buon esito della gara, il cui scopo è quello di permettere l’aggiudicazione al soggetto che mette a disposizione della stazione appaltante la migliore offerta e garantisce, dunque, il miglior risultato dell’azione amministrativa (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 31 gennaio 2025, n.855).

    Si assiste, in materia di soccorso istruttorio, ad un’evoluzione della disciplina sempre più attenta ai profili di sostanza piuttosto che di forma.

    Costituisce argomento che avvalora tale evoluzione l’inserimento ad opera del d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209 (cosiddetto “correttivo”), nell’art. 99 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36 sulla verifica del possesso dei requisiti, del comma 3-bis, secondo il cui disposto “In caso di malfunzionamento, anche parziale, del fascicolo virtuale dell’operatore economico o delle piattaforme, banche dati o sistemi di interoperabilità ad esso connessi ai sensi dell’articolo 24, decorsi trenta giorni dalla proposta di aggiudicazione, l’organo competente è autorizzato a disporre comunque l’aggiudicazione, che è immediatamente efficace, previa acquisizione di un’autocertificazione dell’offerente, resa ai sensi del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che attesti il possesso dei requisiti e l’assenza delle cause di esclusione che, a causa del predetto malfunzionamento, non è stato possibile verificare entro il suddetto termine con le modalità di cui ai commi 1 e 2. Resta fermo l’obbligo di concludere in un congruo termine le verifiche sul possesso dei requisiti. Qualora, a seguito del controllo, sia accertato l’affidamento a un operatore privo dei requisiti, la stazione appaltante, ferma l’applicabilità delle disposizioni vigenti in tema di esclusione, revoca o annullamento dell’aggiudicazione, di inefficacia o risoluzione del contratto e di responsabilità per false dichiarazioni rese dall’offerente, recede dal contratto, fatto salvo il pagamento del valore delle prestazioni eseguite e il rimborso delle spese eventualmente sostenute per l’esecuzione della parte rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, e procede alle segnalazioni alle competenti autorità”.

    L’ordinamento non esclude, quindi, che la verifica sui requisiti in alcune fattispecie possa avvenire anche successivamente all’attribuzione dell’efficacia all’aggiudicazione.

    Ciò risponde, del resto, alla logica del principio del risultato, che “integra i parametri della legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito e di metodo), oltre che di astratta conformità al paradigma normativo” (Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2023, n. 11322).

    La stazione appaltante deve, invero, mirare a raggiungere il risultato dell’aggiudicazione alla migliore offerta nel rispetto non delle sterili prescrizioni formalistiche, bensì delle garanzie sostanziali dei partecipanti alla procedura di evidenza pubblica.

    Deve essere dunque consentito, in ossequio al canone della massima partecipazione ed alla esigenza di non trasformare la gara in una “corsa a ostacoli” che faccia perdere di vista l’obiettivo prioritario di selezionare l’offerta migliore per l’Amministrazione pur nel rispetto delle regole della concorrenza (principio del risultato, oggi sancito dall’articolo 1 del d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), che possano essere sanate attraverso il c.d. soccorso procedimentale le carenze meramente documentali e formali allorché ciò non alteri il contenuto sostanziale dell’offerta e non produca distorsioni sul confronto competitivo tra le offerte (Consiglio di Stato, Sez. III, 27 febbraio 2025 n.1707).

     

    3. Il principio di autoresponsabilità come limite al soccorso istruttorio.

    Nella sentenza TAR Lazio, Roma, Sez. III, 18 febbraio 2025 n.3640, il Collegio richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui anche in relazione alle gare ad evidenza pubblica vige ed opera il principio generale di autoresponsabilità, in forza del quale ciascuno dei concorrenti “sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella formulazione dell’offerta e nella presentazione della documentazione” (Cons. Stato, Ad. plen., sent. n. 9 del 25 febbraio 2014).

    Il principio di autoresponsabilità grava, quindi, sulle imprese partecipanti alle gare pubbliche, limitando la loro possibilità di ricorrere all’istituto del soccorso istruttorio (TAR Puglia, Bari, Sez. II, 19 febbraio 2025 n.244

    Così ad esempio, nella sentenza Consiglio di Stato, Sez. V, 15 gennaio 2025 n.286 è stato ritenuto che consentire alla prima classificata di giovarsi dei requisiti esperienziali anche della conferente, equivarrebbe ad una modifica sostanziale della dichiarazione contenuta nella domanda di partecipazione. E ciò proprio a causa di scelte strategiche ab origine consapevolmente non adottate (giovarsi dei requisiti esperienziali della conferente) che dunque, se modificate in senso radicale durante la procedura stessa, darebbe luogo ad una operazione non corrispondente né ad integrazione [art. 101, comma 1, lettera a)], né a correzione sanante [art. 101, comma 1, lettera b)] della domanda originaria.

    In altre parole, si tratterebbe non di integrare o di correggere elementi della domanda o di documenti mancanti (operazione consentita dall’art. 101) ma, piuttosto, di rivedere in senso proprio alcune fondamentali opzioni di carattere aziendale (avvalersi o meno dell’esperienza pregressa del conferente), operazione questa non altrettanto consentita dall’ordinamento codicistico.

    Con ciò si vuole dire che il divieto di modifica non riguarda solo l’oggetto del soccorso istruttorio (consentito per i requisiti di ordine generale ma non altrettanto per l’offerta tecnica oppure quella economica) ma anche la tipologia di operazione che si attiva con il soccorso stesso (consentito per la mera integrazione o correzione ma non anche per la riformulazione sostanziale ed integrale della domanda o anche soltanto di una parte di essa).

    Ammettere una simile opzione modificativa in sede di soccorso istruttorio si porrebbe effettivamente in contrasto con il principio di autoresponsabilità nelle pubbliche gare.

    Nella sentenza TAR Lazio, Roma, Sez. IV, 5 febbraio 2025 n.2684, il Collegio ritiene di condividere l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, secondo cui “deve tenersi per ferma la non soccorribilità (sia in funzione integrativa, sia in funzione sanante) degli elementi integranti, anche documentalmente, il contenuto dell’offerta (tecnica od economica): ciò che si porrebbe in contrasto con il superiore principio di parità dei concorrenti. Restano, per contro, ampiamente sanabili le carenze (per omissione e/o per irregolarità) della documentazione c.d. amministrativa. In altri termini, si possono emendare le carenze o le irregolarità che attengano alla allegazione dei requisiti di ordine generale (in quanto soggettivamente all’operatore economico in quanto tale), non quelle inerenti ai requisiti di ordine speciale (in quanto atte a strutturare i termini dell’offerta, con riguardo alla capacità economica, tecnica e professionale richiesta per l’esecuzione delle prestazioni messe a gara)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 21 agosto 2023, n. 7870).

    Ad avviso del TAR Roma, nel caso esaminato, le suddette conclusioni non sono inficiate dal rilievo che la documentazione in discussione, in quanto attinente ad un requisito pacificamente posseduto dall’operatore economico e preesistente alla presentazione dalla domanda, non incide sul contenuto sostanziale dell’offerta tecnica; di modo che consentire il soccorso istruttorio non determinerebbe alcuna alterazione della par condicio.

    Secondo il Collegio, infatti, il principio della concorrenza va riguardato in una dimensione più ampia: il confronto competitivo, difatti, non attiene solo al contenuto delle offerte ma anche al rispetto delle modalità di presentazione delle domande; ciò, per l’evidenza che l’assenza di errori oppure omissioni nella domanda di gara rappresenta un indice di affidabilità dell’offerta e di serietà del concorrente. Consentire di superare, tramite soccorso istruttorio, la commissione di errori anche importanti avrebbe l’effetto di avvantaggiare gli operatori che hanno investito risorse insufficienti nella propria struttura organizzativa interna deputata a presentare offerte nelle gare pubbliche; e dunque avvantaggiare operatori, sotto tale profilo, meno meritevoli. Conclusione che pare da evitare tenuto conto dell’esigenza di stimolare gli operatori ad una massima attenzione nella predisposizione delle proprie domande di gara, avuto riguardo all’interesse pubblico ad una loro celere conclusione; tanto più in un caso, come quello di specie, in cui non vi sono elementi di scusabilità dell’errore perché il bando era chiarissimo in relazione al profilo in discussione e l’errore in cui è incorsa parte ricorrente avrebbe potuto essere evitato da un attenta lettura dello stesso; ciò che rappresenta un onere minimo per chi voglia contrattare con la P.A.. Deve quindi trovare applicazione il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui “ciascuno dei concorrenti ad una gara pubblica sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella formulazione dell’offerta e nella presentazione della documentazione; all’impresa che partecipa a pubblici appalti è richiesto un grado di professionalità e di diligenza superiore alla media: una diligenza che non riguarda solo l’esecuzione del contratto, ma anche le fasi prodromiche e genetiche, tra cui, in primo luogo quella della redazione degli atti necessari alla partecipazione alla gara” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 12 marzo 2024, n. 2372).

    Né la suddetta interpretazione si pone in contrasto con il principio del risultato di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 36 del 2023: sul punto, il Collegio osserva che esso va comunque bilanciato, per espressa previsione normativa, con quelli di legalità, trasparenza e concorrenza. Dunque, se è vero che l’Amministrazione deve tendere al miglior risultato possibile, in difesa dell’interesse pubblico, tale risultato deve essere comunque il più “virtuoso” e ciò può essere raggiunto selezionando gli operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali espressione di una affidabilità che su di essi dovrà essere riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento.

    È stato, inoltre, chiarito da TAR Lazio, Roma, Sez. III, 18 febbraio 2025 n.3640 che l’operato della società partecipante alla gara deve essere strettamente improntato al rispetto del principio di autoresponsabilità anche per ciò che concerne le operazioni da svolgere sulla piattaforma telematica.

    La giurisprudenza amministrativa ha affermato che relativamente alle gare telematiche si innesca una “dinamica fisiologica e ampiamente prevedibile dei fattori impiegati per la comunicazione elettronica, che dev’essere conosciuta, data per presupposta e accettata nei suoi vantaggi e nei suoi (pochi) svantaggi una volta che il legislatore ha dato ad essa validità” e, ancora, che “In tale chiave ricostruttiva, l’esperienza e abilità informatica dell’utente, […] la preliminare e attenta lettura delle istruzioni procedurali, il verificarsi di fisiologici rallentamenti conseguenti a momentanea congestione del traffico, sono tutte variabili che il partecipante ad una gara telematica deve avere presente, preventivare e ‘dominare’ quando si accinge all’effettuazione di un’operazione così importante per la propria attività di operatore economico, non potendo il medesimo pretendere che l’amministrazione, oltre a predisporre una valida piattaforma di negoziazione operante su efficiente struttura di comunicazione, si adoperi anche per garantire il buon fine delle operazioni” (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 448 del 24 gennaio 2022).

    Di conseguenza, in tali casi, è preciso onere degli operatori economici partecipanti informarsi e comprendere tempestivamente, anche operando prontamente sulla piattaforma telematica messa sin dall’inizio a loro disposizione, quali siano le corrette modalità di inserimento dei dati e di allegazione dei file ai fini della partecipazione alla gara. Ciò, anche in un’ottica complementare di learning by doing, esigibile a tali precipui fini in ragione del contesto di riferimento (procedura di gara telematica) e del necessario previo possesso di idonee competenze tecnico-informatiche, da apprezzare in relazione al carattere professionale degli operatori economici, indispensabili per la partecipazione alle gare telematiche.

    Attesa la portata e la piena operatività del principio di autoresponsabilità nella procedura telematica di gara, la società non può utilmente invocare, in caso di errori, l’istituto del soccorso istruttorio, di cui all’articolo 101 c.c.p.

     

    4. Il soccorso istruttorio in ipotesi di clausole previste a pena di esclusione.

    Per Consiglio di Stato, Sez. V, 3 gennaio 2025 n.26, fermo restando il divieto di modificare il contenuto dell’offerta, l’omessa allegazione della documentazione di gara, o la sua incompletezza, anche ove tale adempimento sia richiesto dal bando di gara (o dalla legge) a pena di esclusione, lungi dal consentire l’adozione del provvedimento di esclusione dell’operatore economico dalla procedura, costituisce, piuttosto, il presupposto – ai sensi del citato art. 101 del codice dei contratti pubblici e dell’art. 56, comma 3, della direttiva 24/2014/UE del 26 febbraio 2014 (a mente del quale: «3. Se le informazioni o la documentazione che gli operatori economici devono presentare sono o sembrano essere incomplete o non corrette, o se mancano documenti specifici, le amministrazioni aggiudicatrici possono chiedere, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la presente direttiva, agli operatori economici interessati di presentare, integrare, chiarire o completare le informazioni o la documentazione in questione entro un termine adeguato, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza») – per l’esercizio del dovere di soccorso istruttorio o di soccorso procedimentale, imponendo alla stazione appaltante di richiedere all’interessato di integrare, regolarizzare o esibire la documentazione mancante (ovvero «ogni altro documento richiesto dalla stazione appaltante per la partecipazione alla procedura di gara»: art. 101, comma 1, lettere a) e b) del codice, oltre al richiamato comma 3).

    Sulla base di altro opposto orientamento, il meccanismo riparatorio del soccorso istruttorio non opera allorché si sia “in presenza di una previsione chiara” (Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2022, n. 10325) o comunque di “una clausola univoca” (Cons. Stato, sez. I, 21 febbraio 2024, n. 165). Di conseguenza, secondo il Consiglio di Stato, Sez. V, 3 febbraio 2025 n.839, il divieto di soccorso istruttorio, in ipotesi di clausole previste a pena di esclusione, opera nei limiti in cui le ridette clausole risultino chiare ed inequivoche.

     

    5. Perentorietà del termine assegnato, esclusione e principio della fiducia.

    Come affermato da unanime giurisprudenza, in caso di inutile decorso del termine assegnato per la regolarizzazione o integrazione della cauzione provvisoria il concorrente è escluso dalla gara (Consiglio di Stato sez. V, 27 agosto 2024, n. 7256).

    Al riguardo, è stato ricordato dal Giudice Amministrativo che:

    a) il termine per l’integrazione della documentazione, a seguito dell’attivazione del soccorso istruttorio, ha natura perentoria, allo scopo di assicurare un’istruttoria veloce, preordinata ad acquisire la completezza delle dichiarazioni prima della valutazione dell’ammissibilità della domanda (cfr. Cons. Stato, V, 22 agosto 2016, n. 3667; 22 ottobre 2015, n. 4849; 18 maggio 2015, n. 2504);

    b) la disciplina del soccorso istruttorio contempla la sanzione espulsiva quale conseguenza della inosservanza, da parte dell’impresa concorrente, all’obbligo di integrazione documentale (Consiglio di Stato sez. V, 29 maggio 2019, n. 3592 che richiama Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 30 luglio 2014, n. 16);

    c) la chiave interpretativa dell’art. 101 del Codice dei contratti pubblici è “la leale collaborazione delle parti (amministrazione appaltante e operatori economici), ispirata alla fiducia nell’attività dell’amministrazione e alla responsabilità dell’operatore economico, secondo i noti principi di buona fede, il tutto evidentemente nel rispetto del principio della par condicio” (cfr. Relazione illustrativa Codice dei contratti pubblici);

    d) nessuna motivazione qualificata o ulteriore rispetto al richiamo dell’attivazione del soccorso e della mancata tempestiva trasmissione della relativa documentazione si rende necessaria ai fini della legittimità del provvedimento espulsivo (Consiglio di Stato sez. V, 29 maggio 2019, n. 3592).

    Come chiarito, infatti, da Consiglio di Stato, Sez. V, 11 marzo 2025 n.1985, il soccorso istruttorio – previsto in favore della massima partecipazione – non può tradursi in un meccanismo dilatorio della procedura di gara, a fronte del disinteresse o della mancata collaborazione di chi per primo è tenuto ad attivarsi. Si deve aggiungere che l’amministrazione è mossa, nelle procedure selettive, dal bisogno attuale e concreto di acquisire i servizi di cui necessita. Le procedure selettive postulano un dovere particolarmente intenso, in capo alle imprese partecipanti, di chiarezza e completezza espositiva sia nella presentazione della documentazione volta alla verifica dei requisiti di ordine generale e di ordine speciale sia nella formulazione e presentazione delle offerte sia nella fase di verifica dei requisiti. L’operatore economico negligente, oltre a violare i doveri di correttezza e buona fede cui è vincolato, arreca un oggettivo intralcio allo svolgimento della procedura che non può non essere tenuto nella debita considerazione (Consiglio di Stato, Sez. V, 12 novembre 2024, n. 9063).

    Ulteriori chiarimenti dopo l’attivazione del soccorso istruttorio possono essere richiesti solo in caso di non agevole comprensione della richiesta formulata dalla stazione appaltante o nei casi in cui dalla documentazione integrativa residuino margini di incertezza superabili in modo agevole. Il passaggio del bando tipo ANAC 1/2023 dove si legge “Ove il concorrente produca dichiarazioni o documenti non perfettamente coerenti con la richiesta, la stazione appaltante può chiedere ulteriori precisazioni o chiarimenti, limitati alla documentazione presentata in fase di soccorso istruttorio, fissando un termine a pena di esclusione” può legittimare richieste di chiarimenti ulteriori solo nei limiti sopra evidenziati.

    Il soccorso istruttorio altro non è se non una collaborazione su iniziativa della pubblica amministrazione prevista, oltre che nel caso della rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete (art. 6, comma 1, lett. b) della L. n. 241/1990), proprio dall’art 101 del nuovo Codice dei contratti pubblici. Si tratta di una collaborazione raccordata con il principio della fiducia, enunciato dall’art. 2 dello stesso Codice e che, in realtà, ha una valenza più generale in tutti i contesti nei quali si sviluppa una relazione tra pubblica amministrazione e soggetti privati. Il principio della fiducia si fonda sull’idea che amministrazione e consociati rispettino le regole e si comportino di conseguenza in modo corretto gli uni verso gli altri e tutti insieme nei confronti dei terzi e della comunità. Si tratta di un dovere riconducibile all’art. 2 della Costituzione che vale sia per i funzionari pubblici sia per gli operatori privati sia per l’amministrazione sia per le organizzazioni dei cittadini.

    Secondo TAR Lazio, Roma, 13 febbraio 2025 n.3295, in tali casi, deve ritenersi inconferente il richiamo alla violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, di cui all’art. 10 D.Lgs.n.36/2023, posto che la previsione recata dall’art. 101, comma 2 D.Lgs.n.36/2023, disciplinante il soccorso istruttorio nelle gare pubbliche (secondo cui “l’operatore economico che non adempie alle richieste della stazione appaltante nel termine stabilito è escluso dalla procedura di gara”) è a sua volta in linea con la generale previsione recata dal medesimo art.10, comma 1 del Codice (“I contratti pubblici non sono affidati agli operatori economici nei confronti dei quali sia stata accertata la sussistenza di cause di esclusione espressamente definite dal codice”). L’esclusione è una naturale conseguenza della perentorietà del termine assegnato in sede di soccorso istruttorio, regola di cui non si è mai dubitato in giurisprudenza, anche nelle previgenti versioni del Codice.

    Peraltro, ferma l’applicazione delle cause di esclusione tipizzate dal Codice, in cui, a ben vedere, rientra quella per intempestivo riscontro alla richiesta della stazione appaltante in sede di esercizio del soccorso istruttorio, va aggiunto che il Codice applica il principio di tassatività, ai sensi del comma 2 dell’art.10, ai soli requisiti di carattere generale, non a caso richiamando (esclusivamente) le previsioni di cui agli artt. 94 e 95, oltre a quelle espressamente codificate ad hoc, fra cui, appunto, quella ex art. 101 D.Lgs.n.36/2023 (cfr., sul punto, Consiglio di Stato, 13.8.2024, n.7113).

    Quanto alla eccepita esiguità del termine assegnato per il riscontro (sei giorni), il TAR ha osservato innanzitutto che esso rispetta il range prefissato dall’art. 101, comma 3 D.Lgs. n.36/2023. Quanto alla scelta in concreto del termine (sei giorni piuttosto che otto o, al massimo, dieci), la stessa non appare irragionevole, dal momento che trattavasi di documenti già nella disponibilità dell’operatore economico, che il medesimo avrebbe dovuto depositare fin dalla presentazione delle offerte. In conformità a principi di autoresponsabilità e ragionevolezza, la ricorrente aveva quindi l’onere di attivarsi per rispondere tempestivamente alla richiesta, che era necessaria (e dunque nota).

    Ciò posto, a fronte del ritardo nel riscontro, si imponeva l’applicazione, questa sì soggetta al principio di tassatività, della previsione dell’art.101, comma 2-3 D.Lgs. n. 36/2023, con inevitabile esclusione per riscontro intempestivo al soccorso istruttorio. Una volta integrata la fattispecie espulsiva, e non residuando margini di discrezionalità, l’esclusione costituisce atto dovuto, esercitabile senza che vengano ad emersione termini di natura perentoria, per la stazione appaltante, quanto all’adozione del provvedimento. In tali casi, la riammissione alla gara, come la decisione eventuale di non esclusione, determinerebbe invece la frustrazione del superiore principio di par condicio.

    Principio anonimato per soggetti che hanno effettuato il sopralluogo (art. 35 d.lgs. 36/2023)

    TAR Ancora, 28.03.2025 n. 227

    Come ha correttamente evidenziato -OMISSIS-, il principio dell’anonimato dei concorrenti, a presidio del quale sono poste anche sanzioni penali, costituisce uno dei pilastri delle procedure ad evidenza pubblica, essendo noto che in tanto possono essere conclusi accordi collusivi fra gli operatori interessati in quanto ciascuno di essi conosca in anticipo l’identità degli altri. In questo senso non è dirimente il richiamo operato dalle amministrazioni resistenti al tenore letterale all’art. 35, comma 2, del D.Lgs. n. 36/2023, nella parte in cui la norma fa riferimento ai soggetti che hanno (già) presentato l’offerta, perché, alla luce delle diverse modalità con cui può essere alterata la regolarità della competizione (infatti, oltre alla presentazione di offerte da parte di operatori che si trovano fra loro in situazione di collegamento sostanziale, l’alterazione può essere attuata anche mediante l’invito a uno o più operatori a non presentare offerta in cambio della promessa di subappalti o altri analoghi vantaggi), l’anonimato va garantito anche, se non soprattutto, nella fase che precede la formulazione delle offerte

    Contratti continuativi di cooperazione e differenza con il subappalto nel nuovo art. 119 d.lgs. 36/2023 : deve trattarsi di prestazioni secondarie, accessorie o sussidiarie oltre che rese in favore dell’ affidatario

    Consiglio di Stato, sez. V, 28.03.2025 n. 2622

    4.2. Parimenti condivisibili sono le argomentazioni in tema di contratto continuativo di cooperazione, disciplinato già dall’art. 105, comma 3, lett. c- bis), del d.lgs. n. 50 del 2016, introdotta dal d.lgs. n. 56 del 2017, al fine di distinguerne la fattispecie (di “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto”) da quella del contratto di subappalto.
    L’art. 119, comma 3, lett. d) del d.lgs. n. 36 del 2023 ha precisato i tratti distintivi della fattispecie, avvalendosi della giurisprudenza che si era venuta formando sulla precedente disposizione del Codice dei contratti pubblici, per come si ricava anche dalla Relazione illustrativa del nuovo Codice. Ne è quindi risultata una più compiuta definizione dei contratti continuativi di cooperazione, servizio o fornitura: in base a tale definizione viene mantenuta la destinazione soggettiva delle prestazioni “in favore dei soggetti affidatari”, ma viene precisato che deve trattarsi di prestazioni “secondarie, accessorie o sussidiarie”.
    La tipologia contrattuale, d’altronde, era stata, come detto, già delineata in termini conformi dalla giurisprudenza che aveva sottolineato doversi trattare di prestazioni, per un verso, rese in favore dell’operatore economico aggiudicatario del contratto di appalto, quindi non direttamente nei confronti della stazione appaltante (cfr., fra le altre, Cons. Stato, V, 22 aprile 2020, n. 2553) e, per altro verso, di prestazioni a carattere accessorio e secondario, oggettivamente diverse dalle prestazioni da rendersi da parte dell’appaltatore alla stazione appaltante sulla base del contratto di appalto (cfr., tra le altre, Cons. Stato, V, 17 aprile 2023, n. 3856).
    Si condivide perciò la conclusione raggiunta dall’appellante, anche relativamente al testo dell’art. 119, comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 36 del 2023, richiamato in sentenza, secondo cui mentre il subappalto ha ad oggetto l’affidamento dell’esecuzione di una parte delle prestazioni oggetto del contratto di appalto, con la conseguente sostituzione del subappaltatore all’affidatario, di converso, i contratti continuativi di cooperazione, servizio o fornitura hanno ad oggetto prestazioni secondarie o accessorie dirette agli affidatari, a cui forniscono beni e servizi utili per lo svolgimento delle prestazioni affidate. […]

    4.4.2. Sussistono con evidenza i due tratti peculiari tipici della fattispecie delineata dall’art. 119, comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 36 del 2023: la prestazione di preparazione (e fornitura/somministrazione) dei pasti non forma oggetto principale dell’appalto, così come peraltro non è prestazione principale – secondo quanto detto – nemmeno l’organizzazione del servizio di ristorazione; la prima però è resa dal terzo, in forza di apposito contratto, all’affidatario del servizio di assistenza all’infanzia, al quale compete lo svolgimento della seconda inserita nella complessiva attività di gestione del nido d’infanzia destinata alla stazione appaltante.
    Siffatta conclusione è perfettamente in linea con la giurisprudenza che, in riferimento all’antecedente normativo dell’art. 105, comma 3, lett. c-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016, ha chiarito che “a prescindere dalla natura ancillare, sussidiaria e secondaria di quelle attività rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto, ciò che rileva al fine di escludere la ricorrenza di un affidamento (non dichiarato né autorizzato) in subappalto, è la direzione delle prestazioni in esame a favore dell’appaltatore e non direttamente della stazione appaltante” (Cons. Stato, V, 21 maggio 2020, n. 3211).
    Con la precisazione che l’espressione normativa secondo cui la prestazione deve essere resa in favore dei soggetti affidatari non consente affatto l’interpretazione restrittiva della norma sottesa ad alcune argomentazioni di parte appellante. In proposito, anche nella vigenza dell’art. 119, comma 3, lett. d), del d.lgs. n. 36 del 2023, va data continuità all’affermazione giurisprudenziale secondo cui: “[…] la necessità di garantire l’effetto utile della previsione […] non consente di attribuire ad essa, ai fini della delimitazione del suo perimetro applicativo, un significato tale da abbracciare prestazioni che, in mancanza della stessa, sarebbero state comunque acquisibili dal soggetto affidatario […]. A tale risultato si perverrebbe, ad avviso della Sezione, qualora si ritenesse di circoscrivere l’utilizzazione dell’istituto, come preteso dalla parte appellante, con riferimento alle prestazioni “secondarie” e/o “sussidiarie”, ovvero a quelle non direttamente rivolte alla stazione appaltante e non coincidenti contenutisticamente con la prestazione dedotta in contratto: prestazioni che, anche a prescindere dalla previsione suindicata, sarebbero state comunque e legittimamente acquisibili ab externo dal soggetto affidatario, rivolgendosi ai propri fornitori, indipendentemente dall’epoca di stipula dei relativi contratti e senza essere tenuto al deposito degli stessi presso la stazione appaltante. Del resto, l’istituto de quo, proprio perché si configura come derogatorio rispetto alla generale disciplina del subappalto, è evidentemente ancorato ai medesimi presupposti applicativi, a cominciare dalla determinazione contenutistica della prestazione eseguibile mediante il ricorso all’impresa “convenzionata”. In tale ottica, il riferimento della disposizione alle “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” non assume valenza restrittiva (della portata applicativa della previsione), come avverrebbe se si ritenesse che esso implica la necessità che l’utilità della prestazione ridondi ad esclusivo vantaggio, in senso materiale, dell’impresa affidataria (piuttosto che dell’Amministrazione), ma allude alla direzione “giuridica” della prestazione […]” (Cons. di Stato, III, 18 luglio 2019 n. 5068), fermo restando che, agli effetti della connessa responsabilità, la relazione rilevante è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario, stante che quest’ultimo assume su di sé l’organizzazione e i rischi del servizio.

    4.4.3. Del tutto privi di rilevanza, ai fini della decisione, risultano i riferimenti ai pasti contenuti nell’offerta dell’aggiudicataria, soprattutto se estrapolati –come fatto dall’appellante – dal contesto di una relazione esplicativa del servizio complessivo che l’operatore economico propone di rendere alla stazione appaltante e che si giustifica proprio in ragione del fatto che l’organizzazione del servizio di ristorazione è comunque affidata all’appaltatore, secondo quanto sopra specificato.
    4.4.4. Piuttosto, rileva che nel caso di specie si sia in presenza di un tipico appalto di servizio di nido d’infanzia, che attiene ai servizi educativi alla persona, per i quali non vi è alcun obbligo di iscrizione agli elenchi tenuti dalle prefetture.
    Quest’ultima non rappresenta perciò un requisito soggettivo di partecipazione e correttamente non è stata prevista come tale nel bando de quo; né opera alcuna eterointegrazione perché il servizio principale oggetto di appalto non rientra tra le attività imprenditoriali dell’elenco dell’articolo 1, comma 53, della legge n. 190 del 2012.
    La preparazione dei pasti ed anche la fornitura/somministrazione di questi sono come detto riconducibili alle nozioni di “servizio di ristorazione” o di “gestione di mensa”, ai sensi della norma predetta, ma né l’una né l’altra – al di là delle speciose distinzioni terminologiche dell’appellante (in parte favorite da un’imprecisione contenuta nel su riportato passaggio della sentenza di primo grado) – sono oggetto principale dell’appalto, come lo sarebbe un servizio di ristorazione o di mensa direttamente affidato, come tale, dalla stazione appaltante (come è per il servizio di refezione scolastica cui è assegnato il CPV 55523100-3 diverso da quello assegnato ai servizi sociali, sopra riportato).

    4.5. Peraltro tutto quanto sopra non sta a significare che dette prestazioni, pur secondarie nell’economia dell’appalto, tuttavia riconducibili ad attività la cui esecuzione è considerata per legge esposta a tentativi di infiltrazione mafiosa siano espletabili senza alcun controllo, ma soltanto che l’iscrizione alla c.d. white list è richiesta per il soggetto che effettivamente le esegue (come da comunicato del Presidente dell’ANAC del 17 gennaio 2023), senza quindi che l’iscrizione assurga a requisito soggettivo di partecipazione alla procedura di gara.
    Ne consegue che, essendo l’attività di ristorazione compresa tra quelle indicate nell’art. 1, comma 53, della legge n. 190 del 2012 ed essendo, nell’affidamento per cui è giudizio, avente ad oggetto il servizio di asilo nido, una prestazione secondaria, è legittimo il suo sub-affidamento mediante contratto continuativo di servizio e fornitura ex art. 119, comma 3, lett. d) del d.lgs. n. 36 del 2023.
    L’iscrizione nell’elenco prefettizio avrebbe dovuto essere posseduta soltanto dal sub-affidatario ed il presupposto – rilevante ai fini della sottoscrizione del contratto (arg. ex art. 119, comma 3, lett. d, secondo periodo, che impone la trasmissione dei contratti “prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto”) – è stato positivamente verificato dalla stazione appaltante nei confronti della Itaca soc. coop., regolarmente iscritta alla c.d. white list della Prefettura di Napoli dal 27 aprile 2022, legata al r.t.i. aggiudicatario da un contratto continuativo di fornitura e servizio nello specifico settore della ristorazione e del catering socioassistenziale nei nidi d’infanzia, sottoscritto il 19 aprile 2022.

    Accesso agli atti : differenza tra accoglimento istanza di oscuramento e silenzio diniego ai fini del ricorso (art. 36 d.lgs. 36/2023)

    Consiglio di Stato, sez. V, 28.03.2025 n. 2616

    1.1.1. Emerge dalla documentazione in atti che con la comunicazione di aggiudicazione la stazione appaltante dichiarava espressamente che “ai sensi dell’articolo 36, comma 3, del D.lgs. 36/2023, […] -OMISSIS- S.p.A. ha ritenuto di accogliere le richieste di oscuramento di parti dell’offerta presentata da -OMISSIS-”.
    L’art. 36, comma 3, d.lgs. n. 36 del 2023 prevede al riguardo che «Nella comunicazione dell’aggiudicazione di cui al comma 1, la stazione appaltante o l’ente concedente dà anche atto delle decisioni assunte sulle eventuali richieste di oscuramento di parti delle offerte di cui ai commi 1 e 2, indicate dagli operatori ai sensi dell’articolo 35, comma 4, lettera a)» (quest’ultima disposizione riguarda infatti la possibile esclusione dell’accesso o della divulgazione di informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali).
    Il successivo art. 36, comma 4, d.lgs. n. 36 del 2023 dispone che «Le decisioni di cui al comma 3 sono impugnabili ai sensi dell’articolo 116 del codice del processo amministrativo, di cui all’allegato I al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, con ricorso notificato e depositato entro dieci giorni dalla comunicazione digitale della aggiudicazione. Le parti intimate possono costituirsi entro dieci giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notifica del ricorso».
    Nel caso di specie s’è in presenza proprio di una determinazione della stazione appaltante di accoglimento dell’istanza di oscuramento avanzata da -OMISSIS-, afferente “a tutta l’offerta tecnica, all’offerta economica ed agli eventuali giustificativi” (cfr. richiesta di oscuramento del 22 gennaio 2024, sub doc. 1 -OMISSIS-, non contestata dalle altre parti e producibile in appello in quanto atto del procedimento amministrativo, come tale di per sé “indispensabile” nel decidere: cfr. Cons. Stato, V, 14 aprile 2020, n. 2385; 3 gennaio 2025, n. 31; II, 13 dicembre 2024, n. 10074; III, 13 giugno 2024, n. 5306; V, 28 maggio 2024, n. 4733).
    Ne consegue che avverso tale determinazione l’interessata avrebbe dovuto proporre ricorso entro i termini e con le modalità di cui all’art. 36, comma 4, d.lgs. n. 36 del 2023.
    Non si è, infatti, nella specie in presenza della mera omissione della pubblicazione di un documento dovuto, ovvero del silenzio su un’istanza d’accesso proposta, bensì dell’accoglimento di una richiesta di oscuramento ex art. 36, comma 3 e art. 35, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 36 del 2023, con conseguente mancata esibizione di alcuni documenti.
    Essendo mancata la (tempestiva) impugnazione di tale provvedimento, il ricorso di primo grado proposto nei confronti dell’appellante andava dichiarato inammissibile, risolvendosi nella pretesa di accedere ai documenti pur a fronte del provvedimento inoppugnato che vi precludeva, o comunque irricevibile per tardiva censura del medesimo provvedimento e delle limitazioni all’accesso adottate.

    CCNL applicato ed omessa indicazione in offerta economica : conseguenze (art. 11 , art. 101 d.lgs. 36/2023)

    Consiglio di Stato, sez. V, 28.03.2025 n. 2605

    In breve, una volta che il partecipante alla gara abbia (genericamente ed anticipatamente) assunto l’impegno a rispettare le condizioni di gara, automaticamente ciò determinerebbe l’assunzione dell’impegno a garantire i livelli di tutela previsti dai CCNL, come indicati dalla stazione appaltante; una volta dato atto della formale assunzione di tale impegno, la specificazione del CCNL concretamente applicato altro non avrebbe rappresentato che una “mera precisazione”, volta a chiarire eventuali ambiguità dell’offerta, per tale “acquisibile, alternativamente, attivando sin da subito il soccorso procedimentale di cui all’art. 101 co. 3 CCP (e § 14 del disciplinare) e/o, in caso di selezione del Rti appellante, prima dell’aggiudicazione ai sensi dell’art. 11 co. 4 CCP”.
    La decisione del primo giudice di non consentire il soccorso procedimentale, fondata sul presupposto che ciò avrebbe consentito alla ricorrente di integrare ex post il contenuto dell’offerta, sarebbe dunque scorretta, poiché il CCNL da indicarsi in offerta non sarebbe un elemento costitutivo di quest’ultima (né di quella tecnica, né di quella economica) e, comunque, non avrebbe alcuna diretta inerenza ai costi della manodopera.
    In estrema sintesi, conclude l’appellante, “il contenuto dell’offerta economica del rti -OMISSIS- doveva intendersi, in altri termini, già cristallizzato sulla base degli impegni negoziali assunti nell’offerta regolarmente caricata (prezzo, costi della manodopera, costi della sicurezza) e con l’accettazione, tra l’altro, del §9 del disciplinare e del § I.11 del capitolato speciale: con la conseguenza che l’attivazione del soccorso procedimentale avrebbe solo consentito a VUS di comprendere quale delle anzidette opzioni (applicazione CCNL indicato o contratto equivalente), predeterminate dalla legge ed egualmente legittime, sarebbe stata prescelta dal Rti appellante”.
    Il motivo non è fondato.
    Nel caso di specie, come correttamente evidenziato dal primo giudice, quello rilevato dalla stazione appaltante era – per tabulas – il vizio di offerta incompleta.
    Al riguardo, il Collegio ritiene di doversi conformare al precedente di Cons. Stato, V, 28 giugno 2022, n. 5347, a mente del quale “nelle procedure di gara, la carenza di uno degli elementi dell’offerta ritenuti essenziali dalla lex specialis rende legittima l’esclusione dell’offerta difettosa, senza che ciò possa comportare alcuna violazione del principio di tassatività delle cause d’esclusione, previsto dall’art. 83, comma 8, d.lg. n. 50/2016”.
    Al riguardo, non può condividersi la prospettazione secondo cui la dichiarazione del CCNL concretamente applicato non sarebbe stato un elemento essenziale dell’offerta. Invero, ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 36 del 2023, al personale impiegato negli appalti pubblici dev’essere applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, laddove gli operatori economici possono anche indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, ma se si avvalgono di questa facoltà, “prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione le stazioni appaltanti e gli enti concedenti acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. In quest’ultimo caso, la dichiarazione è anche verificata con le modalità di cui all’articolo 110”.
    Neppure è corretto sostenere, come fa l’appellante, che la previsione dell’art. 11 cit. sia del tutto slegata da quella di cui all’art. 41 del Codice, a mente del quale, nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara la stazione appaltante o l’ente concedente devono individuare nei documenti di gara i costi della manodopera, prevedendo che gli stessi (unitamente a quelli della sicurezza) vadano scorporati dall’importo assoggettato al ribasso.
    Non può fondatamente credersi che le previsioni dei richiamati artt. 11 e 41 non abbiano natura di norme imperative inderogabili, già solo in ragione della loro inequivoca formulazione testuale (oltre che degli obiettivi perseguiti, di garantire ai lavoratori più adeguate tutele sotto il profilo giuridico ed economico).
    A ciò aggiungasi – come evincibile dal combinato disposto degli artt. 110, comma primo e 108, comma 9 d.lgs. n. 36 del 2023 – che le disposizioni del CCNL concretamente applicato (così come individuato nell’offerta) rilevano anche sull’eventuale anomalia delle offerte che rechino il riferimento ad un CCNL – ed al conseguente costo della manodopera – diverso da quello posto a base della legge di gara.

    Con il secondo motivo di appello vengono invece riproposte – in via subordinata rispetto all’accoglimento del primo motivo di gravame – le censure dedotte nel precedente grado di giudizio avverso le previsioni dei paragrafi 14, 17 e 21 del disciplinare di gara, ove da interpretarsi nel senso di sanzionare automaticamente con l’esclusione la carenza delle dichiarazioni di cui si è detto in precedenza, senza ammettere il soccorso procedimentale o quello istruttorio.
    All’uopo ribadisce come l’applicazione di un CCNL piuttosto che di un altro non abbia alcun impatto diretto sui costi della manodopera – elemento, quest’ultimo, essenziale dell’offerta – i quali dipenderebbero da altre scelte dell’imprenditore (quali la tipologia di contratto individuale di lavoro, la quantità di risorse disponibili, l’inquadramento delle stesse, l’eventuale ricorso al subappalto, etc.), ovvero dall’eventuale esistenza di altre fonti integrative del contratto nazionale.
    Neppure questo motivo può essere accolto.
    Ai sensi dell’art. 57, comma primo del d.lgs. n. 36 del 2023, “Per gli affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale […] i bandi di gara, […], tenuto conto della tipologia di intervento, […] devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate tra l’altro a garantire […] l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto o della concessione e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare”.
    Ora, è del tutto evidente che l’applicazione di un contratto collettivo piuttosto che di un altro ha effetti diretti sul costo del lavoro indicato in offerta (altresì rilevando quale parametro con cui verificarne, sia in sede di prime valutazioni che di sub-procedimento di anomalia, correttezza e sostenibilità), non essendo verosimile il ragionamento di parte appellante secondo cui la mera e generica preliminare accettazione delle condizioni fissate dalla legge di gara esonererebbe l’offerente dal fornire tale specifica (e decisiva) informazione, o comunque varrebbe comunque ad automaticamente “correggere” l’indicazione di un contratto contenente garanzie minori per i lavoratori rispetto a quello indicato come riferimento nella legge di gara.