Lamenta la ricorrente l’incompatibilità ex art. 77 c. 4, d.lgs. 50/2016 (come modificato dal d.lgs. 56/2017) del Presidente della Commissione per il cumulo con le funzioni di RUP, di approvazione della lex specialis e di nomina del seggio di gara stesso.
Ai sensi del citato art. 77 nel testo attualmente in vigore “I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta. La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura.”
Non può ignorarsi che la norma nel testo originario ovvero prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dal decreto correttivo, appariva stabilire una secca incompatibilità tra le funzioni di membro della Commissione e altre funzioni svolte nell’ambito della gara (ex multis T.A.R. Emilia -Romagna Bologna, sez. II, 25 gennaio 2018, n. 87; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 29 giugno 2017, n. 1074 secondo cui sarebbe necessaria la c.d. “virgin mind”). La giurisprudenza è ormai però oggi consolidata nel senso di escludere una incompatibilità automatica per il cumulo delle funzioni, per essere, invece, indispensabile procedere ad una valutazione caso per caso che tenga conto dell’esistenza di una qualche comprovata ragione di interferenza o condizionamento, con la necessaria precisazione per la quale né l’una, né l’altra, può desumersi dal fatto che lo stesso soggetto abbia svolto funzioni nelle fasi della predisposizione della legge di gara e della sua concreta applicazione, ribaltandosi altrimenti il rapporto tra principio generale ed eccezione, in quanto spettanti al RUP normalmente gli atti della procedura (in tal senso Consiglio di Stato, sez. III, 26 ottobre 2018, n. 6082, secondo cui l’aggiunta apportata all’art. 77 c. 4 del codice dei contratti pubblici (“La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”) costituisce null’altro che il recepimento legislativo di un orientamento formatosi già nella vigenza del precedente codice (Consiglio di Stato, sez. V, 27 luglio 2019, n. 5308; Id. 14 gennaio 2019, n. 283).
7.1. Va pertanto confermato il principio per cui il ruolo di RUP è di regola compatibile in astratto con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice, dovendo l’eventuale incompatibilità accertarsi in concreto, con onere a carico di chi la contesta, allegando elementi concreti, sintomatici di un’interferenza tra le funzioni assegnate al RUP e quelle della Commissione di gara, tali da compromettere l’imparziale svolgimento dell’incarico di membro della commissione da parte della stessa persona che ha assunto le funzioni di RUP (ex multis, T.A.R. Veneto, sez. I, 7 luglio 2017, n. 660; Consiglio di Stato, sez. V, 23 marzo 2015, n. 1565).
Il verbale unico di valutazione delle offerte tecniche relative a tutti i lotti è illegittimo e nullo perché privo di elementi essenziali, quale è la data, e in quanto il dettaglio dei punteggi attribuiti per ciascun criterio di valutazione è illustrato in un allegato al verbale che non è firmato dai commissari.
Sotto diverso ed ulteriore profilo si deve evidenziare l’illegittimità dell’operato della commissione perché dal complesso della verbalizzazione si evince che le attività valutative si sono svolte in più sedute riservate, delle quali peraltro non è stata fatta alcuna verbalizzazione.
A ben vedere i verbali neppure descrivono, ancorché sinteticamente, le operazioni svolte dalla commissione. Secondo la giurisprudenza, nell’ipotesi di mancanza di norme contrarie, anche della lex specialis, che prescrivano la verbalizzazione distinta di ogni singola riunione, la commissione di gara può far risultare in unico verbale tutte le operazioni poste in essere, ancorché svoltesi in più giornate, dando conto di tale distinzione. La verbalizzazione successiva è ammessa purché sopraggiunga in un arco temporale ragionevolmente breve e tale da evitare che vi possano essere errori od omissioni nella ricostruzione dei fatti e dell’iter valutativo posto in essere dalla commissione di gara. Più in dettaglio, è stato al riguardo affermato che: “In mancanza di specifiche indicazioni della normativa di settore e della disciplina di gara, deve escludersi la strettissima necessità di redigere contestuali e distinti verbali per ciascuna seduta della Commissione di gara a pena dell’illegittimità dell’intera procedura. Tuttavia, per elementari ragioni di trasparenza, è necessario comunque che la verbalizzazione delle operazioni compiute, ancorché relativa a più giornate, contenga una corretta e documentate rappresentazione delle singole operazioni svolte nelle singole adunanze. La verbalizzazione, poi, può anche essere non contestuale, ma deve seguire un termine ragionevolmente breve e comunque tale da scongiurare gli effetti negativi della naturale tendenza alla dispersione degli elementi informativi (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3902). La necessità di un processo verbale delle operazioni della Commissione sta nella duplice esigenza: – di dare conto sinteticamente, ma compiutamente, di tutte le attività espletate e di tutte le operazioni svolte in ciascuna riunione; – di indicare specificamente tutti coloro che avevano partecipato alle singole sedute svoltesi. Ma quando le adunanze della Commissione sono molteplici è necessario che, in conformità con i principi applicabili per gli atti collegiali, le verbalizzazioni di ciascuna seduta, di norma, avvengano partitamente per le varie adunanze, nella successiva seduta per la quale il collegio sia stato riconvocato fatto salvo che, in caso di motivate esigenze connesse con gli impegni dei componenti della Commissione, entro un comunque termine ragionevole. Ciò a garanzia del fatto che i primi giudizi non siano successivamente artatamente modificati in relazione all’evolversi dell’attività di valutazione delle offerte stesse.
Nel caso in questione la Commissione, nell’ultimo verbale, del tutto illegittimamente si è limitata a dare solo l’indicazione delle date delle precedenti riunioni e null’altro. Deve dunque escludersi che possa essere legittima un’unica verbalizzazione di ben dieci sedute avvenute in un arco temporale di un semestre, nel corso delle quali si sono evidentemente svolte molteplici, e non meglio precisate, operazioni. Anche sotto il profilo dell’eccesso di potere per violazione dei principi di imparzialità e trasparenza, tale elemento contribuisce a radicare ulteriormente la convinzione dell’insanabile illegittimità dell’intero procedimento” (Cons. Stato, Sez. III, 22.10.2018, n. 6035).
Nel caso di specie è stata redatta una verbalizzazione unica priva di data, nella quale non vengono nemmeno indicate quante sono state le sedute riservate, in quale data esse si sono svolte e chi era presente. Il processo verbale (documento che fa prova fino a querela di falso) deve invece contenere una sintesi dettagliata delle attività svolte dall’organo (commissione di gara) e gli estremi necessari ad individuare l’imputazione della volontà decidente, compresa la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha compilato (ovvero, la sottoscrizione da parte di tutti i membri).
Nel caso di specie tutto ciò difetta.
Si aggiunge che non è in alcun modo verificabile, tra le altre cose, se le attività valutative sono state svolte dalla commissione di gara nel suo plenum e, quindi, nel rispetto del principio del collegio perfetto.
Manca pertanto la garanzia che sia stato rispettato il principio del collegio perfetto, ed è apertamente violato il principio di trasparenza. Neppure sussiste la garanzia che le attività valutative siano state svolte prima dell’aggiudicazione.
Dal verbale redatto per il lotto specifico si evince che le attività di valutazione dell’offerta tecnica sono state avviate il 16.06.2022 e terminate “congelate” (sic) il 23.06.2022.
Nel verbale viene peraltro fatto riferimento al solo segretario verbalizzante e non all’intera commissione. Nel verbale di valutazione delle offerte tecniche, privo di data, viene indicato che “la Commissione giudicatrice ha effettuato la valutazione delle offerte tecniche in una serie di sedute riservate”, ma non vi è alcun cenno su tempistiche e modalità dell’attività valutativa di volta in volta svolta e di dove, come e quando la commissione si sia riunita di tempo in tempo per svolgere collegialmente le valutazioni di competenza, né di che attività valutative siano state svolte in ogni seduta.
Da quanto precede deriva, con evidenza, l’illegittimità delle operazioni di gara svolte dalla commissione.
In particolare, la tesi della società che i criteri di valutazione delle offerte previsti dal disciplinare di gara non fossero specifici e dettagliati è affidata a considerazioni meramente assertive nonché a richiami giurisprudenziali i quali, alla luce dei contrari, specifici e motivati rilievi su cui si è fondato il Tar, rimasti sostanzialmente inconfutati, non si attagliano al caso di specie, e non sono pertanto suscettibili di porre nel nulla il contestato decisum.
Non diversamente deve concludersi quanto alle doglianze relative al modo in cui i Commissari di gara hanno espresso le proprie valutazioni sulle offerte, in relazione al quale il Collegio può limitarsi a richiamare l’orientamento giurisprudenziale allo stato prevalente (rispetto al diverso e più risalente orientamento invocato dall’appellante), qui da condividere, che nega che l’espressione di un identico giudizio da parte di tutti i Commissari possa far presumere automaticamente la sussistenza di un giudizio collegiale e precostituito (nulla quindi muta considerando che il disciplinare di gara prevedesse la valutazione delle offerte tecniche da parte dei “singoli commissari”), in quanto l’identità del punteggio bene può denotare una legittima e fisiologica evoluzione del confronto dialettico svoltosi in seno all’organo tecnico (tra altre, Cons. Stato, 15 settembre 2021, n. 6300; III, 19 gennaio 2021, n. 574; 29 maggio 2020, n. 3401; 6 novembre 2019, n. 7595; V, 17 dicembre 2015 n. 517; 24 marzo 2014, n. 1428, sentenze relative anche a fattispecie in cui la valutazione è avvenuta, come nel caso di specie, con l’applicazione del metodo del c.d. “confronto a coppie”).
Nel diritto dei contratti pubblici non esiste alcuna regola, men che mai precauzionale, che imponga necessariamente alla commissione, nel valutare l’offerta tecnica, di procedere prima all’assegnazione dei punteggi discrezionali e poi a quelli vincolati” (Consiglio di Stato, sez. III, n. 8295/2020 cit.): tanto più nel caso in esame, ove andava valutata esclusivamente l’offerta tecnica, non è invocabile alcuna regola, nemmeno precauzionale, che preveda uno specifico ordine nell’assegnazione dei punteggi discrezionali e vincolati.
Pertanto, in assenza di previsioni di legge che impongano di seguire un rigoroso ordine nell’attribuzione dei punteggi dell’offerta tecnica e considerata poi la natura dell’affidamento per cui è causa, è del tutto legittimo l’operato della Commissione di gara che valuti prima l’offerta in base ai criteri di tipo automatico e successivamente attribuisca il punteggio per i criteri discrezionali o viceversa, non sussistendo alcuna violazione dei principi di precauzione o trasparenza (non rinvenendosi peraltro alcuna previsione di separatezza formale tra elementi tecnici valutabili automaticamente ed elementi tecnici soggetti a valutazione discrezionale neanche nelle Linee Guida ANAC n. 2, di attuazione del D.Lgs. 50/2016, riguardante l’“Offerta economicamente più vantaggiosa”).
2. Con il secondo motivo di appello si lamenta che la commissione di gara sarebbe stata illegittimamente modificata tra la prima edizione (poi annullata in autotutela) e la seconda edizione della gara stessa.
Osserva innanzitutto il collegio che, in realtà, uno dei commissari è stato sostituito per motivi di salute.
Ciò premesso, quello della immodificabilità dei commissari, principio ricavabile dall’art. 77, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016(a mente del quale, nel caso di rinnovazione delle operazioni di gara, deve essere la medesima commissione a riesaminare gli atti, salvo che il giudice non abbia accertato un vizio di composizione della commissione stessa), non è ad ogni modo un principio valevole in via assoluta.
Questa stessa sezione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 febbraio 2021, n. 1415) ha infatti affermato che, in presenza di talune ipotesi di necessità, il singolo membro può e deve anzi essere sostituito proprio per non aggravare oltre misura l’azione amministrativa legata alla ripetizione della procedura competitiva. Trova dunque conferma quel dato orientamento (Cons. Stato, sez. V, 16 maggio 2006, n. 2813) secondo cui è legittima la sostituzione di un componente della commissione che si riveli in stato di impedimento, e ciò per il generale principio di diritto pubblico sulla temporaneità delle cariche e sugli impedimenti soggettivi, principio che va applicato nel senso della possibilità di sostituire i componenti del collegio ove si manifestino ragioni di carattere soggettivo e sopravvenute rispetto all’atto di nomina. Né si potrebbe sostenere che la commissione di gara avrebbe dovuto fare ricorso a componenti supplenti, atteso che a tale modalità di sostituzione si ricorre di norma per ragioni meramente estemporanee (dunque per assenze o indisponibilità limitate nel tempo), laddove nel caso di specie l’indisponibilità del commissario non aveva simili caratteristiche.
A ciò si aggiunga che:
2.1. Secondo le censure della appellante, la sostituzione del membro titolare nella Commissione di gara sarebbe illegittima in quanto difetterebbe la motivazione della sostituzione, né sarebbe stato documentato l’impedimento del componente stesso;
2.2. Parte appellante si limita tuttavia meramente a “dubitare”, per mancanza di documentazione, dell’esistenza dell’impedimento, inteso come presupposto legittimante la sostituzione. Il Collegio ritiene, per questa ragione, che la doglianza complessivamente esposta assuma carattere soltanto ipotetico ed “esplorativo”, dunque di per sé generica ed inammissibile, non avendo la stessa provveduto a fornire un sia pur minimo principio di prova circa la assenza di un simile impedimento; 2.3. Inoltre la stazione appaltante non ha il compito di operare alcun sindacato sull’esistenza di un impedimento “grave” in capo al membro titolare, dati i limiti oggettivi costituita dalla normativa in materia di riservatezza su dati sensibili;
2.4. Né d’altronde la parte appellante si è premurata di inoltrare, a tale riguardo, specifica istanza di accesso agli atti, istanza che non sarebbe risultata del tutto implausibile data la sicura natura “difensiva” dell’accesso stesso;
2.5. Peraltro, in assenza di censure sulla competenza professionale e sulla legittimazione del membro chiamato ad assumere il ruolo di sostituto, il vizio lamentato disvela altresì un radicale difetto di interesse, alla fonte, poiché non si spiega in quale modo e per quale ragione il giudizio svolto dal titolare, invece che dal suo legittimo sostituto, avrebbe dovuto condurre ad un diverso risultato circa il vaglio delle offerte tecniche formulate in sede di gara: la difesa di parte appellante non ha in altre parole dimostrato di avere subito una concreta lesione della propria posizione soggettiva.
2.6. Dunque, a fronte della comunicazione del legittimo impedimento del membro interessato, la stazione appaltante ha ben operato nel senso di procedere alla sua celere sostituzione nell’esclusivo interesse della pronta prosecuzione dell’iter concorsuale.
3. Il provvedimento di esclusione, versato in atti, è stato adottato dalla commissione di gara e non dal RUP.
Orbene, la giurisprudenza ha chiarito che la competenza a disporre l’esclusione è del RUP e non della commissione di gara. L’art. 80 co. 5 del codice dei contratti (d.lgs. 50/2016), infatti, prevede che sia la stazione appaltante a determinare le esclusioni e questo va inteso nel senso che la competenza spetti al RUP e non all’organo straordinario della commissione che ha compiti di ausilio e di supporto del RUP medesimo (Consiglio di Stato sez. V, 07/10/2021, n.6706; Consiglio di Stato sez. VI, 08/11/2021, n.7419).
4. Con maggiore impegno esplicativo, va rilevato che l’art. 77 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (“Commissione giudicatrice”) statuisce: “nelle procedure di aggiudicazione di contratti di appalti o di concessioni, limitatamente ai casi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico è affidata ad una commissione giudicatrice, composta di esperi nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto”.
Tale disposizione definisce i limiti della competenza della commissione che si deve limitare a svolgere un’attività di giudizio consistente nella valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico in qualità di organo straordinario e temporaneo della stazione appaltante con funzioni istruttorie.
“È, dunque, preclusa alla commissione giudicatrice ogni altra attività che non sia di giudizio in senso stretto, compresa, in particolare, la verifica della regolarità delle offerte e della relativa documentazione; la quale, ove sia stata in concreto svolta (normalmente, su incarico dell’amministrazione, ma anche in mancanza di specifico incarico), deve essere poi verificata e fatta propria della stazione appaltante” (Consiglio di Stato sez. V, 12/02/2020, n.1104).
Il provvedimento di esclusione dalla procedura trova la propria regolamentazione nell’art. 80 (“Motivi di esclusione”) d.lgs. n. 50 cit. che, in più occasioni (e, precisamente, ai commi 5, 6, 8, 10 – bis) individua nella “stazione appaltante” e, quindi, nel RUP – che ha la competenza generale a svolgere “tutti i compiti” non attribuiti “specificatamente” ad altri organi o soggetti (art. 31 co. 3 dl.gs. 50/2016) – il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento di esclusione dell’operatore economico.
8.1. Il motivo deve essere in primo luogo dichiarato inammissibile, non contenendo specifiche censure rivolte alla sentenza appellata nella parte in cui ha escluso in radice che, prima della scoperta (attraverso la lettura dell’offerta tecnica di -OMISSIS-) della causa di incompatibilità, fosse ravvisabile un obbligo di astensione in capo alla dott.ssa -OMISSIS-: ci si riferisce, in particolare, al passaggio della sentenza appellata in cui si evidenzia che “la sussistenza della causa di incompatibilità, ossia il coinvolgimento nel team proposto dalla concorrente di un soggetto in relazione di parentela con la presidente della commissione giudicatrice, emerge dall’offerta e quindi dalla presa visione del contenuto della parte di offerta tecnica nella quale sono stati indicati i nominativi delle risorse umane destinate all’espletamento dei compiti connessi all’appalto. Rimane una pura supposizione che tale situazione fosse nota alla presidente di commissione precedentemente. La preesistenza della parentela non è un dato rilevante se non associato ad un potenziale interesse del parente collegabile al concorrente. Né tale interesse potrebbe considerarsi sempre e comunque insito nell’esistenza di un rapporto di lavoro, quasi che qualsiasi dipendente di qualsiasi impresa, anche multinazionale e con moltissimi dipendenti, debba intendersi interessato a qualsiasi gara cui partecipi il datore di lavoro. Così ragionando, si finirebbe per identificare l’interesse nel puro credito stipendiale, laddove l’art. 77, comma 6, del d. lgs. n. 50 del 2016 – mediante il richiamo all’art. 51 c.p.c. e all’art. 42 stesso d. lgs., che a sua volta richiama l’art. 7 del d.P.R. n. 62 del 2013 – considera i rapporti di credito in quanto tali solo se relativi al commissario ed al coniuge, non anche ai parenti”.
L’omissione di specifiche censure sul punto non può che travolgere anche le espresse deduzioni attoree, atteso che esse, nel sostenere la necessità di una revisione integrale della composizione della commissione di gara a seguito delle dimissioni della dott.ssa -OMISSIS-, al fine di scongiurare il pericolo di condizionamento dei commissari rimasti nel collegio, si fondano appunto sul presupposto che, anche antecedentemente alla sostituzione, l’imparzialità della suddetta fosse minata dalla causa di incompatibilità ed avesse quindi alterato la genuinità dei lavori svolti fino a quel momento dal collegio.
8.2. In ogni caso, le deduzioni della parte appellante, intese a sostenere che la dott.ssa -OMISSIS-avrebbe violato il suo dovere di astensione (insieme a quello, strumentale, di carattere dichiarativo in ordine alla sussistenza di eventuali situazioni di incompatibilità), in tal modo inficiando, in virtù della interferenza verificatasi tra sfera personale e sfera istituzionale del pubblico funzionario, i presupposti di trasparenza ed imparzialità che devono accompagnare l’attività della P.A., non possono essere condivise.
Deve in proposito osservarsi che la norma cardine, al fine di verificare la sussistenza di una situazione di incompatibilità in capo ad un componente della commissione di gara, è individuabile nell’art. 77, comma 6, d.lvo n. 50/2016, a mente del quale “si applicano ai commissari e ai segretari delle commissioni l’articolo 35-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l’articolo 51 del codice di procedura civile, nonché l’articolo 42 del presente codice”.
Tra le fattispecie generatrici della situazione (potenziale) di incompatibilità e, quindi, del conseguente dovere di astensione del commissario viene in rilievo, in particolare, quella che l’art. 51, comma 2, c.p.c. riconduce alla sussistenza di “gravi ragioni di convenienza” nonché quella di cui all’art. 42, comma 2, d.lvo cit., ai sensi del quale “si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62”.
Il richiamato art. 7 d.P.R. n. 62/2013, a sua volta, dispone che “il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza”.
Infine, il comma 2 dell’art. 6 del medesimo d.P.R. dispone che “il dipendente si astiene dal prendere decisioni o svolgere attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi con interessi personali, del coniuge, di conviventi, di parenti, di affini entro il secondo grado”. 8.3. Ebbene, le disposizioni citate fondano la situazione di conflitto di interessi (tra l’interesse pubblico, che deve essere obiettivamente ed imparzialmente perseguito dal pubblico funzionario, e quello personale) sulla incidenza della sua attività su interessi propri del dipendente o, per quanto rileva ai fini della presente controversia, di suoi parenti. Ciò posto, deve escludersi che l’attività di commissario sia suscettibile di incidere – finché non emerga un più diretto coinvolgimento del dipendente o del suo parente nella vicenda amministrativa in ordine alla quale il primo debba adottare una decisione, quale nella fattispecie in esame si è avuto con la scoperta dell’inserimento del parente della dott.ssa -OMISSIS- nel team destinato dalla -OMISSIS- all’esecuzione del servizio de quo – su un interesse proprio del medesimo ovvero di un suo parente che lavori alle dipendenze di un potenziale concorrente. Invero, tra il (potenziale) concorrente alla gara ed i suoi lavoratori si instaura un rapporto contrattuale che, da un lato, ne rimarca l’alterità soggettiva, dall’altro lato non consente di identificare uno specifico e concreto interesse che i secondi abbiano all’acquisizione, da parte dell’impresa dalla quale dipendano, di una ulteriore commessa, tale da minare l’imparzialità del commissario, che abbia con uno di quei lavoratori un rapporto di parentela, chiamato a valutare l’offerta da esso presentata (o che potrebbe astrattamente presentare). Deve infatti osservarsi che l’assetto di interessi intercorrente tra l’impresa ed i suoi dipendenti è cristallizzato dal contratto di lavoro, con la conseguenza che l’esito della gara, cui la prima intenda partecipare, è insuscettibile di riverberare effetti immediatamente vantaggiosi a favore dei secondi, diversi ed ulteriori rispetto a quelli, inderogabili per le parti, che sono fissati dalle clausole di quel contratto e che sono permeati dalla tendenziale contrapposizione degli interessi di cui le due figure sono rispettivamente titolari. L’impresa, quindi, nelle multiformi espressioni soggettive in cui si manifesta e struttura, e tanto più quando, come nella specie evidenziato dal TAR e non confutato dalla parte appellante, si tratti di “una multinazionale con numerose filiali anche in Italia e con un rilevante numero di dipendenti”, interpone uno schermo tra gli interessi del dipendente e quello pubblico che deve essere perseguito dal pubblico funzionario, pur chiamato ad assumere decisioni e/o ad esprimere valutazioni incidenti sugli interessi facenti capo alla prima, con la conseguente non predicabilità, agli effetti applicativi delle norme in tema di incompatibilità e dovere di astensione del pubblico dipendente, di una incidenza diretta dell’attività di quest’ultimo sugli interessi personali dei suoi lavoratori.
8.4. Del resto, l’intensità che deve caratterizzare il rapporto di cointeressenza tra il dipendente ed il terzo è rimarcata dalla qualificazione di “gravità” delle ragioni di convenienza generatrici del dovere di astensione, prevista dalle disposizioni citate: gravità che, a differenza della fattispecie esaminata, si configurerebbe laddove fosse più stretto il rapporto di immedesimazione, anche in termini di interessi, tra il (potenziale) concorrente ed il parente del commissario, come si verificherebbe laddove, come evidenziato dal TAR, il primo rivestisse il ruolo di amministratore o institore ovvero fosse comunque “incaricato di funzioni direttive”.
8.5. Discende, dai rilievi che precedono, che non può trovare accoglimento il tentativo della parte appellante di anticipare il “quando” della (doverosa) dichiarazione di dimissioni della dott.ssa -OMISSIS-, rispetto al momento in cui ha appreso del coinvolgimento del parente nell’esecuzione dell’appalto, a quello stesso in cui è stata investita delle funzioni di Presidente della commissione di gara, non potendosi ritenere che, già in quella fase, e pur potendo ragionevolmente presumersi che ella fosse a conoscenza del fatto che il parente si trovava alle dipendenze della -OMISSIS-e che questa operasse nello specifico settore cui ineriva la gara in cui era stata chiamata a svolgere quelle funzioni, fosse configurabile una situazione di conflitto di interesse da cui far derivare quel dovere, come sostenuto dalla parte appellante.
8.6. Né può condurre a diverse conclusioni il disposto dell’art. 6, comma 1, d.P.R. n. 62/2013, ai sensi del quale “il dipendente, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni, precisando:
a) se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione;
b) se tali rapporti siano intercorsi o intercorrano con soggetti che abbiano interessi in attività o decisioni inerenti all’ufficio, limitatamente alle pratiche a lui affidate”.
Deve infatti osservarsi che, da un lato, la norma non attiene direttamente ai limiti applicativi del dovere di astensione, ma agli oneri informativi del dipendente all’atto dell’assunzione dell’ufficio, dall’altro lato, essa ha come presupposto la sussistenza, non ravvisabile nella fattispecie in esame, di “rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti” che il funzionario “abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni”.
8.7. Il riferimento normativo, tuttavia, è utile nella misura in cui consente di evidenziare che anche le Linee Guida ANAC n. 15, richiamate più volte dalla parte appellante a conforto delle sue deduzioni, specificano, in relazione ad esso, che “a titolo esemplificativo si può far riferimento all’ipotesi in cui un funzionario sia parente di un imprenditore che abbia interesse a partecipare, per la sua professionalità, alle gare che la stazione appaltante deve bandire”: ciò a dimostrazione della inidoneità del rapporto di parentela con un semplice dipendente, in mancanza di ulteriori e qualificati elementi, a generare, in via automatica e incondizionata, il predicato dovere di astensione.
D’altro canto, nemmeno può essere obliato che, come di recente ulteriormente precisato dalla giurisprudenza di settore, le garanzie di trasparenza e imparzialità nella conduzione di una gara d’appalto, oggi disciplinate dall’art. 77 del codice dei contratti, impediscono la presenza nella commissione di gara di soggetti che abbiano svolto un’attività idonea a interferire con il giudizio di merito sull’appalto di che trattasi. Tuttavia la situazione di incompatibilità deve ricavarsi dal dato sostanziale della concreta partecipazione alla redazione degli atti di gara, al di là del profilo formale della sottoscrizione degli stessi e indipendentemente dal fatto che il soggetto in questione sia il funzionario responsabile dell’ufficio competente. Per predisposizione materiale della legge di gara deve intendersi cioè non già un qualsiasi apporto al procedimento di approvazione dello stesso, quanto piuttosto una effettiva e concreta capacità di definirne autonomamente il contenuto, con valore univocamente vincolante per l’Amministrazione ai fini della valutazione delle offerte, così che in definitiva il suo contenuto prescrittivo sia riferibile esclusivamente al funzionario (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24 giugno 2022, n. 5201; Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2018, n. 6082).
In tal senso, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con riferimento all’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006, ha evidenziato che la ratio della previsione è quella di conservare la distinzione tra i soggetti che hanno definito i contenuti e le regole della procedura e quelli che ne fanno applicazione nella fase di valutazione delle offerte.
L’interesse pubblico rilevante è in particolare quello di assicurare “che la valutazione sia il più possibile “oggettiva” e cioè non “influenzata” dalle scelte che la hanno preceduta, se non per ciò che è stato dedotto formalmente negli atti di gara” (Cons. Stato, Ad. plen., 7 maggio 2013, n. 13).
Vale, in premessa, rammentare che, in termini generali e per diffuso intendimento (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 1 febbraio 2022, n. 696) – nell’assenza di specifiche prescrizioni normative intese a definire il concetto di miglioria e/o di variante progettuale (cfr. Cons. Stato, V, 17 gennaio 2018, n. 269) – la distinzione tra queste ultime (ammesse solo se autorizzate, quando non addirittura imposte, dalla lex specialis di gara: cfr. art. 95, comma 14, in relazione all’art. 94, comma 1 lett. a) D. Lgs. n. 50/2016) e le semplici “soluzioni tecniche migliorative” fonda sul rilievo che solo le migliorie possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico, rimanendo per contro preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali che sono rigidamente stabilite dalla stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, sez. V, 8 ottobre 2019, n. 6793 e Id., sez. V, 20 luglio 2021, n. 5447; Id., sez. V, 21 giugno 2021, n. 4754; Id., sez. V, 3 marzo 2021, n. 1808; Id., sez. V, 5 febbraio 2021, n. 1080; Id., sez. V, 8 gennaio 2021, n. 282). Peraltro, nell’attività di valutazione e qualificazione delle proposte progettuali, ai fini della loro riconduzione nell’ambito delle varianti o delle semplici migliorie, vi è un ampio margine di discrezionalità tecnica della Commissione giudicatrice, con conseguente insindacabilità nel merito delle valutazioni e dei punteggi attribuiti, ove non infirmate da macroscopici errori o travisamenti di fatto, da illogicità di inquadramento o qualificazione o da irragionevolezza manifesta (Cons. Stato, V, 3 maggio 2019, n. 2873 e Id., 1 febbraio 2022, n. 696 cit.).
Dirimente ogni questione, è la considerazione di fondo per cui la corretta applicazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di par condicio per gli operatori economici, partecipanti ad una gara, comporta che l’apprezzamento qualitativo delle offerte formulate – che viene effettuato non a caso in apposita seduta riservata, proprio per consentire il libero confronto dialogico tra i componenti della commissione, franco da condizionamenti esterni – una volta cristallizzato in un verbale fide-facente e datane pubblicità all’esterno e, quindi, fuoriuscito dall’ambito riservato, assume carattere di stabilità e definitività.
Un simile giudizio tecnico-discrezionale non può esser contestato in via procedimentale, ad opera degli stessi operatori economici, che non accettino il giudizio formulato e che quindi sovrappongano proprie valutazioni di parte opinabili.
Né per espresso disposto normativo (art. 83, comma 9, d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50) è predicabile alcuna forma di soccorso istruttorio o procedimentale sull’offerta tecnica, nel caso di specie più che altro una sorta di auto-soccorso.
Né peraltro, nel caso in esame, viene neppure in evidenza una fattispecie di rettifica di mero errore evidente e riconoscibile (Cons. St., sez. V, 27 marzo 2020 n. 2146; Corte giust. U.E., sez. VIII, 10 maggio 2017, causa C-131/2016). Né ad ogni modo è possibile attivare alcuna forma di dialogo infra-procedimentale su ritenuti necessari chiarimenti, dopo che la Commissione si sia espressa, potendo i chiarimenti delle parti esser formulati da questi o richiesti dalla Commissione solo prima dell’esperimento della valutazione delle offerte e non già dopo, onde evitare di elidere ab imis qualsivoglia attentato al cruciale principio della par condicio.
Ma nel caso di specie – in concreto – non v’è alcun soccorso istruttorio, alcuna mera rettifica, alcun chiarimento fornito o richiesto, bensì una pura rideterminazione dei giudizi già espressi e resi pubblici nelle forme previste, su mera rimostranza del concorrente graduato in seconda posizione.
Non è infine neanche possibile pensare all’attivazione ex officio di una qualche forma di autotutela (invero alquanto atipica), non sussistendone affatto, nel caso concreto, i presupposti della necessità di rimozione di alcun’illegittimità (o dell’esercizio dello jus poenitendi), né alcun specifico interesse qualificato, né alcuna ragione, neppure sinteticamente motivata, per provvedervi.
A ben vedere, il giudizio che formula una Commissione giudicatrice, una volta esternato, è nella sua intrinseca essenza intangibile. Può esser contestato, se ve ne siano i presupposti, con i consueti rimedi previsti dall’ordinamento, ossia per lo più a mezzo della proposizione di un ricorso giurisdizionale. Ma, non può ritenersi che esso sia nella disponibilità della Commissione, tal da consentirle ad libitum la possibilità, in ogni tempo, di poterla cambiare, frustrando in tal modo la stessa attendibilità del giudizio dato.
Non può esser un tale giudizio finale modificato ogni qual volta alcuno degli offerenti si dolga della valutazione ricevuta, perché qualora si ammettesse che il giudizio una volta formalizzato all’esterno sia poi liberamente contestabile da ciascun partecipante alla gara, questo potrebbe in ipotesi mutare ogni volta, ad ogni altra diversa contestazione, non riuscendo mai a trovare una sua stabilità.
Né può ritenersi che il giudizio finale debba trovare condivisione o accettazione da parte dei soggetti, le cui offerte tecniche od economiche siano state valutate. Nel caso di specie, v’è una procedura di gara competitiva, i cui stadi fondamentali sono scolpiti dalla legge, dal bando, dal disciplinare e dal capitolato tecnico e l’unico organo deputato ad esprimere la valutazione (riservata) e poi a palesare il giudizio (pubblico) è la Commissione esaminatrice.
La “regolamentazione” di qualsiasi procedimento di evidenza pubblica prevede, ad un certo punto, che la Commissione giudicatrice renda noto il giudizio sulle offerte presentate e questo giudizio, magari ampiamente discusso in seduta riservata, una volta esternato, è quello definitivo, quello che cioè imprime un certo assetto al pregio delle offerte valutate nella data gara e, in considerazione delle formalità procedurali, previste a garanzia sostanziale della par condicio degli operatori economici partecipanti, non può esser mutato ad libitum. Un intervento sarebbe ammissibile in linea teorica sotto forma di autotutela, ma richiede i presupposti e comporta il ricorso alle regole proprie di tale istituto, in primis un’ampia motivazione, qui certamente mancante, come già in precedenza evidenziato, non potendosi ammettere un’integrazione postuma della motivazione, peraltro ad opera solo di uno dei componenti dell’organo collegiale.
L’ultima disposizione applicabile ratione temporis che si è occupata della materia, il c.d. “Sblocca Cantieri” (di cui al d.l. n. 32 del 2019, conv. con mod. in l. n. 55 del 2019), all’art. 1, comma 1, lett. c), della l. n. 55 del 2019, nel prevedere la sospensione, fino al 31 dicembre 2020 (prorogata al 31 dicembre 2021), dell’obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti dall’Albo gestito dall’ANAC (art. 77, comma 3, e art. 78 del d. lgs. n. 50 del 2016), ha mantenuto fermo il solo obbligo «di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante». Al riguardo, questa stessa sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 4865 del 10 luglio 2019 (ma v. già Cons. St., sez. III, 11 gennaio 2019, n. 276), aveva già chiarito che la norma codicistica (combinato disposto degli artt. 77 e 78 del d. lgs. n. 50 del 2016) non deve essere interpretata letteralmente come necessità di un vero e proprio “regolamento” in quanto ciò che rileva, sotto il profilo sostanziale, è che la Commissione di gara risulti oggettivamente costituita secondo regole di trasparenza e competenza e che la stazione appaltante dia adeguato conto, nella determina di nomina, delle motivazioni sottese alla stessa.
L’assenza di criteri previamente stabiliti non determina mai, ex se, l’illegittimità della nomina della Commissione, poiché «occorre dimostrare che, in concreto, siano totalmente mancate le condizioni di trasparenza e competenza».
Ai sensi dell’art. 77, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016: “nelle procedure di aggiudicazione di contratti di appalti o di concessioni, limitatamente ai casi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico è affidata ad una commissione giudicatrice, composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto”.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, non è richiesta una perfetta corrispondenza tra la competenza dei membri della commissione, anche cumulativamente considerata, ed i diversi ambiti materiali che concorrono all’integrazione del complessivo oggetto del contratto, dovendosi avere riguardo ad una dimensione di complementarietà (Cons. Stato, V, 20 ottobre 2021, n. 7235; III, 28 giugno 2019, n. 4458). È, in altri termini, richiesta un’esperienza e competenza che consentano ai commissari di esprimere le necessarie valutazioni di natura complessa, e non già limitata alle singole e specifiche attività oggetto del contratto. Non è, dunque, necessario che l’esperienza professionale di ciascun componente copra tutti gli aspetti oggetto della gara, potendosi le professionalità dei vari membri integrare reciprocamente in modo da completare ed arricchire il patrimonio di cognizioni della commissione, purché idoneo, nel suo insieme, ad esprimere le necessarie valutazioni discrezionali.
La competenza della commissione deve avere riguardo essenzialmente alle modalità di svolgimento del procedimento di gara, atteso che essenzialmente su tali elementi si concentra ed estrinseca la valutazione tecnica dei componenti della commissione giudicatrice (Cons. Stato, V, 20 ottobre 2021, n. 7235).
Sommario: 1. Premessa. 2. Valutazione delle offerte tecniche e criteri di attribuzione dei punteggi. 3. Identità dei punteggi: gli orientamenti giurisprudenziali contrapposti. 4. Identità dei punteggi in caso di confronto a coppie. 5. Conclusioni.
Il focus si incentra sull’ipotesi in cui, all’esito della valutazione delle offerte tecniche in gara, i componenti della Commissione giudicatrice esprimono punteggi identici rispetto ad una o più di esse, per cui un operatore economico consegue una valutazione perfettamente omogenea ed uniforme rispetto a quella di altri concorrenti, tale da far dubitare della correttezza delle operazioni di gara. In particolare, il contributo verte sulla possibilità di considerare o meno tale identità di punteggi quale indice presuntivo, ed autosufficiente, di un implicito condizionamento interno tra i Commissari e quindi dell’illegittimità delle operazioni di valutazione delle offerte tecniche, censurabile dinnanzi al Giudice Amministrativo.
Premessa.
Nella fase di valutazione delle offerte tecniche viene in rilievo l’operato della Commissione giudicatrice ex art. 77 d.lgs. n. 50/2016, composta di regola da soggetti tecnicamente competenti nella materia oggetto della procedura, i quali – in ragione delle proprie conoscenze ed esperienze – sono chiamati ad esprimere un giudizio tecnico e qualitativo sui prodotti offerti dai concorrenti, in riferimento ai parametri tecnici necessariamente e puntualmente predeterminati all’interno della legge di gara. Il giudizio espresso dalla Commissione giudicatrice può estrinsecarsi in un’attività vincolata, meramente ricognitiva, e perciò inequivoca, ovvero in un’attività valutativa intrinsecamente opinabile in quanto caratterizzata da un margine di discutibilità. In tale ultimo caso la valutazione è espressione di un potere discrezionale, suscettibile di essere sindacato e censurato dinnanzi al Giudice Amministrativo nel solo caso in cui risulti inficiata da evidenti errori di fatto, macroscopiche illogicità e manifeste irragionevolezze.
Non è al contrario sufficiente ad ammettere il sindacato giurisdizionale la mera non condivisibilità, l’inopportunità o ancora l’opinabilità delle scelte sostenute dalla Commissione medesima. Difatti, la giurisprudenza è ormai costante nell’affermare che l’esame delle offerte e la rispettiva e conseguente attribuzione dei punteggi, rientrano nell’ampia discrezionalità tecnica riconosciuta alla Commissione giudicatrice, sicché le censure che impingono il merito di tali valutazioni (opinabili) sono inammissibili, perché sollecitano un sindacato sostitutorio, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art. 134 c.p.a., fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica, della palese inattendibilità e dell’evidente insostenibilità del giudizio compiuto (ex multis TAR Roma, 07.10.2021 n. 10332, id. Consiglio di Stato, sez. V, 17.01.2019 n. 433 ed i precedenti ivi richiamati), con la conseguenza che qualora il Giudice Amministrativo ritenga ragionevoli, proporzionate e/o attendibili le valutazioni operate, non potrà spingersi fino ad esprimere proprie autonome scelte, atteso che, altrimenti, assumerebbe la titolarità di un potere riservato ex lege alla Stazione Appaltante.
Valutazione delle offerte tecniche e criteri di attribuzione dei punteggi.
Nel caso in cui l’appalto pubblico debba essere aggiudicato sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa exart. 95 del d.lgs. 50/2016, la Commissione giudicatrice è tenuta ad esprimere una valutazione delle offerte tecniche sulla base di criteri e requisiti predeterminati all’interno della lexspecialis di gara da parte della Stazione Appaltante, nel rispetto dei principi di proporzionalità, razionalità, adeguatezza, par condicio e trasparenza.
Le specifiche tecniche possono essere valutate sulla base di criteri di valutazione, di natura discrezionale (con metodo di attribuzione del punteggio ponderale), quantitativa oppure tabellare (on/off).
Per quanto concerne i criteri di natura discrezionale è richiesto alla Commissione di esprimere un giudizio tecnico-qualitativo, solitamente corrispondente ad un punteggio da determinare entro un range predefinito dalla stessa legge di gara.
In conformità alle Linee Guida ANAC n. 2, nella prassi applicativa si ricorre solitamente a due sistemi alternativi:
a) attribuzione discrezionale di un coefficiente da parte di ciascun Commissario di gara;
b) confronto a coppie tra le offerte presentate.
Nel primo caso ciascun Commissario attribuisce un punteggio per ogni parametro, specificandone le ragioni e tenendo conto dei criteri e/o subcriteri di valutazione predeterminati nella legge di gara. Una volta che tutti i Commissari hanno espresso il coefficiente per ciascun concorrente, viene calcolata la media dei coefficienti e viene attribuito il valore 1 a quello più elevato. Successivamente sono riparametrati tutti gli altri punteggi.
Nel caso di utilizzo del metodo del confronto a coppie, la determinazione del punteggio avviene sulla base del confronto tra le preferenze accordate da ogni Commissario a ciascun progetto in relazione con tutti gli altri, secondo i parametri contenuti nei documenti di gara. Trattasi di un metodo di attribuzione del punteggio nel quale, infatti, ogni elemento qualitativo dell’offerta è oggetto di valutazione attraverso la determinazione dei coefficienti all’interno di una tabella triangolare ed in cui le offerte sono confrontate a due a due. Ogni Commissario indica – dunque – l’elemento che ritiene preferibile, attribuendo un punteggio variabile: il giudizio viene successivamente sommato a quello degli altri componenti, per formare la preferenza della Commissione giudicatrice sull’offerta di ciascun concorrente, che sarà la media dei giudizi espressi.
Stante l’incidenza della valutazione delle offerte tecniche nella determinazione del confronto concorrenziale, è proprio in ordine a tale attività procedimentale che più frequentemente si rivolgono le censure dei concorrenti non aggiudicatari, specie allorquando – come frequentemente accade – i Commissari hanno espresso il medesimo voto relativamente ad uno o più parametri valutativi per un determinato concorrente, assumendo tale circostanza come indice presuntivo della collegialità del voto, in luogo della pluralità di voti singolarmente resi da parte di ciascun componente della Commissione giudicatrice.
Identità dei punteggi: gli orientamenti giurisprudenziali.
Le possibili contestazioni sull’operato della Commissione giudicatrice possono riguardare non solo il giudizio in sé reso in riferimento a determinati parametri, ma altresì la modalità di espressione del suddetto punteggio, qualora non rifletta o non rispetti le indicazioni prescritte dalla legge di gara, alla quale la Stazione Appaltante è vincolata.
Le doglianze mosse dal concorrente, dunque, possono anche non interferire con la bontà delle scelte discrezionali, ma concentrarsi sostanzialmente sulla legittimità del modus procedendi della Commissione, tra le quali rileva la fattispecie qui in esame, ossia l’assenza di individualità dei giudizi resi dai singoli Commissari.
Va precisato che l’individualità del giudizio è posta a presidio dei principi di imparzialità, trasparenza ed efficienza dell’attività amministrativa. Difatti, l’autonomia valutativa riconosciuta ad ogni esperto permette di valorizzarne le diverse expertises e quindi di accordare preferenza a determinate specifiche piuttosto che altre in ragione del “bagaglio” tecnico e di esperienza di cui ciascuno è portatore. Tale presupposto permette di massimizzare l’interesse pubblico primario al conseguimento e reperimento della migliore offerta sul mercato.
Orbene, la regola della collegialità non sottende, di per sé, uno schema rigido ed universale ma si presta ad essere declinata secondo formule diverse, elaborate nella lex specialis. È peraltro fondamentale che la Stazione Appaltante, nell’esercizio della propria potestà normativa, salvaguardi tale autonomia di giudizio al fine addivenire poi ad un unico giudizio finale, il quale dovrà «costituire l’espressione sintetica e complessiva dell’attività valutativa della Commissione» (Consiglio di Stato, sez. III, 26.04.2019 n. 2682).
Occorre dunque verificare se l’esigenza di preservare l’individualità e l’autonomia dei giudizi di ciascun componente, in ragione della funzione ad esse sottesa, possa essere lesa dalla mera circostanza dell’identità di punteggi resi su un determinato parametro: sul punto si sono formati in giurisprudenza orientamenti diametralmente opposti.
Secondo un primo orientamento la straordinaria e del tutto inusuale coincidenza dei voti numerici attribuiti dai Commissari depone, secondo l’id quod plerumque accidit, per un avvenuto dibattito collegiale tra i medesimi e per l’espressione di valutazioni finali che sarebbero appunto il frutto di una mediazione collegiale.
Di conseguenza, tale orientamento ritiene che nel caso di pedissequa identità dei punteggi si configuri una vera e propria valutazione collettiva e/o copiata in cui «le valutazioni non appaiono realmente il frutto di giudizi individuali e autonomi dei singoli componenti della Commissione il che, sotto il profilo dell’eccesso di potere per sviamento, fa sospettare che illegittimamente i singoli giudizi possano essere stati di tipo collegiale» (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 15.11.2018 n. 6439; dello stesso avviso anche il Tar Genova, 28.09.2020 n. 661, che qualifica la circostanza fattuale de qua quale «sicura spia dell’eccesso di potere, sotto il profilo del cattivo uso della discrezionalità amministrativa e della falsa applicazione delle disposizioni del disciplinare di gara sui criteri di valutazione dell’offerta tecnica» rilevando come l’assoluta e totale uniformità di ogni valutazione appaia «frutto di un previo concerto tra i Commissari circa il modus procedendi, contrario a quello chiaramente predicato dal disciplinare di gara» non potendo perciò definirsi come una mera contingente coincidenza; sul punto anche Tar Bologna, 11.11.2020 n. 731). Secondo tale orientamento, dunque, il carattere identico dei punteggi numerici espressi dai singoli Commissari costituirebbe espressione di una valutazione “blindata” degli stessi e di un appiattimento della valutazione risultante non già dalla convergenza di valutazioni autonomamente prese, ma dalla sterile ripetizione, per ciascuno di essi, di un giudizio collegialmente condotto.
Un secondo orientamento giurisprudenziale, opposto al primo e che può ritenersi prevalente, nega quell’automatismo presuntivo tra l’espressione di un identico giudizio da parte di tutti i Commissari e la valutazione collegiale precostituita. È stato, infatti, affermato che l’identità del punteggio può denotare una legittima e «fisiologica evoluzione del confronto dialettico svoltosi in seno all’Organo Tecnico» (Consiglio di Stato, sez. III, 29.05.2020 n. 3401) e che conseguentemente «la coincidenza di apprezzamenti formulati nella stessa cifra numerica non significa che non vi sia stata autonomia di giudizio, ma piuttosto che nel confronto fra gli stessi si è addivenuti […] concordemente nella formulazione dell’apprezzamento che in concreto ciascuno dei progetti presentati meritava» (Tar Aosta, 05.06.2019 n. 29).
E’ stato invero puntualizzato che «la regola dell’individualità della valutazione dei Commissari di gara non è violata dalla circostanza che essa sia stata uniforme per tutti i Commissari, atteso che «la coincidenza di giudizi non costituisce infatti un sicuro sintomo di condizionamento potendo anche astrattamente essere giustificata con la concordanza di valutazioni effettuate nell’ambito di un collegio perfetto, in difetto di disposizioni che prevedano la segretezza del valutazioni espresse dai singoli Commissari» (Tar Napoli, 01.09.2020 n. 3713, e la giurisprudenza ivi citata).
In definitiva, non può dirsi che la mera coincidenza dei punteggi sia qualificabile come indice inequivoco e diretto dell’illegittimità delle operazioni della Commissione di gara, potendo al più rilevare quale vizio della procedura se corroborato e confermato da ulteriori e diversi elementi presuntivi, che sarà onere del ricorrente dimostrare.
Identità dei punteggi in caso di confronto a coppie.
Di particolare interesse è il caso in cui la legge di gara preveda l’attribuzione del punteggio sulla base del c.d. confronto a coppie, che generalmente si compone di due fasi: la prima fase, in cui i Commissari esprimono il proprio giudizio su ogni offerta in relazione ai singoli criteri, ponendola in comparazione con le altre offerte ed esprimendo un giudizio di preferenza; la seconda fase, in cui è prevista la trasformazione dei valori attribuiti, sommati fra loro in coefficienti da 0 a 1, da moltiplicare poi per il punteggio da assegnare sulla base di ciascun criterio. Dunque, la determinazione della media finale è logicamente e temporalmente distaccata dalla fase (anteriore) di espressione della preferenza individuale.
Sul tema si è recentemente pronunciato il Consiglio di Stato, sez. III, 15.09.2021 n. 6300, rilevando come non possa desumersi un’automatica violazione del principio dell’individualità delle votazioni né del meccanismo sotteso al metodo del confronto a coppie, ma al contrario la manifestazione dei voti dei singoli Commissari (ancorché identici) con il loro inserimento all’interno dell’apposita tabella/griglia valutativa. si pone in conformità dello stesso.
Sulla stessa scia interpretativa è stato affermato che l’insussistenza di differenziazioni tra i punteggi attribuiti dai vari Commissari potrebbe essere giustificata dalla concordanza di valutazioni effettuate nell’ambito di un collegio perfetto e, quindi, piuttosto che un sintomo dell’illegittimità, si porrebbe in conferma della piena legittimità delle valutazioni espresse. Invero, nulla esclude che la circostanza in parola possa essere l’espressione della «fisiologica evoluzione del confronto dialettico svoltosi in seno a tale organo, vieppiù in considerazione della peculiarità del giudizio qui in rilievo contraddistinto da una ontologica dimensione relativa siccome qualificata dall’espressione di preferenze espresse all’interno del contesto comparativo che qualifica il metodo del confronto a coppie» (così, Consiglio di Stato, n. 3401/2020 citata).
Conclusioni.
La mera identità dei punteggi assegnati dai Commissari di gara, in definitiva, non è idonea ex se a comprovare l’illegittimità dell’operato della Commissione giudicatrice, neppure in ipotesi di utilizzo del metodo di confronto a coppie. Sarà onere del concorrente / ricorrente provare, mediante allegazione di ulteriori fatti, circostanze ed elementi presuntivi, la sussistenza di un voto collegiale predeterminato e, quindi, la violazione dei principi di autonomia dei giudizi ed individualità nella valutazione delle offerte tecniche. Tale conclusione trova conferma nella consolidata giurisprudenza secondo la quale «tale circostanza prova troppo» (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. III, 06.11.2019 n. 7595; id., sez. V, 24.03.2014 n. 1428, id., sez. V, 17.12.2015 n. 517) «ben potendo spiegarsi la detta circostanza come una fisiologica evoluzione del confronto dialettico svoltosi in seno a tale organo» (Consiglio di Stato, sez. III, 26.10.2020 n. 5130) «anziché la manifestazione di una evidente parzialità nei confronti di un’offerta rispetto ad un’altra, in assenza di un qualsivoglia principio di prova che lasci ritenere simile giudizio, da parte di tutti i commissari, come una valutazione precostituita, frutto non già del libero convincimento di ciascuno di essi, poi confluito in un unanime complessivo giudizio, ma di un atteggiamento acritico, illogico, ingiusto o, ancor peggio, parziale o preconcetto» (Consiglio di Stato, sez. III, 23.12.2020 n. 8295).
Il Collegio ritiene che non sussista la lamentata illegittimità della composizione della Commissione giudicatrice.
Come è stato ricordato, l’operatività dell’articolo 77, comma 3, D.Lgs. n. 50/2016 nella parte in cui impone alle stazioni appaltanti l’obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti all’Albo istituito presso l’ANAC di cui al successivo articolo 78, è stata sospesa fino al 30.06.2023 dall’articolo 1, comma 1, lettera c), D.L. n. 32/2019 convertito dalla L. n. 77/2020. Resta fermo, a mente della predetta disposizione di proroga, “l’obbligo di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante”.
Quindi, il principio di rotazione, peraltro codificato solo in ipotesi particolari dal richiamato articolo 77 D.Lgs. n. 50/2016, non costituisce un vincolo rigido nel sistema dei pubblici appalti (v. T.A.R. Abruzzo – Pescara, sentenza n. 504/2021). In ogni caso, anche a voler ritenere, dando lata applicazione delle indicazioni provenienti dall’ANAC, che sia congruo un intervallo biennale nell’assunzione dell’incarico di commissario per la medesima stazione appaltante, deve concordarsi con le difesi delle resistenti che per stazione appaltante si debba intendere quella a favore della quale viene svolta la gara (la contraente dell’aggiudicatario nel contratto di appalto che verrà stipulato, in quanto titolare dell’interesse pubblico alla scelta del miglior contraente attraverso il corretto svolgimento della procedura di evidenza pubblica), e non la diversa Amministrazione che in veste di CUC svolge la gara.
Il primo giudice ha escluso l’incompatibilità del RUP ex art. 77 comma 4 d.lgs. 50/2016, sia perché tale disposizione riguarda la commissione giudicatrice e non il RUP, che nella specie ha fatto parte del solo seggio di gara, sia perché le funzioni di RUP non contemplano, diversamente da quelle della commissione giudicatrice, attività di tipo squisitamente discrezionale. […]
Il fondamento della causa di incompatibilità di cui trattasi, precedentemente normata dall’art. 84 comma 4 del previgente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006, e dettata come detto in relazione alla commissione di gara, va rinvenuto nell’esigenza di una rigida separazione tra la fase di preparazione della documentazione di gara e quella di valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia della neutralità del giudizio e in coerenza con le cause di incompatibilità dei componenti degli organi amministrativi. Detta ratio è dunque quella per cui chi ha redatto la lex specialis non può essere componente della commissione, costituendo il principio di separazione tra chi predisponga il regolamento di gara e chi è chiamato a concretamente applicarlo una regola generale posta a tutela della trasparenza della procedura, e dunque a garanzia del diritto delle parti a una decisione adottata da un organo terzo e imparziale mediante valutazioni il più possibile oggettive, e cioè non influenzate dalle scelte che l’hanno preceduta. In altre parole, il rimedio è volto a evitare la partecipazione alle commissioni giudicatrici di soggetti, interni o esterni, alla stazione appaltante che abbiano avuto un ruolo significativo, tecnico o ammnistrativo, nella predisposizione degli atti di gara (Cons. Stato, Ad. plen., 7 maggio 2013, n. 13; V, 17 aprile 2020, n. 2471; 5 novembre 2019, n. 7557; 27 febbraio 2019, n. 1387).
Ciò posto, nel caso di specie, in applicazione delle predette coordinate ermeneutiche, l’incompatibilità in parola non è ravvisabile: la verifica exart. 97 d.lgs. 50/2016, che peraltro il RUP ha effettuato anche mediante l’ausilio della commissione valutatrice, comporta l’esercizio di una discrezionalità ben diversa da quella che presiede all’attività volta alla valutazione e alla graduazione delle offerte, cui la norma in esame espressamente si riferisce.
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