Nel caso in cui il contraente abbia tenuto condotte scorrette il provvedimento di aggiudicazione può essere revocato tramite un potere che costituisce esercizio del potere di autotutela, valutabile da parte del Giudice Amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.
Il quesito trae origine dalla revoca di un provvedimento di aggiudicazione in precedenza emesso da parte di una Stazione Appaltante.
La risposta richiede una considerazione circa gli effetti della stipulazione del contratto nel rapporto tra amministrazione e contraente prescelto, che chiude la fase di tipo pubblicistico della procedura contrattuale determinando un nuovo assetto nei rapporti tra impresa vincitrice della procedura e parte pubblica.
In ordine alla problematica relativa agli effetti della conclusione del contratto nel rapporto amministrazione cittadino, occorre considerare l’esercizio del potere di revoca in autotutela ai sensi dell’ art. 21 quinquies della legge 7 agosto 1990 n. 241, anche alla luce della decisione dell’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4/2014. A seguito della conclusione del contratto, invero, si esaurisce la fase pubblicistica caratterizzata dalla presenza di poteri autoritativi in capo alla Stazione Appaltante, che consentono la scelta del contraente più adatto mediante l’esercizio della discrezionalità tecnico-amministrativa, e si passa ad una seconda fase, di tipo privatistico, caratterizzata da una regolamentazione affidata al contratto di appalto ed alla disciplina civilistica. Tuttavia anche in tale ultima fase è possibile rilevare la presenza di disposizioni derogatorie rispetto alla ordinaria disciplina privatistica che consentono, limitatamente ai casi in cui la condotta del contraente sia caratterizzata da scorrettezza, di annullare il contratto in precedenza concluso per l’assegnazione dell’appalto pubblico (in tal senso Consiglio di Stato, sez. V, 10.06.2024 n. 5171)
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Penali in sede di esecuzione e limite di realizzabilità dell’ offerta
Consiglio di Stato, sez. IV, 24.04.2024 n. 3739
Il Collegio condivide l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui “La comminatoria di penali in sede esecutiva ha infatti la funzione di sanzionare il mancato assolvimento dell’obbligo negoziale: laddove la verifica della praticabilità del contenuto dell’offerta ha la diversa (ed anzi opposta: in chiave di prevenzione di possibili inadempimenti) funzione di tutelare l’interesse della stazione appaltante a scegliere un contraente affidabile e a selezionare, con l’attribuzione del relativo punteggio, un’offerta seria. Portando ad estreme conseguenze l’argomento dell’appellante si avrebbe che l’offerente – in base ad una valutazione di convenienza economica – potrebbe deliberatamente offrire una prestazione impossibile, pur di aggiudicarsi la commessa, salvo monetizzare in termini di penali i propri inadempimenti: il che, a tacer d’altro, altererebbe un corretto esplicarsi della dinamica concorrenziale sottesa al procedimento di evidenza pubblica e frustrerebbe l’interesse dell’Amministrazione a selezionare il miglior contraente e la migliore offerta cui il medesimo procedimento è pure funzionale. Altro è infatti l’imprevisto ed episodico mancato rispetto degli impegni negoziali ed altro è una proposta contrattuale fondata su impegni a priori non mantenibili, o comunque con la riserva di verificarne l’effettiva praticabilità a valle” (cfr. Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 4225 del 26 maggio 2022 – par. 5.1.).
Modalità di stipulazione del contratto in caso di affidamento diretto e di procedura negoziata senza bando (art. 18 , art. 50 d.lgs. 36/2023)
Quesito: L’art. 18 comma 1 primo capoverso del D.Lgs. 36/2023 prevede a pena di nullità quattro distinte forme di stipulazione del contratto: i) modalità elettronica, ii) forma pubblica amministrativa, iii) atto pubblico notarile informatico e iv) scrittura privata. Il secondo capoverso dell’art. 18 comma 1 indica invece per le procedure negoziate e gli affidamenti diretti, quale forma di stipulazione la “corrispondenza secondo l’uso commerciale, consistente in un apposito scambio di lettere (…)”. La formulazione letterale del secondo capoverso (con verbo sottinteso e priva di locuzioni quali “anche” o “in alternativa”) non consente di comprendere se per le procedure negoziate e gli affidamenti diretti la stipulazione del contratto mediante corrispondenza costituisca un obbligo o, al contrario, solo una facoltà rispetto alle forme indicate nel capoverso precedente. Tutto ciò premesso, si chiede, pertanto, se: – le forme di stipulazione del contratto previste dall’art. 18 comma 1 primo capoverso del D.Lgs. 36/2023 e, in particolare, la stipulazione in forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante della stazione appaltante possano essere utilizzate anche per le procedure negoziate e gli affidamenti diretti.
Risposta aggiornata: La risposta al quesito è negativa. In questo senso è sia la finalità – sottesa al nuovo Codice – di semplificare le procedure sotto-soglia europea , sia il dato letterale del citato primo comma dell’art. 18, il quale ultima prevede, in disparte nel secondo capoverso, una disciplina per la stipula del contratto appositamente dedicata alle negoziate e agli affidamenti diretti. (Parere MIT n. 2341/2024)
Documenti che fanno parte integrante del contratto (art. 18 d.lgs. n. 36/2023)
Quesito: L’articolo in oggetto indica che “… i capitolati e il computo metrico estimativo, richiamati nel bando o nell’invito, fanno parte integrante del contratto”. La stipula contrattuale, ai sensi del medesimo articolo 18, comma 1, avviene con un apposito scambio di lettere secondo l’uso del commercio per le procedure negoziate o gli affidamenti diretti e con una scrittura privata per le procedure ordinarie sopra e sotto soglia. A livello operativo, a parere di questa Stazione Appaltante, in entrambi i casi parrebbe possibile sempre optare per una delle seguenti due opzioni elaborando, il predetto atto negoziale (scrittura privata con firma congiunta nel medesimo documento o ordine oggetto di scambio di lettere), in un unico file pdf contenente al suo interno: OPZIONE 1 – le condizioni amministrative di gara e tutta la corposa documentazione tecnica quale il capitolato, il computo metrico, la relazione, il PSC, le mappe di progetto, etc.; OPZIONE 2 – una snella sintesi di tutte le principali condizioni amministrative di gara corredate, per quanto concerne la parte tecnica, solamente da un elenco analitico degli elaborati presenti nella ricerca di mercato (già in possesso della controparte poiché scaricati dalla piattaforma telematica utilizzata per lo svolgimento della procedura) i quali, seppur non materialmente allegati al contratto ma solo richiamati, fanno comunque parte integrante dello stesso. Si chiede conferma della corretta interpretazione normativa prospettata.
Risposta: Al fine di fornire risposta al quesito, si rappresenta che i predetti documenti possono anche non essere materialmente allegati al contratto, ma devono comunque essere richiamati nel contratto, conservati dall’Ente appaltante e sottoscritti dei contraenti. (Parere MIT n. 2089/2023)
Stipulazione e sottoscrizione del contratto per appalti sopra e sotto soglia nel nuovo Codice (art. 18 d.lgs. n. 36/2023)
Quesito: L’articolo in oggetto indica che, la stipula del contratto per le procedure diverse dalle negoziate ed affidamenti diretti, può avvenire tramite scrittura privata in modalità elettronica. Si ritiene che, a livello operativo, la sottoscrizione di tale atto negoziale possa avvenire con scambio a mezzo PEC, del medesimo documento in formato pdf, finalizzato all’acquisizione della firma digitale dei due contraenti sull’unico file. A seguito di tale procedura, potrebbero quindi verificarsi le seguenti tre situazioni: 1 – il documento risulterà firmato in CADES ossia in p7m. Tale formato non genera alcuna stampigliatura quindi, lo stesso, apparirà visivamente “vuoto” ossia privo di firme poiché riscontrabili solo tramite l’utilizzo del programma “kit firma digitale”; 2 – l’atto negoziale risulterà firmato in PADES, modalità che rilascia le stampigliature “digitalmente firmato” con nominativo del firmatario, data e ora, tutte verificabili in modo visivo; 3 – la scrittura privata viene firmata analogicamente dall’operatore economico (OE), scansionata in pdf ed inoltrata tramite PEC alla Stazione Appaltante (SA). Quest’ultima, una volta stampato e controfirmato il documento sempre in modalità analogica, provvederà ad effettuarne la definitiva scansione per il successivo invio, sempre a mezzo PEC, all’OE. Tutti e tre i casi parrebbero conformi alla norma poiché, in ciascuno di essi, si verificano integralmente le prescrizioni per una corretta stipula contrattuale, indicate dall’allegato I.1, art. 3, comma 1, lett. b). Si chiede conferma della corretta interpretazione normativa prospettata e di chiarire se, le date delle firme digitali dei due contraenti, possano eventualmente non coincidere con quella della scrittura privata stipulata (Es.: scrittura privata n. 10 del 24/07/2023, digitalmente firmata dalla SA in data 25/07/2023 e controfirmata dall’OE in data 26/07/2023).
Risposta: L’art. 18, co. 1, primo capoverso, D.lgs. 36/2023 riporta una dicitura non dissimile rispetto a quella contenuta nel previgente art. 32, co. 14, primo capoverso, d.lgs. 50/2016. Ad ogni modo, qualora la stipula del contratto avvenga, in modalità elettronica, per il tramite di scrittura privata, è corretto ritenere che lo scambio di quest’ultimo – previa estrazione di sua copia informatica – avvenga mediante l’uso delle caselle di posta elettronica certificata facenti capo alla stazione appaltante e all’operatore economico. Per quanto riguarda l’apposizione della firma, poi, si rileva che il citato art. 18 D.lgs. 36/2023 rinvia alle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, il quale all’art. 20, co. 1-bis, recita che “il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID ai sensi dell’articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore”. Orbene, la predetta disposizione fa riferimento alla firma digitale, ad altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata; nella stessa direzione, in alternativa alla firma digitale, richiede la previa identificazione informatica del suo autore, identificazione che può ritenersi assolta in caso di uso di pec. Tanto premesso, l’interpretazione prospettata è coerente con la normativa richiamata, con l’unica accortezza che in caso di firma analogica, al contratto dovrà essere allegato copia del documento di riconoscimento del firmatario. Da ultimo, in caso di non coincidenza delle date delle firme digitali con quella indicata nel contratto, si rileva che la data di efficacia di quest’ultimo sarà quella indicata dalle firme. (Parere MIMS n. 2080/2023)
Aggiudicatario formula riserve sul contratto prima della sottoscrizione : legittima revoca dell’ aggiudicazione
Consiglio di Stato, sez. III, 28.02.2023 n. 2043
3 – Secondo l’appellante il TAR non si sarebbe avveduto che non si era verificato alcun “mancato adempimento dell’obbligo di sottoscrizione del contratto per fatto e colpa dell’aggiudicatario” tale da giustificare la revoca dell’aggiudicazione, atteso che l’unico dato da considerare sarebbe stata l’intervenuta sottoscrizione del contratto da parte dell’appellante. A fronte di ciò, le riserve e le “comunicazioni intervenute tra le parti” non avrebbero “valore ai fini della valutazione circa l’avvenuta stipula o meno del contratto perché esse sono esterne al contratto e non possono incidere sul contratto medesimo”. Anche le riserve trasmesse all’Azienda, proprio perché contenute in files separati rispetto al contratto, “non comportano, né potrebbero, modifica al contratto medesimo, non costituiscono proposte contrattuali e tanto meno inficiano il contenuto e/o la validità del contratto che […] è stato sottoscritto nella versione originale trasmessa dall’A.O.U. senza modifiche”.
4 – Secondo la prospettazione di parte appellante deve trovare applicazione la giurisprudenza che ha ricostruito la disciplina applicabile in materia di formazione dei contratti che hanno come parte una p.a. nel senso della non derogabilità dell’obbligo di legge della forma scritta prevista ad substantiam, con la conseguente esigenza che la volontà delle parti sia consacrata in un “unico documento” sottoscritto contestualmente dalle parti medesime, conseguendone la irrilevanza, tamquam non esset, di ogni dichiarazione o documento allegato, così come nel caso considerato, a quello debitamente sottoscritto.
5- Considera peraltro il Collegio che l’obbligo di legge della forma scritta, posto a tutela del rispetto dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, non consente di prescindere dalle norme civilistiche che, per finalità – non in contrasto con le precedenti – di tutela della volontà e della buona fede delle parti, impongono una valutazione integrata delle singole clausole contrattuali alla luce delle altre clausole negoziali provenienti dalle parti e attribuiscono rilevanza al comportamento negoziale di ciascuna parte.
6 – La stessa giurisprudenza citata dall’appellante non appare decisiva ai fini della decisione essendo, in realtà, diretta a circoscrivere ai soli casi eccezionali previsti dalla legge la possibilità che la formazione del consenso ex articolo 1326 c.c. – come di regola può avvenire per i contratti tra privati – possa aver luogo mediante scambio di distinti documenti contenenti proposta e accettazione, ma oggi l’articolo 32, comma 14, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ammette tale modalità – tra l’altro – proprio nei casi di procedura negoziata, come quello che qui occupa.
Inoltre, il predetto indirizzo giurisprudenziale è stato di recente superato dalla giurisprudenza di legittimità, che ha ritenuto di recuperare quello più risalente in base al quale non è sempre necessario, men che mai a pena di nullità, che il consenso delle parti sia racchiuso in un unico documento, potendo questo discendere anche da dichiarazioni separate dalle quali comunque sia chiaro l’incontro di proposta e accettazione su un medesimo contenuto contrattuale (cfr. Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2022, n. 9775).
7 – Ritenuta quindi la rilevanza negoziale, alla stregua di un elementare principio di buona fede, delle considerazioni sottoscritte e inviate dall’impresa appellante circa la propria futura esecuzione del regolamento negoziale appena stipulato, viene in esame il tenore delle predette affermazioni, secondo le quali (come testualmente scritto nella nota trasmessa prima della sottoscrizione e sostanzialmente ribadito dalla nota trasmessa dopo la sottoscrizione) “alcuni profili, tecnici ed economici (…) ove non modificati, comportano una oggettiva impossibilità di eseguire le lavorazioni affidate” conseguendone la richiesta di “voler rivedere i prezzi di contratto al fine di riequilibrare i termini dell’appalto, riconducendone ad equità l’importo e così rendendo sostenibile l’esecuzione dei relativi lavori, anche rispetto alle variazioni rilevate di cui al citato allegato tecnico”.
8 – Pertanto, del tutto correttamente l’Amministrazione e il TAR hanno ritenuto nella specie che le “osservazioni preliminari” che avevano accompagnato la sottoscrizione del contratto fossero tali da far considerare non perfezionato il sinallagma contrattuale, considerato che in esse era chiaramente rappresentata la “impossibilità” di dar corso all’esecuzione dei lavori in mancanza delle “modifiche contrattuali richieste”, configurandosi una richiesta di mutamento del regolamento contrattuale rispetto a quello che fin dal momento dell’offerta l’impresa si era obbligata ad accettare, con la conseguenza chi si era in presenza non di un’accettazione ma di una controproposta.
9 – Dalle pregresse considerazioni discende la legittima – ed anzi doverosa – applicazione degli strumenti di autotutela attivabili, in caso di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell’aggiudicatario, a tutela dell’interesse pubblico al rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione.
10 – In conclusione, a giudizio del Collegio l’appellante, che aveva ottenuto l’aggiudicazione offrendo un forte ribasso, pur non avendo chiesto chiarimenti in sede di gara ha corredato la sottoscrizione del contratto di riserve, perizie e rilievi univocamente interpretabili nel senso della volontà dell’impresa di non voler o non poter dare seguito alle obbligazioni contrattuali alle condizioni pur sottoscritte, in palese violazione dei fondamentali principi di buona fede e di diligenza professionale che devono, invece guidare i rapporti fra le parti anche nella contrattazione pubblica, potendo e dovendo l’Amministrazione, in tal caso, attivare tutti gli strumenti giuridici in proprio possesso a tutela dell’interesse pubblico perseguito ed anche al fine di evitare i conseguenti ineludibili profili di responsabilità erariale.
Possibile rinegoziare offerta aggiudicataria per aumento costi dei materiali prima della stipulazione del contratto : presupposti
Il Collegio è cosciente che sul punto non vi sia unità di vedute, anche in giurisprudenza.
Secondo un primo e più tradizionale orientamento, infatti, non può trovare accoglimento la domanda di modifica delle pattuizioni prima di procedere alla stipulazione del contratto. Secondo tale indirizzo il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni dell’appalto modifiche che lo rendano sostanzialmente diverso rispetto alla sua configurazione iniziale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 31/10/2022, n 9426 che richiama la sentenza della CGCE del 19 giugno 2008, pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06, EU:C:2008:351, punti da 34 a 37).
È pur vero che a tale orientamento se ne affianca un altro, che il Collegio ritiene di condividere, che parte dalla constatazione per cui la legislazione in materia di appalti pubblici è sì ispirata al rispetto del principio di tutela della concorrenza e parità di trattamento, ma è anche informata ai criteri di efficacia ed economicità che, in presenza di particolari circostanze, possono condurre alla rinegoziazione delle condizioni contrattuali sia in corso d’esecuzione che prima della stipula del contratto (Cons. Stato, sez. V, 11.04.2022, sent. n. 2709).
Costituisce oramai consolidato principio quello secondo il quale l’immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto e le variazioni contrattuali non violano sempre e comunque i principi fondamentali in materia di evidenza pubblica (cfr. Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14).
Questo Tribunale ha già avuto modo di statuire che sussiste “un legittimo margine di valutazione (il cui ambito, come infra chiarito, per le rinegoziazioni risulta obiettivamente circoscritto dalla normativa) in capo all’amministrazione tra l’alternativa di rifare appello al mercato (con le diseconomie e i rischi già evidenziati) ovvero tentare (nei limiti consentiti dall’art. 106) di ricondurre il contratto ad utilità […] la scelta dell’amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto si configura in fondo come prudente, poiché, posto che la rinegoziazione implica ovviamente l’accordo della controparte, ove tale accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe rafforzata in capo all’amministrazione una possibilità di revoca fondata sulle sopravvenienze organizzative e su un ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28/06/2021, n. 667).
Più di recente è stata affermata la legittimità della rinegoziazione delle offerte nella fase precedente la stipula del contratto. “Il Collegio condivide altresì gli assunti dottrinali favorevoli a questa seconda impostazione ermeneutica, che richiamano, da un lato, la correttezza del ricorso all’analogia essendovene tutti presupposti, di cui all’art. 12 disp. prel. c.c., quali la lacuna dell’ordinamento, in quanto non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto e l'”eadem ratio”; dall’altro, la corretta applicazione del principio di economicità, dunque di buon andamento, dell’amministrazione (richiamato dall’art. 30, comma 1, del codice dei contratti pubblici), perché scongiura una riedizione della procedura, che diversamente s’imporrebbe in tutti i casi di modifica, ancorché non “essenziale”, delle condizioni” (T.A.R. Sardegna, 16.11.2022, sent. n. 770).
Ciò conduce a sostenere altresì che una richiesta di rinegoziazione deve essere presa in considerazione, al ricorrere di particolari circostanze di fatto che ne evidenzino la ragionevolezza e la plausibilità, risultando irragionevole accettare l’azzeramento degli esiti di una procedura di affidamento in assenza di specifiche e sostanziali illegittimità che la affliggano, come nel caso di specie.
La stessa stazione appaltante, del resto, ha preso in considerazione e si è resa disponibile ad aggiornare i prezzi del successivo contratto in corso di esecuzione, accettando il rischio di avviare prestazioni contrattuali in condizioni di disequilibrio economico che ragionevolmente sono foriere di contestazioni in corso d’opera e generano ostacoli al raggiungimento del risultato atteso, vale a dire il buon funzionamento dell’infrastruttura in manutenzione.
Tale opzione oltre a non tutelare maggiormente l’interesse alla parità di trattamento degli altri operatori e, in generale, il regolare svolgersi del gioco concorrenziale, non garantisce neanche l’efficacia dell’azione amministrativa.
Le considerazioni cui giunge la giurisprudenza citata, pertanto, si attagliano al caso di specie, in cui risulta apprezzabile il tempo intercorso tra la formulazione/presentazione dell’offerta e l’avvio delle prestazioni contrattuali. È chiaro che la considerazione e le valutazioni in ordine alla incidenza del tempo trascorso debbano essere considerate caso per caso, in relazione al contesto economico in cui gli operatori si trovano ad operare e possono variare anche sensibilmente da un momento storico all’altro.
Costituisce pertanto onere dell’amministrazione assicurarsi di giungere alla stipula di un contratto in condizioni di equilibrio, valutando ogni sopravvenienza segnalata dagli operatori economici partecipanti alla gara che, alla luce del quadro normativo vigente e del contesto socio economico, appaia in grado di alterare tali condizioni, adottando le misure necessarie a ristabilire l’originario equilibrio contrattuale.
Resta fermo che debba trattarsi di sopravvenienze imprevedibili, estranee anche al normale ciclo economico, in grado di generare condizioni di shock eccezionale, come avvenuto nel caso di specie.
E’ invece preclusa la negoziazione di modifiche che non mirino al recupero dell’equilibrio iniziale del contratto cha la gara stessa perseguiva ma che si presentino in grado di estendere in modo considerevole l’oggetto dell’appalto ad elementi non previsti, alterare l’equilibrio economico contrattuale originario in favore dell’aggiudicatario, rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto (nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, avrebbe potuto verosimilmente risultare aggiudicatario un altro offerente oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi).
La Stazione Appaltante può imporre all’ aggiudicatario un termine perentorio per l’ invio della documentazione necessaria alla stipulazione del contratto d’ appalto (anche in mancanza di espressa previsione nella lex specialis)
Consiglio di Stato, sez. V, 11.10.2022 n. 8685
Contrariamente a quanto si sostiene col primo motivo di appello, la condotta ed il provvedimento della stazione appaltante sono legittimi, essendo irrilevante che si ritenga applicabile l’art. 83, comma 9, ovvero l’art. 85, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016.
7.1. La circostanza che si tratti di un requisito di ammissione, che va non soltanto dichiarato, ma anche comprovato, in corso di gara, induce a ritenere che la sua mancata tempestiva dimostrazione ricada nell’ambito di applicazione del soccorso istruttorio di cui all’art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016 (disposizione riprodotta nella clausola n. 17, comma 1, e specificata nei commi 2-5, del disciplinare di gara).
Depone in tal senso la constatazione che l’art. 83, comma 9, del Codice dei contratti pubblici non fissa un termine ultimo per l’esercizio del soccorso istruttorio in sede di gara, quale potrebbe essere, ad esempio, l’adozione del provvedimento di aggiudicazione, poiché tale attività è correlata al momento in cui la stazione appaltante valuta la regolarità e completezza della documentazione fornita; ne segue che se la valutazione è compiuta per l’offerente per la prima volta in fase di verifica va consentito alla stazione appaltante di richiederne la regolarizzazione o integrazione (così Cons. Stato, V, 2 novembre 2021, n. 7302).
In senso contrario non vale richiamare, come fanno le appellanti, la sentenza di questa Sezione V, 16 gennaio 2020, n. 399, poiché riferita ad un caso di soccorso istruttorio attivato per porre rimedio ad una carenza del requisito (garanzia provvisoria) sopravvenuta alla gara, per cui era stato concesso dalla stazione appaltante un termine risultato superiore a dieci giorni.
D’altronde, la giurisprudenza riconosce, in linea di principio, la possibilità di attivare il soccorso istruttorio anche dopo l’aggiudicazione, nel caso in cui, dichiarato il possesso dei requisiti di capacità economica – finanziaria e tecnico – professionale, il concorrente, in sede di comprova, produca documentazione insufficiente o incompleta o errata, comunque, inidonea a dimostrare il requisito così come posseduto e dichiarato all’atto di presentazione della domanda di partecipazione (cfr. Cons. Stato, V, 22 febbraio 2021, n. 1540).
7.2. Inoltre, si è ritenuto che, anche nel vigore del codice attuale e pur in mancanza di espressa previsione nella lex specialis, è consentito alla stazione appaltante imporre un termine perentorio per l’invio della documentazione necessaria ai fini della stipula del contratto d’appalto (eventualmente anche ai sensi dell’art. 85, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016), rendendosi anzi necessario ad evitare l’indefinito protrarsi della fase evidenziale precedente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2018, n. 738); il principio (riaffermato da Cons. Stato, V, 2 novembre 2021, n. 7302) vale a maggior ragione nel caso, come quello in esame, in cui la fissazione di un termine era stabilita dalla legge di gara.
Obbligo della Stazione Appaltante di comunicare la volontà di stipulare o meno il contratto dopo l’aggiudicazione
Occorre premettere come la giurisprudenza abbia ormai da tempo affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa con riferimento allo spatium temporale che va dall’aggiudicazione della pubblica gara alla stipula del contratto (in tal senso, per tutte, Sezioni Unite, 11 gennaio 2011, n. 391, secondo cui “nelle procedure connotate da concorsualità aventi ad oggetto la conclusione di contratti da parte della p.a. spetta al giudice amministrativo la cognizione dei comportamenti ed atti assunti prima dell’aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, tra tali atti essendo compreso anche quello di revoca della aggiudicazione stessa”).
L’aggiudicazione non determina, infatti, l’insorgenza di vincoli negoziali o, comunque, di obblighi civilistici alla conclusione del contratto, sicché la situazione soggettiva facente capo al privato deve qualificarsi d’interesse legittimo.
Ne consegue l’ammissibilità dell’azione avverso il silenzio, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a ., per contrastare l’inerzia serbata dall’amministrazione sulla richiesta di contrattualizzazione e, dunque, ottenere la declaratoria di un relativo obbligo di provvedere in capo alla stazione appaltante ( in tal senso, da ultimo, T.A.R. Lazio, Latina, Sezione I, n. 569/2021).
A ciò si aggiunga come l’obbligo giuridico di provvedere sulle istanze dei privati sia ad oggi riconosciuto non solo nei casi espressamente contemplati dalla legge, ma anche in ipotesi ulteriori nelle quali specifiche ragioni di giustizia ed equità impongano l’adozione di un provvedimento espresso oppure tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’amministrazione (per tutte, da ultimo, Consiglio di Stato, Sezione VI, 18 maggio 2020, n. 3120).
Ne consegue che, nel caso di specie, a fronte dell’intervenuta aggiudicazione della procedura in favore della società ricorrente, vi sia un obbligo giuridico della stazione appaltante di determinarsi, esprimendo e comunicando la definitiva la volontà di stipulare o meno il contratto in questione e, in caso affermativo, invitando la società alla sottoscrizione dello stesso.
L’obbligo giuridico di provvedere non ha, dunque, ad oggetto la conclusione del contratto – esito questo a cui l’amministrazione non è vincolata – bensì la determinazione, di natura prettamente autoritativa e come tale equiparabile ad un provvedimento, della volontà di addivenire o meno alla sua stipulazione.
Accesso civico generalizzato ai documenti della fase di esecuzione del contratto – Operatività – Limiti – Riservatezza degli interessi economici e commerciali
TAR Salerno, 01.07.2022 n. 1898
9. – Così tratteggiati, in estrema sintesi, gli argomenti e i rilievi opposti dalla P.A. e dal controinteressato al riconoscimento, nel caso di specie, dell’operatività dell’accesso civico generalizzato, giova osservare come l’istanza ostensiva formulata da parte ricorrente riguardi “la visione e l’estrazione in copia di tutti – e proprio tutti – i documenti amministrativi/contabili relativi alla fase successiva alla risoluzione contrattuale e, pertanto, alla fase esecutiva dell’affidamento, ivi compresi a mero titolo esemplificativo: […].
9.1. – Anzitutto, diversamente da quanto affermato dal consorzio -OMISSIS-, nel caso di specie non paiono sussistere dubbi, vista anche la natura degli atti richiesti alla P.A., sulla coerenza dell’esigenza conoscitiva del ricorrente rispetto alle finalità alle quali è preordinata la previsione dello strumento dell’accesso civico generalizzato, segnatamente la sua strumentalità rispetto allo scopo di favorire “forme di controllo […] sull’utilizzo delle risorse pubbliche”. I dati e i documenti richiesti in ostensione attengono a scelte amministrative, all’esercizio di funzioni istituzionali, all’organizzazione e alla spesa pubblica, sicché ben possono essere considerati di interesse pubblico e, quindi, conoscibili, a meno di rinvenire concomitanti interessi pubblici e privati prevalenti da salvaguardare, che qui non ricorrono.
9.2. – La richiesta di ostensione non si presta, obiettivamente, d’altro canto, a essere qualificata come emulativa ovvero quale atto in cui si concreterebbe una sorta di abuso del diritto di accesso civico generalizzato e il richiesto accesso nemmeno risulta ictu oculi sproporzionato o manifestamente oneroso, né tale da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il corretto funzionamento dell’amministrazione (Cons. di Stato, Sez. V, n. 5714/2021).
9.3. – Quanto alla rilevanza che assume la tutela della riservatezza degli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, nella citata decisione n. 10 del 2020 della Adunanza plenaria si afferma che l’istituto dell’accesso civico generalizzato trova applicazione anche per le procedure di esecuzione degli appalti pubblici, ferma restando, tuttavia, la verifica di compatibilità del suddetto accesso con le eccezioni di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, d.lgs. n. 33 del 2013 e, tra queste, proprio con quella, rilevante nel caso di specie, costituita dalla necessità di “evitare un pregiudizio concreto alla tutela […] [de]gli interessi economici e commerciali di una persona […] giuridica”, rispetto ai quali deve dunque essere costantemente operato, a tale ultimo riguardo, un adeguato “bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza” (punto 38), tenendo conto che trattasi di “limiti certamente più ampi e oggetto di una valutazione a più alto tasso di discrezionalità” (punto 9.4.).
9.4. – Vengono allora in evidenza, rispetto all’accesso documentale “classico”, sul piano della “intensità”, “pretese meno incisive di quelle veicolate dall’accesso documentale”, posto che – in presenza di contro-interessi rilevanti – “lo scrutinio di necessità e proporzionalità appare orientato dalla massimizzazione della tutela della riservatezza e della segretezza, in danno della trasparenza” (Cons. Stato, Sez. V, 20.3.2019, n. 1817).
10. – Ne deriva, non potendo detti interessi essere obliterati o completamente sacrificati, che la valutazione dell’Amministrazione si rivela complessivamente incongrua ed eccessiva nella misura in cui nega tout court l’ostensione richiesta dalla parte ricorrente, sull’irragionevole presupposto, sottostante al rigetto del riesame, che la divulgazione di qualsiasi documento o dato della fase esecutiva del rapporto di pubblico appalto possa, in astratto, risultare lesiva dei richiamati interessi economici e commerciali del Consorzio controinteressato.
10.1. – Il diniego di accesso opposto dal Consorzio -OMISSIS- alla ricorrente, in altre parole, estendendosi indiscriminatamente a tutti i documenti della fase esecutiva del rapporto contrattuale (e ponendosi in discontinuità con il precedente atto di assenso ad analoga richiesta ostensiva del 4.6.2021), è palesemente sproporzionato e come tale illegittimo, dovendo la P.A., all’opposto, ritenersi investita dell’obbligo di concedere l’ostensione dei documenti e delle informazioni richieste, afferenti alla fase esecutiva del pubblico appalto, fatta eccezione per quei dati o informazioni – peraltro non specificamente indicati dal Consorzio o dalla P.A. se non con un alquanto generico richiamo alle “tecniche di esecuzione dei lavori attuate” nonché agli “accordi commerciali” – che, secondo il suo prudente apprezzamento, se esibiti o rivelati, possono risultare idonei a compromettere gli interessi economici e commerciali del controinteressato.
10.2. – In conclusione, le esigenze di salvaguardia dei prospettati interessi privati di cui all’art. 5 bis, c. 2, lett. c, d.lgs. n. 33/2013 non possono certamente condurre al diniego di accesso ma al più costituire il fondamento per l’oscuramento di parte della documentazione (T.A.R. Firenze, sez. I, 24.12.2020, n. 1718), ovvero per lo stralcio di taluni specifici documenti o informazioni richieste dall’interessato.
Aggiudicazione appalto : annullamento in autotutela anche dopo la stipulazione del contratto , con caducazione automatica degli effetti negoziali
Consiglio di Stato, sez. V, 27.01.2022 n. 590
4.3. Il provvedimento impugnato è espressione e conseguenza della verifica della correttezza dell’aggiudicazione, sopravvenuta alla stipulazione del contratto, ma attinente ai presupposti dell’atto prodromico al contratto. Lo scioglimento del vincolo contrattuale non è conseguito a vizi propri del contratto e, men che meno, al mancato adempimento di prestazioni che sono oggetto delle obbligazioni convenute in contratto a carico delle parti contraenti. […]
5. Giova aggiungere che il fondamento normativo del potere pubblicistico di rimozione dell’aggiudicazione è da rinvenire nelle norme vigenti in tema di esercizio dei poteri di autotutela, in specie nell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché nell’art. 108 del d.lgs. n. 50 del 2016 (del quale è detto nell’appello).
5.1. Quest’ultima disposizione, in parte di derivazione comunitaria (cfr. Cons. Stato, Comm. Speciale, parere 1 aprile 2016, n. 855), contempla, ascrivendole ad ipotesi di “risoluzione”, ai commi 1 e 2, fattispecie attinenti all’insussistenza (originaria o sopravvenuta) dei requisiti soggettivi dell’aggiudicatario, vale a dire fattispecie che, pur sopravvenute in corso di rapporto (o il cui accertamento sia sopravvenuto alla stipulazione del contratto), attengono all’incapacità del privato di essere parte contrattuale della pubblica amministrazione (cfr. Cons. Stato, IV, 20 luglio 2016, n. 3247, in tema di interdittiva antimafia sopravvenuta alla stipulazione del contratto e riconoscimento della giurisdizione amministrativa).
5.2. Di qui il richiamo effettuato dal comma 1-bis dell’art. 108 (al fine di escludere l’applicazione dei termini relativamente alle ipotesi di “risoluzione” discrezionale del comma precedente), alla norma generale dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.
La giurisprudenza amministrativa, che qui si intende ribadire, ha d’altronde riconosciuto da tempo che la norma sull’annullamento d’ufficio consente l’intervento autoritativo dell’amministrazione anche dopo la stipulazione del contratto, onde rimuovere il provvedimento di aggiudicazione che risulti affetto da vizi (cfr. già Cons. Stato, Ad. Plen., del 20 giugno 2014, n. 14, che, dopo aver escluso che l’Amministrazione possa procedere alla revoca del contratto, di cui all’art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990, dopo la stipula del contratto stesso, ha espressamente ricordato che la possibilità dell’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva anche dopo detta stipula – al di là del richiamo, contenuto in tale pronuncia, all’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004, ora abrogato – sia «concordemente riconosciuta in giurisprudenza, con la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto per la stretta consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso»).
Il potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell’azione amministrativa anzitutto da parte della stessa amministrazione procedente, va quindi riconosciuto anche dopo l’aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto (cfr. già Cons. Stato, V, 26 giugno 2015, n. 3237), con conseguente inefficacia di quest’ultimo, stante la stessa consequenzialità tra aggiudicazione e stipulazione del contratto (così Cons. Stato, III, 22 marzo 2017, n. 1310, che ne rinviene il fondamento normativo dopo le riforme della legge n. 124 del 2015, “anche nella previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, laddove esso si riferisce anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, che non possono non ritenersi comprensivi anche dell’affidamento di una pubblica commessa”; cfr. in termini, anche Cons. Stato, V, 1 febbraio 2021, n. 938; V, 1 aprile 2019, n. 2123; V, 30 aprile 2018, n. 2601).
Annullamento del contratto per dolo dell’ appaltatore in sede di campionatura
Tribunale di Milano, 10.11.2021 n. 9127
Tale condotta, ad avviso del Tribunale, integra gli estremi del dolo contrattuale quale vizio del consenso ai sensi dell’art. 1439 c.c., a mente del quale il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe contrattato.
Il dolo, dunque, è causa di annullamento del contratto, allorché si sia concretato in artifici o raggiri o anche menzogne, che – ingenerando nella controparte una rappresentazione alterata della realtà – siano stati determinanti del consenso che altrimenti non sarebbe stato prestato (v. Cass. 2003, n. 5166, 2006, n. 6166; v. anche Cass. S.U. 1996, n. 1955, secondo la quale, a norma dell’art. 1439 c.c., il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia, quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c., con la conseguenza che a produrre l’annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull’altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest’ultima).
Ebbene, nel caso di specie, sulla scorta degli elementi acquisiti in giudizio, è emerso che l’appaltatrice -Omissis-, in sede di campionatura, non ha utilizzato il materiale convenuto.
Non vi è dubbio che, con tale condotta, -Omissis- ha posto in essere un contegno fraudolento che ha indotto -Omissis- a prestare il proprio consenso ad un contratto di appalto che non avrebbe mai concluso se avesse saputo sin dall’inizio che nella campionatura aveva utilizzato dei materiali non rispondenti.
Danno da ” minore qualità ” della seconda classificata a seguito dello scorrimento della graduatoria
Consiglio di Stato, sez. V, 27.10.2021 n. 7217
6.1. La sentenza di questo Consiglio di Stato, III, 31 agosto 2016, n. 3755, relativa ad una fattispecie di illecito rifiuto dell’aggiudicatario a stipulare il contratto con l’amministrazione appaltante, ha riconosciuto in favore di quest’ultima il risarcimento del danno pari ai maggiori esborsi di denaro conseguenti all’aggiudicazione disposta per “scorrimento” in favore del concorrente secondo classificato.
Il caso concreto è analogo al presente, non costituendo differenza significativa, ai fini dell’individuazione delle voci di danno risarcibili, la circostanza di fatto – su cui insiste l’appellante – che nel caso oggetto della citata decisione il bando di gara non avesse previsto il versamento di una garanzia provvisoria per la partecipazione alla procedura.
6.1.1. Siffatta previsione farebbe la differenza se si ritenesse che, in presenza di garanzia provvisoria obbligatoria, prestata dall’aggiudicatario in fase di gara e suscettibile di escussione, oggi, ai sensi dell’art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, non fosse possibile per la stazione appaltante agire per il risarcimento del danno effettivo e di maggior importo.
In proposito la sentenza di primo grado condivide il principio (già richiamato dalla sentenza n. 3755/2016) che la stazione appaltante può agire per ottenere il risarcimento del danno effettivo per il caso di mancato stipula del contratto imputabile all’aggiudicatario, quando esso ecceda l’importo della cauzione provvisoria.
Per questa parte la sentenza non è stata specificamente appellata.
Peraltro, il detto principio è stato già affermato in giurisprudenza da Cass. S.U. 4 febbraio 2009, n. 2634 (la quale, nel vigore dell’art. 30 della legge n. 109 del 1994 – ha configurato la cauzione provvisoria o la garanzia fideiussoria in sua sostituzione, non come clausola penale, bensì come caparra confirmatoria, che consente al beneficiario non solo di incamerare immediatamente le somme oggetto della cauzione, ma anche di agire per il risarcimento del maggior danno), nonché da Cons. Stato, IV, 22 dicembre 2014, n. 6302, sia pure con affermazione incidentale.
6.1.2. L’appellante critica piuttosto le voci di danno riconosciute dal primo giudice e i relativi criteri di liquidazione.
Allo scopo richiama i numerosi precedenti giurisprudenziali anche di questo Consiglio di Stato, tra cui la sentenza 28 gennaio 2019, n. 697, che riguardano pretese risarcitorie avanzate nei confronti della pubblica amministrazione per responsabilità precontrattuale della stazione appaltante per la mancata stipulazione del contratto di appalto.
Orbene, il Collegio condivide l’affermazione ripetuta dalla giurisprudenza amministrativa (anche nella sentenza n. 697/19, citata dall’appellante, nonché in altre precedenti e successive, tra cui, da ultimo Cons. Stato, V, n. 5274/21) che, in tale fattispecie, i danni sono limitati al solo interesse c.d. negativo, ravvisabile, nel caso delle procedure ad evidenza pubblica, nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative.
6.1.3. Tuttavia si ritiene che, nel caso in cui non si addivenga alla stipulazione del contratto per fatto colpevole dell’aggiudicatario, la responsabilità di quest’ultimo non si fonda sulla lesione del diritto di autodeterminarsi liberamente nell’attività negoziale, che la detta giurisprudenza pone a fondamento della responsabilità precontrattuale della p.a. e che tipicamente fa capo al soggetto privato.
E’ evidente che tale posizione giuridica soggettiva non è predicabile nei confronti dell’Amministrazione aggiudicatrice, atteso che questa, in quanto tenuta, nella scelta del contraente, al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica non gode della medesima “libertà di autodeterminazione” del privato, se non, come già affermato in giurisprudenza “nel senso della tutela dell’affidamento riposto nel buon esito delle procedure, scongiurando fattori di indebito procrastinamento della definizione delle stesse e conseguentemente dell’interesse pubblico sotteso all’attivazione della procedura concorsuale” (così testualmente Cons. Stato, II, 31 dicembre 2020, n. 8546).
In definitiva, la responsabilità del privato aggiudicatario per la mancata stipulazione del contratto a lui imputabile non trova la sua fonte diretta nella violazione dei canoni generali della correttezza e della buona fede nelle trattative precontrattuali: nel caso in cui sia il comportamento colpevole del privato aggiudicatario a compromettere il buon esito della procedura, non è possibile adoperare “a parti rovesciate” le stesse categorie concettuali e giuridiche elaborate dalla giurisprudenza in tema di responsabilità della pubblica amministrazione verso il privato.
Piuttosto va tenuto presente che è la stessa legge a sancire che l’aggiudicatario “decaduto” debba rispondere per la “mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione” dovuta ad ogni fatto a lui riconducibile (art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016) ed a prevedere (all’art. 32, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016) che l’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine a disposizione della stazione appaltante per addivenire alla stipula (nel caso di specie rispettato, secondo quanto accertato con sentenza passata in giudicato)
Il privato offerente, pertanto, una volta intervenuta l’aggiudicazione è obbligato alla stipulazione del contratto.
Si tratta di un’obbligazione, che trova la sua ratio nella tutela dell’interesse pubblico alla sollecita definizione della procedura di affidamento e la sua fonte, non nel contratto (non ancora stipulato), bensì nel fatto di essere aggiudicatario all’esito di una pubblica gara. Si tratta di un fatto che, ai sensi dell’art. 1173 cod. civ., si pone come “idoneo a produrre” la relativa obbligazione di stipulare il contratto.
In sintesi, l’amministrazione – come bene osserva la Toscana Aeroporti negli scritti difensivi – gode di una tutela “rafforzata” rispetto a quella di cui gode il privato aggiudicatario nei suoi confronti, nella stessa fase che precede la stipulazione del contratto.
E’ peraltro il caso di sottolineare che la peculiare disciplina normativa rende inapplicabile alla fattispecie lo strumento civilistico dell’art. 2932 cod. civ., poiché la formazione e la stipulazione dei contratti pubblici sono per legge soggette a requisiti procedimentali e formali che ne rendono impraticabile la costituzione per sentenza.
Conseguentemente, quando l’obbligazione ex lege del privato di addivenire alla stipulazione del contratto rimanga inadempiuta per fatto dell’aggiudicatario, questi è soggetto all’escussione della garanzia prestata per la partecipazione alla gara e, se l’inadempimento sia a lui imputabile anche a titolo di colpa, è tenuto al risarcimento del danno in misura pari all’eccedenza rispetto alla già prestata cauzione (arg. ex art. 1218 c.c.).
Di qui la risarcibilità della lesione non solo del c.d. interesse negativo, ma anche dell’interesse c.d. positivo dell’amministrazione correlato alla già intervenuta individuazione del futuro contraente.
Restano con ciò superati i rilievi critici dell’appellante, mentre la motivazione della sentenza va integrata come sopra.
6.1.4. Il danno risarcibile è quindi pari –come riconosciuto in sentenza – al pregiudizio sofferto dall’amministrazione, stazione appaltante, per il maggior prezzo di aggiudicazione, a seguito di nuova gara (cui si aggiunge il rimborso delle spese di indizione di tale nuova gara) ovvero a seguito dello “scorrimento” della graduatoria.
Poiché quest’ultimo comporta l’aggiudicazione al concorrente che segue l’aggiudicatario “decaduto” alle condizioni dallo stesso proposte, il danno risarcibile è commisurabile non solo ai maggiori esborsi di denaro cui è esposta la stazione appaltante, ma, sussistendone le condizioni, al pregiudizio per l’eventuale inferiore qualità della prestazione.
6.2. Nel caso di specie, il danno corrispondente al maggior prezzo di aggiudicazione è stato quantificato nell’importo, in sé non contestato, di € 51.300,00, pari alla differenza delle offerte economiche.
Va disattesa la pretesa della società -Omissis- di eliminazione o riduzione della quantificazione del danno in applicazione dell’art. 1227, comma 2, cod. civ., invocata anche in appello.
Ribadita la portata eccezionale dell’art. 140 del d.lgs. n. 163 del 2006 (non applicabile quindi alla fattispecie oggetto del presente contenzioso), la scelta della stazione appaltante di fare scorrere la graduatoria, invece di indire una nuova gara non è censurabile sotto nessuno dei profili addotti dall’appellante, atteso che:
-non sussisteva alcun obbligo in tal senso, trattandosi di scelta discrezionale rimessa alla stazione appaltante, sulla cui legittimità si è tra l’altro pronunciata, con efficacia di giudicato esterno, la sentenza del T.a.r. Toscana n. 1119/2015, avente ad oggetto anche il provvedimento di aggiudicazione in favore di -Omissis-;
-dal punto di vista dell’entità del risarcimento, l’appellante non ha fornito la prova, nemmeno indiziaria, che la scelta di indire una nuova gara sarebbe stata meno onerosa per la stazione appaltante; all’opposto, tale scelta (oltre ad esporre l’amministrazione all’eventuale ricorso della -Omissis-, che aveva formulato un’offerta peggiore di quella della -Omissis-, ma comunque rispondente alle richieste della lex specialis) avrebbe certamente comportato i maggiori oneri procedimentali connessi all’indizione della nuova gara ed i maggior esborsi dovuti alla proroga del servizio da parte del precedente gestore od al rifiuto di questi di gestire in proroga.
In definitiva, non è addebitabile alla stazione appaltante alcun comportamento rilevante ai sensi dell’art. 1227, comma 2, cod. civ.
6.3. Resta da dire della voce di danno “da minore qualità” dell’offerta della seconda aggiudicataria, che il primo giudice ha accolto nell’an, pur riducendo considerevolmente il quantum richiesto dalla stazione appaltante e pervenendo quindi a liquidare la somma di € 20.520,00, a fronte di quella richiesta di € 106.947,00.
Trattandosi di danno di difficile, se non impossibile, liquidazione nel suo preciso ammontare, s’impone la valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ.. La tipologia di danno comporta che vada eseguita una comparazione qualitativa tra le due offerte in competizione.
Il metodo seguito dal primo giudice è stato quello di maggiorare il danno emergente già liquidato di una percentuale corrispondente a quella della differenza del punteggio attribuito alle due offerte tecniche (28 punti per la società -Omissis- contro i 16,6 punti della società -Omissis-).
Si tratta di un metodo che non è stato specificamente contestato dall’appellante, la quale, con l’atto di appello, si è limitata a censurare il risultato come “abnorme e sproporzionato”. La censura presenta evidenti profili di inammissibilità, per violazione del canone di specificità di cui all’art. 101, comma 1, cod. proc. amm.
Peraltro, nel merito, non si riscontrano l’irragionevolezza e la sproporzione lamentate in appello sol che si consideri che, come osserva la difesa di -Omissis-, la differenza di punteggio tra le due offerte è dipesa dalla migliore valutazione ottenuta da -Omissis- per tutti e tre i criteri relativi all’offerta tecnica. In particolare, l’offerta dell’aggiudicataria, poi decaduta, è stata giudicata più apprezzabile sia per le “proposte migliorative” (primo criterio), che per le “caratteristiche tecniche dei mezzi messi a disposizione per l’appalto” (secondo criterio) e per la “maggiore esperienza determinata attraverso la quantità di contratti gestiti nel triennio precedente al bando” (terzo criterio). Orbene, pur nell’inevitabile opinabilità della liquidazione equitativa c.d. pura, si tratta di prestazioni integrative o di elementi qualitativi significativi di cui la -Omissis- è stata privata a causa della “decadenza” della -Omissis-.
6.4. Va perciò confermata la sentenza di primo grado anche in punto di quantificazione dei danni risarcibili.
Inefficacia del contratto di appalto
CGA Regione Sicilia, 08.10.2021 n. 841
La dichiarazione di inefficacia del contratto non costituisce un effetto automatico dell’annullamento dell’aggiudicazione, ma può conseguire ad una specifica valutazione effettuata dal giudice che ha annullato l’aggiudicazione, sulla base degli elementi di valutazione indicati dall’art. 122 c.p.a..
Nella materia dei contratti pubblici, l’illegittimità dell’azione amministrativa, che si sia risolta nell’annullamento dell’aggiudicazione, prospetta, alla stregua dell’art. 124 c.p.a., una articolata struttura rimediale rimessa, in base all’ordinario canone dispositivo, alla domanda di parte (cfr. artt. 30, 40, comma 1 lettere b) ed f), 41 e 64 cod. proc. amm., in relazione all’art. 99 cod. proc. civ. e 2907 cod. civ.).
In particolare – contestualmente alla impugnazione, a mezzo di “azione di annullamento” (art. 29 cod. proc. amm.), ad esito prospetticamente demolitorio, dei “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento” (art. 119, comma 1 lettera a) e 120 cod. proc. amm.) – è rimessa all’impresa pregiudicata l’opzione:
a) per una “tutela in forma specifica”, a carattere integralmente satisfattorio, affidata alla domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto (art. 124, comma 1, prima parte), il cui accoglimento: a1) postula, in negativo, la sterilizzazione ope judicis, in termini di “dichiarazione di inefficacia”, del contratto eventualmente già stipulato inter alios (essendo, per ovvie ragioni, preclusa una ulteriore attribuzione dell’unitario bene della vita gestito dalla procedura ad evidenza pubblica); a2) richiede, in positivo, un apprezzamento di spettanza in termini di diritto al contratto, con la certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, il ricorrente si sarebbe senz’altro aggiudicato la commessa;
b) per un “risarcimento del danno per equivalente” (art. 124, comma 1, seconda parte), e ciò: b1) sia nel caso in cui il giudice abbia riscontrato l’assenza dei presupposti per la tutela specifica (e, in particolare, non abbia ravvisato, ai sensi degli artt. 121, comma 1 e 122 cod. proc. amm., i presupposti per dichiarare inefficace il contrato stipulato ovvero, sotto distinto profilo, non abbia elementi sufficienti a formulare un obiettivo giudizio di spettanza); b2) sia nel caso in cui la parte abbia ritenuto di non formalizzare la domanda di aggiudicazione (né si sia resa comunque “disponibile a subentrare nel contratto”, anche in corso di esecuzione), nel qual caso la “condotta processuale” va anche apprezzata in termini concausali (cfr. art. 124, comma 2, in relazione al richiamato art. 1227 cod. civ.).
Insomma, ai sensi delle richiamate norme processuali, costituisce un preciso onere dell’operatore economico che intende subentrare nella posizione negoziale dell’aggiudicatario, formulare una specifica domanda di subentro nel contratto.
La dichiarazione di inefficacia del contratto, infatti, non costituisce un effetto automatico dell’annullamento dell’aggiudicazione, ma può conseguire ad una specifica valutazione effettuata dal giudice che ha annullato l’aggiudicazione, sulla base degli elementi di valutazione indicati dall’art. 122 c.p.a.
Contratto – Violazione stand still period – Inefficacia retroattiva (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)
Infine, deve essere decisa la domanda cui la ricorrente principale chiede l’accertamento della invalidità o la declaratoria di inefficacia del contratto, nonché il risarcimento dei danni, preferibilmente in forma specifica, mediante l’aggiudicazione dell’appalto e il subentro nel contratto già stipulato.
Sebbene l’Adunanza plenaria numero 10 del 2020, precedentemente richiamata, abbia, incidentalmente, fatto riferimento alla nullità del contratto stipulato con un raggruppamento di imprese illegittimamente modificato nella propria composizione, la sorte del contratto stipulato sulla base di un’aggiudicazione annullata in sede giurisdizionale deve essere decisa sulla base dei poteri conferiti al giudice amministrativo dal codice del processo amministrativo.
Il codice di rito, agli articoli 121 e 122, prevede che il giudice amministrativo, allorquando annulla l’aggiudicazione, debba o possa dichiarare l’inefficacia del contratto di appalto.
Di conseguenza, non è ammissibile la declaratoria di nullità del contratto stipulato in forza di una aggiudicazione illegittima, eccedendo la declaratoria di nullità dai poteri conferiti al giudice dall’ordinamento processuale.
Nel caso di specie, quindi, occorre accertare se ricorrono i presupposti per la privazione di efficacia del contratto.
Al riguardo, è applicabile l’art. 121, comma 1, lettera c) essendo stata commessa, da parte della Stazione appaltante, una delle più gravi violazioni della legge sugli appalti pubblici, essendo stato stipulato il contratto il 1 febbraio 2021, il giorno stesso della comunicazione del provvedimento di aggiudicazione alla parte controinteressata all’aggiudicazione stessa, in tal modo impedendo all’attuale ricorrente principale di impugnare il provvedimento lesivo prima della stipulazione del contratto.
Tale violazione dell’art. 32 del Codice dei contratti pubblici, che al comma 9 vieta la stipulazione del contratto prima di trentacinque giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione, impone la immeditata privazione di efficacia del contratto, con efficacia retroattiva, tenuto conto dell’interesse della ricorrente principale ad eseguire per intero la prestazione e della gravità della condotta della stazione appaltante che, ignorando il termine di stand still, ha privato la ricorrente principale della tutela cautelare.