TAR Torino, 14.08.2019 n. 948
I controlli di cui all’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016, citati nel provvedimento impugnato, sono volti a verificare il possesso dei requisiti di partecipazione alla gara di appalto, la cui mancanza determina l’esclusione dalla gara medesima.
È chiaro pertanto che l’emergere, in sede di controllo, dell’assenza di requisiti di partecipazioni integranti la violazione del codice etico aziendale costituisce causa giustificatrice dell’annullamento dell’aggiudicazione per sua illegittimità. (…)
Dalla lettura degli atti di giudizio emerge chiaramente quali siano i fatti a supporto della decisione della – OMISSIS – S.p.A. di agire in autotutela: dalle verifiche sui requisiti ai sensi dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 era emerso che l’Ing. – OMISSIS – era Amministratore delegato di – OMISSIS – S.p.A., società alla quale è stata affidato il servizio di assistenza alla progettazione esecutiva, e nel contempo, era dipendente della stessa – OMISSIS – S.p.A. (…).
Tale circostanza di fatto è ammessa dalla stessa ricorrente.
Ebbene, il fatto che l’Amministratore delegato di una società aggiudicatrice per il servizio (…) sia anche dipendente della Stazione appaltante (…) non può ritenersi circostanza irrilevante.
L’art. 42 del decreto legislativo n. 50 del 2016 recita: “1. Le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici. 2. Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62. 3. Il personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 2 è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante, ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni. Fatte salve le ipotesi di responsabilità amministrativa e penale, la mancata astensione nei casi di cui al primo periodo costituisce comunque fonte di responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico. 4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 valgono anche per la fase di esecuzione dei contratti pubblici. 5. La stazione appaltante vigila affinché gli adempimenti di cui ai commi 3 e 4 siano rispettati.”.
L’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 recita “1. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.
Si evidenzia che il riferimento alle ipotesi previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, contenuto nell’art. 42 citato, costituisce un rinvio ampliativo ed esemplificativo e non limitativo, come si evince dall’uso della locuzione “in particolare” (sul punto T.A.R. Abruzzo – Pescara, Sez. I, 9 gennaio 2017, n. 21).
Sul punto il Consiglio di Stato ha evidenziato che “La fattispecie descritta dall’art. 42, comma 2 del d.lgs. 50 del 2016 ha portata generale, come emerge dall’uso della locuzione “in particolare”, riferita alla casistica di cui al richiamato art. 7 d.P.R. n. 62 del 2013, avente dunque mero carattere esemplificativo” [già su questo sito, Consiglio di Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415].
Il Collegio rileva che le richiamate disposizioni del codice attuano l’art. 24 della direttiva 2014/24/UE, secondo cui: “Gli Stati membri provvedono affinché le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure adeguate per prevenire, individuare e porre rimedio in modo efficace a conflitti di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici. Il concetto di conflitti di interesse copre almeno i casi in cui il personale di un’amministrazione aggiudicatrice o di un prestatore di servizi che per conto dell’amministrazione aggiudicatrice interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti o può influenzare il risultato di tale procedura ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto”.
Ciò premesso, l’art. 80, comma 5, lett. d) prevede l’esclusione dalla gara nel caso in cui la partecipazione dell’operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’art. 42, comma 2 del Codice degli appalti non diversamente risolvibile.
Nel caso in esame, inoltre, il Codice etico aziendale, all’art. 4, rubricato “Conflitto d’interesse” prevedeva espressamente che “…Si intende sussistente una situazione di conflitto d’interesse sia nel caso in cui un collaboratore (o persona ad esso comunque collegata), con il proprio comportamento, persegua interessi diversi da quello della missione aziendale o si avvantaggi personalmente di opportunità d’affari dell’impresa, sia nel caso in cui i rappresentanti degli stakeholder (riuniti in gruppi, associazioni, istituzioni pubbliche o private), agiscano in contrasto con i doveri fiduciari legati alla loro posizione. Coloro che sono tenuti all’osservanza del Codice Etico non devono esercitare alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti d’ufficio e devono astenersi dal partecipare a qualsiasi attività che possa generare o far apparire un conflitto d’interesse, in osservanza ai principi di legalità, lealtà, correttezza e trasparenza. In tutti i casi in cui debba essere assunta una decisione relativamente ad interessi del coniuge o di parenti ed affini entro il secondo grado, il dipendente deve darne immediata segnalazione al responsabile della struttura aziendale e deve astenersi dal partecipare a tutte le attività connesse alla decisione. L’astensione, quindi, comprende non soltanto la decisione, ma anche lo svolgimento di attività inerenti alle mansioni del dipendente, cioè una totale astensione da qualsiasi interferenza con il procedimento in corso. In particolare sussiste un dovere di astensione dall’intrattenere rapporti professionali esterni con soggetti nei cui confronti è vigente un obbligo di neutralità ed imparzialità. Il mancato rispetto da parte del dipendente delle disposizioni relative al conflitto d’interesse costituisce una grave violazione che dà luogo a responsabilità disciplinare. Il dipendente, fermo restando quanto dettato dalle norme contrattuali, non può assumere incarichi esterni in società o imprese commerciali i cui interessi siano direttamente o anche solo potenzialmente contrastanti o interferenti con quelli di – OMISSIS – S.p.A. e, comunque, non può accettare incarichi di collaborazione con soggetti che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico in decisioni o attività inerenti l’ufficio. In base al comma 16 ter dell’art. 53 del D.lgs. 165/2001, introdotto dalla legge n. 190/2012, “I dipendenti che negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi e negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della Pubblica Amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal precedente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”. – OMISSIS – S.p.A., al fine di garantire l’osservanza della norma, ha richiamato esplicitamente nei propri atti di gara tale disposizione. Nel caso in cui il dipendente o collaboratore rilevi, anche in via dubitativa, la sussistenza di un conflitto di interessi che lo vede coinvolto, è tenuto a darne comunicazione al proprio diretto superiore/dirigente, il quale esamina la comunicazione per le conseguenti valutazioni”.
Ciò premesso sotto il profilo normativo, sul conflitto di interessi nelle gare pubbliche si richiama quanto condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato “Seppur sia riferito al previgente sistema normativo in materia di contratti pubblici, costituito dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e dal d.P.R. 10 dicembre 2010, n. 207, dove non vi era una specifica disciplina del conflitto di interessi, il Collegio ritiene di poter fare applicazione, in quanto non contraddetto dalla disciplina attualmente vigente, del costante orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, V, 19 settembre 2006, n. 5444) per cui “le situazioni di conflitto di interessi, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite”. Per l’effetto, al di là delle singole disposizioni normative, ogni situazione che determini un contrasto, anche solo potenziale, tra il soggetto e le funzioni attribuitegli, deve comunque ritenersi rilevante a tal fine: invero, secondo consolidata giurisprudenza, “ogni Pubblica Amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione, al principio generale di imparzialità e di trasparenza ex art. 97 Cost. (Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 1998, n. 1291; Cons. Giust. Amm. Sic., sez. giur., 26 aprile 1996, n. 83; Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 1995, n. 775), tanto che le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della Pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o non un risultato illegittimo (Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2004, n. 563)”. Ritiene il Collegio che in quest’ottica si collochi, senza soluzione di continuità, il principio adesso normativamente espresso dall’art. 42, comma 2 del d.lgs. n. 50 del 2016. In effetti, le ipotesi ivi previste (in termini generali ed astratti) si riferiscono a situazioni in grado di compromettere, anche solo potenzialmente, l’imparzialità richiesta nell’esercizio del potere decisionale. Si verificano quando il “dipendente” pubblico (ad esempio, il Rup ed i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali ed il provvedimento finale, esecuzione contratto e collaudi) ovvero colui (anche un soggetto privato) che sia chiamato a svolgere una funzione strumentale alla conduzione della gara d’appalto, è portatore di interessi della propria o dell’altrui sfera privata, che potrebbero influenzare negativamente l’esercizio imparziale ed obiettivo delle sue funzioni. La definizione normativa, del resto, appare coerente con lo ius receptum per cui le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della pubblica amministrazione, ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o meno un risultato illegittimo (Cons. Stato, VI, 13 febbraio 2004, n. 563)” (Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415). (…)
Ebbene, la norma sul conflitto di interesse è posta a tutela di un pericolo astratto e presunto che non richiede la dimostrazione, volta per volta, del vantaggio conseguito.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, ne deriva che la situazione sopra descritta, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, integra gli estremi di un conflitto di interessi ai sensi dell’art. 4 del Codice etico aziendale e dell’art. 42 del decreto legislativo n. 50 del 2016.
Tale conflitto d’interessi ha pertanto reso illegittima la partecipazione della ricorrente alla gara, integrando, contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, la causa di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lett. d) del codice dei contratti pubblici, a nulla rilevando il dedotto contrasto con atti precedentemente posti in essere dalla – OMISSIS – S.p.A.. (…) Ebbene, alla luce di quanto sopra esposto si deve ritenere che, nel caso di specie, sussista un’ipotesi di cui all’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (quella di cui al comma 5, lettera d) e che vi sia stata una violazione del codice etico della – OMISSIS – S.p.A. che peraltro, secondo recente giurisprudenza, costituisce una vera e propria ipotesi di inadempimento contrattuale (TAR Lazio, Roma, Sez. II, 25 marzo 2019, n. 3910).