L’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016, applicabile ratione temporis (oggi art. 79 ed allegato II.5 al D.Lgs. 36/2023n.d.r.), stabilisce che le specifiche tecniche: – “sono inserite nei documenti di gara e definiscono le caratteristiche previste per i lavori, servizi o forniture”. […] Secondo un consolidato indirizzo interpretativo del giudice amministrativo, il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, trovando applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara (cfr. Cons. St., sez. III, 25 novembre 2020, n. 7404; Cons. St., sez. III, 18 settembre 2019, n. 6212). Conformemente al tenore testuale del sopra riportato art. 68, comma 8, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, con orientamento del tutto consolidato, ha chiarito che l’onere della prova dell’equivalenza di quanto offerto, da rendersi secondo le modalità indicate nella disciplina di gara, costituisce parte integrante dell’offerta e grava sul concorrente, mentre spetta alla stazione appaltante svolgere una verifica effettiva e proficua della dichiarata equivalenza. Logico corollario di tale premessa è quello secondo cui, in mancanza della predetta prova, non è ammesso il soccorso istruttorio, ma deve essere disposta l’esclusione dalla gara dell’offerta difforme, per difetto di una qualità essenziale nelle prestazioni ivi proposte. (Cons. St., sez. V, 3 agosto 2023, n. 7502).
A tal riguardo, si è chiarito che non si tratta di colmare mere irregolarità o carenze afferenti alla sola documentazione amministrativa prodotta, venendo invece in rilievo l’assenza sostanziale di elementi essenziali dell’offerta, che dà luogo a esclusione della concorrente, senza che ciò comporti, anche sulla base di quanto chiarito dalla Corte di giustizia, alcuna violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza.
Secondo un altrettanto costante orientamento interpretativo, inoltre, il concorrente che voglia presentare un prodotto (o servizio) equivalente a quello richiesto incontra comunque il limite della «difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis», (cfr. Cons. St., sez. V, 25 luglio 2019, n. 5258).
Ciò in quanto, come ben messo in luce da Cons. St., sez. V, 10 agosto 2020 n. 4996, «[…] le “specifiche tecniche” variamente individuate dalla lex specialis di gara, non necessariamente coincidono con i “requisiti minimi obbligatori”, questi ultimi potendosi al più considerare come una sottospecie delle prime, ma non l’opposto. In estrema sintesi, non tutte le specifiche hanno carattere “minimo” e “condizionante”, tant’è che per quelle che ne sono prive (ma solo per esse), generalmente di carattere funzionale, trova applicazione il più volte richiamato art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016 (invocato dall’appellante); per contro, […] per quelle specifiche aventi invece tali stringenti caratteristiche (dalle qu ali può altresì desumersi, per eminenti ragioni di ordine logico, il carattere di essenzialità), vale il diverso principio desumibile dall’art. 86 del Codice dei contratti pubblici, per cui va sanzionata con l’esclusione dalla gara la mancata offerta dei requisiti espressamente previsti dalla stazione appaltante quali requisiti minimi obbligatori della fornitura richiesta». (cfr. Cons. St., sez. III, 10 febbraio 2022, n. 1006).
Il principio di equivalenza è, in definitiva, finalizzato ad evitare che un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici precluda l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (Cons. St, sez. III, 7 gennaio 2022, n. 65; sez. IV, 7 giugno 2021, n. 4353).
Elemento dirimente della questione controversa, infatti, è la circostanza che la gara si fondava, ai fini dell’aggiudicazione, sul criterio del prezzo più basso e non già su quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il principio di equivalenza, introdotto dall’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016 in attuazione dell’art. 42 della direttiva 2014/24/UE, per consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, III, 10 febbraio 2022, n. 1006; V, 17 febbraio 2022, n. 1186) permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, sul presupposto che la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e di libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, al principio euro-unitario di concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità.
In questi termini il principio di equivalenza è finalizzato ad evitare un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (Cons. Stato, IV, 7 giugno 2021, n. 4353): presuppone quindi la corrispondenza delle prestazioni del prodotto offerto, ancorché difforme dalle specifiche tecniche indicate dalla stazione appaltante (Cons. Stato, III, 7 luglio 2021, n. 5169; 22 novembre 2017, n. 5426), quale “conformità sostanziale” con le dette specifiche tecniche, nella misura in cui queste vengano nella sostanza soddisfatte (Cons. Stato, V, 25 marzo 2020, n. 2093).
Indi per cui, nell’ambito di una procedura a evidenza pubblica strutturata secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nella quale cioè è demandata alla valutazione tecnico-discrezionale della stazione appaltante l’individuazione comparativa dell’offerta che meglio soddisfa le esigenze rappresentate nella lex specialis, le caratteristiche minime stabilite nella documentazione di gara non debbono intendersi come vincolanti nel quomodo, ma soltanto quoad effectum, nel senso che le offerte sono ritenute rispettose della suddetta lex specialis laddove siano, comunque, capaci di conseguire il fine ultimo dell’affidamento (Cons. Stato, IV, n. 4353 del 2021, cit.).
Ne deriva, sul piano applicativo, che – sussistendone i presupposti – la stazione appaltante deve operare il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti non già attenendosi a riscontri formalistici, ma sulla base di criteri di conformità sostanziale (e funzionale) delle soluzioni tecniche offerte, sì che le specifiche indicate dal bando “vengono in pratica comunque soddisfatte” (Cons. Stato, III, 29 marzo 2018, n. 2013).
I limiti dell’applicazione del principio di equivalenza individuati dalla giurisprudenza sono connessi alla sua ratio: se, infatti, il principio è diretto ad evitare che le norme obbligatorie, le omologazioni nazionali e le specifiche tecniche possano essere artatamente utilizzate per operare indebite esclusioni dalla gare pubbliche, fondate sul pretesto di una non perfetta corrispondenza delle soluzioni tecniche offerte con quelle richieste, ne viene come diretta conseguenza che esso – quale misura diretta ad assicurare che la valutazione della congruità tecnica dell’offerta – non si risolva in una verifica formalistica ma consista nell’apprezzamento della sua conformità sostanziale alle specifiche tecniche inserite nella lex specialis.
Detto principio non può dunque essere invocato per ammettere offerte tecnicamente inappropriate (così Cons. Stato, III, 2 marzo 2018, n. 1316) o che comprendano soluzioni che, sul piano oggettivo funzionale e strutturale, non rispettino le caratteristiche tecniche obbligatorie, configurandosi come un aliud pro alio (ex multis, Cons. Stato, III, 9 febbraio 2021, n. 1225; V 25 luglio 2019, n. 5258). Nel caso attualmente in esame difettava il presupposto della possibilità, per la stazione appaltante, di valutare discrezionalmente le caratteristiche oggettive e funzionali del prodotto (recte, del servizio) offerto, in quanto il sistema prescelto di aggiudicazione era quello del prezzo più basso riferito ad una prestazione già puntualmente individuata nei suoi elementi caratteristici dalla legge di gara. In breve, l’amministrazione aveva sin dall’inizio individuato una particolare tipologia di servizio di suo interesse – caratterizzata da ben definite caratteristiche e modalità operative – che i partecipanti alla gara erano tenuti ad offrire alle condizioni economiche più favorevoli; non era invece richiesta (o, per meglio dire, consentita) l’offerta di un servizio in tutto o in parte diverso, quand’anche le differenze rispetto alle indicazioni della legge di gara fossero state giustificate come analoghe, se non addirittura “migliorative” rispetto a queste ultime. In presenza quindi di una prestazione già definita dalla stazione appaltante nei suoi dettagli rispetto alla quale la legge di gara prevedeva esclusivamente un confronto competitivo basato sull’offerta del prezzo più basso – e relativamente alla quale, significativamente, la medesima legge di gara neppure menzionava la possibilità di prestazioni funzionalmente “equivalenti” a quanto ivi descritto – le eventuali difformità sostanziali del “prodotto” offerto rispetto a tali prescrizioni (come appunto avvenuto nel caso dell’odierna appellante) venivano ad integrare un aliud pro alio, con conseguente esclusione dalla procedura.
Il TAR ha acclarato la legittimità della comprova dei requisiti migliorativi da parte del concorrente, rilevando che “come osservato dalla difesa erariale, né l’art. 21bis del capitolato d’oneri, né l’allegato 15 (fac simile di dichiarazione predisposto dalla stazione appaltante), peraltro non oggetto di impugnazione, prevedevano la necessità di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio o di certificazione, ai sensi degli artt. 46-47 D.p.r. n. 445/2000, quanto piuttosto di una semplice dichiarazione di scienza del produttore del brand, che acclarasse la correttezza del requisito migliorativo dichiarato in gara dall’operatore economico”. In ogni caso “la dichiarazione resa dal legale rappresentante è conforme al modello predisposto dalla stazione appaltante (nonché alla previsione dell’art. 21 bis del capitolato d’oneri) e, pertanto, anche sotto il profilo formale, idonea a consentire il raggiungimento dello scopo prefissato (comprova dei requisiti migliorativi secondo la modalità prefigurata dalla lex specialis)”. Tale interpretazione si pone in linea di continuità con la giurisprudenza che ammette la comprova dei requisiti tecnici di determinati prodotti attraverso l’allegazione di una dichiarazione del produttore, in ragione del fatto che la Stazione Appaltante non può farsi carico di eseguire i test tecnici necessari a verificare determinate caratteristiche e funzionalità dei prodotti. Ne discende che, da un lato, “Il produttore […] si assume la responsabilità anche penale delle dichiarazioni che rende” e, dall’altro, “la stazione appaltante conserva la possibilità di agire, con i rimedi tipici della fase esecutiva del contratto, nei confronti dell’aggiudicatario che non garantisca le caratteristiche dei prodotti offerti” (sul punto TAR Roma, 17.12.2021, n. 13128).
Gli atti di gara hanno chiarito le specifiche tecniche, consentendo agli operatori economici di individuare le caratteristiche che la prestazione o il prodotto avrebbe dovuto avere per poter concorrere alla procedura competitiva. Secondo l’indirizzo sostenuto dalla giurisprudenza prevalente, l’operatore economico che offre una prestazione o un prodotto privo dei requisiti minimi di carattere tecnico deve essere escluso dalla procedura di gara (Cons. Stato, 1 luglio 2015, n. 3275; Cons. Stato 11 dicembre 2019, n. 8429). E’ stato, infatti, affermato che la difformità dell’offerta rispetto alle caratteristiche tecniche previste dal capitolato di gara per i beni da fornire può risolversi in un ‘aliud pro alio’ idoneo a giustificare, di per sé, l’esclusione dalla selezione (Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016, n. 1818; Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016, n. 1809; Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 2011, n. 3877).
La medesima Agenzia, sempre nell’intento di legittimare la contestata aggiudicazione, invoca – poi – la previsione di cui all’art. 68, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale “le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l’offerente dimostra, con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’articolo 86, che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”, affermando che – per quanto gli spessori della schiuma poliuretanica ignifuga riportati nelle schede tecniche allegate ai documenti di gara fossero inferiore rispetto a quelli prescritto – “la densità della suddetta schiuma poliuretanica … consente di ottenere le medesime prestazioni – anzi addirittura superiori – che garantirebbe il solo spessore”, come (in tesi) dimostrato “dalla documentazione allegata agli atti di gara e dai chiarimenti successivamente offerti dalla società aggiudicatrice, (nonché) come verificato dalla Commissione di gara”.
Anche tale argomentazione deve essere disattesa, assumendo rilievo dirimente la circostanza – già valorizzata in sede cautelare – che l’aggiudicataria non abbia, a bene vedere, reso alcuna evidenza dell’equivalenza funzionale tra quanto offerto e quanto richiesto dalla stazione appaltante né in sede di offerta, né nelle successive fasi della procedura, bensì – al più – solo successivamente all’instaurazione del presente giudizio, con nota di chiarimenti del 20 maggio 2022, resa su specifica richiesta dell’Agenzia del 17 maggio 2022, anch’essa, dunque, posteriore alla notifica del ricorso in esame. La prevalente giurisprudenza amministrativa – che il Collegio condivide – ritiene, infatti, che “al fine di scongiurare l’esclusione dalla gara d’appalto, il partecipante che intenda avvalersi della clausola di equivalenza prevista dall’ art. 68, d.lgs. n. 50/2016 , ha l’onere di dimostrare già nella propria offerta l’equivalenza tra i servizi o tra i prodotti, non potendo pretendere che tale accertamento sia compiuto d’ufficio dalla Stazione appaltante o, addirittura, che sia demandato alla sede giudiziaria una volta impugnato l’esito della gara”, evidenziando come, “benché il principio dell’equivalenza permei l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, rispondendo lo stesso al principio del favor partecipationis e costituendo, altresì, espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte della P.A., nondimeno anche l’ampia latitudine riconosciuta al canone di equivalenza non ne consente, tuttavia, l’estensione all’ipotesi, esulante dal campo applicativo della stessa, di difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis, configurandosi in tal caso un’ipotesi di aliud pro alio non rimediabile” (in tal senso, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 3489/2019). L’operatore che intenda avvalersi del principio dell’equivalenza (suscettibile di trovare applicazione indipendentemente da un espresso richiamo negli atti di gara) deve, dunque, fornirne la prova già in sede di gara, non potendo essa essere verificata d’ufficio dalla stazione appaltante né tantomeno dimostrata in via postuma in sede giudiziale.
Ciò posto, risulta dalla documentazione versata in giudizio dalle parti che l’aggiudicataria non abbia adempiuto a tale onere né in occasione dell’offerta, non riportando le relative schede tecniche alcuna notazione che i prodotti proposti rispondessero in maniera equivalente ai requisiti definiti dalla stazione appaltante nel Capitolato tecnico relativo al lotto di cui si discorre, né – tanto meno – nelle successive fasi di gara anteriori alla contestata aggiudicazione.
Come chiarito da una consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, (Cons. Stato, sez. V n. 6035/21; sez. III n. 6345/20; sez. III 5074/22), il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, in quanto la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e di libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, al principio euro-unitario di concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità. Il principio di equivalenza è, dunque, finalizzato ad evitare una irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2021, n. 4353).
Il principio di equivalenza è stato recepito dal nuovo Codice dei contratti approvato con d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che, all’art. 68, prevede che la stazione appaltante non possa escludere un’offerta perché non conforme alle specifiche tecniche a cui ha fatto riferimento se il prodotto offerto non è “aliud pro alio”, incontrando il concorrente che voglia presentare un prodotto (o servizio) equivalente a quello richiesto il solo limite della “difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis”, configurante ipotesi di “aliud pro alio non rimediabile” (Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2019, n. 5258).
Il Codice dispone che le “caratteristiche previste per lavori, servizi e forniture” sono definite dalla stazione appaltante mediante l’individuazione di “specifiche tecniche” inserite nei documenti di gara (art. 68, comma 1), nel rispetto del canone pro-concorrenziale che garantisca in ogni caso il “pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione” senza comportare “direttamente o indirettamente ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza” (art. 68, comma 4) o generare artificiose o discriminatorie limitazioni nell’accesso al mercato allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici. I più recenti arresti del Consiglio di Stato hanno puntualizzato che: – “…I concorrenti non sono peraltro onerati di una apposita formale dichiarazione che circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato…La Commissione di gara…può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis (Cons. St., sez. III, 25 novembre 2020, n. 7404). – “Negli appalti di forniture, la produzione in sede di offerta delle schede tecniche dei prodotti è quindi generalmente ritenuta idonea a consentire alla stazione appaltante lo svolgimento del giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e di equivalenza dei requisiti del prodotto offerto alle specifiche tecniche” (Cons. St., sez. V, 25 marzo 2020, n. 2093); – “L’art. 68, comma 7, del d.lgs. 50/2016 non onera i concorrenti di un’apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato; la commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis (cfr. Cons. Stato, III, 29 marzo 2018, n. 2013)”.
Per consolidato orientamento giurisprudenziale, il principio di equivalenza di cui all’art. 68 del Codice dei contratti pubblici – che attua l’art. 42 della direttiva 2014/24/UE e permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, rispondendo, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità, buon andamento e libertà d’iniziativa economica privata e, dall’altro, al principio di libera concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare (Cons. Stato, V, 17 febbraio 2022, n.1186; III, 10 febbraio 2022, n. 1006) – è finalizzato a evitare che un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici precluda l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (Cons. Stato, III, 7 gennaio 2022, n. 65; IV, 7 giugno 2021, n. 4353).
In altri termini, il principio di equivalenza presuppone la corrispondenza delle prestazioni del prodotto offerto, ancorché difforme dalle specifiche tecniche indicate dalla stazione appaltante (Cons. Stato, III, 7 luglio 2021, n. 5169; 22 novembre 2017, n. 5426), quale “conformità sostanziale” con le specifiche tecniche, nella misura in cui queste vengano nella sostanza soddisfatte (Cons. Stato, V, 25 marzo 2020, n. 2093): indi, nell’ambito di una procedura a evidenza pubblica, le caratteristiche minime stabilite nella documentazione di gara non debbono intendersi come vincolanti nel quomodo, ma soltanto quoad effectum, nel senso che le offerte sono ritenute rispettose della lex specialis laddove siano, comunque, capaci di conseguire il fine ultimo dell’affidamento (Cons. Stato, IV, n. 4353 del 2021, cit.).
Ne deriva, sul piano applicativo, che la stazione appaltante opera il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti in gara non attenendosi a riscontri formalistici, bensì sulla base di criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte; deve all’uopo registrarsi una conformità di tipo funzionale rispetto alle specifiche tecniche indicate dal bando: specifiche che, in questo modo, “vengono in pratica comunque soddisfatte” (Cons. Stato, III, 2 settembre 2013, n. 4364; 29 marzo 2018, n. 2013). I limiti dell’applicazione del principio di equivalenza individuati dalla giurisprudenza sono strettamente connessi alla sua ratio. Se, infatti, il principio è diretto ad evitare che le norme obbligatorie, le omologazioni nazionali e le specifiche tecniche possano essere artatamente utilizzate per operare indebite esclusioni dalla gare pubbliche, fondate sul pretesto di una non perfetta corrispondenza delle soluzioni tecniche offerte con quelle richieste, ne viene come diretta conseguenza che esso, quale misura diretta ad assicurare che la valutazione della congruità tecnica dell’offerta non si risolva in una verifica formalistica ma consista nell’apprezzamento della sua conformità sostanziale alle specifiche tecniche inserite nella lex specialis, non possa essere invocato per ammettere offerte tecnicamente inappropriate (Cons. Stato, III, 2 marzo 2018 n. 1316) o che comprendano soluzioni che, sul piano oggettivo funzionale e strutturale, non rispettino le caratteristiche tecniche obbligatorie, configurandosi come un aliud pro alio (Cons. Stato, III, 9 febbraio 2021, n. 1225/2021; V 25 luglio 2019, n. 5258; III, 28 settembre 2018, n. 5568).
8. Tanto premesso, ritiene il Collegio che la decisione di prime cure si riveli immune dai rilievi di parte appellante nella parte in cui, in accoglimento delle eccezioni sollevate dall’Amministrazione resistente, ha dichiarato, anzitutto, inammissibile il ricorso proposto nello specifico procedimento qui in rilievo siccome riferito ad una procedura selettiva aggiudicata ad un terzo soggetto, alla quale l’odierna appellata non ha nemmeno partecipato e avverso la cui indizione non ha proposto tempestiva impugnazione censurando le relative regole organizzative.
8.1. Vanno, invero, ribaditi i noti principi giurisprudenziali, più volte affermati anche da questa Sezione, a mente dei quali, nelle controversie aventi ad oggetto gare di appalto, la legittimazione al ricorso è correlata ad una situazione differenziata e meritevole di tutela, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione: pertanto, chi volontariamente e liberamente si sia astenuto dal partecipare alla selezione non è legittimato a chiederne l’annullamento, ancorché possa vantare un interesse di fatto a che la competizione – che per lui è comunque res inter alios acta – venga nuovamente bandita (cfr. ex multis Cons. Stato, A.P., n. 1/2003, n. 4/2011, n. 5/2014, n. 4/2018).
8.2. Nel caso in esame l’Amministrazione ha, infatti, reso pubblica la selezione qui contestata e compiutamente perimetrato il relativo oggetto, riferito ad un prodotto specifico corrispondente al proprio fabbisogno e consistente nella fornitura di “…”.
L’odierno appellante è stato messo, dunque, in condizione di conoscere l’esistenza della gara e quindi di decidere consapevolmente di parteciparvi e, pertanto, l’opzione di non concorrere è dipesa esclusivamente dalla libera scelta dell’operatore economico -OMISSIS-, attivo nello stesso settore qui in rilievo e dunque ben consapevole dell’ambito operativo della selezione in argomento, di non partecipare.
Né, peraltro, in relazione al bando per come in concreto strutturato la società -OMISSIS- ha contestato, nell’immediatezza della sua pubblicazione, la strutturazione della detta selezione sulla scorta di clausole impeditive idonee a ingenerare, anche in relazione alla definizione dell’oggetto della gara, illegittime restrizioni della concorrenza in ragione della arbitraria riduzione della platea dei soggetti in potenza interessati e legittimati a concorrere.
8.3. E, infatti, solo ex post, a cagione cioè della mancata indizione nell’anno 2021 di una gara confezionata negli stessi termini di quella già aggiudicatasi nel 2014, e che vedeva un apposito lotto dedicato alla fornitura di “…”, la società -OMISSIS- ha impugnato gli esiti della gara “Gara Cateteri” del 2019 in quanto ritenuta sovrapponibile, quanto al relativo fabbisogno, a quella su cui si era concentrato l’interesse dell’appellante.
8.4. Pur tuttavia, deve qui evidenziarsi come tale retrospettiva riqualificazione del proprio interesse, oltretutto solo indirettamente correlato alla procedura selettiva qui in argomento, non possa consentire all’appellante di dare ingresso ora per allora ad eventuali contestazioni.
Come già sopra anticipato l’oggetto della gara “Gara Cateteri” del 2019 risulta compiutamente e chiaramente perimetrato al momento della pubblicazione del bando ed è rimasto immutato nel corso dei successivi sviluppi del procedimento selettivo risultando con esso coerente anche il provvedimento di aggiudicazione.
8.5. In altri termini, la procedura di affidamento qui gravata si è coerentemente svolta nel solco segnato dal bando in relazione all’oggetto per come da esso definito, ben noto alla società appellante, che all’epoca non ha sollevato obiezioni di sorta avverso la lex specialis né ha mostrato interesse alla relativa commessa non presentando nemmeno domanda di partecipazione di guisa che non vi è spazio per un tardivo ripensamento.
Né risulta dedotta e comprovata una fattispecie di simulazione rispetto alla suddetta procedura di gara nel senso cioè di una sua preordinazione alla soddisfazione di un interesse e di un fabbisogno diversi da quelli dichiarati, artatamente celati dal riferimento solo apparente ad un prodotto diverso, eventualmente da utilizzare in modo improprio per finalità distinte da quelle cui è ordinariamente destinato.
8.6. La divisata coerenza tra l’oggetto del bando e quello dell’aggiudicazione, con esclusione dunque in radice di qualsivoglia ipotesi di indebita estensione dell’oggetto dell’appalto, di una sua modifica ovvero di oggetto simulato, esclude in radice la possibilità di assimilare il caso qui in rilievo a quelli in cui, invece, si contesti la mancata indizione di una gara o l’omissione della previa pubblicità, ipotesi per le quali si ritiene consentita l’impugnazione entro il termine decorrente dalla conoscenza dell’esistenza di una procedura di gara o dei suoi esiti concreti. È, infatti, evidente che solo in tali fattispecie, qui non in rilievo, all’operatore rimasto escluso dal confronto concorrenziale senza colpa e a causa di un illegittimo comportamento della stazione appaltante (la quale, in ipotesi, avrebbe dovuto ricomprendere l’intero oggetto dell’appalto nel bando, ovvero effettuare una adeguata pubblicità all’ampliamento prima di effettuare la preselezione) deve essere consentita l’azione di tutela (cfr. ad esempio Cons. St., Sez. III, 15 febbraio 2019, n. 10704).
9. Tanto è sufficiente ai fini del rigetto dell’appello.
10. Ciò nondimeno, e per mera completezza espositiva, deve rammentarsi, sotto diverso profilo, che è ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui la determinazione del contenuto del bando di gara costituisce espressione del potere discrezionale in base al quale l’Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell’interesse pubblico concreto, oggetto dell’appalto da affidare; le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell’azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell’oggetto e all’esigenza di non restringere la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegi (cfr. ex multis, Cons. St. Sez. III, 28 settembre 2020, n. 5634; Consiglio di Stato, sez. III, 31 marzo 2020, n. 2186; Consiglio di Stato, sez. III, 20 marzo 2020, n. 2004).
Nella suddetta prospettiva, la stazione appaltante è libera di ricercare sul mercato prodotti ritenuti particolarmente funzionali ed efficaci rispetto agli interessi di cui essa è attributaria con l’intento del corretto ed effettivo perseguimento dell’interesse pubblico concreto.
Sommario: 1. Premessa. 2. L’esatta individuazione dell’oggetto dell’appalto. 3. La corretta predisposizione dell’offerta da parte del concorrente. 4. L’ipotesi di previsione, a pena di esclusione, della messa disposizione di prodotti accessori, sostitutivi o alternativi. 5. Conclusioni.
Con il presente focus si intende proporre una disamina di quelle peculiari procedure di gara caratterizzate dalla previsione di una prestazione principale e di una secondaria che sia accessoria, sostitutiva o alternativa, nonchè eventuale rispetto alla prima.
Trattasi di particolari tipologie di appalti di fornitura con cui, in taluni casi, le Stazioni Appaltanti intendono approvvigionarsi di uno o più prodotti, costituenti l’oggetto principale del contratto, ma chiedono altresì al concorrente di mettere a disposizione una lista di prodotti accessori, sostitutivi o alternativi, di cui potranno eventualmente usufruire successivamente, laddove se ne manifesti realmente l’esigenza. La descritta fisionomia della procedura, nella misura in cui determina notevoli conseguenze a carico dei partecipanti in termini di corretta predisposizione dell’offerta, presenta diversi profili che meritano di essere esaminati, anche alla luce delle previsioni degli articoli 68, 83 e 94 del d.lgs. 18.04.2016 n. 50.
Premessa.
Talvolta le Stazioni Appaltanti definiscono l’oggetto della procedura di evidenza pubblica richiedendo ai concorrenti non solo la prestazione principale ma altresì la contestuale messa a disposizione di prodotti accessori, sostitutivi o alternativi, il cui acquisto risulta del tutto eventuale, occorrendo nel solo caso in cui tali beni si rendano necessari al fine di curare in concreto l’interesse pubblico primario.
Orbene, trattasi di appalti caratterizzati da una composizione del tutto peculiare in cui l’oggetto effettivo dell’appalto è rappresentato unicamente dalla fornitura principale, mentre, per quanto attiene la fornitura accessoria, alternativa o sostitutiva, è richiesto al concorrente l’onere di renderla disponibile nell’eventualità in cui sorga la necessità di acquistarla nelle more dell’esecuzione della commessa.
Alla luce delle enunciate caratteristiche, emerge la necessità di interrogarsi su cosa accada quando il concorrente, pur in possesso del bene (unico) oggetto della fornitura principale, non sia in grado di mettere a disposizione tutti o parte dei prodotti accessori, alternativi o sostitutivi poiché, ad esempio, non rinviene un fornitore in grado di garantirli, ovvero subisce alcune politiche commerciali di messa in fuori produzione.
Occorre invero comprendere se da tale circostanza possa legittimamente conseguire, per l’operatore economico, una sanzione espulsiva dal confronto concorrenziale.
La questione è assai delicata e coinvolge indirettamente anche i limiti alla potestà normativa delle Stazioni Appaltanti nella predisposizione della legge di gara e nell’individuazione dei requisiti richiesti per l’offerta; invero, la lex specialis che commina l’esclusione di un concorrente per non aver messo a disposizione una serie di prodotti accessori, alternativi o sostitutivi, si espone al vaglio di compatibilità con i principi di efficacia, buon andamento, proporzionalità, adeguatezza, par condicio e favor partecipationis che governano il settore delle gare pubbliche.
Le Stazioni Appaltanti hanno il dovere istituzionale di curare in concreto l’interesse pubblico primario essendo tenute, dapprima, ad individuare effettivamente la pubblica esigenza e, successivamente, a procedere alla conclusione di contratti di appalto per soddisfare i fabbisogni predeterminati; esse devono, quindi, provvedere all’individuazione precipua dell’oggetto della commessa pubblica in modo definito, certo ed inequivoco. Così facendo non solo si stabilisce, da subito, in maniera esatta, ciò di cui le stesse necessitano ma, al contempo, permettono agli operatori privati di comprendere effettivamente su quale prestazione si svolgerà il confronto concorrenziale, valutando se gli stessi saranno in grado di offrire quanto richiesto e dunque di orientare di conseguenza le proprie scelte imprenditoriali verso la partecipazione alla procedura. L’attività di corretta e puntuale identificazione dell’oggetto del contratto pubblico è dunque presupposto necessario affinché si realizzi il più ampio confronto concorrenziale, in ossequio ai principi di massima partecipazione, di proporzionalità e adeguatezza tra sacrifici imposti e benefici conseguiti. Invero, tanto più è preciso l’oggetto del contratto tanto più attendibile potrà essere la valutazione prognostica del concorrente di poter ambire al risultato utile discendente dalla gara pubblica.
La corretta predisposizione dell’offerta da parte del concorrente.
Ai sensi dell’art. 94, comma 1, lett. a) del d.lgs. 50/2016 il concorrente è tenuto a predisporre l’offerta in modo conforme a quanto richiesto nella lex specialis di gara ossia ad offrire esattamente la prestazione individuata dalla Stazione Appaltante, come dotata di tutti i requisiti tecnici minimi predefiniti per poter conseguire l’aggiudicazione. Laddove ciò non si configuri, nei suoi confronti sarà legittima, e ancor prima doverosa, l’esclusione dal confronto concorrenziale.
Fatto salvo quanto verrà specificato in appresso, dunque, nel caso in cui la legge di gara nulla disponga in particolare, potrebbe sostenersi che la valutazione di conformità ed idoneità dell’offerta debba essere condotta unicamente nei confronti della prestazione principale qualificante l’appalto e non anche con riferimento a prestazioni accessorie, sostitutive o alternative. La circostanza che al momento della predisposizione della legge di gara la Stazione Appaltante abbia richiesto la disponibilità di prodotti accessori, alternativi o sostitutivi rispetto all’oggetto della fornitura, infatti, potrebbe rispondere a ragioni di mera opportunità, come tali inidonee ad incidere sulla permanenza o l’esclusione del concorrente dalla gara.
Anche a voler ragionare sulla base della funzione implicita alla verifica dell’ammissibilità dell’offerta, ossia accertare l’idoneità del bene a rispondere alle esigenze sottese alla procedura di gara, non sembrerebbe necessario vagliare la prestazione accessoria ed eventuale, non sussistendo alcun interesse pubblico attuale ad essa direttamente collegato. Mancando l’attualità della richiesta e del connesso fabbisogno, non sembrerebbe giustificato né giustificabile un provvedimento escludente nei confronti del concorrente che non sia in grado di mettere a disposizione i prodotti accessori, alternativi o sostitutivi.
Poiché la procedura di gara non costituisce soltanto il luogo in cui la Stazione Appaltante consegue il miglior prodotto alle più convenienti condizioni economiche, bensì rappresenta lo strumento che ha, quale fine intrinseco, quello di tutelare e favorire l’interesse delle imprese a concludere contratti con la Pubblica Amministrazione, è infatti fondamentale che il provvedimento di esclusione costituisca una extrema ratio, da comminare soltanto nel momento in cui il concorrente non soddisfi le caratteristiche tecnico qualitative del bene oggetto di appalto. Una simile interpretazione risulterebbe, peraltro, maggiormente aderente ai principi di proporzionalità, massima concorrenza e partecipazione, nonché di efficienza, efficacia e buon andamento dell’agere amministrativo.
Nulla vieterebbe, d’altro canto, che la disponibilità di prodotti accessori, sostitutivi o alternativi possa rilevare sotto il profilo qualitativo dell’offerta tecnica, e quindi costituire una voce premiante del punteggio da assegnarsi nell’ambito del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’ipotesi di previsione, a pena di esclusione, della messa disposizione di componenti accessori, sostitutivi o alternativi.
Più complesso è il caso in cui la legge di gara prescriva, a pena di esclusione, la messa a disposizione di prodotti accessori, sostitutivi o alternativi rispetto all’oggetto principale della fornitura, indicandone altresì i requisiti minimi ed imponendo lo svolgimento del confronto concorrenziale anche su questi ultimi.
Con una recente sentenza il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, 05.07.2021 n. 694 si è espresso proprio su una lex specialis di gara che richiedeva al “fornitore, al momento della presentazione dell’offerta tecnica, [di] depositare il listino dei prodotti accessori (accessori o componenti alternative/sostitutive) eventualmente necessari e tecnicamente collegati alle componenti dell’impianto tipo, non ricompresi nei singoli lotti, ma presenti nel listino di produzione/distribuzione della categoria merceologica”.
In via preliminare il Giudice Amministrativo ha ritenuto che siffatte clausole “non possono essere qualificate ab origine lesive atteso che le stesse non incid[ono] sulla concreta possibilità per la concorrente di partecipare utilmente alla gara. Esse non sono, infatti, riconducibili nel novero delle c.d. clausole escludenti, tipizzate dalla giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria (Cons. Stato Ad. Plen., 26/04/2018, n. 4), ossia quelle prescrizioni della lex specialis che si connotano per un’immediata portata impeditiva della partecipazione alla procedura di gara e nei confronti delle quali sorge un attuale interesse all’impugnazione entro il termine decadenziale di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a.”. La portata lesiva delle clausole in esame si è dispiegherebbe, quindi, soltanto con gli atti che di esse ne facciano applicazione e, segnatamente, con il provvedimento di esclusione del concorrente.
Nel merito, poi, il TAR ha ritenuto legittima l’esclusione dell’operatore economico concorrente che, in sede di offerta, non aveva messo a disposizione tutti i componenti richiesti come accessori, sostitutivi o alternativi, ritenendola legittima per violazione, oltre che della lex specialis di gara, dell’art. 94, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 50/2016.
Non sussiste, in tal caso, la violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione ai sensi dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50/2016 – volto ad evitare esclusioni per violazioni meramente formali della documentazione di gara – in quanto dev’essere letto in stretto subordine con l’espressa individuazione nella disciplina di gara di prescrizioni relative a caratteristiche essenziali ed indefettibili dei prodotti, la cui violazione viene sanzionata espressamente con l’esclusione.
Segnatamente, secondo il TAR, occorre considerare che ai sensi dell’art. 68 del d.lgs. n. 50/2016 le Amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a fissare nei documenti di gara le specifiche tecniche che i singoli prodotti devono presentare affinché gli operatori economici possano formulare offerte congrue rispetto a quanto richiesto dalla lex specialis in ossequio al principio della pari accessibilità alla procedura di gara posto a presidio della par condicio dei concorrenti.
“In pratica, i due piani – tassatività delle cause di esclusione e difetto di requisiti essenziali dell’offerta – hanno una ben precisa autonomia concettuale e vanno tenuti distinti: le caratteristiche essenziali e indefettibili – ossia i requisiti minimi – delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis della gara costituiscono una condizione di partecipazione alla procedura selettiva, perché non è ammissibile che il contratto venga aggiudicato a un concorrente che non garantisca il minimo prestabilito che vale a individuare l’essenza stessa della res richiesta – purché le specifiche tecniche previste nella legge di gara consentano di ricostruire con esattezza il prodotto richiesto dall’Amministrazione e di fissare in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come obbligatorie – e non deporrebbe in senso contrario neanche la circostanza che la lex specialis non disponesse espressamente la sanzione espulsiva per l’offerta che presenti caratteristiche difformi da quelle pretese, risolvendosi tale difformità in un aliud pro alio che comporta, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di un’apposita comminatoria in tal senso (v., tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 25 luglio 2019 n. 5260; T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. II, 23/03/2021, n.762). Ciò posto, viene come logico e ineluttabile corollario che l’offerta di un bene privo dei requisiti essenziali previsti dalla lex specialis, equivalendo all’offerta di un vero e proprio aliud pro alio, cioè di un prodotto radicalmente eterogeneo rispetto a quanto richiesto, impone all’ente appaltante l’esclusione del partecipante, senza che possa assumere rilievo il richiamo al principio legislativo di tassatività delle cause di esclusione, che risulta invece inconferente (cfr. T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. IV, 12/11/2018, n. 2567)”.
Conclusioni
In definitiva, con riferimento alle procedure di gara analoghe a quella in questa sede esaminata, deve ritenersi legittima la richiesta, a pena di esclusione, della messa a disposizione di eventuali prestazioni accessorie, sostitutive o alternative, rispetto a quella principale, alla luce del più ampio potere della Stazione Appaltante in ordine alla fissazione delle specifiche tecniche che i singoli prodotti devono presentare. Di conseguenza, un’offerta non rispondente a tale richiesta, e quindi priva delle caratteristiche essenziali ed obbligatorie, legittimerebbe comunque l’esclusione del concorrente, anche nel caso in cui la lex specialis non disponesse espressamente la sanzione espulsiva, purché le specifiche tecniche previste nella legge di gara consentano di ricostruire con esattezza il prodotto richiesto e di fissare in maniera analitica ed inequivoca determinate caratteristiche tecniche come obbligatorie.
La lesività in capo alla ricorrente di tale scelta emerge dalla rilevante incidenza dei criteri tabellari on/off, nei sensi infra esposti, che hanno impedito alla Commissione di proporre punteggi graduati e di far emerge l’equivalenza o la parziale equivalenza delle caratteristiche tecniche delle offerte presentate.
L’utilizzo dei criteri on/off non solo è in contrasto con la gerarchia interna tra gli atti di gara lamentata dalla parte ricorrente, ma nella fattispecie oggetto di esame, deve ritenersi illegittima quanto alle concrete modalità di applicazione così come prospettato dalla parte ricorrente con il secondo profilo di doglianza sollevato nel secondo motivo di ricorso.
Il Collegio, infatti, condivide l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato secondo cui “la scelta operata dall’amministrazione appaltante, in una procedura di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, relativamente ai criteri di valutazione delle offerte, ivi compresa anche la disaggregazione eventuale del singolo criterio valutativo in sub-criteri, è espressione dell’ampia discrezionalità attribuitale dalla legge per meglio perseguire l’interesse pubblico; come tale è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità solo allorchè sia macroscopicamente illogica, irragionevole ed irrazionale ed i criteri non siano trasparenti ed intellegibili (Cons. Stato, V, 30 aprile 2018, n. 2602; III, 2 maggio 2016, n. 1661; V,18 giugno 2015, n. 3105).
Tale discrezionalità appare particolarmente significativa in un contesto normativo in cui non è espressamente previsto l’obbligo di attribuire punteggi graduati tra un minimo ed un massimo ai singoli criteri di valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa; ne consegue che non è ravvisabile un diretto contrasto con la norma di legge nella scelta, da parte della stazione appaltante, di una modalità di attribuzione del punteggio di tipo on/off, in cui cioè vi è attribuzione del punteggio nel caso di ricorrenza di un elemento ritenuto rilevante dalla stazione appaltante.” (Cons. Stato, Sez. V, 26 marzo 2020, n. 2094).
Chiarisce altresì il Consiglio di Stato che la previsione di un metodo di valutazione tabellare secondo criteri on/off non trova un limite all’art. 95, comma 10-bis, del Codice dei contratti pubblici, “che impone alla stazione appaltante di assicurare l’effettiva individuazione del migliore rapporto qualità/prezzo, valorizzando gli elementi qualitativi dell’offerta al fine di garantire un confronto concorrenziale effettivo sul merito tecnico dell’offerta. Le direttive normative non implicano la radicale illegittimità della scelta del metodo on/off, ove si riscontri che gli elementi selezionati come criteri di aggiudicazione corrispondono a profili dell’offerta tecnica direttamente collegati all’oggetto dell’appalto. Se vi è tale corrispondenza, ne consegue che, seppure attraverso l’anticipazione della selezione e valutazione degli aspetti qualitativi dell’offerta alla fase di predisposizione dei criteri di aggiudicazione, si giunge comunque al risultato di una effettiva valutazione dei requisiti tecnici che devono essere offerti e dimostra che la valutazione dell’offerta ha tenuto conto della componente tecnica.” (Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2021, n. 7053).
La previsione di criteri necessariamente binari (c.d. criteri “on/off”) e, pertanto, non graduabili, per la valutazione qualitativa dell’offerta tecnica non costituisce, in astratto, anche qualora il criterio di aggiudicazione sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, una scelta di per sé illegittima rientrando nell’ambito della discrezionalità dell’amministrazione non sindacabile dal giudice amministrativo, fatte salve le ipotesi di emersione di macroscopici vizi logici, irragionevolezza o travisamento.
Cionondimeno, la rilevante prevalenza di punteggi tecnici attribuibili secondo logiche puramente binarie può assurgere a sintomo di una deviazione del preferenziale criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo.
A fronte di una ridottissima valenza selettiva di criteri on/off (implicanti requisiti posseduti da quasi tutti gli operatori concorrenti) utilizzati in modo preponderante nel calcolo dei punteggi dell’offerta tecnica può predicarsi il rischio di un sostanziale appiattimento delle offerte presentate, sicché la procedura di evidenza pubblica, pur apparentemente informata al criterio di cui all’art. 95, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50/2016, si configura come una gara con il criterio del minor prezzo ai sensi dell’art. 95, comma 4 del d.lgs. n. 50/2016 (T.A.R. Trentino Alto-Adige, Sez. I, 1 ottobre 2020, n. 168) utilizzabile solo “per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato, fatta eccezione per i servizi ad alta intensità di manodopera di cui al comma 3, lettera a)”. Di contro, a fronte di un’assoluta prevalenza nel calcolo del punteggio tecnico di criteri binari estremamente selettivi predicabili solo in capo a pochissime imprese o, addirittura, ad un’unica impresa, la gara, seppure formalmente conformata ai criteri cui all’art. 95, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 50/2016, si configura in sostanza come una procedura negoziata ex art. 63 del d.lgs. n. 50/2016 a cui l’amministrazione, invero, può ricorrere solo con una specifica motivazione sull’unicità e infungibilità del bene oggetto della fornitura e sull’assenza di reali e effettive soluzioni alternative in grado di soddisfare il medesimo bisogno.
Ricorda, invero, la giurisprudenza amministrativa come ai sensi dell’art. 63 comma 2, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016 “è consentito alle stazioni appaltanti ricorrere alla procedura negoziata – e nel caso di unico operatore presente sul mercato all’affidamento diretto – se il bene oggetto della fornitura sia infungibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 8588; VI, 13 giugno 2019, n. 3983; III, 18 gennaio 2018, n. 310). In tale condizione, infatti, per l’assenza di mercato, lo svolgimento di una procedura di gara aperta alla concorrenza sarebbe un inutile spreco di tempo, contrastante con il principio di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2014, n. 3997; V, 30 aprile 2014, n. 2255).» (Cons. Stato, Sez. V, 20 novembre 2020, n. 7239).
Il codice prevede, pertanto, due ipotesi estreme ed eccezionali in cui a fronte di un bene e un servizio perfettamente fungibili, in quanto aventi caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato, il procedimento competitivo si concentra sul prezzo, mentre a fronte dell’assoluta assenza di una potenziale equivalenza, la procedura limita l’apporto competitivo fino alla possibilità di procedere all’affidamento diretto.
Tra tali due estremi, che si connotano nel codice del 2016 come forme residuali (criterio del minor prezzo e procedura negoziata) o eccezionali (affidamento diretto) di procedura di evidenza pubblica, l’offerta economicamente più vantaggiosa assurge a fisiologico criterio di aggiudicazione (così come chiarito dal Cons. Stato, Ad. Plen., 21 maggio 2019, n. 8 nel richiamare la pertinente normativa nazionale e comunitaria) così da stimolare “l’innovazione e gli sforzi per ottenere la massima qualità e il massimo valore, promuovendo pertanto il rispetto dei criteri della strategia Europa 2020” (punto 13 della risoluzione Risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2011 sulla modernizzazione degli appalti pubblici (2011/2048(INI)).
In tale ambito il principio di equivalenza predicato dall’art. 68 del d.lgs. n. 50/2016 costituisce ragionevole applicazione di tali obiettivi giacché “rende valutabili prestazioni da ritenersi omogenee sul piano funzionale secondo criteri di conformità sostanziale” (Cons. Stato, Sez. III, 5 febbraio 2020, n. 932) implicando la necessaria verifica che “il prodotto concretamente offerto dal concorrente, sebbene non rispettoso formalmente dello standard tecnico-normativo richiamato dalla documentazione di gara, sia comunque idoneo a soddisfare sostanzialmente l’esigenza posta a base della relativa specifica.” (Cons. Stato, Sez. VI, 15 giugno 2020, n. 3808). L’equivalenza, pertanto, inerisce al “requisito prestazionale”, implicante la garanzia dell’idoneità dello strumento offerto al soddisfacimento di una determinata esigenza operativa (Cons. Stato, Sez. III, 24 aprile 2019, n. 2663).
7.8. Al riguardo si deve considerare il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, in quanto la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e di libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, al principio eurounitario di concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità.
7.9. Il principio di equivalenza è, dunque, finalizzato ad evitare un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 7 gennaio 2022, n. 65).
5. Il primo motivo attiene alla distinzione tra requisiti di partecipazione e requisiti di esecuzione, elaborata dalla giurisprudenza, collocando tra i secondi gli “elementi caratterizzanti la fase esecutiva del servizio” (cfr., oltre a Cons. Stato, V, 18 dicembre 2017, n. 5929, richiamata in sentenza, anche Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2018, n. 4390; V, 24 maggio 2017, n. 2443; V, 8 marzo 2017, n. 1094; V, 2 ottobre 2014, n. 4907), vale a dire i “mezzi (strumenti, beni ed attrezzature) necessari all’esecuzione della prestazione promessa alla stazione appaltante” (Cons. Stato, V, 18 dicembre 2020, n. 8159), così distinguendoli dai primi, che sono invece necessari per accedere alla procedura di gara, in quanto requisiti generali di moralità (ex art. 80 d.lgs. n. 50 del 2016) e requisiti speciali attinenti ai criteri di selezione (ex art. 83 d.lgs. n. 50 del 2016).
5.1. Non è in discussione che il possesso dei requisiti di partecipazione sia richiesto al concorrente sin dal momento della presentazione dell’offerta.
Riguardo invece ai requisiti di esecuzione l’approdo giurisprudenziale più recente, che si intende ribadire, è nel senso che essi sono, di regola, condizioni per la stipulazione del contratto di appalto (cfr. Cons. Stato, V, 30 settembre 2020, n. 5734; 30 settembre 2020, n. 5740; 12 febbraio 2020, n. 1071), pur potendo essere considerati nella lex specialis come elementi dell’offerta, a volte essenziali (cfr. Cons. Stato, V, 3 aprile 2019, n. 2190), più spesso idonei all’attribuzione di un punteggio premiale (cfr. Cons. Stato, V, 29 luglio 2019, n. 5309 e 25 marzo 2020, n. 2090).
Peraltro, non si può escludere che la richiesta della predisposizione ed organizzazione di beni e mezzi per l’esecuzione del servizio sia contenuta nel capitolato speciale soltanto ai fini dell’avvio dell’esecuzione, senza condizionare la stipulazione del contratto (così come ritenuto nel precedente di questa sezione V, 17 dicembre 2020, n. 8101, richiamato dal Comune appellato).
In sintesi, fermando l’attenzione sull’appalto di servizi, nel quale la questione si pone in termini di organizzazione di beni e mezzi allo scopo di eseguire le prestazioni contrattuali, la regolazione dei c.d. requisiti di esecuzione va rinvenuta nella lex specialis, con la conseguenza che, se richiesti come elementi essenziali dell’offerta o per l’attribuzione di un punteggio premiale, la loro mancanza al momento di partecipazione alla gara comporta, rispettivamente l’esclusione del concorrente o la mancata attribuzione del punteggio; se richiesti come condizione per la stipulazione del contratto, la loro mancanza rileva al momento dell’aggiudicazione o al momento fissato dalla legge di gara per la relativa verifica e comporta la decadenza dall’aggiudicazione, per l’impossibilità di stipulare il contratto addebitabile all’aggiudicatario.
5.1.1. In definitiva, spetta alla stazione appaltante, nella predisposizione degli atti di gara, conciliare le contrapposte esigenze, su cui si è variamente soffermata la giurisprudenza: da un lato, quella di evitare inutili aggravi di spesa a carico degli operatori economici concorrenti per procurarsi già al momento dell’offerta la disponibilità di beni e mezzi, senza avere la certezza dell’aggiudicazione e con effetti discriminatori ed anti-concorrenziali perché di favore per gli operatori già presenti sul mercato ed in possesso delle dotazioni strumentali, nonché con violazione del principio di proporzionalità (cfr. Corte di Giustizia U.E., sez. I, 8 luglio 2021, n. 428); dall’altro, quella della stazione appaltante di garantire la serietà e l’effettività dell’impegno assunto dal concorrente di dotarsi dei mezzi necessari all’espletamento del servizio.
Come chiarito da una consolidata giurisprudenza del giudice amministrativo, (Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2021, n. 6035; sez. III, 20 ottobre 2020, n. 6345), il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, in quanto la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e di libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, al principio euro-unitario di concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità”. Il principio di equivalenza è, dunque, finalizzato ad evitare un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2021, n. 4353).
Il principio di equivalenza è stato recepito del Codice dei contratti che, all’art. 68, prevede che la stazione appaltante non possa escludere un’offerta perché non conforme alle specifiche tecniche a cui ha fatto riferimento se il prodotto offerto non è “aliud pro alio”, incontrando il concorrente che voglia presentare un prodotto (o servizio) equivalente a quello richiesto il solo limite della “difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis”, configurante ipotesi di “aliud pro alio non rimediabile” (Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2019, n. 5258).
Il Codice dispone che le “caratteristiche previste per lavori, servizi e forniture” sono definite dalla stazione appaltante mediante l’individuazione di “specifiche tecniche” inserite nei documenti di gara (art. 68, comma 1), nel rispetto del canone pro-concorrenziale che garantisca in ogni caso il “pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione” senza comportare “direttamente o indirettamente ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza” (art. 68, comma 4) o generare artificiose o discriminatorie limitazioni nell’accesso al mercato allo scopo di favorire o svantaggiare indebitamente taluni operatori economici. Il Collegio ben conosce e condivide l’arresto del giudice di appello secondo cui l’equivalenza del prodotto offerto a quello indicato nella legge di gara deve essere provata dall’interessato e non può essere demandata alla stazione appaltante, cui spetta, invece, di valutare l’effettiva sussistenza dell’equivalenza addotta dal concorrente. Ritiene però che tale principio vada letto e applicato considerando la tipologia di prodotto previsto in sede di gara ed offerto come equivalente, in ragione della sua complessità e, quindi, della possibilità per la Commissione di evincere con immediatezza tale equivalenza. In altri termini, è certo che, ad esempio, per un macchinario sanitario che abbia alcune caratteristiche tecniche diverse da quelle richieste dalla lex specialis di gara deve essere il concorrente a dimostrare, all’atto della presentazione dell’offerta tecnica, l’equivalenza; invece, a fronte di prodotti comunemente presenti sul mercato e di utilizzo comune, ove corredati da una scheda tecnica che ne espliciti in modo chiaro le caratteristiche e le qualità, la Commissione può autonomamente valutare se, nonostante la difformità rispetto a quanto richiesto dalla legge di gara, l’articolo offerto possa essere comunque considerato equivalente.
[…] Quanto alla valenza che assume la relazione del Verificatore, il Collegio ricorda che le valutazioni dallo stesso espresse non hanno efficacia vincolante per il giudice, che può legittimamente disattenderle attraverso una valutazione critica che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata (Cons. St., sez. V, 11 ottobre 2018, n. 5867; id., sez. IV, 18 novembre 2013 n. 5454), dovendo l’organo giudicante indicare, in particolare, gli elementi di cui si è avvalso per ritenere non condivisibili gli argomenti sui quali il verificatore (o il consulente) si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del detto verificatore (Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 1999, n. 333; Cons. St., sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5454).
Ed invero, una volta che il Collegio ha ritenuto che le questioni sottese alla controversia hanno un carattere talmente tecnico da esulare dalla propria competenza e da richiedere l’intervento di un soggetto dotato di tali specifiche competenze, le conclusioni alle quali questi è pervenuto potranno dallo stesso Collegio essere superate solo a fronte di una manifesta erroneità, ictu oculi ravvisabile.
La presenza del Verificatore sta e cade, infatti, in relazione proprio ad un’esigenza di carattere tecnico di accertamento di fatti o di valutazioni tecniche, in questi limiti e in questo ambito giustificando l’assunto per cui le conclusioni cui l’organo perviene, nei confini del sindacato esterno del giudice amministrativo, si sottraggono alle censure di illogicità e di non corretto apprezzamento dei presupposti (Cons. St., sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 742; id., sez. III, 18 marzo 2013, n. 1571).
Nel caso in esame il Collegio ritiene che le argomentazioni del Verificatore – che si fondano su una approfondita istruttoria – non siano superabili perché non manifestamente illogiche e di fatto confermative del giudizio di equipollenza al quale era già pervenuta la Commissione di gara.
11. Oltretutto anche la Commissione giudicatrice, in sede di svolgimento della prova pratica, ha ritenuto la piena idoneità all’uso con la modalità in fluorescenza del sistema di video-laparoscopia complessivamente offerto da Mida, confermandone in tal modo la conformità alla prestazione richiesta e riconoscendole il punteggio tecnico massimo di 5 punti (all. 6 della controinteressata).
11.1. A supporto di tale conclusione, il primo giudice ha anche sottolineato come in materia di appalti di forniture trovi generale applicazione il principio, di matrice comunitaria, dell’equivalenza, diretto a tutelare la libera concorrenza e la par condicio tra i partecipanti alle gare.
11.2. In base a tale principio, l’offerente può fornire con qualsiasi mezzo appropriato la prova che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche, fermo restando che la stazione appaltante deve essere messa nelle condizioni di svolgere una verifica effettiva e proficua della dichiarata equivalenza.
11.3. Ciò risponde al principio del favor partecipationis e costituisce altresì espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte della pubblica amministrazione.
11.4. I concorrenti non sono peraltro onerati di una apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato.
11.5. La Commissione di gara, ha ricordato ancora la sentenza impugnata, può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis (Cons. St., sez. III, 25 novembre 2020, n. 7404).
11.6. Negli appalti di forniture, la produzione in sede di offerta delle schede tecniche dei prodotti è quindi generalmente ritenuta idonea a consentire alla stazione appaltante lo svolgimento del giudizio di idoneità tecnica dell’offerta e di equivalenza dei requisiti del prodotto offerto alle specifiche tecniche (Cons. St., sez. V, 25 marzo 2020, n. 2093).
11.7. Pertanto, una volta che la pubblica amministrazione, anche implicitamente, abbia proceduto in tal senso, la scelta tecnico – discrezionale può essere inficiata soltanto qualora se ne dimostri l’erroneità (così, da ultimo, Cons. St., sez. IV, 4 marzo 2021, n. 1863).
La scelta delle specifiche tecniche dei prodotti offerti in termini di prestazioni e/o di requisiti funzionali al perseguimento dell’interesse pubblico sotteso alla gara rientra nella discrezionalità della Stazione appaltante, non sindacabile in sede di legittimità salva la sua manifesta arbitrarietà, illogicità, irrazionalità ed irragionevolezza, profili che non emergono nel caso di specie (e che neppure sono stati espressamente contestati dall’appellante).
Inoltre le caratteristiche essenziali e indefettibili delle prestazioni o del bene previste dalla lex specialis costituiscono una condizione di partecipazione alla procedura selettiva, perché non è ammissibile che il contratto venga aggiudicato ad un concorrente che non garantisca il minimo prestabilito, minimo che vale a individuare l’essenza stessa della res richiesta (Consiglio di Stato sez. V, 25 luglio 2019, n. 5260).
E’ stato anche evidenziato che l’ampia latitudine che la giurisprudenza riconosce al canone di equivalenza non ne consente tuttavia l’estensione all’ipotesi, esulante dal campo applicativo delle stesse, di “difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis”, configurante ipotesi di “aliud pro alio non rimediabile” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2019, n. 5258).
Ciò posto, deve ricordarsi che il principio di equivalenza, che costituisce il precipitato del più generale principio del favor partecipationis (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2021, n. 4353), è finalizzato ad evitare un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta.
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