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Differenza tra servizi di manutenzione e lavori di manutenzione

Consiglio di Stato, sez. V, 26.01.2024 n. 831

La motivazione della sentenza impugnata, sebbene sintetica, tiene conto delle emergenze processuali e quindi, nel condividere le conclusioni del verificatore, argomenta sulle ragioni che inducono a qualificare l’appalto, sostenendo che “il fatto che il codice degli appalti non preveda la revisione dei prezzi per un appalto di lavori deriva dalla circostanza che l’appalto dei lavori può avere anche una lunga durata se l’opera da realizzare è di particolare complessità, ma non prevede certo un’esecuzione periodica come, invece, può verificarsi per gli appalti di forniture e di servizi”.
Né si può predicare un vizio motivazionale della decisione non essendo stata specificamente allegata dall’appellante una precisa circostanza di fatto, di natura decisiva, che il giudice del merito abbia omesso di considerare.
Nell’economia complessiva dell’appalto per cui è causa gli obblighi essenziali posti a carico dell’appaltatore sono consistiti in un appalto di lavori, mentre le prestazioni accessorie, pur valorizzate dalla società appellante nei propri scritti difensivi e nelle censure prospettate in appello, hanno rivestito effettivamente carattere complementare. Né si può sostenere, come invece prospetta la ricorrente, la natura mista del negozio, ritenuto che la società -OMISSIS- si è limitata solo ad allegare, senza alcun idoneo supporto probatorio, che ‘i lavori’ hanno riguardato altre prestazioni, quale la fornitura di soli materiali e/o soli mezzi, e/o sola manodopera, senza specificare (e provare) se tali prestazioni hanno assunto o meno un rilievo inferiore al 50% per cento, così come prevedono gli artt. 26, commi 3 e 4 bis e 2, comma 1, della legge n. 109 del 1994.
L’ANAC, nel parere precontenzioso n. 756 del 5 settembre 2018, precisa che: “La distinzione, nell’ambito della manutenzione, tra servizi (di manutenzione) e lavori (di manutenzione) è stata oggetto di una intensa attività interpretativa che condotto l’Autorità, unitamente alla giurisprudenza, ad osservare come il concetto di ‘manutenzione’ rientri nell’ambito dei lavori pubblici qualora l’attività dell’appaltatore comporti un’azione prevalente ed essenziale di modificazione della realtà fisica (c.d.quid novi) che prevede l’utilizzazione, la manipolazione e l’installazione di materiale aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale (pareri di precontenzioso del 13 giugno 2008, n. 184, del 21 maggio 2008, n. 151, del 3 ottobre 2007, n. 55; Consiglio di Stato, sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1680; Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 2001, n. 1518, e Consiglio di Stato, sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 537). Viceversa, qualora tali azioni non si traducano in una essenziale/ significativa modificazione dello stato fisico del bene, l’attività si configura come prestazione di servizi”.
Nella specie, la modesta rilevanza delle prestazioni accessorie e la sostanziale modifica della realtà fisica, come è dato evincere dai certificati di collaudo prodotti dalla società appellante, consentono di ricondurre certamente l’appalto in questione all’appalto di lavori, per il quale, per la legge ratione temporis applicabile, non è consentita la revisione prezzi.

Concessione in locazione di un immobile comunale per la gestione di un servizio pubblico : applicazione Codice contratti pubblici

Consiglio di Stato, 22.08.2023 n. 7915

Nel caso in esame, evidenzia l’appellante, se è indubbio che astrattamente rientra nelle facoltà dell’Ente locale stipulare un contratto di locazione mediante il quale si obblighi a far godere al conduttore un immobile di proprietà pubblica, in concreto occorrerà però verificare, alla luce delle finalità in concreto perseguite con il ricorso allo schema negoziale privatistico, la legittimità nel suo complesso dell’operazione: in particolare, la mancanza di una corretta procedura competitiva circa l’assegnazione di un bene pubblico suscettibile di sfruttamento economico (come nel caso in esame) introdurrebbe una barriera all’ingresso del mercato, determinando la lesione dei principi comunitari di concorrenza e libertà di stabilimento (in termini Cons. Stato, V, 27 luglio 2016, n. 3380; V, 31 maggio 2011, n. 3250).
Il motivo è fondato.
Va preliminarmente evidenziato che sull’immobile in questione grava un vincolo di utilizzazione.
La stazione appaltante aveva infatti imposto al futuro conduttore “di assicurare il raggiungimento degli obiettivi di cui agli indirizzi forniti dall’Amministrazione comunale con D.G.M n. 195/17 […]”, ossia “di utilizzare l’immobile […] per realizzare il servizio di Asilo nido e le attività ad esso correlate […] assumendo appieno il rischio d’impresa che deriva dall’esercizio dell’attività per cui il Prestatore si aggiudica la sola locazione dell’immobile e non l’affidamento del servizio”; a sua volta, il conduttore “si impegna[va] altresì a provvedere alla manutenzione completa e complessiva dell’area esterna di pertinenza della struttura”.
Il medesimo immobile aveva del resto beneficiato, nell’ottobre 2017, di un’erogazione di fondi pubblici proprio – e solo – per la gestione di un asilo comunale al suo interno, per un importo di oltre 300.000,00 euro: deve quindi ritenersi, in ragione di tali oggettive evidenze, che l’obiettivo effettivamente perseguito dal Comune non fosse quello di concedere in locazione un immobile di sua proprietà, bensì di assicurarsi la gestione del servizio (di asilo nido comunale) che avrebbe dovuto essere svolto in tali locali.
Ciò trova implicita conferma nell’onere – altrimenti non comprensibile – del conduttore di presentare (busta n. 3) una specifica proposta progettuale per le attività e/o progetti da svolgersi nel predetto immobile, prevedendo per essa l’assegnazione di uno specifico punteggio (pari a ben quaranta punti, contro i sessanta previsti per la valutazione dell’offerta economica) proprio per la gestione del servizio pubblico del servizio di asilo nido, con connesso rischio di gestione a totale carico del conduttore.
A volersi poi considerare anche il valore complessivo dell’operazione negoziale, risulta dagli atti che quello (presuntivo) dell’affidamento per l’Asilo nido di proprietà comunale, per l’intera sua durata, era stato stimato in complessivi euro 785.306,05, a fronte di un valore della locazione pari a (soli) 27.000,00 euro all’anno: è dunque evidente, anche sotto il profilo economico, l’assoluta preponderanza del servizio.
Ciò premesso, ritiene il Collegio di dover confermare l’indirizzo (ex multis, Cons. Stato, V, 26 ottobre 2016, n. 4476) secondo cui solamente la disponibilità contrattuale di locali per un periodo di tempo determinato può qualificarsi come locazione in senso proprio, laddove “Tale situazione non ricorre allorché invece questa detenzione è strettamente collegata ad un servizio che concretizza una serie prestazioni nient’affatto “accessorie” o “complementari”, come giustappunto quella su cui si controverte: il contratto stipulato dal Comune di -OMISSIS- andava dunque correttamente qualificato quale concessione di servizio pubblico, rispetto alla quale la detenzione dell’immobile concesso in locazione risultava residuale.
In questi termini non è conferente l’obiezione per cui -OMISSIS- s.c.p.a., pur essendo a conoscenza del bando di gara, avrebbe liberamente scelto di non partecipare alla relativa procedura – con ciò venendo meno il suo interesse all’impugnazione – atteso che l’interesse al gravame dell’odierna appellante risiede, in modo evidente, nell’ottenere l’affidamento del servizio di Asilo nido comunale in esito ad una gara alla quale vengano ammessi solo operatori economici all’uopo qualificati, proprio per evitare effetti distorsivi della concorrenza.
Ne consegue l’illegittimità della procedura seguita dall’amministrazione, strutturata nei termini di un invito ad offrire secondo lo schema di cui all’art. 1989 Cod. civ., dovendo trovare applicazione le disposizioni del d.lgs. n. 50 del 2016 per le gare sopra soglia comunitaria (artt. 59 ss.) e non già l’art. 17, comma primo, lett. a) del medesimo decreto, relativo a “l’acquisto o la locazione, […] di beni immobili […]”.

Differenza tra appalto e somministrazione di personale

Consiglio di Stato, sez. III, 03.05.2022 n. 3457

Il Consiglio di Stato, con la sentenza della Sez. V, n. 1571/2018, ha chiarito i tratti distintivi che connotano in modo tipico il contratto d’appalto e valgono a differenziarlo dalla somministrazione di personale, precisando che essi “consistono nell’assunzione da parte dell’appaltatore:
a) del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta;
b) del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa;
c) del rischio di impresa (si veda in tal senso l’art. 29 del d.lgs. 276/2003, il quale recita: “Ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione di mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”).
I richiamati profili di differenziazione si compendiano nel fatto che attraverso il contratto di appalto una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, secondo lo schema dell’obbligazione di risultato; nel contratto di somministrazione, al contrario, l’agenzia invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore, secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi.
Da ciò ulteriormente consegue che nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire.

Riferimenti normativi:

art. 3 d.lgs. n. 50/2016

Somministrazione di personale: differenze rispetto all’ appalto di servizi

Consiglio di Stato, sez. V, 10.11.2021 n. 7498

La giurisprudenza ha già avuto modo di indagare in concreto la natura della somministrazione di personale e delinearne i tratti distintivi dal contratto di appalto di servizi evidenziando, tra l’altro il “fatto che attraverso il contratto di appalto una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro – secondo lo schema dell’obbligazione di risultato; nel contratto di somministrazione, al contrario, l’agenzia invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore – secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi”, con la conseguenza che “nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire” (Cons. Stato, III, 12 marzo 2018, n. 1571).
Essendo lo schema tipico della “somministrazione di lavoro” a tempo determinato caratterizzato dalla ricerca di lavoratori da utilizzare per gli scopi del committente, risulta evidente la differenza delle prestazioni rese dalle agenzie del lavoro, quali somministratrici di personale, da quelle rese dalle imprese appaltatrici di altri servizi.
In particolare, trattandosi di prestazioni di mezzi e non di risultato sono assimilabili alle prestazioni di natura intellettuale e procurano un ritorno economico collegato alle politiche attive per il lavoro ed alla posizione che l’agenzia del lavoro viene man mano ad occupare nel relativo mercato (tanto più rilevante quanto più numeroso è il personale che viene scrutinato e formato per una commessa e ricollocabile, perché non utilizzato o comunque somministrabile in future commesse).

Capacità tecnica e professionale : differenza tra appalto di servizi e di lavori

Consiglio di Stato, sez. V, 07.06.2021 n. 4298

Nell’appalto di servizi, quale è quello oggetto di giudizio, di norma rileva, ai fini del possesso del requisito di capacità tecnica e professionale, l’avvenuto svolgimento di servizi analoghi nell’arco temporale di riferimento, non anche il possesso della documentazione che attesti il requisito. Questa è richiesta ai fini della comprova ai sensi dell’art. 32, comma 7, e 85, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016.
La giurisprudenza richiamata dall’appellante, sia nel ricorso che nelle memorie del grado di appello, non è pertinente perché riguarda, per la gran parte, gli appalti di lavori.
Per questa tipologia di appalti, vigendo il sistema unico di qualificazione dell’art. 84 del Codice dei contratti pubblici, l’esecuzione dei lavori non è solo documentata dal certificato di esecuzione dei lavori (CEL), ma è anche accertata con tale documento, in forza di poteri certificativi riconosciuti alle stazioni appaltanti.
In ragione dell’esercizio di tali poteri certificativi, si è affermato in giurisprudenza che il certificato di esecuzione dei lavori è “un atto rientrante nella categoria dei c.d. accertamenti costitutivi, poiché l’effetto dell’accertamento è quello di costituire il requisito in capo all’impresa che richiede il certificato” (così testualmente Cons. Stato, V, 21 febbraio 2020, n. 1320, citata dall’appellante).

Servizi ad alta densità di manodopera e standardizzati – Criterio di aggiudicazione (art. 95 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Latina, 13.03.2020 n. 110

Osserva, anzitutto, il Collegio che, nel caso all’esame, non è invero in discussione la natura del servizio, dovendosi pacificamente far rientrare il servizio (…) tra quelli qualificati ad alta densità di manodopera, come chiaramente emerge dal rilievo del costo della manodopera (… ossia circa il 71% del totale), di tal che il costo di detta manodopera è, nella specie, pari almeno al 50% dell’importo totale del contratto.
Né, a conclusioni diverse potrebbe, poi, pervenirsi riguardo al criterio da adottare in ordine ai servizi ad alta densità di manodopera standardizzati, stante i chiarimenti offerti sul punto dalla recente decisone dell’Adunanza Plenaria n. 8/2019, là dove ha, tra l’altro, chiarito che nell’ipotesi in cui un servizio ad alta intensità di manodopera abbia contemporaneamente caratteristiche standardizzate, ai sensi del comma 4, lett. b) del medesimo art. 95, …il conflitto di norme deve essere risolto a favore del criterio di aggiudicazione del miglior rapporto qualità/prezzo previsto dal comma 3, rispetto al quale quello del minor prezzo invece consentito in base al comma 4 è recessivo….
A tale conclusione si è di recente uniformata la giurisprudenza (Cons. Stato Sez. V, 12/02/2020, n. 1063) che ha infatti ulteriormente rimarcato il principio secondo cui “Nel caso in cui i contratti da affidare abbiano contemporaneamente caratteristiche di alta intensità di manodopera (il che imporrebbe, ai sensi dell’art. 95, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016, l’esclusivo utilizzo del “criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”) e siano standardizzate (ai sensi del comma 4, lett. b) del medesimo art. 95), deve adottarsi il criterio di aggiudicazione del miglior rapporto qualità/prezzo previsto dal comma 3, rispetto al quale quello del minor prezzo invece consentito in base al comma 4 è subvalente”.
Sul versante normativo va richiamato il tenore letterale dell’art. 95 del d.lgs. 50/2016, intitolato: “Criteri di aggiudicazione dell’appalto” il quale si compone per ciò che qui rileva dei seguenti commi e precisamente:
– 2, il quale enuncia la regola secondo cui le stazioni appaltanti aggiudicano gli appalti (“procedono all’aggiudicazione”, recita la norma) “sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, individuato secondo l’alternativa “del miglior rapporto qualità/prezzo” – corrispondente al tradizionale criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui al previgente quadro normativo (cfr. il considerando 89 della direttiva 2014/24/UE) – o “sulla base dell’elemento prezzo o del costo”, quest’ultimo integrato dalla “comparazione costo/efficacia”, sulla base degli elementi previsti nel successivo art. 96;
– 3, per il quale “Sono aggiudicati esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo” i servizi ivi previsti, tra cui quelli “ad alta intensità di manodopera” (lettera a);
– 4, che invece facoltizza le stazioni appaltanti (“Può essere utilizzato”) a ricorrere al “criterio del minor prezzo” per aggiudicare i contratti ivi elencati, tra cui “i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate” (lettera b);
– 5, che per quest’ultima ipotesi onera le stazioni appaltanti a dare un’”adeguata motivazione”.
Alla stregua di tali coordinate normative emerge chiaramente …la preferenza attribuita dal codice dei contratti pubblici – come chiarito dalla vista decisione dell’A.P. – a criteri non basati sul solo elemento del prezzo è poi coerente con i principi e criteri direttivi previsti dalla legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, per l’attuazione delle direttive sugli appalti pubblici del 2014, tra cui la direttiva europea 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, sui contratti di appalto pubblico.
Dall’analisi sinora svolta può dunque affermarsi – sempre secondo quanto statuito dalla ridetta decisone – che il comma [2] dell’art. 95 si pone ad un punto di convergenza di valori espressi in sede costituzionale e facoltà riconosciute a livello europeo ai legislatori nazionali, per la realizzazione dei quali nel codice dei contratti pubblici il miglior rapporto qualità/prezzo è stato elevato ad criterio unico ed inderogabile di aggiudicazione per appalti di servizi in cui la componente della manodopera, come nel caso di specie, abbia rilievo preponderante il comma 3 pone invece una regola speciale, relativa tra l’altro ai servizi ad alta intensità di manodopera, derogatoria di quella generale, in base alla quale per essi è obbligatorio il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo.

Concessione o appalto di servizi – Affidamento in uso di un bene pubblico – Differenze strutturali – Riflessi sulla verifica di anomalia (art. 3 , art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Brescia, 20.01.2020 n. 45 

La giurisprudenza (sia quella amministrativa sia quella della Corte di cassazione) [ha] pacificamente qualificato come concessione di servizi il rapporto con cui una p.a. affida ad un privato la gestione di un servizio bar e ristorazione all’interno di un complesso immobiliare di proprietà demaniale. Su tale piano è stato, infatti, ormai chiarito, con principi validi anche per la vicenda per cui è causa, che, ad esempio, “va qualificato come concessione di servizi il rapporto con cui è stato affidato da una Azienda sanitaria ad un privato la gestione di un servizio bar e ristorazione all’interno di un complesso ospedaliero, in quanto sussistono entrambi i requisiti contenutistici: il servizio di gestione del bar interno è reso ad un pubblico di utenti del presidio ospedaliero, ed il rischio di gestione del servizio ricade sull’aggiudicatario, che non è dunque remunerato dall’Amministrazione, ma si rifà sugli utenti. Né può indurre ad una diversa soluzione la circostanza che, in correlazione anche con l’affidamento in uso di locali (…), sia previsto dal bando di gara il versamento, da parte del concessionario, di un canone annuo, come pure l’obbligo dello stesso di svolgere i lavori di predisposizione e di adeguamento funzionale dei locali. Poiché l’attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale costituisce un pubblico servizio, nel caso di specie vista la natura mista del rapporto risultavano applicabili alla procedura per l’affidamento le regole della concessione di servizi ovvero di altro modulo procedimentale che tenesse nella debita considerazione, sul piano dinamico, lo svolgimento dell’attività” (cfr., ex aliis, T.A.R. Molise, n. 26 del 2010).” (TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 10 gennaio 2018, n. 18) [rif. art. 3 d.lgs. n. 50/2016, ndr.].

Va riconosciuto, comunque, che il rispetto della disciplina relativa al giudizio di congruità dell’offerta deve essere nella specie scrutinato tenendo in considerazione le differenze strutturali sussistenti tra concessione e appalto; diversamente da quanto accade per gli appalti di servizi, ove la prestazione è resa in favore dell’amministrazione, per le concessioni il compenso di cui beneficia l’aggiudicatario deriva direttamente dall’utenza che fruisce del servizio ed il rischio economico connesso alla gestione e all’eventuale stima in difetto delle voci di spesa non ricade sull’amministrazione, alla quale è comunque riconosciuto il canone. [rif. art. 97 d.lgs. n. 50/2016, ndr.]

Tanto premesso, per orientamento giurisprudenziale consolidato il sub-procedimento di anomalia dell’offerta è finalizzato a verificare, anche attraverso il contraddittorio con il concorrente interessato, la complessiva serietà, attendibilità e sostenibilità della sua offerta e non mira a ricercarne specifiche e singole inesattezze. Il giudizio finale ha carattere tecnico-discrezionale ed è sindacabile in sede giurisdizionale limitatamente ai casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza o travisamento dei fatti emersi nell’istruttoria, non potendo il vaglio sul corretto esercizio del potere sfociare in una nuova valutazione dell’offerta o di sue singole voci da parte del giudice amministrativo. (Ex multis, Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2018, n. 2603). Peraltro lo scostamento del costo della manodopera da quello indicato dalle tabelle ministeriali di cui all’articolo 23, comma 16 del d.lgs. 50/2016 non comporta un giudizio necessitato di anomalia e inadeguatezza dell’offerta, costituendo detti valori un mero parametro di riferimento, da cui è possibile discostarsi in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità di costi inferiori, fermo restando il necessario rispetto dei minimi salariali retributivi.

Appalto di servizi – Requisiti speciali – Certificati relativi all’esecuzione – Scomputo del fatturato conseguito a mezzo di subappalto – Inapplicabilità – Ragioni (art. 83 , art. 105 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. III, 21.01.2019 n. 517

Ritiene il Collegio di dover richiamare la disposizione recata dall’art. 105, comma 22, del d.lgs. n. 50/2016 secondo cui: “Le stazioni appaltanti rilasciano i certificati necessari per la partecipazione e la qualificazione di cui all’articolo 83, comma 1, e all’articolo 84, comma 4, lettera b), all’appaltatore, scomputando dall’intero valore dell’appalto il valore e la categoria di quanto eseguito attraverso il subappalto. I subappaltatori possono richiedere alle stazioni appaltanti i certificati relativi alle prestazioni oggetto di appalto realmente eseguite”.
Tale disposizione, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, non costituisce una norma generale dettata per tutte le tipologie di appalto, tanto da imporre per ogni settore dei contratti pubblici il divieto per l’operatore economico di far valere nell’ambito del proprio fatturato, quanto realizzato mediante il subappalto.
Depone in questo senso la piana lettura della disposizione che contiene precisi riferimenti allo specifico settore degli appalti di lavori.

Il comma 22 dell’art. 105 cit. contiene, infatti, una specifica prescrizione diretta alle stazioni appaltanti nell’ambito dell’attività certificata ad esse demandata in ordine ai requisiti di qualificazione degli operatori economici nello specifico settore degli appalti di lavori, nella quale vige, diversamente che nel caso dei servizi e forniture, un’attività certificativa delle stazioni appaltanti attraverso cui gli organismi di attestazione (SOA) attingono i requisiti attinenti la capacità tecnica dell’impresa, ai fini della partecipazione alle gare di appalto.
(…) la disposizione in questione non costituisce una novità assoluta in materia di appalti di lavori, in quanto risultava già vigente con riferimento al settore degli appalti inerenti i beni culturali ed ambientali: pertanto, la disposizione oggi introdotta nel codice degli appalti estende a tutto il settore degli appalti di lavori pubblici tale principio che era, in precedenza, proprio di uno specifico settore aventi specifiche caratteristiche di specialità.
Si tratta comunque, di una disposizione relativa allo svolgimento di un’attività certificativa, che è propria dello specifico settore degli appalti di lavori; si riconnette, infatti, al sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, come risulta palese dall’espresso richiamo all’art. 84, comma 4, lett. b) dello stesso codice degli appalti.
Del resto la nozione di “certificati necessari per la partecipazione” come ha correttamente dedotto l’appellante, evoca lo specifico settore degli appalti di lavori per i quali sussiste l’obbligo della stazione appaltante di rilasciarli; l’art. 86, comma 5-bis prevede, infatti, che l’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione lavori; anche il riferimento alla “categoria” contenuto nella norma del comma 22 dell’art. 105 cit. rimanda alla precedente norma propria del settore degli appalti di lavori e segnatamente dei certificati di esecuzione lavori; infine la stessa Commissione Speciale di questo Consiglio di Stato, nel proprio parere n. 782/2017, reso sul correttivo al codice degli appalti, nell’interpretazione dell’art. 105 comma 22 cit. ha fatto chiaro riferimento al solo appalto di lavori.
Si tratta, quindi, di una disposizione specifica introdotta dal legislatore per tale tipologia di appalti che presenta aspetti peculiari rispetto alle altre tipologie di appalto, che il legislatore ha storicamente disciplinato in modo più rigido rispetto agli altri settori degli appalti di servizi e forniture.

Non convince, infatti, la tesi sostenuta dall’appellata (ed accolta dal TAR) secondo cui la norma – attraverso il richiamo all’art. 83, comma 1, d.lgs. 50/2016 – avrebbe una valenza generale.
In un contesto nel quale è chiarissimo il riferimento al solo settore degli appalti di lavori – che presenta uno specifico regime – argomentare l’applicabilità della disposizione a tutte le tipologie di appalto solo facendo riferimento al richiamo ad una norma generale che riguarda i criteri di selezione nelle procedure di gara, si appalesa al Collegio poco persuasiva, tanto più che i requisiti di capacità economico finanziaria non sono provati con certificati, ma con il fatturato o i bilanci.
Sebbene non possa ritenersi precluso a priori l’uso di “certificati” per la comprova dei requisiti di capacità economico finanziaria, nondimeno la norma è chiara nel riferirsi ai certificati necessari per la qualificazione e tali sono quelli relativi alla capacità tecnica, e ciò spiega il richiamo all’art. 83, comma 1 cit. senza alcuna specificazione.

Venendo al caso di specie, occorre rilevare che l’estensione della disposizione propria del settore degli appalti di lavori a quello degli appalti di servizi e, nell’ambito di esso ai requisiti di capacità economica e finanziaria, trova un ulteriore ostacolo costituito dal fatto che la ratio sulla quale si fonda la disposizione in questione non si attaglia ai requisiti di capacità economico finanziaria: nel caso dei requisiti di capacità tecnica, infatti, lo scopo della norma è quello di evitare la valutazione di un requisito di capacità tecnica meramente cartolare (essendo stata subappaltata l’esecuzione della prestazione), rendendo applicabile il principio secondo cui l’impresa può far valere soltanto i lavori direttamente eseguiti (codificato dall’art. 24, comma 2, del D.P.R. n. 34/2000); nel caso della capacità economico finanziaria, invece, il subappalto non elide gli oneri e le funzioni gravanti sull’appaltatore sotto l’aspetto economico e finanziario.
L’appaltatore infatti assume su di sé il rischio economico finanziario per le opere eseguite mediante subappalto, non può scaricare il rischio sul subappaltatore (tenuto conto che secondo quanto prevede il comma 14 dell’art. 105, il contratto di sub-appalto non può prevedere ribassi maggiori del 20% rispetto ai prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione del contratto di appalto), e ne sopporta integralmente la responsabilità della corretta esecuzione nei confronti della stazione appaltante.
Anche in caso di esecuzione tramite subappalto, il peso economico e finanziario è direttamente sopportato dall’appaltatore, al quale, conseguentemente, in assenza di un’espressa indicazione normativa di segno opposto, deve essere riconosciuto anche il maturare di un corrispondente requisito di capacità economico e finanziaria.

La tesi seguita dal TAR che estende – in via interpretativa, in assenza di una chiara disposizione di legge che lo preveda – la portata di una disposizione propria del settore dei lavori pubblici a quello di servizi e che, nuovamente, ricorre all’interpretazione analogica per estendere, nell’ambito degli appalti di servizi, una disposizione dettata per i requisiti di capacità tecnica a quelli di capacità economica, non può essere condivisa alla luce dei rilievi già svolti, sia con riferimento alla differente disciplina che regola i settori degli appalti di lavori da quelli di servizi e forniture, sia con riferimento al differente regime esistente per le due tipologie di requisiti.
Inoltre, l’estensione della previsione recata dall’art. 105, comma 22, cit, potrebbe disincentivare il ricorso al subappalto, finendo per porre problemi di compatibilità con l’ordinamento eurounitario e con il principio di proporzionalità.
In sostanza, in assenza di una norma che affermi il principio della depurazione del fatturato conseguito a mezzo di subappalto dall’appalto totale negli appalti di servizi, su cui si fonda la domanda di Arjo Italia, tale principio non può essere introdotto in via meramente interpretativa.

Servizio mensa scolastica – Divieto di consumare pasti diversi da quelli offerti – Illegittimità

Consiglio di Stato, sez. V, 03.09.2018 n. 5156

Il regolamento impugnato presenta plurimi profili di illegittimità.
Vi è, anzitutto, un’incompetenza assoluta del Comune, che – spingendosi ultra vires – con il regolamento impugnato impone prescrizioni ai dirigenti scolastici, limitando la loro autonomia con vincoli in ordine all’uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa.
Il regolamento, in particolare, interferisce con la circolare del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (di seguito anche solo MIUR) 348 del 3 marzo 2017, rivolta ai direttori degli Uffici scolastici regionali, che (muovendo dal “riconoscimento giurisprudenziale” del diritto degli alunni di consumare il cibo portato da casa, e in attesa della pronuncia della Corte di cassazione innanzi alla quale sono pendenti alcuni ricorsi proposti dallo stesso MIUR avverso le pronunce dei giudici di merito) ha, nelle more, confermato la possibilità di consumare cibi portati da casa, dettando alcune regole igieniche ed invitando i dirigenti scolastici ad adottare una serie di conseguenziali cautele e precauzioni.
In questo contesto, la scelta restrittiva radicale del Comune – di suo non supportata da concretamente dimostrate ragioni di pubblica salute o igiene né commisurata ad un ragionevole equilibrio – di interdire senz’altro il consumo di cibi portati da casa (attraverso lo strumentale e previsto divieto di permanenza nei locali scolastici degli alunni che intendono pranzare con alimenti diversi da quelli somministrati dalla refezione scolastica) limita una naturale facoltà dell’individuo – afferente alla sua libertà personale – e, se minore, della famiglia mediante i genitori, vale a dire la scelta alimentare: scelta che – salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro – è per sua natura e in principio libera, e si esplica vuoi all’interno delle mura domestiche vuoi al loro esterno: in luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici. Occorre pertanto, per poter legittimamente restringere da parte della pubblica autorità una tale naturale facoltà dell’individuo o per esso della famiglia, che sussistano dimostrate e proporzionali ragioni inerenti quegli opposti interessi pubblici o generali. Queste ragioni, vertendosi di libertà individuali e nell’ambiente scolastico, non possono surrettiziamente consistere nelle mere esigenze di economicità di un servizio generale esternalizzato e del quale non si intende fruire perché non intrinseco, ma collaterale alla funzione educativa scolastica; e che invece, nella situazione restrittiva data, verrebbe senz’altro privilegiato a tutto scapito della libertà in questione.
Nella specie, la restrizione praticata con l’impugnato regolamento – che nemmeno si preoccupa di ricercare un bilanciamento degli interessi – manifestamente non corrisponde ai canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà rispetto all’obiettivo – dichiaratamente perseguito – di prevenire il rischio igienico-sanitario. E l’assunto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale” si manifesta irrispettoso delle rammentate libertà e comunque è apodittico.
L’inidoneità e l’incoerenza della misura emerge in particolare dalla considerazione che non risulta, ad esempio, inibito agli alunni il consumo di merende portate da casa, durante l’orario scolastico: per analogia, si potrebbe addurre infatti anche per queste la sollevata problematica del rischio igienico-sanitario.
Da un altro lato, per ciò che concerne la proporzionalità e la necessità della misura, occorre rilevare che la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori attraverso una regolamento comunale: ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti.
La tassativa e rigorosa prescrizione regolamentare che ha introdotto il divieto di permanenza nei locali scolastici per gli alunni che intendono consumare cibi portati da casa (o acquistati autonomamente) si rivela, pertanto, affetta da eccesso di potere per irragionevolezza, in quanto misura inidonea e sproporzionata rispetto al fine perseguito.

Nozione di “Appalto di servizi” e di “Operatore economico”

La giurisprudenza (Cons. St. Sez. V, del 3 ottobre 2017 n. 4614) ha precisato che una prestazione può essere ricondotta alla nozione di appalto di servizi anche se prevede il solo rimborso spese dal momento che: “l’espressione “contratti a titolo oneroso” può assumere per il contratto pubblico un significato attenuato o in parte diverso rispetto all’accezione tradizionale e propria del mondo interprivato. In realtà, la ratio di mercato cui si è accennato, di garanzia della serietà dell’offerta e di affidabilità dell’offerente, può essere ragionevolmente assicurata da altri vantaggi, economicamente apprezzabili anche se non direttamente finanziari, potenzialmente derivanti dal contratto”. 
Sempre a questo riguardo, la giurisprudenza comunitaria è propensa a considerare che l’elemento decisivo, ai fini dell’inquadramento delle fattispecie nella disciplina degli appalti pubblici, più che nella necessaria presenza di un corrispettivo, si rinvenga nella indicazione di criteri di scelta che comportano la necessaria comparazione degli operatori economici ai fini dell’attribuzione di una prestazione (Corte di Giustizia C-9/17; C-410/14; C-601/13).

I principi comunitari qualificano l’operatore economico come qualunque soggetto che offre sul mercato le proprie prestazioni, indipendentemente dalla qualifica giuridica-imprenditoriale rivestita.
Anche la giurisprudenza, da tempo, ammette l’abilitazione a partecipare alle gare pubbliche in capo a figure del c.d. “terzo settore”, per loro natura prive di finalità lucrative, vale a dire di soggetti che perseguano scopi non di stretto utile economico, bensì sociali o mutualistici (cfr. Cons. Stato, V, 16 gennaio 2015, n. 84; Cons. Stato, Sez. III, 17 novembre 2015, n. 5249; Cons. Stato, Sez. III, 27 luglio 2015, n. 3685; Cons. Stato, Sez. V, 13 settembre 2016, n. 3855) (alla stregua di tale principio è stato ritenuto che le scuole musicali possono essere considerate “operatori economici”, ai fini dell’applicazione della normativa nazionale di cui al D.Lgs. n. 50/2016).

In ordine alle definizioni recate dal nuovo Codice dei contratti pubblici si rinvia all’art. 3 d.lgs. n. 50/2016.

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    Somministrazione di personale – Appalto di servizi – Differenze – Natura (art. 3 , art. 17 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. V, 12.03.2018 n. 1571

    2. La natura dell’affidamento in oggetto va indagata in concreto, esaminando gli elementi che caratterizzano il singolo rapporto contrattuale e tenendo presenti i tratti distintivi che connotano in modo tipico il contratto d’appalto e valgono a differenziarlo dalla somministrazione di personale. Essi consistono nell’assunzione da parte dell’appaltatore:
    a) del potere di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta;
    b) del potere direttivo sui lavoratori impiegati nella stessa;
    c) del rischio di impresa (si veda in tal senso l’art. 29 del d.lgs. 276/2003, il quale recita: “Ai fini dell’applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell’art. 1655 c.c., si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione di mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonchè per l’assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio di impresa”).
    2.1. I richiamati profili di differenziazione si compendiano nel fatto che attraverso il contratto di appalto una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro – secondo lo schema dell’obbligazione di risultato; nel contratto di somministrazione, al contrario, l’agenzia invia in missione dei lavoratori, che svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore – secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi.
    2.2. Dal che ulteriormente consegue che nel contratto di appalto i lavoratori restano nella disponibilità della società appaltatrice, la quale ne cura la direzione ed il controllo; nella somministrazione è invece l’utilizzatore che dispone dei lavoratori, impartendo loro le direttive da eseguire.
    2.3. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è intervenuta a dettagliare in modo ancor più specifico gli indici sintomatici della non genuinità di un affidamento formalmente qualificato come “appalto”, ma in realtà dissimulante una somministrazione di personale, ravvisandoli nei seguenti elementi: a) la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro; b) l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente; c) l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente; d) la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività; e) l’organizzazione da parte del committente dell’attività dei dipendenti dell’appaltatore (Cass. civ., sez. lav., 7 febbraio 2017, n. 3178).

    3. Si tratta di indici ricorrenti anche nella fattispecie qui all’esame e complessivamente attestanti il carattere fittizio dell’appalto.
    3.1. Nell’ordine, seguendo la successione dei criteri sopra richiamati, sotto il profilo della natura della prestazione richiesta, appare chiaro che le prestazioni richieste dalla ASL appellata sono identificate non già in “servizi”, bensì in numero di ore di lavoro annue: per il “supporto giuridico, amministrativo, tecnico e contabile” la ASL chiede 31.200 ore annue di lavoro; per il “supporto e gestione dei servizi centrali, distrettuali e ospedalieri” la ASL chiede 22.568 ore annue di lavoro; per l’attività di “archiviazione, data entry e front office” la ASL chiede 62.566 ore annue di lavoro; per il supporto alla liquidazione e gestione ordini, consegne e pagamenti la ASL chiede 18.928 ore annue; per la segreteria alle Direzioni Aziendali, Ospedaliere e Distrettuali la ASL chiede 36.296 ore annue di lavoro (cfr. disciplinare, pagg. da 3 a 6).
    3.2. Questo primo dato dimostra che l’Azienda resistente mira sostanzialmente ad integrare il proprio personale interno, dimostratosi insufficiente, con altro personale esterno, in modo garantire il regolare svolgimento delle proprie attività d’ufficio.
    3.3. Un simile scenario sfugge alla logica tipica dell’appalto di servizi – ove l’appaltante affida all’appaltatore lo svolgimento di prestazioni connesse ad un preciso risultato, finalizzate alla realizzazione di un opus dotato di consistenza autonoma – e manifesta affinità, piuttosto, con lo schema tipico della “somministrazione di lavoro” a tempo determinato, che si caratterizza per la ricerca di lavoratori da utilizzare per i generici scopi del committente, in chiave d’integrazione del personale già presente in organico.
    3.4. Induce alla medesima conclusione l’analisi delle modalità di individuazione della base d’asta e di disciplina della remunerazione del servizio:
    – la base d’asta è stata esclusivamente correlata alle ore/lavoro richieste all’aggiudicatario: il disciplinare specifica, infatti, che la base d’asta è stata “determinata … tenendo conto delle ore di servizio richiesto e quantificate in 171.548 (ore servizio richieste) X € 20,782 (quota oraria posta a base d’asta)” (disciplinare, pag. 7 e capitolato, pag. 2);
    – coerente con la determinazione della base d’asta è la modalità di formulazione dell’offerta economica. Il disciplinare prevede infatti che l’offerta “dovrà essere formulata quantificando il costo orario del servizio … (l’offerente – n.d.r.) dovrà specificare la percentuale di ribasso rispetto alla base d’asta, fissata in € 20,782 (che è il costo/ora posto a base d’asta – n.d.r.)” (disciplinare, pag. 21);
    – quanto alla modalità per individuare il corrispettivo da corrispondere all’aggiudicatario, si prevede che questo sarà calcolato sulla base delle ore di lavoro mensilmente svolte, moltiplicate per il corrispettivo orario offerto, senza che assuma alcun rilievo il concreto risultato conseguito allo svolgimento delle prestazioni lavorative (disciplinare, pag. 28).
    3.5. Anche con riguardo all’ulteriore profilo concernente l’inserimento del personale nel ciclo produttivo del committente, prevalgono elementi indicatori di una sostanziale contaminazione tra l’attività dei lavoratori della ASL Roma 6 ed i lavoratori inviati dall’appaltatore: quest’ultimi, infatti, come dimostra la definizione contenuta nell’oggetto della prestazione, forniscono un contributo di supporto nell’attività “amministrativa” della ASL; e la dettagliata declinazione di detta funzione di supporto evidenzia come essa si traduca nella “collaborazione” dei lavoratori dell’appaltatore con i dipendenti della ASL e consista nello svolgimento di attività di istruttoria documentale, nella redazione di atti preliminari tesi alla redazione di successivi provvedimento da parte del personale interno, nel supporto alla stesura delle gare, nell’inserimento ordini, nell’inserimento di dati nell’albo, nel supporto alla liquidazione e gestione ordini, consegne e pagamenti, nello svolgimento di attività di segreteria amministrativa e di gestione della corrispondenza (disciplinare, pagg. da 3 a 6).
    3.6. Dunque, risulta sufficientemente chiaro che l’appaltatore non svolge alcun servizio “diverso” da una mera attività di ausilio collaborativo al personale dipendente della ASL.
    3.7. Neppure è previsto che l’appaltatore metta a disposizione mezzi ed attrezzature: il personale dell’appaltatore, per la prestazione della propria attività, utilizzerà infatti mezzi ed attrezzature della ASL (quali computer, cancelleria, fotocopiatrici etc.), prestando la propria attività presso la sede della stessa e avvalendosi dello strumentario di lavoro ivi presente.
    3.8. Sui profili in esame, la parte appellata ha eccepito che la gara in questione avrebbe ad oggetto “intere linee di attività” e non singole collaborazioni in sostituzione di personale “a macchia di leopardo”; e che, dunque, le prestazioni rese in esecuzione dell’appalto assumerebbero una loro autonomia di contenuto e di risultato in grado di sconfessare qualunque fenomeno di osmosi e di continuità operativa tra il personale esterno e quello interno.
    3.9. Il Collegio reputa la deduzione non persuasiva, innanzitutto perché sprovvista di più concreti elementi di supporto, ricavabili dal disciplinare e dal capitolato di gara, che forniscano conferma della effettiva autonomia delle linee produttive assegnate all’appaltatore. Si tratta, inoltre, di affermazione contraddetta dalle note descrittive delle prestazioni appaltate, ricavabili direttamente dal disciplinare di gara, dalle quali emerge che dette prestazioni sono pienamente integrate nel ciclo di produzione degli uffici aziendali e presentano un contenuto omogeneo a quello delle attività svolte dal personale stabilmente inserito nella pianta organica della ASL. Non vi è traccia, infine, del fatto che il personale della appaltatrice sia munito di un know-how specifico, ovvero di un patrimonio di conoscenze e di pratiche di uso non comune, quindi di un quid pluris rispetto alla mera capacità professionale dei lavoratori già impiegati presso la ASL, tale da far emergere un apporto qualitativo specifico riconducibile all’appalto di servizio.
    Da qui l’impossibilità di individuare un obiettivo di risultato, concluso e autonomo, realizzabile dall’appaltatore e distinguibile dal continuum delle attività principali alle quali quelle appaltate sono chiamate a fornire ausilio.
    3.10. Ricorre, dunque, la causa “tipica” della somministrazione di lavoro, il cui fine tipico è proprio l’“integrazione” del personale nell’organigramma del committente (cfr. Cass. civ., sez. lav., 27 marzo 2017, n. 7796).
    3.11. Peraltro, in ipotesi di affiancamento di personale, ciò che può rilevare come indice sintomatico dell’appalto sono proprio le particolari modalità di coordinamento tra le imprese interessate, laddove concepite per escludere commistioni, interferenze o sovrapposizioni tra le due realtà organizzative; ovvero per rendere del tutto evidente, anche sul piano logistico, la separazione tra le due imprese e tra le rispettive fasi della produzione (si veda in tal senso la circolare del Ministero del Lavoro del 22.10.2009).
    3.12. Anche sotto questo specifico profilo, il capitolato qui in esame non fornisce indicazioni coerenti con la qualificazione del contratto come appalto, limitandosi ad assegnare all’aggiudicatario un generico onere di “coordinamento complessivo dei servizi affidatigli… al fine di garantire il regolare svolgimento dei servizi nella loro continuità e nel rispetto degli obiettivi e degli standard fissati dalla Direzione dell’Azienda” (art. 4).
    Dunque, la carenza di misure atte a scongiurare l’interferenza e la commistione tra i lavoratori, unitamente all’assenza di linee di cesura in grado di differenziare autonome fasi di produzione, forniscono ulteriore conferma della natura fittizia dell’appalto.
    4. Anche se inquadrata sotto la lente prospettica dei tre più generali e tipici parametri distintivi dell’appalto – richiamati in premessa – la commessa in oggetto rivela connotati del tutto affini alla somministrazione di personale.
    4.1. Partendo dal potere dell’appaltatore di organizzazione dei mezzi necessari allo svolgimento dell’attività richiesta, il Tar ha ritenuto di poterlo rinvenire nel disposto dell’art. 4 del capitolato, il quale prevede che:
    – “l’aggiudicatario dovrà garantire un coordinamento complessivo dei servizi affidati ed esplicitare nel progetto tecnico le modalità tecniche e gli strumenti aggiuntivi rispetto a quelli già messi a disposizione dalla ASL con i quali procederà ad organizzare le attività e ad impartire gli ordini di servizio al proprio personale al fine di garantire il regolare svolgimento dei servizi nella loro continuità e nel rispetto degli obiettivi e degli standard fissati dalla Direzione dell’Azienda e/o dalle singole strutture”;
    – “le attività di coordinamento e la garanzia della continuità dei servizi secondo gli standard fissati dalla Direzione Aziendale e dai soggetti da questa indicati saranno assicurate ad esclusivo carico del fornitore secondo le modalità di cui al progetto tecnico oggetto di apposita valutazione”.
    Il giudice di prime cure ha ritenuto che le attività appaltate siano qualificabili come una autonoma attività imprenditoriale, in quanto l’impresa aggiudicataria è tenuta ad elaborare e presentare un progetto tecnico in cui devono essere esplicitate le modalità organizzative di svolgimento del servizio, alla luce delle esigenze definite ex ante dalla stazione appaltante nella lex specialis.
    4.2. Occorre tuttavia osservare che – secondo costante giurisprudenza – il tratto qualificante della direzione tecnica ed organizzativa della prestazione da parte dell’appaltatore va verificato attraverso un accertamento operato in concreto, con riferimento all’oggetto e al contenuto intrinseco dell’appalto.
    Tale principio va applicato con particolare attenzione nei casi di appalti endoaziendali (quale quello qui in esame), caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente (cfr., Cass. civ. sez. lav., 3 giugno 2014, n. 12357).
    E giova ulteriormente precisare, sul punto, come, sotto il profilo eminentemente processuale, l’onere probatorio gravi in via esclusiva sul soggetto che, avanzando la domanda costitutiva, assume trattarsi di una fattispecie interpositoria illecita (Cass. civ., sez. lav., 11 marzo 2014, n. 5568).
    4.3. Ebbene, anche se traguardato sotto il profilo della sussistenza di una effettiva e sostanziale organizzazione dei mezzi, l’appalto in esame presenta vistose contiguità con la fattispecie della somministrazione di personale, se solo si considera che:
    – gli orari di lavoro non vengono definiti autonomamente dall’aggiudicatario, ma sono da esso programmati sulla base delle specifiche esigenze della ASL, che si riserva la possibilità di richiedere prestazioni lavorative anche in giornate festive: “gli operatori economici dovranno attenersi scrupolosamente agli orari programmati ad opera dell’Impresa aggiudicataria sulla base delle esigenze manifestate dai Responsabili del Servizi ASL interessati e non potrà essere in alcun modo variata se non per gravi motivi opportunamente comunicati agli stessi o al personale a tale scopo individuato dalla ASL” (disciplinare, pag. 8);
    – quanto alle sostituzioni del personale, si prevede che la ASL possa richiedere la sostituzione del singolo lavoratore assente; e che soluzioni alternative per fronteggiare le assenze debbano essere concordate con la ASL (capitolato, pag. 8);
    – non vi è traccia di una qualche attività di organizzazione di mezzi e di attrezzature destinate alla esecuzione del servizio, dovendo l’aggiudicatario limitarsi a “fornire” lavoratori.
    4.4. Non miglior successo può ascriversi al tentativo di collocare la gara nell’ambito degli appalti di servizi, in virtù della prescrizione, contenuta nel capitolato di gara, che pone a carico dell’aggiudicatario l’onere della gestione “amministrativa” dei rapporti di lavoro: pagamento della retribuzione, riconoscimento delle ferie, etc..
    Anche in questo caso, si tratta di previsione immanente alla somministrazione di lavoro: gli artt. 32 e 37 del d.lgs. n. 81 del 2015 pongono infatti tale gestione in capo all’Agenzia per il Lavoro, la quale, essendo il “datore di lavoro formale” (mentre, nel rapporto trilatero che si genera, il committente assume il ruolo di “datore di lavoro sostanziale”), provvede alla “gestione amministrativa” del rapporto di lavoro, elaborando le buste paga, pagando le retribuzioni, versando i contributi: “Con il contratto di somministrazione di lavoro l’utilizzatore assume l’obbligo di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori” (art. 32 d.lgs. n. 81 del 2015); “Gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali, previsti dalle vigenti disposizioni legislative, sono a carico del somministratore” (art. 37 d.lgs. n. 81 del 2015).
    4.5. Dunque, per quanto sin qui esposto, non pare ravvisabile un potere di autonoma ed effettiva organizzazione produttiva da parte dell’aggiudicatario dell’appalto.
    4.6. Sicché le generiche clausole del capitolato secondo le quali “i servizi verranno svolti con esclusiva organizzazione, responsabilità e rischio della ditta aggiudicataria” (capitolato, pag. 3), si svuotano di effettiva rilevanza, a fronte dell’assenza di concrete modalità di organizzazione delle attività che ne assegnino la conduzione all’autonomia e alla iniziativa imprenditoriale dell’appaltatore.
    4.7. D’altra parte, se la distinzione tra le due figure contrattuali è marcata dal fatto che il “contratto di appalto” ha ad oggetto un’obbligazione di risultato (con cui l’appaltatore assume con la propria organizzazione il compito di far conseguire al committente il risultato promesso), mentre la somministrazione di lavoro sottende una tipica obbligazione di mezzi (attraverso cui l’Agenzia per il Lavoro si limita a fornire prestazioni lavorative organizzate e finalizzate dal committente), è evidente che nella gara de qua l’aggiudicatario non ha alcun risultato da raggiungere, poiché oggetto esclusivo della procedura, per quanto già si è esposto, sono mere prestazione lavorative (di segreteria, istruttorie o di supporto alla gestione delle attività amministrative) che, evidentemente, non rappresentano un’articolata ed organizzata prestazione di servizi.
    5. Con riguardo al potere direttivo sui lavoratori impiegati nella commessa – secondo tratto distintivo dell’appalto – il Tar ha ritenuto di rinvenirlo nella previsione di cui all’art. 4 del capitolato, ai sensi della quale “l’aggiudicatario dovrà garantire un coordinamento complessivo dei servizi ed esplicitare nel progetto tecnico le modalità tecniche e gli strumenti aggiuntivi rispetto a quelli già messi a disposizione dalla ASL, con i quali procederà ad organizzare l’attività ed impartire gli ordini di servizio”.
    Da tale prescrizione il TAR è dunque giunto alle conclusione che gli ordini di servizio al personale verranno impartiti dall’aggiudicatario e non dalla Azienda sanitaria.
    5.1. Si tratta tuttavia di affermazione ampiamente ridimensionata da ulteriori previsioni del capitolato, trascurate dal giudice di primo grado.
    In particolare, l’art. 5 del capitolato, in cui è espressamente fissata la regola sugli ordini al personale, prevede che gli stessi “dovranno … attenersi alle direttive dei Responsabili dei Servizi Asl interessati”: le direttive, dunque, non verranno impartite dal committente all’aggiudicatario (come avviene nell’appalto), bensì direttamente dal committente ai lavoratori, elemento questo che caratterizza tipicamente la somministrazione di lavoro, come definita dall’art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015, che ne individua una delle caratteristiche nel fatto che i lavoratori soggiacciono al potere di direzione e controllo dell’utilizzatore.
    5.2. Peraltro, è vero che l’art. 4 del capitolato prevede che gli ordini di servizio potranno essere impartiti dall’aggiudicatario, o meglio, che il concorrente indichi in offerta gli strumenti “ulteriori rispetto a quelli messi a disposizione dalle ASL” (capitolato, pag. 3) con cui impartire gli ordini di servizio. Ma occorre rilevare, altresì, che è la stessa ASL a “determinare” le “regole” cui dovrà attenersi il personale. Invero, le stesse prescrizioni valorizzate dal TAR (laddove vi si legge che l’impresa impartirà ordini di servizio) prevedono espressamente che la ASL definisca “obiettivi” e “regolestandard”, che l’aggiudicatario – rimanendo il “formale datore di lavoro” (situazione tipica della somministrazione) – trasferirà ai lavoratori: l’art. 4 del capitolato stabilisce infatti che l’aggiudicatario provvederà ad “impartire ordini di servizio ..nel rispetto degli obiettivi e degli standard fissati dalla Direzione dell’Azienda e/o delle singole strutture” (capitolato, pag. 3).
    Dunque, le scelte organizzative dalle quali promanano le direttive sono rimesse all’utilizzatore delle prestazioni, sebbene promanino dal soggetto fornitore di personale.
    5.4. Si tratta, peraltro, di disposizioni riconducibili ad un effettivo potere direttivo del committente, e non di meri suggerimenti o indicazioni finalizzate ad ottimizzare il risultato del prodotto facente comunque capo all’organizzazione e alla gestione proprie dell’appaltatore.
    5.5. Pertanto, anche sotto il profilo del potere direttivo del personale messo a disposizione della Asl, la tesi della genuinità dell’appalto sconta limiti di coerenza con il concreto contenuto sostanziale delle prescrizioni di gara.
    Si profila, al contrario, un ulteriore elemento tipizzante del contratto di somministrazione, costituito dalla dissociazione dei poteri del datore di lavoro, come delineato dal comma 2 dell’articolo 20 del d.lgs. n. 276 del 2003, secondo il quale “Per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”.
    5.6. Il passaggio argomentativo in esame è assai rilevante, in quanto la giurisprudenza ha chiarito che, laddove si verta in fattispecie di appalto in cui la prestazione richiede esclusivamente l’impiego di manodopera, il criterio dell’effettivo esercizio del potere di organizzazione e di direzione, da parte dell’appaltatore o del committente, assume valore decisivo al fine di valutare la genuinità o meno dell’appalto (Cass. civ., sez. lav., 27 marzo 2017, n. 7796).

    6. Venendo infine al rischio di impresa – terzo tratto distintivo dell’appalto – il giudice di prime cure ha ritenuto di poterlo rinvenire nei “costi della sostituzione” del personale (anche in caso di sciopero) che l’appaltatore assume nell’erogazione dei servizi, oltre che nella prescrizione dettata dall’art. 6 del capitolato, che pone a carico dell’aggiudicatario i costi per i danni causati dai lavoratori (elemento valorizzato in sentenza alle pagine 4, 5 e 6).
    6.1. Anche tali elementi, tuttavia, nell‘ottica di una ponderazione complessiva dei tratti caratterizzanti il contenuto del rapporto, non dimostrano l’effettiva presenza di un reale rischio imprenditoriale in capo all’appaltatore.
    In proposito occorre considerare che nella fattispecie in esame:
    – sono in primo luogo assenti investimenti a carico dell’aggiudicatario, il quale non si fa carico dei costi per l’acquisto e l’organizzazione dei mezzi strumentali alla esecuzione della prestazione richiesta;
    – non è stata resa dimostrazione di un apporto di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni e, in genere, per sostenere il costo del lavoro), ovvero di know-how e beni immateriali in concreto forniti dalla appaltatrice, aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto;
    – i servizi richiesti dalla ASL vengono quantificati in ore lavoro (disciplinare, pagg. da 2 a 6) e retribuiti unicamente per le ore lavorate (disciplinare, pag. 28). Altrettanto accade nella somministrazione di lavoro, nella quale non viene retribuito il servizio in quanto tale, ma vengono remunerate le ore di lavoro effettivamente prestate, secondo un meccanismo che elide ogni forma di rischio e che fa corrispondere ad un certo numero di ore lavorate un certo costo per il personale impegnato e un correlato prezzo conseguito dal somministrante;
    – anche la prescrizione che pone a carico dell’aggiudicatario gli oneri della sostituzione del personale assente (capitolato, pag. 8) non contraddice, quindi, la natura tipica della somministrazione di personale: essendo l’oggetto della prestazione la “fornitura” del lavoratore, questi, se assente, deve essere sostituito senza oneri per il committente, che retribuisce la singola prestazione lavorativa oraria effettivamente resa (sia pure sulla base di un costo orario che in sé ingloba anche gli oneri della tutela assicurativa del lavoro).

    6.3. Analogo rilievo vale per la clausola che esenta la ASL dai danni subiti dai lavoratori, posto che, ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 81 del 2015, è l’Agenzia a sostenere gli oneri assicurativi a tutela degli infortuni subiti dai dipendenti.

    6.4. Il rischio di impresa non può essere ricondotto neppure alla previsione di penali, come sostenuto dalla ASL.
    La penale, infatti, come correttamente eccepito dalla parte appellante, non costituisce indice di rischio di impresa, dovendo questo desumersi dall’alea economica insita nell’attività affidata e derivante dall’imprevedibile andamento del mercato ovvero dalla riuscita delle scelte imprenditoriali compiute dall’appaltatore. Per converso, nulla osta alla previsione di penali anche nella somministrazione di lavoro, se connesse al grado di diligenza con il quale il somministrante è chiamato ad adempiere le sue obbligazioni (e quindi, ad esempio, al ritardo con cui invia i lavoratori in somministrazione o sostituisce i lavoratori assenti – cfr. i capitolati di gare di somministrazione allegate dalla parte appellante – doc. 6).
    In questi casi, la presenza della penale non muta la natura del contratto, ma corrobora l’obbligo di diligenza del contraente (art. 1176 c.c.) – valido per ogni fattispecie di obbligazione – secondo un meccanismo innestabile in qualunque tipologia di contratto.
    Peraltro, le penali contenute nel disciplinare della gara de qua (art. 35) risultano coerenti con lo schema della somministrazione di lavoro, essendo comminate per l’omesso o il ritardato avvio del servizio, la mancata sostituzione del personale o per eventuali errori commessi dallo stesso.
    6.5. Per quanto concerne i danni causati dai lavoratori, è vero che l’articolo 35 comma 7 del d.lgs. 81/2015 (e ancor prima l’art. 26 del d.lgs. n. 276 del 2003), applicabile anche alle somministrazioni instaurate con pubbliche amministrazioni, pone la relativa responsabilità civile in capo all’utilizzatore, quale “datore di lavoro sostanziale”, in deroga alla previsione generale contenuta nell’articolo 2049 del codice civile (si veda in tal senso la circolare n. 9/2007 sui contratti di somministrazione a tempo determinato nelle pubbliche amministrazioni).
    Nondimeno, non vi è alcuna preclusione normativa a che l’Agenzia possa pattiziamente porre a proprio carico detti costi, come avviene nel caso di specie.
    6.6. In ogni caso, se la disciplina in materia di danni causati dai lavoratori fornisce uno spunto utile alla tesi della parte resistente, è anche vero che per potersi predicare l’esistenza di un contratto d’appalto, occorre che l’oggetto negoziale sia costruito in modo da attribuire – in modo rilevante e per elementi qualificanti l’intero rapporto – il rischio contrattuale all’appaltatore; una condizione, quest’ultima, che nel caso di specie non si realizza, atteso che l’oggetto principale della prestazione è la “fornitura di lavoratori”, senza che assuma alcun rilievo, neppure sul piano remunerativo, il concreto risultato conseguito allo svolgimento delle prestazioni lavorative. La presenza di qualche secondaria deviazione da tale modello appare di rilievo marginale e, come tale, non idonea a contraddire la strutturale e prevalente incompatibilità dell’oggetto contrattuale con lo schema dell’appalto di servizi.
    7. Per tutto quanto esposto, la disamina in concreto dei contenuti del contratto smentisce la qualificazione giuridica ad esso assegnata dalla ASL e conduce a ravvisarvi una somministrazione di lavoro.
    8. Così riconfigurata, la gara si appalesa illegittima sia nella parte in cui non omette di richiamare, quali requisiti di partecipazione, il possesso dell’Autorizzazione Ministeriale e la conseguente iscrizione all’Albo – tutte norme di garanzia applicabili esclusivamente alla “somministrazione di lavoro” e non invece ai contratti d’appalto di servizi – ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 276 del 2003, dell’art. 30 del d.lgs. n. 81 del 2015 e dell’art. 83, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016; sia nella parte in cui prevede requisiti di ammissione inerenti lo svolgimento di servizi analoghi a quelli oggetto di gara (cfr. disciplinare pag. 2) – essendo questi propri delle imprese che svolgono appalti di servizi ma non anche delle agenzie di lavoro che, come la società appellante, operino esclusivamente nel campo della somministrazione di personale.

    Contratto di servizi a titolo gratuito – Sponsorizzazione – Configura un contratto a titolo oneroso soggetto alla disciplina del Codice dei contratti pubblici (art. 3 , art. 19 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. V, 03.10.2017 n. 4614 

    Il Collegio rileva che si tratta, anzitutto, di verificare se la legge consente la gratuità di un siffatto contratto : cioè se un contratto di prestazione di servizi (professionali), che preveda il solo (seppure ampio) rimborso delle spese contrasti o non contrasti con il paradigma normativo dell’appalto pubblico (di servizi), posto che l’art. 3 (definzioni), lett. ii), del d.lgs. 12 aprile 2016, n. 50 definisce gli “appalti pubblici” come «contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi», derivando queste connotazioni di onerosità dal diritto europeo.
    In particolare, per gli appalti nei settori ordinari, la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, afferma:
    – considerando (4): «La normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici non intende coprire tutte le forme di esborsi di fondi pubblici, ma solo quelle rivolte all’acquisizione di lavori, forniture o prestazioni di servizi a titolo oneroso per mezzo di un appalto pubblico».
    – art. 2 (definzioni) n. 5): ««appalti pubblici»: contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi».
    Occorre dunque chiarire la portata ed il significato, nei particolari contesti detti, dell’espressione «a titolo oneroso».
    Va considerato che la nozione è replicata anche per le contestuali direttive 2014/23/UE e 2014/25/UE. L’intero settore degli appalti pubblici e delle concessioni è dunque caratterizzato da questa necessaria connotazione.
    Ciò rilevato, si deve considerare che il fondamento della disciplina sui contratti pubblici riposa in principi generali del diritto dell’Unione Europea: il divieto di discriminazione in base alla nazionalità (art. 18 T.F.U.E.), le libertà di circolazione delle merci, di prestazione dei servizi, di stabilimento, e di circolazione dei servizi, le regole di concorrenza enucleate dall’art. 101 del T.F.U.E.. I contratti pubblici debbono perciò formarsi in un mercato concorrenziale e la loro disciplina è improntata alla concorrenza.
    La caratterizzazione di “onerosità” appare da riferire a questa contestualizzazione al mercato di matrice europea; sembra muovere dal presupposto che il prezzo corrispettivo dell’appalto costituisca un elemento strumentale e indefettibile per la serietà dell’offerta, e l’inerente affidabilità dell’offerente nell’esecuzione della prestazione contrattuale. Al fondamento pare esservi il concetto che un potenziale contraente che si proponga a titolo gratuito, dunque senza curare il proprio interesse economico nell’affare che va a costosamente sostenere, celi inevitabilmente un cattivo e sospettabile contraente per una pubblica Amministrazione.
    Il tema ha naturalmente diverse declinazioni, a seconda che riguardi contratti “attivi” (comportanti per l’Amministrazione un’entrata) o contratti “passivi” (comportanti per l’Amministrazione una spesa). Per quanto riguarda gli appalti pubblici, si verte in principio di contratti passivi e su questi occorre concentrare l’attenzione.
    La par condicio tra partecipanti alla gara, presidio della concorrenzialità, è necessaria nel presupposto che la tutela della concorrenza rechi con sé la garanzia di efficienza del mercato.
    In una tale prospettiva – osserva il Collegio – una lettura sistematica delle previsioni ricordate, con considerazione degli interessi pubblici immanenti al contratto pubblico e alle esigenze che lo muovono, induce a ritenere che l’espressione “contratti a titolo oneroso” può assumere per il contratto pubblico un significato attenuato o in parte diverso rispetto all’accezione tradizionale e propria del mondo interprivato. In realtà, la ratio di mercato cui si è accennato, di garanzia della serietà dell’offerta e di affidabilità dell’offerente, può essere ragionevolmente assicurata da altri vantaggi, economicamente apprezzabili anche se non direttamente finanziari, potenzialmente derivanti dal contratto.
    La garanzia di serietà e affidabilità, intrinseca alla ragione economica a contrarre, infatti, non necessariamente trova fondamento in un corrispettivo finanziario della prestazione contrattuale, che resti comunque a carico della Amministrazione appaltante: ma può avere analoga ragione anche in un altro genere di utilità, pur sempre economicamente apprezzabile, che nasca o si immagini vada ad essere generata dal concreto contratto.
    Del resto, quanto alla ragione economica del contraente, la giurisprudenza da tempo ammette l’abilitazione a partecipare alle gare pubbliche in capo a figure del c.d. “terzo settore”, per loro natura prive di finalità lucrative, vale a dire di soggetti che perseguano scopi non di stretto utile economico, bensì sociali o mutualistici; a loro è stato ritenuto non estensibile il principio del c.d. “utile necessario” fondato sull’innaturalità ed inaffidabilità, per un operatore del mercato, di un’offerta in pareggio, perché contro il naturale scopo di lucro (Cons. Stato, V, 20 febbraio 2009, n. 1018 e n. 1030; VI, 16 giugno 2009, n. 3897; V, 10 settembre 2010, n. 6528; V, 13 luglio 2010, n. 4539; V, 26 agosto 2010, n. 5956; III, 9 agosto 2011, n. 4720; III, 20 novembre 2012, n. 5882; VI, 23 gennaio 2013, n. 387; III, 15 aprile 2013, n. 2056; V, 16 gennaio 2015, n. 84; III, 17 novembre 2015, n. 5249; III, 27 luglio 2015, n. 3685; V, 13 settembre 2016, n. 3855). Il fatto stesso della presenza di questa consolidata giurisprudenza dimostra che l’utile finanziario in realtà non è considerato elemento indispensabile dal diritto vivente dei contratti pubblici: e conferma l’assunto qui testé enunciato.
    La circostanza che l’offerta senza prefissione di utile presentata da un siffatto tipo di soggetto non sia presunta, solo per questo, anomala o inaffidabile, e non impedisca il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio stricto sensu economico, dimostra che le finalità ultime per cui un soggetto può essere ammesso a essere parte di un contratto pubblico possono prescindere da una stretta utilità economica.
    E’ proprio per questo riguardo che è stato rilevato come non contrasti con la definizione di operatore economico contenuta nelle direttive europee la detta connotazione propria delle associazioni di volontariato.
    A maggiore ragione, dunque, può esservi ammesso l’aspirante contraente cui si chiede di prescindere non già da un’utilità economica, ma solo da un’utilità finanziaria : perché l’utilità economica si sposta su leciti elementi immateriali inerenti il fatto stesso del divenire ed apparire esecutore, evidentemente diligente, della prestazione richiesta dall’Amministrazione.
    Conseguenza di una tale considerazione è la preferenza, nell’ordinamento dei contratti pubblici, per un’accezione ampia e particolare (rispetto al diritto comune) dell’espressione «contratti a titolo oneroso», tale da dare spazio all’ammissibilità di un bando che preveda le offerte gratuite (salvo il rimborso delle spese), ogniqualvolta dall’effettuazione della prestazione contrattuale il contraente possa figurare di trarre un’utilità economica lecita e autonoma, quand’anche non corrispostagli come scambio contrattuale dall’Amministrazione appaltante.
    L’assunto trova del resto conforto nella giurisprudenza europea, per la quale vale ricordare Corte Giust. U.E., 12 luglio 2011, in causa C-399/98 (Bicocca), a tenore della quale la direttiva 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, osta ad una normativa nazionale in materia urbanistica (art. 28 legge n. 1150 del 1942 e art. 12 legge reg. Lombardia n. 60 del 1977) che, al di fuori delle procedure previste da tale direttiva, consenta al titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione approvato la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della concessione, nel caso in cui il valore di tale opera eguagli o superi la soglia fissata dalla stessa direttiva. Detta sentenza, per quanto qui rileva, ha affermato (§§ 76 e ss.) che se si ha riguardo all’obiettivo della direttiva 93/37/CEE sugli appalti pubblici di lavori, la sua previsione secondo cui «gli appalti pubblici di lavori sono contratti a titolo oneroso» va interpretata “in modo da assicurare l’effetto utile della direttiva medesima”: infatti per attribuire a un contratto pubblico il carattere di oneroso non è necessario un esborso pecuniario, perché ad analogo rilievo funzionale assolve la realizzazione a scomputo di opere di urbanizzazione secondaria.
    Quel ragionamento incentrato sul principio dell’effetto utile, che vuole che le disposizioni siano lette, di preferenza, nel senso di favorire il raggiungimento dell’obiettivo da esse prefissato, avvalora le considerazioni qui sopra svolte.
    Del resto, non è inconferente rilevare che assume ormai particolare pregnanza nell’ordinamento, evidenziando il rilievo dell’economia dell’immateriale, la pratica dei contratti di sponsorizzazione, che ha per gli stessi contratti pubblici la disciplina generale nell’art. 19 del d.lgs. n. 50 del 2016 (cfr. art. 199-bis d.lgs. n. 163 del 2006), e una particolare applicazione nel settore dei beni culturali (art. 120 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42). La sponsorizzazione non è un contratto a titolo gratuito, in quanto alla prestazione dello sponsor in termini di dazione del denaro o di accollo del debito corrisponde l’acquisizione, in favore dello stesso sponsor, del diritto all’uso promozionale dell’immagine della cosa di titolarità pubblica: il motivo che muove quest’ultimo è l’utilità costituita ex novo dall’opportunità di spendita dell’immagine, cioè la creazione di un nuovo bene immateriale. Per l’Amministrazione è finanziariamente non onerosa – cioè passiva: non comporta un’uscita finanziaria – ma comunque genera un interesse economico attivo per lo sponsor, insito in un prodotto immateriale dal valore aggiunto che va a suo vantaggio. In altri termini: la circostanza che vi sia verso lo sponsor una traslazione meramente simbolica, cioè di immagine, della cosa di titolarità pubblica non può essere considerata come vicenda gratuita, ma va posta in stretta relazione, nei termini propri dell’equilibrio sinallagmatico, con il valore della controprestazione, vale a dire della dazione dello sponsor.
    Con la sponsorizzazione si ha dunque lo scambio di denaro contro un’utilità immateriale, costituita dal ritorno di immagine.
    L’utilità costituita dal potenziale ritorno di immagine per il professionista può essere insita anche nell’appalto di servizi contemplato dal bando qui gravato: il che rappresenta un interesse economico, seppure mediato, che appare superare – alla luce della ricordata speciale ratio – il divieto di non onerosità dell’appalto pubblico, e consente una rilettura critica dell’asserita natura gratuita del contratto di redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro.
    L’effetto, indiretto, di potenziale promozione esterna dell’appaltatore, come conseguenza della comunicazione al pubblico dell’esecuzione della prestazione professionale, appare costituire, nella struttura e nella funzione concreta del contratto pubblico, di cui qui si verte, una controprestazione contrattuale anche se a risultato aleatorio, in quanto l’eventuale mancato ritorno (positivo) di immagine (che è naturalmente collegato alla qualità dell’esecuzione della prestazione) non può dare luogo ad effetti risolutivi o risarcitori.
    Non vi è dunque estraneità sostanziale alla logica concorrenziale che presidia, per la ricordata matrice eurounitaria, il Codice degli appalti pubblici quando si bandisce una gara in cui l’utilità economica del potenziale contraente non è finanziaria ma è insita tutta nel fatto stesso di poter eseguire la prestazione contrattuale.
    Il mercato non ne è vulnerato. Al tempo stesso, non si vede per quale ragione le dette considerazioni di economia dell’immateriale non possano essere prese in considerazione quando giovano, come qui patentemente avviene, all’esigenza generale di contenimento della spesa pubblica.
    4. – Resta comunque l’esigenza della garanzia della par condicio dei potenziali contraenti, che va assicurata dalla metodologia di scelta tra le offerte.
    E’ infatti il caso di rilevare che è per questa essenziale ragione che un tale contratto pubblico, per quanto “gratuito” in senso finanziario (ma non economico), non può che rimanere nel sistema selettivo del d.lgs. n. 50 del 2016: altrimenti, se ne fosse fuori, portando alle conseguenze un diverso ragionamento, l’Amministrazione appaltante potrebbe scegliere il contraente a piacimento, con ciò ingenerando un’evidente lesione della par condicio dei potenziali interessati al contratto proprio per quell’utile immateriale e ledendo gli stessi principi di derivazione eurounitaria del mercato concorrenziale che sono alla base delle commesse pubbliche.
    La gratuità finanziaria, anche se non economica, del contratto si riflette infatti sulla procedura di selezione, che non può non esservi in concreto adattata.
    La descritta concezione “debole” di «contratto a titolo oneroso» va dunque ulteriormente valutata in compatibilità con il d.lgs. n. 50 del 2016 anche per ciò che riguarda la procedura di scelta del contraente, improntata al criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che, di suo, si baserebbe sul miglior rapporto tra qualità e prezzo.
    Ma la caratterizzazione che si è finora esaminata corrisponde fatalmente a una lex specialis del tutto particolare, che non può che riservare punti zero alla componente economica. Sicché il vaglio della domanda si esaurisce nella valutazione dell’offerta tecnica, in ipotetica criticità con la configurazione di tale criterio ad opera dell’art. 83 d.lgs. n. 50 del 2016.
    Occorre dunque valutare la compatibilità di una siffatta tipologia contrattuale con le regole dell’evidenza pubblica ed i principi eurounitari, in particolare sotto il profilo della suscettibilità di adeguata valutazione delle offerte prive di un contenuto economico. Si tratta di una valutazione da svolgere in concreto ed ex ante.

    Appalto di servizi – Iscrizione in albi o registri – Non costituisce requisito di partecipazione – Rilevanza soltanto in sede di esecuzione

    TAR Firenze, 31.03.2017 n. 496

    La lex specialis di gara non prevede, quale requisito di partecipazione, la qualificazione richiesta dal d.p.r. n. 43/2012; inoltre, la legislazione vigente non contempla norme integrative del bando tese ad imporre, quale requisito di partecipazione alla gara, l’adempimento degli obblighi di certificazione e di iscrizione contemplati nel d.p.r. n. 43/2012.
    Pertanto, l’invocata qualificazione rileva soltanto quale requisito di esecuzione dell’appalto, ovvero quale requisito indispensabile da dimostrare in fase esecutiva, qualora l’appalto riguardi lavori o interventi su impianti di cui al citato d.p.r.. Invero, in presenza di norme di settore che prevedono una specifica idoneità per l’esecuzione di determinate prestazioni richieste dall’appalto, quale ad esempio l’iscrizione ad albi o registri, la richiesta del relativo possesso rileva esclusivamente come requisito da dimostrare in fase di esecuzione e non come condizione per la partecipazione alla gara (in tal senso è, ad esempio, il parere dell’ANAC n. 30 del 12.3.2015).