Consiglio di Stato, sez. V, 14.05.2020 n. 3048
L’art. 42, comma 2, citato prevede che: “Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62.”.
A sua volta, il richiamato art. 7 d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici), rubricato “Obbligo di astensione”, stabilisce che “Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.
Il conflitto di interesse di cui all’art. 42 citato è causa di esclusione dalla procedura ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. d) del codice dei contratti pubblici. (…)
Il conflitto di interessi di cui all’art. 42, comma 2, del codice dei contratti pubblici non è solo quello realmente accertato, ma anche quello potenzialmente esistente, come reso evidente dal riferimento normativo all’interesse personale del funzionario che possa essere “percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione”; la disposizione, insomma, è lato sensu una “norma di pericolo”, nel senso che essa e le misure che contempla (astensione dei dipendenti) o comporta (esclusione dell’impresa concorrente) operano per il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale possa determinare (così Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2019, n. 355). Il conflitto di interessi si ricava, allora, in via presuntiva da due elementi indiziari quali a) l’esistenza di un interesse personale del funzionario; b) il ruolo che questi riveste nella procedura di gara tale da consentire di “intervenire” o di “influenzare” il risultato, per le informazioni privilegiate che ha a disposizione e può trasferire all’impresa concorrente così ponendola in condizione di vantaggio sugli altri concorrenti (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2019, n. 6150, nonché Cons. Stato, parere 5 marzo 2019, n. 667). (…)
Per gli elementi indiziari posti dal legislatore a base del ragionamento presuntivo – l’interesse personale e il ruolo rivestito dal funzionario – come non deve essere provato dalla stazione appaltante il reale possesso dell’informazioni privilegiate da parte del funzionario, allo stesso modo è fuori dal perimetro probatorio la dimostrazione che le informazioni siano, poi, state effettivamente trasferite alla consociata in affari.
E’, invece, a carico dell’impresa, una volta che l’amministrazione abbia dato conto dell’uno e dell’altro elemento indiziario, dimostrare che non vi è stata violazione del principio delle pari opportunità nella formulazione dei termini delle offerte per tutti gli offerenti né si è determinato alcun rischio reale di pratiche atte a falsare la concorrenza tra gli offerenti.
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