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Subappalto e lavoro autonomo : figure contrattuali a confronto

Consiglio di Stato, sez. V, 21.08.2023 n. 7862

Nel codice degli appalti pubblici, l’art. 105 definisce il subappalto come il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto’, escludendo però che rientri in tale fattispecie l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi, per le quali occorre effettuare comunicazione alla stazione appaltante.
Ai fini di cui all’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016, deve quindi stabilirsi quando il ‘terzo’ venga in rilievo nella fattispecie dedotta come lavoratore autonomo piuttosto che subappaltatore.
A tal fine, è opportuno rilevare come la giurisprudenza di legittimità si sia più volte occupata dell’individuazione dei criteri in base ai quali distinguere il contratto d’appalto dal contratto d’opera, individuando la differenza tra queste figure negoziali (accomunate dall’obbligo verso il committente di compiere dietro corrispettivo un’opera o un servizio senza vincolo di subordinazione e con assunzione di un rischio da parte di chi esegue) nella complessità dell’organizzazione impiegata, così qualificando il contratto come appalto se l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto, e come contratto d’opera laddove prevalente è il lavoro di quest’ultimo, pur se adiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa, desumibile dall’art. 2083 c.c. (V. Cassazione civile sez. II, 31/08/2021, n. 23680, che richiama anche Cass. 7107/2001, Cass. 9237/1997, Cass. 5451/1999, Cass. 7606/1999 ma anche Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 27258 del 16 novembre 2017 e Cass. 12519/2010), come pure nei casi in cui l’elemento organizzativo non sia tale da consentire il perseguimento delle iniziative di impresa facendo a meno dell’attività esecutiva dell’imprenditore artigiano (V. Cassazione civile sez. II, 11/02/2022, n.4527), non essendo di per sè incompatibile con la figura dell’appalto il carattere artigianale dell’impresa (Cass. n. 1856/1990), sempre che emerga la prova dell’assunzione della gestione dell’opera a proprio rischio ed un’organizzazione di mezzi necessari alla sua esecuzione.
In questi termini, si avrà attività d’impresa quando l’organizzazione dei mezzi e dei fattori di produzione è tale da assumere una dimensione di essenzialità rispetto alla prestazione dedotta, tale da assorbire e rendere non più rilevante l’esperienza e la qualità soggettiva personale del prestatore.
Anche le diverse modalità con le quali avviene l’assunzione del rischio del risultato da parte del prestatore è considerata dalla giurisprudenza, essendosi ritenuto che, ove facciano difetto circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si sia riservato l’organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo, quindi, in proprio il suddetto rischio, la qualità di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l’esecuzione di un’opera o di un servizio fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto d’appalto e non di opera (v. Cassazione civile sez. II, 12/02/2021, n. 3688 in cui è dato appunto rilievo, per l’individuazione di un contratto d’appalto, all’“assunzione da parte dell’imprenditore del rischio del conseguimento del risultato, senza che fosse stata invece offerta la prova nè delle ingerenze preponderanti del committente né dell’utilizzo prevalente dell’attività personale del titolare dell’impresa stessa”; v.anche Cass., Sez. II, 12 dicembre 1995, n. 12727).
Secondo il Consiglio di Stato (si veda a tal proposito il precedente richiamato dalla Stazione appaltante, Consiglio di Stato, sez. V, n. 4150 del 31.05.2021) L’art. 105, comma 3, lett. a), d.lg. n. 50 del 2016 non può essere configurato come una norma derogatoria del subappalto posto che la disposizione muove dalla considerazione della specificità di determinate categorie di forniture e di servizi e, sulla base della natura peculiare di dette prestazioni e della diversità del regolamento contrattuale in termini di rapporti tra le parti del contratto e con l’amministrazione appaltante, giunge alla conclusione che i contratti con i quali vengono affidate a lavoratori autonomi specifiche attività rientranti nell’appalto non sono contratti di subappalto’; nondimeno, ‘la distinzione tra le due figure contrattuali (subappalto e lavoro autonomo) si fonda non solo, come si è veduto, sulla specificità delle prestazioni, ma anche sulla diversità degli effetti giuridici dei due tipi di contratto. Le prestazioni alla base dei due contratti sono infatti dirette a destinatari diversi: nel caso del subappalto, il subappaltatore esegue direttamente parte delle prestazioni del contratto stipulato con l’amministrazione, sostituendosi all’affidatario; nell’altro caso, le prestazioni sono rese in favore dell’aggiudicatario che le riceve, inserendole nell’organizzazione di impresa necessaria per adempiere alle obbligazioni contrattuali e le riutilizza inglobandole nella prestazione resa all’amministrazione appaltante. Nel subappalto vi è un’alterità anche sul piano organizzativo, tra appaltatore e subappaltatore, poiché la parte di prestazione contrattuale è affidata dall’appaltatore a un terzo che la realizza direttamente attraverso la propria organizzazione; mentre nel contratto di cooperazione la prestazione resa è inserita all’interno dell’organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore. I due contratti sono quindi diversi quantomeno sul piano funzionale. Ne deriva che la disciplina in tema di subappalto non è immediatamente estendibile, se non si dimostri che il contratto di lavoro autonomo costituisca solo uno schermo per il contratto di subappalto’ (Consiglio di Stato, sez. V, 31/05/2021, n. 4150 sopra richiamata).
La giurisprudenza richiamata valorizza quindi, da una parte, la centralità o meno dell’attività personale dell’obbligato per l’adempimento delle prestazioni dedotte in contratto, dall’altra, l’alterità o meno sul piano organizzativo tra committente e obbligato, con conseguenze sull’allocazione del rischio in capo all’uno o all’altro. La differenza tra lavoratore autonomo e appaltatore richiama quindi i termini più generali della distinzione tra il primo e l’imprenditore, riconoscendosi quest’ultima figura in tutti quei casi nei quali abbia rilievo una organizzazione di fattori produttivi ulteriori e diversi rispetto alla essenzialità e prevalenza della conoscenza personale e qualificazione soggettiva del singolo prestatore, che invece connota il contratto d’opera e sussista o meno una condizione di inserimento della prestazione – rispetto alla committente stazione appaltante – nell’organizzazione produttiva dell’affidatario.
In questo senso, lo svolgimento delle prestazioni con lavoro prevalentemente proprio e con l’impiego esclusivamente dei mezzi strettamente strumentali all’esecuzione dell’opera o del servizio non configura quindi un’attività di impresa, quanto un’attività di lavoro autonomo; mentre, affinché possa configurarsi una ipotesi di subappalto è necessario che il terzo possa qualificarsi come imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c.
Per quanto concerne l’ulteriore profilo dell’allocazione del rischio, se è pur vero che anche il lavoratore autonomo impiegato con contratto d’opera sopporta un certo margine di rischio legato ad esempio alla variabilità del costo dei mezzi strettamente strumentali da lui utilizzati per l’esecuzione delle prestazioni, nel caso dell’impresa-appaltatore rileva il rischio del conseguimento del risultato nei confronti del committente in termini collegati alla rilevanza dell’organizzazione dei mezzi di produzione.
In considerazione di quanto premesso, tenendo conto della lettura combinata dell’art. 1655 cod.civ. che definisce il contratto di appalto, e dell’art. 2222 cod.civ., dedicato al contratto d’opera (tenuto anche conto delle esclusioni e dei rinvii di cui all’art. 2238 cod.civ.), ai fini di cui all’art. 105 del codice appalti, la distinzione tra attività commesse in regime di subappalto e prestazioni affidate a prestatori d’opera andrà risolta, caso per caso, in base alla rilevanza della organizzazione del collaboratore, individuandosi una prestazione d’opera nei casi in cui quest’ultimo esegue attività per la quale è essenziale la propria esperienza e qualità soggettiva; mentre, dovrà concludersi in ordine alla presenza di una collaborazione in termini di subappalto in presenza di una ‘organizzazione dei mezzi necessari’, non piccola, né meramente ausiliaria, che condiziona la prestazione in termini di essenzialità.
Nel caso all’odierno esame del Collegio è dunque necessario valutare se gli operatori esterni che la controinteressata ha documentato di essere stata in grado di reperire nel triennio, abbiano agito quali imprenditori o come elementi inseriti nell’organizzazione dell’aggiudicataria.
Il contratto – tipo depositato dalla controinteressata nel procedimento di gara, anche prescindendo dal nomen iuris attribuitogli dalle parti (che, comunque, corrisponde al contenuto), si configura effettivamente come un contratto d’opera, avendo ad oggetto un’attività da svolgere personalmente (art. 3), in maniera pienamente auto-organizzata (salvi i soli orari che sono, però, definitori della commessa e non criteri di organizzazione della prestazione) con criteri prestazionali e remuneratori (calibrati peraltro sulla base di una prestazione oraria fissa, si veda l’art. 6, e senza doveri di esclusività) strutturati in maniera da dover essere assolti personalmente dal prestatore, con propri mezzi, senza soggiacere a poteri di tipo organizzativo esterni (né della Cooperativa committente, né di terzi).

Subappalto in favore dell’impresa ausiliaria e mandante quale corrispettivo del contratto di avvalimento

Consiglio di Stato, sez. V, 27.07.2023 n. 7342

8.2. L’appellante, muovendo dalla corretta premessa che il contratto di avvalimento sia un contratto oneroso di scambio e a prestazioni corrispettive, giunge tuttavia alla errata conclusione per la quale, nel caso di specie, mancherebbe in concreto la causa onerosa. In senso contrario, deve rammentarsi che, nei contratti tipici, qual è il contratto di avvalimento come delineato dall’art. 89 del codice dei contratti pubblici e quindi provvisto in astratto di una sua funzione riconosciuta e approvata dall’ordinamento, l’accertamento della liceità della complessiva operazione negoziale si traduce nella individuazione della causa in concreto, ossia della ragione giustificativa dello scambio o delle reciproche attribuzioni patrimoniali. In tale prospettiva l’indagine deve volgersi non solo a quanto espressamente previsto dalle parti nel regolamento contrattuale ma anche alla ricerca di interessi diversi (o esterni) che ugualmente possano giustificare lo scambio programmato o l’apparente squilibrio economico dello scambio (e ciò senza considerare che, secondo la ferma giurisprudenza della Cassazione civile in tema di contratti di scambio, lo squilibrio economico originario tra le prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell’autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive: per tutte Cass., sezione prima civile, 4 novembre 2015, n. 22567). Tra gli interessi di natura economico-patrimoniale idonei a sorreggere la ragione giustificativa dello scambio certamente rientra anche l’esistenza di un precedente rapporto tra le parti, nel caso di specie rappresentato – come bene ha evidenziato il primo giudice – dall’appartenenza della -OMISSIS- S.c.a.r.l. al medesimo raggruppamento temporaneo di imprese dell’ausiliata -OMISSIS-; e quindi dall’interesse dell’ausiliaria e mandante a ottenere l’affidamento del servizio (di cui è essenziale presupposto la dimostrazione del possesso dei requisiti di partecipazione).

8.3. Anche il secondo profilo è infondato per una pluralità di ragioni: in primo luogo, per i motivi che si sono appena enunciati, l’avvalimento si regge sul piano causale anche indipendentemente dal «conferimento del 6% di attività di Servizi di Igiene ambientale in virtù di contratti di subappalto»; in secondo luogo, perché il subappalto riguarda comunque la fase esecutiva dell’appalto e non incide sulla questione della ripartizione delle prestazioni contrattuali tra i componenti del raggruppamento di imprese (questione che, peraltro, va ripensata anche alla luce dei principi dettati con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, sezione quarta, 28 aprile 2022, in causa C-642/20, Caruter, che – richiamando l’art. 63 della direttiva 2014/24 e gli obiettivi di cui ai considerando 1 e 2 della medesima direttiva – consente alle amministrazioni giudicatrici di «esigere che taluni compiti essenziali siano direttamente svolti dall’offerente stesso o, nel caso di un’offerta presentata da un raggruppamento di operatori economici (…), da un partecipante al raggruppamento», ma non di imporre – come previsto dall’articolo 83, comma 8, del codice dei contratti pubblici – limiti meramente quantitativi od obblighi di esecuzione delle prestazioni in misura maggioritaria riferiti al solo mandatario del raggruppamento, ad esclusione di tutte le altre imprese che vi partecipano: cfr. punto 43 della sentenza).

Subappalto – Contratti di cooperazione servizio e/o fornitura – Individuazione (art. 105 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 17.04.2023 n. 3856

Ed invero l’art. 105 (Subappalto), comma 3, lett. c-bis) del Codice prevede: “Le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto: … c bis) le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti cooperativi di cooperazione servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata all’aggiudicazione dell’appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante, prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto”.
La disposizione è stata aggiunta dall’art. 69, comma 1, lett. c) d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (c.d. correttivo al codice).
Ritiene la Sezione, in continuità con i propri precedenti (Cons. Stato Sez. V, 19/05/2020, n. 3169; Cons. Stato, V, 24 gennaio 2020, n. 607) che con i “contratti di cooperazione servizio e/o fornitura” la legge faccia riferimento ai contratti che il concorrente stipula con terzi allo scopo di procurarsi quanto necessario alla propria attività d’impresa ovvero, quei beni e servizi indispensabili all’esecuzione della prestazione in affidamento.
I terzi contraenti, quindi, non eseguono una parte della prestazione oggetto dell’appalto ma procurano all’operatore economico aggiudicatario i mezzi per la sua esecuzione.
A detti contratti, dunque, l’amministrazione aggiudicatrice resta completamente estranea, come res inter alios acta.
Porta a questa conclusione in primo luogo la formulazione letterale della disposizione che specifica che le prestazioni dei terzi contraenti sono rese “in favore dei soggetti affidatari”, così individuando chiaramente i destinatari (id est creditori) delle prestazioni nelle imprese concorrenti e non nelle stazioni appaltanti (cfr. Cons. Stato, V, 27 dicembre 2018, n. 7256; contra Cons. Stato, III, 18 luglio 2019, n. 5068 secondo cui con la formula riportata si allude alla “direzione giuridica della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante… è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario”).
Rileva, poi, anche la topografia della disposizione per coglierne la ratio.
L’art. 105 del Codice dei contratti pubblici contiene la disciplina del subappalto; il comma 3, nello specifico, elenca le prestazioni che “non si configurano come attività affidate in subappalto”, ma che, per le modalità di esecuzione, potrebbero far sorgere dubbi circa il loro esatto inquadramento normativo.
L’elencazione delimita, dunque, l’ambito di applicazione della disciplina del subappalto.
Se il subappalto è il contratto con cui l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di una parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto (comma 2), i contratti di cooperazione continuativa, di converso, non hanno ad oggetto la prestazione affidata, ma quei beni e servizi dei quali l’impresa aggiudicataria necessita per poter, essa sola, eseguire la prestazione oggetto del contratto d’appalto.
In definitiva, come rilevato negli indicati precedenti, i contratti di cui all’art. 105, comma 3, lett. c – bis) d.lgs. n. 50 del 2016 si caratterizzano per la “direzione soggettiva”, in quanto resi all’impresa aggiudicataria, e per l’“oggetto del contratto” che è altro rispetto alla prestazione in affidamento con il contratto d’appalto.
A prescindere dagli aspetti peculiari di ogni vicenda, infatti i criteri di qualificazione sopra ricordati – direzione soggettiva della prestazione ed oggetto del contratto – consentono di risolvere in maniera sufficientemente attendibile anche i casi dubbi, assumendo carattere dirimente stabilire se l’impresa aggiudicataria, stipulando un contratto di cooperazione continuativa, si sia limitata a procurarsi il bene strumentale alla prestazione da rendere all’amministrazione, ovvero abbia affidato al terzo cooperante l’esecuzione di una parte (o frazione) della prestazione assunta nei confronti dell’amministrazione che non era in grado di eseguire.
[…]
12.4. Pertanto, come già ritenuto dalla Sezione (Cons. Stato Sez. V, 19/05/2020, n. 3169 cit) quando il terzo cooperante (o che svolga servizi o fornisca beni) esegue una parte della prestazione oggetto del contratto d’appalto che l’impresa aggiudicataria non sa o non può eseguire, si è fuori dalla fattispecie dell’art. 105, comma 3, lett. c-bis) del Codice, ed è corretta l’esclusione dalla procedura di gara; l’impresa concorrente avrebbe infatti dovuto far ricorso agli strumenti negoziali allo scopo previsti dal codice dei contratti pubblici, ovvero al subappalto, all’avvalimento o le altre forme di partecipazione congiunta ad una procedura di gara.
12.5. Pertanto il ricorso al subappalto andava necessariamente indicato in sede di partecipazione alla procedura evidenziale, ai sensi dell’art. 105 del Codice nonché dell’art. 9 del disciplinare di gara.
12.5.1. A ciò consegue che la mancata dichiarazione circa il conferimento in subappalto di una parte rilevante dei servizi oggetto dell’affidamento doveva essere necessariamente sanzionata con l’esclusione dalla procedura evidenziale, avuto altresì riguardo alla necessità della stazione appaltante di procedere anche alla verifica in capo alla ditta subappaltatrice del possesso dei requisiti generali di partecipazione ex art. 80 del Codice.
Va infatti ritenuto che “consentire ad un terzo cooperante di svolgere una parte della prestazione significherebbe porre l’amministrazione in rapporto con un soggetto del quale non è mai stato accertato il possesso dei requisiti generali e speciali di partecipazione previsti dall’art. 80 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e dalla disciplina di gara” (Cons. Stato Sez. V, 19 maggio 2020 n. 3169 cit).

Subappalto “necessario” : soccorso istruttorio non attivabile in caso di accertata carenza dei requisiti di partecipazione

Consiglio di Stato, sez. V, 28.03.2023 n. 3180

24.3. L’appellante e -OMISSIS- citano, a sostegno delle proprie tesi, il precedente di questa Sezione nel quale è stato affermato che, laddove privo del requisito di gara, il concorrente è tenuto a dare espressa indicazione della volontà di ricorrere a subappalto per qualificarsi: viene così in rilievo una specifica dichiarazione che non coincide con quella generale inerente l’intenzione di subappaltare una parte dei lavori, servizi o forniture (Consiglio di Stato, Sez. V, 13 agosto 2020, n. 5030).
24.4. Si tratta di precedente del tutto conferente cui vanno aggiunte alcune considerazioni. Questa Sezione ha già esaminato vicende analoghe – in cui, cioè, l’operatore economico non aveva dichiarato di voler ricorrere al subappalto c.d. necessario per acquisire requisiti tecnico – professionali non posseduti, e ha espresso un chiaro convincimento: il concorrente non è tenuto a indicare il nominativo del subappaltatore già in sede di offerta, ma è tenuto senz’altro a dichiarare la volontà di ricorrere al subappalto per supplire al requisito di qualificazione mancante. Detto più chiaramente, l’operatore economico deve dichiarare sin dalla domanda di partecipazione la volontà di avvalersi del subappalto c.d. necessario (in tal senso, Consiglio di Stato, Sez. V, 1° luglio 2022, n. 5491, ove è ben evidenziata la diversità di presupposti e di funzioni delle due dichiarazioni, di ricorrere al subappalto facoltativo oppure a quello necessario, in quanto “…nella dichiarazione di subappalto “necessario” viene in rilievo non una mera esternazione di volontà dell’operatore economico quale è la dichiarazione di subappalto “facoltativo”, bensì una delle modalità di attestazione del possesso di un requisito di partecipazione, che non tollera di suo il ricorso a formule generiche o comunque predisposte ad altri fini, pena la violazione dei principi di par condicio e di trasparenza che permeano le gare pubbliche”; cfr. anche Consiglio di Stato, Sez. V, 31 marzo 2022, n. 2365 e, ancora più recentemente, Consiglio di Stato, Sez. V, 29 dicembre 2022, n. 11596).
24.5. La parabola argomentativa del primo Giudice si scontra con tre dati inequivocabili:
a) l’attestazione SOA in categoria OG3 posseduta dalla SIG S.p.A. non va a coprire la quota di esecuzione dell’11% dell’appalto assunta dalla mandante in sede di partecipazione alla gara;
b) il principio volto a garantire la più ampia partecipazione alle gare non agisce “in astratto”, ma esso, nella sua concreta attuazione, non può che riferirsi ad imprese che – per serietà ed affidabilità tecnico-professionale (appunto validate dal possesso dei requisiti) – sono potenzialmente idonee ad assumere il ruolo di contraenti con gli operatori economici pubblici (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 27 marzo 2019, n. 6);
c) la mancata dichiarazione del concorrente partecipante ad una procedura di evidenza pubblica, della volontà di far ricorso al subappalto c.d. necessario, non può essere oggetto di soccorso istruttorio, una volta che la stazione appaltante abbia accertato la carenza dei requisiti di partecipazione coerenti con la percentuale di lavori che l’impresa si è impegnata a realizzare (Consiglio di Stato, Sez. V, 29 dicembre 2022, n. 11596).

Subappalto “necessario” o “qualificante” applicabile a prescindere dalle previsioni del Bando di gara

Consiglio di Stato, sez. V, 21.03.2023 n. 2873

7.4. Così sinteticamente richiamata la disciplina di gara di interesse ai fini del giudizio, deve altresì premettersi che il subappalto c.d. necessario o qualificante consente di partecipare a gare per l’affidamento di lavori pubblici anche a concorrenti privi delle qualificazioni relative a parte delle lavorazioni, che i predetti prevedono di affidare ad imprese in possesso delle qualificazioni richieste, perseguendo in tal modo l’obiettivo dell’apertura del mercato dei contratti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, a vantaggio non soltanto degli operatori economici, ma anche delle stesse amministrazioni aggiudicatrici.
7.4.1. Tale tipo di subappalto, previsto già in vigenza del d.lgs. n. 163/2006, non è incompatibile con la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 50/2016 ed è disciplinato dai primi due commi dell’art. 12 del D.L. 28 marzo 2014 n. 47 (norma abrogata dall’art. 217 del D.lgs. n. 50/2016, a decorrere dalla data di entrata in vigore del Codice dei contratti pubblici, limitatamente ai commi 3, 5, 8, 9 e 11), tutt’ora vigenti, che regolamentano le categorie riguardanti opere speciali suscettibili di “subappalto necessario” in favore di imprese in possesso delle relative qualificazioni.

7.5. Tanto premesso, correttamente il Tribunale amministrativo, sulla base di una compiuta ricostruzione della normativa di legge e alla luce delle coordinate ermeneutiche delineate dalla giurisprudenza (in particolare dalla richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2 novembre 2015), ha reputato non convincente la tesi della ricorrente -OMISSIS- secondo cui il subappalto necessario non potrebbe sopperire alla carenza dei requisiti di cui all’art. 8.1. del Disciplinare, in assenza di specifiche previsioni del bando che contemplino espressamente l’applicabilità dell’istituto anche per i requisiti in discorso.
7.5.1. Infatti, la sentenza ha correttamente osservato che dalla lettura dell’art. 12 cit. emerge la regola generale in forza della quale l’impresa singola che sia qualificata nella categoria prevalente per l’importo totale dei lavori può eseguire tutte le lavorazioni oggetto di affidamento ove copra con la qualifica prevalente i requisiti non posseduti nelle scorporabili, con l’eccezione delle lavorazioni indicate alla lettera b) della norma e cioè delle categorie cosiddette a qualificazione obbligatoria, che, non potendo essere eseguite direttamente dall’affidatario, qualificato solo per la categoria prevalente, “sono comunque subappaltabili” ad imprese munite delle specifiche attestazioni.

7.6. Su queste premesse correttamente assunte e in virtù dei principi statuiti dalla sopra richiamata decisione dell’Adunanza Plenaria (secondo cui: “per la partecipazione alla gara è sufficiente il possesso della qualificazione nella categoria prevalente per l’importo totale dei lavori e non è, quindi, necessaria anche la qualificazione nelle categorie scorporabili; le lavorazioni relative alle opere scorporabili nelle categorie individuate non possono essere eseguite direttamente dall’affidatario, se sprovvisto della relativa qualificazione (trattandosi, appunto, di opere a qualificazione necessaria); il concorrente deve subappaltare l’esecuzione di queste ultime lavorazioni ad imprese provviste della pertinente qualificazione; la validità e l’efficacia del subappalto postula, quali condizioni indefettibili, che il concorrente abbia indicato nella fase dell’offerta le lavorazioni che intende subappaltare”), la sentenza di prime cure ha altrettanto correttamente concluso che il subappalto necessario, essendo previsto e disciplinato dalla legge, si applica nelle procedure di gara a prescindere da qualsiasi espresso richiamo da parte dei bandi.
7.6.1. Vanno perciò confermate anche le statuizioni impugnate secondo cui:
– i chiarimenti forniti dalla stazione appaltante in merito all’ammissibilità dell’istituto in discorso non hanno portata innovativa della legge di gara, ma sono stati resi alla luce del descritto e vigente quadro normativo dettato in materia di subappalto necessario;
– la censura con cui si lamenta che il subappalto necessario non potrebbe riguardare attività ricadenti nella categoria prevalente indicata nel bando, per la quale il concorrente dev’essere pienamente qualificato, è smentita dall’art. 60, comma 3, del d.P.R. n. 207/2010, tutt’oggi applicabile in forza del regime transitorio previsto dall’art. 216, comma 14, del Codice a mente del quale “l’attestazione di qualificazione rilasciata a norma del presente titolo costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento dei lavori pubblici”.

7.7. Infatti, le critiche rivolte alla sentenza sono infondate alla stregua delle seguenti osservazioni:
a) le attività per cui l’aggiudicataria ha fatto ricorso al subappalto sono meramente accessorie rispetto alle attività principali riconducibili alle tre categorie di lavorazioni oggetto d’appalto e comportano l’espletamento di prestazioni comunque ricomprese in quelle oggetto delle categorie SOA richieste, per le quali la legge di gara (art. 8.1 disciplinare) ha prescritto il possesso di “titoli abilitativi” ulteriori, che non assurgono però a requisiti di idoneità professionale a carattere soggettivo, insuscettibili di subappalto, come assume parte appellante, ma sostanzialmente rilevano nella sola fase “esecutiva”;
b) le attività cui si riferiscono i requisiti o titoli abilitativi previsti dall’art. 8.1. del Disciplinare hanno natura marginale e secondaria, non costituendo affatto l’oggetto principale dell’appalto (cfr. ex multis, Cons St. Sez. V, n. 3727/2019; Consiglio di Stato sez. IV 14 dicembre 2021 n. 8330), sicché per essi certamente poteva operare l’istituto del subappalto necessario o qualificante (Consiglio di Stato, Sez. V, 15.02.2021, n. 1308), a prescindere da un’espressa previsione della lex specialis;
c) in particolare, la possibilità di subappaltare le attività cui si riferiscono i requisiti di cui all’art. 8.1. del Disciplinare discende direttamente dalla corretta esegesi della normativa primaria, oltre che concorsuale (cfr. ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 15.02.2021, n. 1308, che ha ritenuto legittimo il ricorso in tali casi al subappalto “necessario” o “qualificante” nel vigore del D.lgs. 50/16);
d) infatti, la lex specialis di gara (art. 10 del Disciplinare) ha espressamente ammesso, nei limiti di legge, il subappalto dei lavori relativi alle categorie di cui si compone l’intervento, senza alcuna eccezione, sicché il ricorso al subappalto non è precluso neanche per le suddette attività accessorie previste dall’art. 8.1. del disciplinare, ricomprese nelle categorie di lavorazioni dell’appalto: difatti, potendo subappaltarsi la categoria di lavorazione di riferimento, allo stesso modo possono essere subappaltate le attività ricadenti nella categoria, anche laddove per alcune di esse sia richiesto il possesso di abilitazioni o requisiti “ulteriori”;
e) nel caso di specie, dunque, in aderenza al dato della norma primaria, la legge di gara non sanciva alcun divieto di subappalto di tali attività accessorie, ben potendo il possesso delle relative abilitazioni essere integrato mediante subappalto necessario (Consiglio di Stato Sez. V, 15.02.2021, n. 1308);
f) pertanto, il chiarimento reso dalla Stazione appaltante non è innovativo, ma meramente interpretativo delle regole di gara che, in conformità alla normativa di legge, non hanno espressamente vietato il ricorso al subappalto necessario per colmare la carenza dei titoli abilitativi previsti dall’art. 8.1 del disciplinare;
g) diversamente opinando, tale previsione del Disciplinare sarebbe illegittima e nulla per violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione di cui all’art. 83, comma 9, del Codice (come dedotto in via incidentale in prime cure dalla controinteressata, con doglianze riproposte nel presente giudizio ex art. 101, comma 2, c.p.a.);
h) l’affidamento in oggetto riguarda un appalto di lavori, in cui anche le prestazioni accessorie rientrano nelle (subappaltabili) categorie di gara, non rilevando in senso opposto la previsione di cui l’art. 28 del d.lgs. n. 50 del 2016, applicabile in caso di contratti misti di appalto, comprendenti sia lavori che servizi, da cui, ad ogni modo, non è corretto né sostanzialmente ragionevole inferire che non sia nella specie consentito il subappalto necessario (così Consiglio di Stato, Sez. V, 26 aprile 2021, n. 3367);
i) la possibilità di far ricorso al subappalto c.d. necessario in ipotesi quale quella in esame e nell’ambito di procedure regolate dal D.lgs. 50/2016 è, al contrario, riconosciuta dalla giurisprudenza (cfr. Adunanza plenaria 2 novembre 2019, n. 9; Consiglio di Stato, Sez. V, 15.02.2021, n. 1308; Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2019, n. 5745; id. 4 giugno 2020, n. 3504 e 13 agosto 2020, n. 5030; sez. III, ord. 10 giugno 2020, n. 3702) ed ha base normativa nell’art. 105 del d.lgs. 50/2016, nell’art. 12, commi 1 e 2, d.l. 2014, n. 47 conv. in l. 2014, n. 80 e nell’art. 92, comma 1, d.P.R. 7 ottobre 2010, n. 207;
l) nello specifico, quanto all’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori ambientali la giurisprudenza ha chiarito che, se non può prescindersi dal requisito dell’iscrizione in parola per poter concorrere a gare aventi ad oggetto le attività di raccolta e trasporto dei rifiuti, i medesimi principi impongono una differente interpretazione ai fini della qualificazione del requisito stesso nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, oggetto precipuo e specifico dell’appalto non siano le attività di raccolta e trasporto di rifiuti e queste ultime, per converso, rivestano solo carattere meramente secondario e accessorio rispetto alle prestazioni da affidarsi, essendo, in tale contesto, del tutto legittima, l’esecuzione delle corrispondenti prestazioni, “in proprio dall’appaltatrice, ovvero da una ditta della quale la stessa appaltatrice può avvalersi anche ai fini dell’integrazione del requisito in esame” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3727/2019); in tali casi, il requisito dell’iscrizione all’ANGA, di cui sia privo il concorrente, può essere quindi soddisfatto prevedendo l’affidamento dei lavori che presuppongono il possesso di tale titolo ad altra impresa, iscritta nell’albo per la categoria richiesta;
m) le medesime considerazioni valgono per gli ulteriori requisiti abilitanti contemplati dall’art. 8.1. del disciplinare e per le relative attività, per le quali deve ammettersi la subappaltabilità delle relative prestazioni.

Subappalto necessario – Indicazione nominativo del subappaltatore in gara – Non obbligatoria – Neanche nell’ipotesi in cui il concorrente non possieda la qualificazione nelle categorie scorporabili (art. 105 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. VII, 25.01.2023 n. 808

L’interpretazione degli atti amministrativi, inclusi quelli che disciplinano le gare pubbliche, soggiace alle stesse regole dettate dagli artt. 1362 e ss. c.c. per l’interpretazione dei contratti, tra cui ha carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale, con esclusione di qualsivoglia ulteriore procedimento ermeneutico, nell’ipotesi di clausole assolutamente chiare: quando, invece, si versi in caso di omissioni o ambiguità delle singole clausole, è necessario ricorrere ad altri canoni ermeneutici, tra i quali quello dettato dall’art. 1363 c.c. (secondo cui le clausole si interpretano le une per mezzo delle altre) e quello dell’interpretazione secondo buona fede. Corollario di tali regole, per quanto riguarda le procedure ad evidenza pubblica, è la necessità di garantire il principio del favor participationis, in base al quale, in presenza di clausole della lex specialis di gara ambigue o dubbie, è da privilegiare la soluzione che tende a estendere la platea dei partecipanti alla gara, piuttosto che l’opzione restrittiva della partecipazione, allo scopo di realizzare l’interesse dell’Amministrazione alla selezione della migliore offerta presentata tra quelle concorrenti (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 29 novembre 2022, n. 10491; id., 4 ottobre 2022, n. 8481; id., 17 luglio 2020, n. 4599; id., 16 dicembre 2019, n. 8517; id., 5 ottobre 2017, n. 4640; id., 27 maggio 2014, n. 2709; Sez. III, 23 novembre 2022, n. 10301; id., 10 settembre 2019, n. 6127; id., 24 ottobre 2017, n. 4903; id. 13 maggio 2015, n. 2388; Sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1447). “Invero, secondo la regola della massima partecipazione in tema di gare di appalto per lavori e servizi pubblici, nonché in virtù dell’applicabilità del principio del “favor participationis”, le clausole del bando richieste a pena di esclusione devono essere chiare e puntuali e, in caso di oscurità o non chiarezza, devono essere interpretate nel modo meno restrittivo” (C.d.S., Sez. V, 15 luglio 2013, n. 3811).
5.5. La soluzione prescelta dal Seggio di gara, inoltre, è conforme al principio di diritto espresso dalla nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 9 del 2 novembre 2015, secondo cui “l’indicazione del nominativo del subappaltatore già in sede di presentazione dell’offerta non è obbligatoria, neanche nell’ipotesi in cui il concorrente non possieda la qualificazione nelle categorie scorporabili”.
5.5.1. Ha affermato sul punto la Plenaria, tra l’altro, che la tesi favorevole all’affermazione dell’onere per il concorrente di indicare il nominativo del subappaltatore all’atto di presentazione dell’offerta produce due conseguenze negative:
a) comporta “una confusione tra avvalimento e subappalto, nella misura in cui attrae il rapporto con l’impresa subappaltatrice nella fase della gara, anziché in quella dell’esecuzione dell’appalto, con ciò assimilando due istituti che presentano presupposti, finalità e regolazioni diverse, ma senza creare il medesimo vincolo dell’avvalimento e senza assicurare, quindi, alla stazione appaltante le stesse garanzie contrattuali da esso offerte”;
b) determina una distorsione del mercato dei lavori pubblici, “nella misura in cui costringe le imprese concorrenti a scegliere una (sola) impresa subappaltatrice, già nella fase della partecipazione alla gara, mediante l’imposizione di un onere partecipativo del tutto sproporzionato e gravoso”.

Riferimenti normativi:

art. 105 d.lgs. n. 50/2016

Subappalto necessario – Mancata dichiarazione – Soccorso istruttorio – Non applicabile (art. 83 , art. 105 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 29.12.2022 n. 11596

La giurisprudenza amministrativa ha già esaminato vicende analoghe – in cui, cioè, l’operatore economico non aveva dichiarato di voler ricorrere al subappalto c.d. necessario per acquisire requisiti tecnico – professionali non posseduti, salvo, poi, in un secondo momento integrare la sua dichiarazione ed esprimere l’intenzione di farvi affidamento – ed ha espresso un chiaro convincimento, che vale a superare ogni altra argomentazione spesa dalle appellanti: il concorrente non è tenuto ad indicare il nominativo del subappaltatore già in sede di offerta, ma è tenuto senz’altro a dichiarare la volontà di ricorrere al subappalto per supplire al requisito di qualificazione mancante.
Detto più chiaramente, l’operatore economico deve dichiarare sin dalla domanda di partecipazione la volontà di avvalersi del subappalto c.d. necessario (in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 1° luglio 2022, n. 5491, ove è ben evidenziata la diversità di presupposti e di funzioni delle due dichiarazioni, di ricorrere al subappalto facoltativo oppure a quello necessario, in quanto “…nella dichiarazione di subappalto “necessario” viene in rilievo non una mera esternazione di volontà dell’operatore economico quale è la dichiarazione di subappalto “facoltativo”, bensì una delle modalità di attestazione del possesso di un requisito di partecipazione, che non tollera di suo il ricorso a formule generiche o comunque predisposte ad altri fini, pena la violazione dei principi di par condicio e di trasparenza che permeano le gare pubbliche”; cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2022, n. 2365).
La mancata dichiarazione della volontà di far ricorso al subappalto c.d. necessario non può essere oggetto di soccorso istruttorio una volta che la stazione appaltante abbia accertato la carenza dei requisiti di partecipazione coerenti con la percentuale di lavori che l’impresa s’è impegnata a realizzare (secondo Cons. Stato, n. 5491 del 2022, già precedentemente citata, ove fosse consentito il soccorso istruttorio la stazione appaltante darebbe la facoltà ad un operatore di formare atti in data successiva a quella di scadenza del termine di presentazione dell’offerta in contrasto con la par condicio competitorum; nello stesso senso cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 gennaio 2019, n. 471).

Riferimenti normativi:

art. 83 d.lgs. n. 50/2016

art. 105 d.lgs. n. 50/2016

 

Subappalto – Divieto di cessione a terzi della integrale esecuzione del contratto – Verifica (art. 105 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Bolzano, 25.10.2022 n. 259

17. In primo luogo, come è noto, l’articolo 49 del d.lgs. 77/2021, recepito dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, fissa i limiti quantitativi per l’esternalizzazione di cui all’art. le linee guida europee, sono state abolite con decorrenza 1 novembre 2021. Nel contempo, la riformulazione dell’articolo 105 comma 1 del D.Lgs. 50/2016 esclude il subappalto integrale dei lavori e dei servizi oggetto dell’appalto a terzi e prevede quanto segue: “1. I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto. A pena di nullità, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 106, comma 1, lettera d), il contratto non può essere ceduto, non può essere affidata a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, nonché la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera. É ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo”.
18. Per quanto riguarda il subappalto dei lavori, l’articolo 1 comma 2.3 delle condizioni di gara prevede che tutte le opere edili, sia nella categoria predominante OS 1 che nelle altre categorie (OS 30, OS 24 e OG 1), sono da assegnare fino al 100% ad aziende possono essere ceduti con apposita qualifica. Tuttavia, l’intera esecuzione dei servizi o dei lavori edili oggetto del contratto di appalto non può essere ceduta a terzi.
Le dichiarazioni dell’Allegato 1 – Parte III dovevano indicare il lavoro che i partecipanti intendevano subappaltare. Nella stessa dichiarazione i partecipanti dovevano impegnarsi a rispettare il divieto di aggiudicare a terzi l’importo totale dell’appalto.
Art. 2, comma 2.1 – Documenti amministrativi (pag. 19) delle condizioni di gara precisa che in assenza o inesatte dichiarazioni in merito al subappalto, l’aggiudicatario non può subappaltare e, di conseguenza, deve svolgere i servizi in autonomia.
19. Risulta dall’offerta della -OMISSIS- che la società – come già accennato – ha affermato che i lavori di fabbro, i lavori per gli impianti elettrici, i lavori di movimento terra, i lavori di demolizione , le opere in calcestruzzo e cemento armato, le opere di pavimentazione e le opere di controllo stradale, gli accessori stradali, la segnaletica stradale e la segnaletica orizzontale possono essere “interamente” esternalizzate .
20. Nell’elenco dei costi e delle prestazioni, che fanno parte delle condizioni contrattuali speciali (doc. 4-6 interessati), le opere e le prestazioni, suddivise per gruppi e con l’indicazione delle corrispondenti categorie SOA, sono specificate per la nuova costruzione annunciata dell’impianto sportivo deve essere fornita a -OMISSIS-.
21. Come si evince facilmente dal confronto tra i lavori e i servizi riportati negli elenchi con quelli che -OMISSIS- intende affidare ad aziende tecnicamente idonee e qualificate idonee nell’offerta, gli specificati “da esternalizzare” comprendono per intero il lavoro da eseguire. Tutti i 10 gruppi di lavoro indicati dalla parte interessata, di cui -OMISSIS- ha affermato di non volerli trasferire, compaiono anche nell’elenco dei costi e dei servizi nell’ambito dei lavori e dei servizi da fornire per la nuova costruzione dell’impianto sportivo e quindi dimostrare che i sei gruppi di lavoro, per i quali è previsto il subappalto nell’offerta di -OMISSIS-, non comprendono tutti i lavori da svolgere.
22. L’addebito del ricorrente secondo cui le parti interessate, in violazione di quanto previsto dall’articolo 105 del codice degli appalti e dall’articolo 1, comma 1.2 delle condizioni di gara, avrebbero indicato nell’offerta che l’opera da eseguire verrebbe interamente subappaltato è quindi di fatto scorretto e non può suffragare il presente ricorso non avallare.

Differenza tra subappalto necessario ed avvalimento

Consiglio di Stato, sez. V, 23.09.2022 n. 8223

Neppure è condivisibile la tesi dell’appellante secondo cui l’istituto del subappalto necessario e quello dell’avvalimento risponderebbero alla medesima ratio, il che consentirebbe di estendere al primo le cause di esclusione previste dal legislatore per il secondo: va infatti ribadito – non essendovi nel caso di specie evidenti ragioni per discostarsene – quanto all’uopo già evidenziato dal precedente della Sezione n. 3504 del 4 giugno 2020, per cui l’obbligatoria (per legge o disciplinare) indicazione nell’offerta della terna di subappaltatori e dei servizi che si intendono subappaltare non trasforma il subappalto c.d. necessario (o qualificatorio) in un istituto strutturalmente diverso dal subappalto c.d. facoltativo, fino a determinare una sorta di confusione tra avvalimento e subappalto, presentando questi ultimi presupposti, finalità e regolazioni diverse (in tal senso, anche Cons. Stato, Ad. plen. n. 9 del 2015).
A differenza di quanto accade con l’avvalimento, anche nel caso di subappalto c.d. necessario il rapporto con l’impresa subappaltatrice non viene attratto nella fase della gara, ma (continua a) rileva(re) nella successiva fase dell’esecuzione dell’appalto, per come dimostrato dalle previsioni dell’art. 105, commi 7 (in tema di obbligazioni che sorgono per l’affidatario solo dopo la stipulazione del contratto) ed 8 d.lgs. n. 50 del 2016 (in tema di responsabilità esclusiva dell’affidatario nei confronti della stazione appaltante), oltre che dei commi successivi dello stesso art. 105, tutti attinenti alla sola fase esecutiva e tutti applicabili ad ogni tipologia di subappalto.
E’ dunque corretto quanto rilevato nella sentenza appellata laddove, diversamente dall’impresa ausiliaria nel caso di avvalimento, “Il subappaltatore, dunque, non “presta” o “fornisce” alcunché al concorrente subappaltante. Più semplicemente, qualora un servizio o un’attività oggetto dell’appalto principale sia interamente scorporabile, il subappaltatore svolge direttamente tale servizio o tale attività e, quindi, come anche previsto nel disciplinare della gara che qui occupa, è solo lui a dover possedere i relativi requisiti”.

Riferimenti normativi:

art. 89 d.lgs. n. 50/2016

art. 105 d.lgs. n. 50/2016

Servizi di ingegneria ed architettura : subappalto per affidamento a terzi di consulenza specialistica da parte del progettista ?

Quesito: Vista l’esigenza nei progetti di disporre di un esperto climatologo, o comunque specialista di cambiamenti climatici, si chiede parere riguardo la possibilità di subappaltare tale servizio, ai sensi art. 31 comma 8 terzo paragrafo (Il progettista può affidare a terzi attività di consulenza specialistica inerenti ai settori energetico, ambientale, acustico e ad altri settori non attinenti alle discipline dell’ingegneria e dell’architettura per i quali siano richieste apposite certificazioni o competenze, rimanendo ferma la responsabilità del progettista anche ai fini di tali attività. Resta, comunque, ferma la responsabilità esclusiva del progettista.) ?

Risposta: Con riguardo al quesito posto, preso atto che l’art. 31, comma 8 del D.Lgs. 50/2016, così come modificato dall’art. 10, comma 1 della Legge 238 /2021, prevede il divieto di subappaltare la relazione geologica, divieto che non comprende le prestazioni d’opera riguardanti le indagini geognostiche e prove geotecniche e le altre prestazioni specificamente indicate nella norma, ed indica che il progettista può affidare a terzi attività di consulenza specialistica inerenti anche i settori energetico, ambientale ed acustico, si segnala che con Linee Guida ANAC n. 1 approvate con Delibera n. 973/2016 l’Autorità ha precisato che la “consulenza” di ausilio alla progettazione di opere pubbliche continua a non essere contemplata nel quadro normativo; ciò discende dal principio generale in base al quale la responsabilità della progettazione deve potersi ricondurre ad un unico centro decisionale, ossia il progettista, come previsto ai sensi dell’indicato comma 8. Tanto premesso, si rileva che l’istituto del subappalto, invece, risulta previsto ai sensi dell’art. 105 del D.Lgs. 50/2016 ss.mm.ii. e prevede che il contraente principale e il subappaltatore siano responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto di subappalto. Pertanto, si ritiene che l’attività di consulenza specialistica inerente al settore energetico e ambientale, nel caso in cui non attenga alle discipline dell’ingegneria e dell’architettura per le quali siano richieste apposite certificazioni o competenze, possa essere affidata dal progettista a terzi non attraverso l’utilizzo dell’istituto del subappalto di cui all’art. 105 del D.Lgs 50/2016 e ss.mm.ii., rimanendo ferma la responsabilità del progettista anche ai fini di tale attività. (Parere MIMS n. 1351/2022)

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    Subappalto necessario – Indicazione nominativo del subappaltatore – Non è obbligatoria – Dichiarazione comunque generica – Inidoneità (art. 105 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. V, 01.07.2022 n. 5491

    In linea generale, una tale osservazione non trova innanzitutto supporto nella piana lettura della clausola, che come detto non necessita di procedimenti ermeneutici in funzione integrativa. Inoltre, l’argomentazione che ha condotto il Tar alla predetta conclusione contrasta con la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che ha articolatamente chiarito come, al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 105 comma 6 del d.lgs. 50/2016 [norma che peraltro, come noto, è stata prima sospesa mediante norme qui applicabili ratione temporis e infine abrogata dall’art. 10 comma 1 lett. d) n. 2 della l. 238/2021 con la decorrenza di cui al successivo comma 5], la legge non rende obbligatoria l’indicazione nominativa dell’impresa subappaltatrice, neppure in caso di subappalto necessario (Cons. Stato, V, n. 1308/2021, cit., che richiama: Ad. plen., 2 novembre 2015, n. 9; V, n. 5745/2019 cit.; III, ord. n. 3702/2020, cit.).
    E se è vero che la stessa giurisprudenza appena citata ha rilevato che l’indicazione nominativa dell’impresa subappaltatrice in caso di subappalto “necessario”, pur in carenza di un obbligo di legge, “può” essere imposta dalla lex specialis, è parimenti vero che la legge di gara di cui trattasi non la ha prevista.
    Del resto, il motivo di una tale eventuale prescrizione è stato rinvenuto nel fine di “consentire alla stazione appaltante di valutare sin dall’inizio l’idoneità di un’impresa, la quale dichiari e dimostri di possedere non in proprio, ma attraverso l’apporto altrui, le qualificazioni necessarie per l’aggiudicazione del contratto […] e di equiparare, ai fini della possibilità di verifica immediata del possesso dei requisiti di partecipazione, tutti i concorrenti sin dal momento della presentazione delle offerte, in ossequio al principio della par condicio” (così Cons. Stato, V, 1308/2021, cit.), esigenza che era insussistente nella fattispecie, dal momento che la verifica del requisito in parola non richiedeva alla stazione appaltante altro che la consultazione, di pronta e agevole fattibilità, di un registro ufficiale.
    […]
    La lettera di invito ha disciplinato il ricorso al subappalto “facoltativo” all’art. 3.5. e il ricorso al subappalto “necessario” o “qualificatorio” all’art. 4.
    E se non si ravvisano ostacoli alla eventuale contestualità della dichiarazione dei concorrenti di voler ricorrere sia al subappalto “facoltativo” sia al subappalto “necessario”, non è invece corretto ritenere, come ha fatto il Tar, che dalla prima dichiarazione potesse automaticamente ricavarsi la seconda.
    Per giungere a tale conclusione il Tar ha applicato una sorta di principio di continenza, o meglio la regola empirica secondo cui “il più ricomprende il meno”.
    Ma non si è avveduto che l’operazione era impedita dalla diversità di presupposti e di funzione delle due diverse dichiarazioni, e segnatamente del fatto che nella dichiarazione di subappalto “necessario” viene in rilievo non una mera esternazione di volontà dell’operatore economico quale è la dichiarazione di subappalto “facoltativo”, bensì una delle modalità di attestazione del possesso di un requisito di partecipazione, che non tollera di suo il ricorso a formule generiche o comunque predisposte ad altri fini, pena la violazione dei principi di par condicio e di trasparenza che permeano le gare pubbliche.
    In altri termini, con la dichiarazione di subappalto “necessario” “il concorrente non si limita […] a far riserva della possibilità di eseguire una parte dei lavori tramite subappaltatore, ma vuol far valere i requisiti di quest’ultimo al fine di soddisfare le previsioni partecipative contenute nella lex specialis, su cui la stazione appaltante è chiamata a svolgere tutte le verifiche funzionali (anzitutto) alla gara”. Ne deriva che in tal caso l’indicazione del ricorso al subappalto ai fini dell’integrazione dei requisiti di gara “configura una vera e propria manifestazione di volontà da parte dell’operatore, che incide sulla stessa conformazione funzionale del concorrente e sulla correlata modulazione dei requisiti, anche ai fini della corrispondente verifica da parte dell’amministrazione. Il che si pone del resto in coerenza con i principi in base ai quali – in particolare, ai fini dell’integrazione dei requisiti nell’ambito dei Rti – non è l’astratto possesso del requisito ad assumere rilievo in sé, bensì la concreta spendita di questo da parte del concorrente, non passibile di modifiche successivamente alla presentazione delle domande (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 27 marzo 2019, n. 6, cit; cfr. anche V, 23 aprile 2020, n. 2591; 31 luglio 2019, n. 5427)”. Con la conseguenza che “la mera dichiarazione di voler far ricorso al subappalto non può determinare di per sé l’impiego e la spendita di detto subappalto al fine d’integrare i requisiti di gara” (così, Cons. Stato, V, 13 agosto 2020, n. 5030).

    Subappalto della sola manodopera : condizioni

    Quesito: Si chiede di chiarire se il subappalto della sola manodopera, nel caso di lavori, è legittimo, ed eventualmente a quali condizioni.

    Risposta: I fenomeni di frammentazione organizzativa dell’impresa, moltiplicati anche per effetto dell’innovazione tecnologica e della globalizzazione, favoriscono il ricorso agli appalti e alla somministrazione coinvolgendo la materia del lavoro che non rientra nelle competenze di questo servizio. Si chiarisce infatti che il subcontratto di sola manodopera può configurarsi come cottimo di cui all’art. 3 comma 1 lettera ggggg-undecies del Codice Contratti, oppure come somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20 e segg. del D. Lgs 276/2003 (Riforma Biagi) consentita unicamente se operata da soggetti abilitati.
    Limitandoci al perimetro degli appalti, si ricorda che il contratto di cottimo si differenzia dal subappalto in quanto il primo ha ad oggetto l’affidamento della sola lavorazione (o della sola posa in opera), mentre i materiali vengono forniti direttamente, in tutto o in parte, dall’appaltatore.
    Al riguardo, il TAR Marche Sez. I, sent. 23 aprile 2020, n. 59 ritiene legittimo che l’appaltatore – ai fini dell’esecuzione di un appalto di lavori – si riservi la fornitura del materiale affidando a terzi la posa in opera, nel presupposto che il cottimista sia qualificato per l’intera lavorazione. Secondo i giudici, “il legislatore ha collegato espressamente la capacità tecnico-economica del subappaltatore (sintetizzata nella SOA) all’importo complessivo delle opere che egli è chiamato ad eseguire (il che risponde al criterio generale a cui è informato il sistema di esecuzione dei lavori pubblici, ossia che l’appaltatore può eseguire solo i lavori per i quali è qualificato, sia in termini qualitativi che quantitativi), e non anche alle modalità di determinazione della quota subappaltabile”.
    La Corte di Cassazione Sez. Lavoro nella sentenza n. 22796 del 20.10.2020 ha focalizzato l’attenzione sulla distinzione tra appalti c.d. leggeri, intendendosi per tali quelli “in cui l’attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro” ed appalti c.d. pesanti che si caratterizzano, invece, per l’impiego preponderante di materiali e mezzi. Infatti, negli appalti “pesanti”, il requisito dell’autonomia organizzativa in capo all’appaltatore deve essere inteso, se non sulla titolarità, quanto meno sull’organizzazione di questi mezzi, mentre, in presenza di un appalto del primo tipo, la Corte ha statuito il principio di diritto secondo cui è sufficiente, ai fini della liceità, che in capo all’appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti, e che il requisito della “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore”, previsto dal citato articolo 29, possa individuarsi, in presenza di particolari esigenze dell’opera o del servizio, anche nell’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nel contratto.
    Sulla base delle suddette considerazioni, la risposta al primo quesito è positiva a condizione che venga in considerazione il cottimo ai sensi dell’art. 3 comma 1 lettera ggggg-undecies del Codice Contratti oppure la somministrazione di manodopera di cui al D. Lgs. 276/2003.
    Relativamente al secondo quesito, si ricorda che il cottimista deve possedere la qualificazione SOA in una classifica di importo almeno corrispondente alla totalità dei lavori che egli deve eseguire e dunque comprendente anche il valore dei materiali e delle attrezzature messi a disposizione dall’appaltatore. Ai sensi dell’art. 105 comma 13, è disposta la corresponsione diretta al cottimista dell’importo dovuto per le prestazioni, mentre, in base al comma 18 dello stesso art. 105, il cottimo deve essere autorizzato e copia autentica del contratto va trasmessa alla stazione appaltante con allegata la dichiarazione circa la sussistenza o meno di eventuali forme di controllo o di collegamento a norma dell’articolo 2359 del codice civile con il titolare del cottimo. Infine si ricorda che la stazione appaltante è tenuta alle verifiche e controlli dei lavoratori impiegati nell’ambito del cantiere (Parere MIMS n. 1288/2022)

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      Anticipazione contrattuale e subappalto

      Quesito: L’art, 35, comma 8, del codice prevede l’anticipazione del 20% a favore dell’appaltatore, e l’art. 105, comma 13, stabilisce che la SA paghi direttamente e il subappaltatore, nel caso di pm impresa. ipotizziamo che i lavori eseguiti e contabilizzati sul primo SAL siano stati eseguiti interamente e soltanto dal subappaltatore; il pagamento della SA sarà a favore sia del subappaltatore che dell’appaltatore. Il recupero dell’anticipazione potrà, anzi dovrà, inevitabilmente riguardare anche la somma da corrispondere al subappaltatore, qualora la quota da corrispondere all’appaltatore sia inferiore rispetto alla somma da recuperare relativa all’anticipazione. Infatti, è indispensabile che la SA recuperi, per ogni SAL, l’intero importo relativo all’anticipazione e che, pertanto, la SA intervenga anche sul pagamento a favore dei subappaltatori. Si chiede se questo modo di procedere sia corretto, considerato anche che il subappalto non ha più il limite del 30%.

      Risposta: Occorre chiarire che il quesito riguarda due istituti diversi che prevedono misure dirette ad agevolare due soggetti diversi, come di seguito sintetizzato:

      1) l’anticipazione all’appaltatore prevista all’art. 35 comma 18, pari al 20% del valore del contratto subordinatamente all’effettivo inizio della prestazione ed alla costituzione della specifica garanzia, con eventuale incremento fino al 30% previsto dal Decreto Rilancio quale facoltà rimessa in capo alla S.A. nei limiti delle risorse disponibili (L. n. 77/2020). L’anticipazione, così come la ritenuta per garanzia, viene recuperata mediante compensazione sui pagamenti successivi a fronte dei S.A.L., fino a raggiungimento dell’importo totale della stessa. Quindi, in generale, per il recupero dell’anticipazione la S.A. dovrà procedere nei confronti dell’appaltatore che in ciascuna fattura è tenuto ad evidenziare l’importo dell’anticipazione da recuperare in modo da consentire la graduale ed automatica diminuzione della garanzia;

      2) il pagamento diretto al subappaltatore ex art. 105 comma 13 dell’importo dovuto per le prestazioni dallo stesso eseguite, nei casi previsti dallo stesso comma. La norma prevede un preciso obbligo per l’amministrazione di procedere al pagamento diretto, e non più una mera facoltà esercitata a seguito di espressa richiesta, come nella previgente disciplina. Riguardo al tema posto, si fa presente che ad oggi assume una maggiore rilevanza in conseguenza del recente superamento del limite del 30% per il subappalto. Si ricorda comunque che l’appaltatore è la parte contrattuale referente per la S.A. che sottoscrive i S.A.L. ed in caso di pagamento diretto al subappaltatore non si crea alcun rapporto obbligatorio di debito-credito tra S. A. e subappaltatore, in quanto il subappalto mantiene comunque un elevato grado di autonomia rispetto al contratto di appalto cui afferisce. Infatti, la S.A. pagando adempie alla propria obbligazione nei confronti dell’appaltatore e, contemporaneamente, estingue anche l’obbligazione dell’appaltatore nei confronti del subappaltatore (cfr. ANAC, delibera AG 4/12 del 17/05/2012; Cass. Civ. Sez. II, 21 ottobre 2009, n. 22344; Cass. civ. Sez. I, 9 settembre 2004, n. 18196), configurandosi, il pagamento diretto da parte della
      stazione appaltante, come una delegazione di pagamento. Ciò posto, nelle ipotesi di cui al comma 13 dell’art. 105 occorre che sia comunque garantito il recupero dell’anticipazione da parte della S.A., prevedendo nel contratto di appalto specifiche clausole per l’applicazione coordinata dei due istituti nei casi in cui la quota di subappalto sia tale da interferire con la quota dell’anticipazione ex art. 35 comma 18.
      Pertanto, per il quesito posto si concorda con quanto da voi indicato a condizione che il procedimento sia previsto e regolato nel contratto di appalto sottoscritto con l’appaltatore. Si ricorda che per il recupero dell’anticipazione la S. A. può comunque utilizzare anche la garanzia costituita per l’erogazione della stessa (Parere MIMS n. 1277/2022).

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        Subappalto – Contratti attinenti al settore dei beni culturali – Questioni di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 d.lgs. n. 50/2016 – Non fondatezza

        Corte Costituzionale, 11.04.2022 n. 91

        Considerato in diritto

        1.– Con ordinanza iscritta al numero 195 del reg. ord. 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Molise, sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali.

        2.– Il giudice rimettente riferisce di doversi pronunciare sulle domande di annullamento di una serie di atti concernenti l’affidamento dei «[l]avori di adeguamento degli impianti delle sedi del Polo Museale del Molise», a seguito di procedura indetta dall’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa – Invitalia, nonché di «risarcimento danni in forma specifica con il conseguimento dell’appalto e subentro nel relativo contratto da parte della ricorrente».

        2.1.– In particolare, precisa che alla gara avevano partecipato – tra gli altri – l’associazione temporanea di imprese (ATI) Se. spa e C. I. Al. srl, la Si. spa e la C. A. M., che si erano classificate, rispettivamente, nelle prime tre posizioni della graduatoria.

        Espone, inoltre, che la terza classificata chiedeva sia l’annullamento degli atti, con i quali le imprese contro-interessate non erano state esclude dalla gara, le relative offerte erano state valutate positivamente e l’appalto era stato aggiudicato alla ATI Se. spa e C. I. Al. srl, sia il risarcimento del danno in forma specifica.

        2.2.– Il giudice a quo, dopo aver respinto le eccezioni sollevate dalla resistente Invitalia e dalla controinteressata Si. spa, nonché il secondo e il terzo motivo di ricorso, ravvisa la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale in relazione al primo motivo di ricorso, concernente l’ammissione alla gara della ATI Se. spa e C. I. Al. srl e della Si. spa «per aver le stesse supplito alla carenza del possesso della qualificazione SOA OG2 attraverso il ricorso al subappalto».

        Rileva, inoltre, che il divieto di avvalimento nel settore dei beni culturali è da ritenersi norma eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica. Di conseguenza, esclude che i dubbi di legittimità costituzionale possano essere superati con un’interpretazione conforme e ravvisa la rilevanza delle questioni sollevate.

        2.3.– Nel merito, il Collegio rimettente individua la ratio del divieto di avvalimento, di cui all’art. 146, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti cod. contratti pubblici), nell’esigenza di affidare l’esecuzione dei lavori che riguardano i beni culturali a soggetti muniti di qualificazioni specialistiche, al fine di assicurare a tali beni un’adeguata tutela.

        A fronte di simile divieto e della giustificazione che sottende, si paleserebbe – secondo il giudice a quo – una irragionevolezza nella mancata estensione di un analogo divieto al subappalto, posto che tale istituto, nel confronto con l’avvalimento, offrirebbe meno garanzie di tutela.

        In particolare, il rimettente ravvisa nel subappalto, specie quello necessario, l’attitudine a divenire mezzo di elusione dei principi di aggiudicazione mediante gara, nonché possibile canale di infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici. Inoltre – sempre in base all’ordinanza – l’istituto darebbe meno garanzie di qualità nell’esecuzione della prestazione, per di più in difetto di una responsabilità solidale del subappaltatore.

        La mancata previsione di un divieto di subappalto nella materia dei beni culturali apparirebbe, pertanto, irragionevole alla luce della diversa disciplina dell’avvalimento, manifestando profili di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost.

        3.– Quanto alle ulteriori censure formulate nell’atto di costituzione in giudizio dalla C. A. M., esse sono inammissibili per la loro estraneità al perimetro del thema decidendum, quale segnato dall’ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 252 del 2021, n. 150 e n. 26 del 2020).

        4.– Inoltre, deve essere dichiarata inammissibile la costituzione in giudizio di Se. Spa in proprio e quale mandataria della ATI Se. spa e C. I. Al. srl, ai sensi dell’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 75 del 2022, n. 75 e n. 57 del 2021). L’atto di costituzione è stato, infatti, depositato il 17 febbraio 2021 e, dunque, è tardivo rispetto al termine perentorio di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 20 gennaio 2021.

        5.– Ancora in via preliminare, occorre analizzare le eccezioni sollevate in rito da Invitalia.

        La parte resistente nel giudizio a quo ravvisa nell’ordinanza un’incompleta ricostruzione del quadro normativo «in tema di qualificazione degli operatori nel settore dei lavori pubblici», nonché un approccio ermeneutico divergente dagli orientamenti giurisprudenziali a livello «sia nazionale che europe[o] in tema di avvalimento e subappalto». Una corretta ricostruzione di questi ultimi avrebbe condotto – secondo Invitalia – a una interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni censurate, nel senso del riconoscimento che «[l]’assenza di limitazioni al subappalto […] rispetta pienamente le indicazioni della giurisprudenza e del diritto dell’unione europea nell’ottica di favorire l’effettiva concorrenza negli appalti pubblici la cui tutela costituisce anche un obiettivo costituzionalmente garantito».

        6.– Le eccezioni non sono fondate.

        L’atto introduttivo non evidenzia, sotto il profilo della ricostruzione normativa e giurisprudenziale, un’incompletezza che infici «l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza (ex multis, sentenze n. 61 del 2021, n. 136 del 2020, n. 150 del 2019 e n. 27 del 2015; ordinanze n. 108 del 2020, n. 136 e n. 30 del 2018 e n. 88 del 2017)» (sentenza n. 194 del 2021).

        Di conseguenza, la valutazione delle motivazioni esposte attiene unicamente al merito.

        A una medesima conclusione si deve, d’altro canto, giungere anche con riferimento all’eccezione concernente il mancato esperimento del tentativo di interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni censurate.

        Invitalia contesta che il giudice a quo non sarebbe addivenuto ad una interpretazione adeguatrice, intesa quale riconoscimento della conformità a Costituzione dell’omessa previsione del divieto di subappalto.

        Sennonché un simile argomento – orientato a comprovare la coerenza con i principi costituzionali di quanto le disposizioni censurate testualmente prevedono – depone semplicemente a favore della non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.

        Quanto, invece, a un’interpretazione conforme alla Costituzione, che segua il verso delle censure mosse dal rimettente, il quale invoca un’estensione del divieto anche al subappalto, si tratta invero di un tentativo espressamente esperito dal giudice a quo e dal medesimo escluso. L’ipotesi di ampliare in via ermeneutica la disciplina prevista dall’art. 146, comma 3, cod. contratti pubblici anche al subappalto viene, infatti, rigettata con una congrua motivazione relativa al divieto di analogia operante per le norme eccezionali.

        Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ove il rimettente abbia, come nel caso di specie, considerato la possibilità di una interpretazione idonea a eliminare il dubbio di legittimità costituzionale, ma l’abbia motivatamente esclusa, la valutazione sulla correttezza o meno dell’opzione ermeneutica riguarda non già l’ammissibilità delle questioni sollevate, bensì – come già anticipato – il merito (da ultimo, ex plurimis, sentenze n. 64 del 2021, n. 168, n. 158, n. 118, n. 50 e n. 11 del 2020).

        7.– Sempre in via preliminare, si deve dar conto che, successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione, sono intervenute alcune novità legislative riguardanti una delle disposizioni censurate. L’art. 105 cod. contratti pubblici è stato, infatti, modificato dall’art. 49 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n. 108, nonché dall’art. 10 della legge 23 dicembre 2021, n. 238 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2019-2020).

        Sennonché, le citate modifiche non incidono sulla vicenda oggetto del giudizio a quo, poiché la nuova disciplina, in assenza di specifiche indicazioni del legislatore, non trova applicazione – in conformità al principio tempus regit actum – ai bandi e agli inviti pubblicati prima dell’entrata in vigore della riforma.

        8.– Nel merito, le questioni sollevate dal TAR Molise non sono fondate.

        In via preliminare, onde valutare le censure mosse in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., occorre esaminare la disciplina dell’avvalimento, che funge da tertium comparationis, e, specificamente, la ratio della norma che dispone il divieto di fare ricorso a tale istituto nel settore dei beni culturali.

        8.1.– L’avvalimento è stato introdotto nell’ordinamento italiano, sul modello di discipline europee (tra le prime pronunce che si sono occupate del tema, Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenze 2 dicembre 1999, in causa C-176/98, Holst Italia, nonché 14 aprile 1994, in causa C-389/92, Ballast Nedam Groep I), al fine di agevolare – come emerge dall’art. 89 cod. contratti pubblici – la partecipazione alle gare d’appalto.

        In particolare, esso consente a un soggetto privo di taluni requisiti prescritti per la partecipazione a una gara, di avvalersi di quelli posseduti da un altro operatore (l’ausiliario), il quale – tramite contratto – li mette a disposizione del concorrente (l’avvalente) per tutta la durata dell’appalto.

        L’avvalimento, dunque, non è in sé un tipo normativo, né impone il ricorso a uno specifico schema contrattuale, ma identifica un effetto giuridico, che, a seconda delle risorse offerte, può essere variamente conseguito attraverso il «i) mandato […], ii) […] [l’]appalto di servizi, nonché iii) [la] garanzia atipica» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 4 novembre 2016, n. 23) o altro contratto tipico o atipico.

        L’importante è che l’avvalimento permetta temporaneamente di operare un’integrazione dell’azienda aggiudicatrice con i mezzi, i beni o le competenze professionali messi a disposizione dall’ausiliario, che sono indispensabili alla stessa partecipazione alla gara. Per queste ragioni, il contratto deve indicare con precisione i requisiti prestati (sul punto, si veda Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 10 gennaio 2022, n. 169, che richiama Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 4 ottobre 2021, n. 6619, 21 luglio 2021, n. 5485 e 12 febbraio 2020, n. 1120) e deve essere accompagnato da una dichiarazione sottoscritta da parte dell’impresa ausiliaria, con cui essa attesta, oltre al possesso dei requisiti, anche il suo impegno, nei confronti non soltanto del concorrente, ma della stessa stazione appaltante, a fornire le risorse di cui il primo è carente.

        Una tale integrazione ab initio dell’impresa concorrente, altrimenti priva dei requisiti per la partecipazione alla gara, spiega la responsabilità solidale dell’impresa ausiliaria, insieme con la concorrente, nei confronti della stazione appaltante.

        Quanto alla fase esecutiva dell’appalto, il codice dei contratti pubblici, per un verso, cerca di assicurare l’effettiva messa a disposizione, nonché il concreto impiego dei mezzi e delle risorse prestate al concorrente, prevedendo che la stazione appaltante svolga opportune verifiche al riguardo.

        Per un altro verso, tuttavia, non prescrive, almeno in generale, che la prestazione da eseguire con le risorse offerte dall’ausiliario debba essere necessariamente effettuata da quest’ultimo, ferma restando la facoltà dell’aggiudicatario di stipulare con l’ausiliario anche un contratto di subappalto.

        In sostanza, viene accertata l’effettività del prestito dei requisiti (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 3 settembre 2021, n. 6212 e 17 maggio 2018, n. 2953), ma non viene assicurata l’esecuzione diretta dei lavori ad opera dell’ausiliario.

        L’art. 89, comma 8, cod. contratti pubblici dispone, infatti, quale regola generale, che l’esecuzione spetta all’aggiudicatario, che deve integrare al proprio interno le risorse dell’ausiliario.

        Una deroga a simile criterio si rinviene unicamente nelle ipotesi in cui l’ausiliario metta a disposizione i titoli di studio o professionali «di cui all’allegato XVII, parte II, lettera f)». Soltanto con riferimento alla menzionata fattispecie, l’art. 89, comma 1, cod. contratti pubblici prevede che la possibilità di avvalersi dei requisiti di altri soggetti sia subordinata alla condizione che questi ultimi eseguano direttamente i lavori o i servizi, per i quali i titoli prestati siano richiesti.

        In definitiva, in difetto di una generalizzata garanzia di esecuzione della prestazione da parte dell’ausiliario, emerge la ragione del divieto previsto all’art. 146, comma 3, cod. contratti pubblici ad avvalersi del citato istituto nel settore dei beni culturali. L’intenzione della norma è assicurare che i lavori vengano direttamente eseguiti da chi abbia la specifica qualificazione richiesta, nonché mezzi e risorse necessari a preservare una tale categoria di beni.

        La finalità del divieto è, dunque, quella di rafforzare la tutela dei beni culturali oggetto dei contratti regolati dal Capo III, Titolo VI, Parte II del codice dei contratti pubblici.

        8.2.– Evocati i principali tratti normativi dell’avvalimento, ai quali si lega la ratio della disposizione che vieta il ricorso a tale istituto nel settore dei beni culturali, non si rinviene, nella disciplina relativa al subappalto, una analoga motivazione idonea a supportare la similitudine con l’art. 146, comma 3, cod. contratti pubblici e, di riflesso, a palesare una irragionevole disparità di trattamento.

        Il subappalto, pur condividendo con l’avvalimento taluni caratteri e finalità, a partire dal favor partecipationis, si connota per una disciplina, che garantisce la tutela dei beni culturali, ove siano oggetto del contratto.

        È quanto si inferisce da due aspetti della regolamentazione del subappalto che lo distinguono dall’avvalimento.

        8.2.1.– Innanzitutto, il subappalto, quando non sia affidato all’ausiliario e, dunque, non risulti abbinato all’istituto dell’avvalimento, presuppone che l’impresa abbia i requisiti per partecipare alla gara.

        Questo implica che, nei contratti di lavori, l’impresa, anche qualora non disponga di tutte le qualificazioni richieste per le singole lavorazioni oggetto dell’appalto, abbia, quanto meno, l’attestazione SOA relativa alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori oggetto del contratto. Tale disciplina si desume sia dall’art. 12, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 2014, n. 80, che – come conferma la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 20 luglio 2021, n. 5447 e 15 febbraio 2021, n. 1308, nonché Consiglio di Stato, sezione terza, ordinanza 10 giugno 2020, n. 3702 – è tuttora in vigore, avendo l’art. 217, comma 1, lettera nn), cod. contratti pubblici abrogato i soli «commi 3, 5, 8, 9 e 11» del citato art. 12, sia dall’art. 92 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»), anch’esso tuttora vigente, come rileva la già richiamata sentenza del Consiglio di Stato n. 1308 del 2021.

        Le garanzie offerte, in sede di gara, dal possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente non implicano, d’altro canto, una fungibilità, in sede esecutiva, tra le varie qualifiche richieste.

        Solo nel caso delle categorie a qualificazione non obbligatoria l’aggiudicatario può eseguire anche in proprio le relative lavorazioni, sfruttando l’attestazione SOA posseduta nella categoria prevalente (art. 12, comma 2, lettera a, del d.l. n. 47 del 2014, come convertito).

        Viceversa, per le categorie a qualificazione obbligatoria l’ordinamento impone che l’esecutore dei lavori abbia tale specifica qualificazione. Di conseguenza, il concorrente, pur se dotato dei requisiti prescritti ai fini della partecipazione alla gara – grazie all’attestazione SOA posseduta nella categoria prevalente –, non può, tuttavia, eseguire le lavorazioni inerenti alle categorie a qualificazione obbligatoria, sicché si rende necessario il ricorso al subappalto.

        Al contrario, nel caso dell’avvalimento, il concorrente da solo non dispone delle qualifiche per partecipare alla gara, ma, una volta integrate nell’azienda le risorse e le competenze necessarie, tramite l’avvalimento, esegue in proprio le relative prestazioni, salva la previsione di cui all’art. 89, comma 1, cod. contratti pubblici e ferma restando la facoltà di fare eventualmente ricorso al subappalto.

        8.2.2.– Emerge, a questo punto, la seconda e decisiva differenza del subappalto rispetto all’avvalimento.

        Il tipo contrattuale del subappalto – un subcontratto che si dirama dal modello dell’appalto – presenta, quali obbligazioni tipiche, il compimento «con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio» di un’opera o di un servizio «verso un corrispettivo in denaro» (art. 1655 del codice civile).

        In sostanza, l’esecuzione dei lavori in proprio, effettuata in maniera autonoma rispetto al subcommittente, rientra tra le obbligazioni tipiche del subappalto, cui, viceversa, risulta in toto estranea l’obbligazione a prestare unicamente requisiti.

        Di riflesso, sia che l’aggiudicatario possa partecipare all’appalto, ma non abbia la qualificazione specialistica per le lavorazioni relative ai beni culturali (ciò che rende necessario il subappalto), sia che abbia tale qualificazione specialistica, ma decida, nel rispetto del bando di gara, di avvalersi in via facoltativa del subappalto, in ogni caso, il tipo contrattuale in esame garantisce che l’esecuzione della prestazione sia effettuata in proprio e in via diretta dal subappaltatore.

        Al contempo, la lettera dell’art. 148, comma 4, cod. contratti pubblici, secondo cui «[i] soggetti esecutori dei lavori di cui al comma 1 [riferito ai beni culturali e del paesaggio] devono in ogni caso essere in possesso dei requisiti di qualificazione stabiliti dal presente capo», assicura che il subappaltatore esecutore dei lavori disponga delle necessarie qualificazioni specialistiche.

        Risulta, a questo punto, naturale che il subappaltatore risponda della sua esecuzione nei confronti del subappaltante e che quest’ultimo sia responsabile verso il committente. Peraltro, va incidentalmente precisato che l’evoluzione normativa, sopra richiamata e non riferibile al giudizio a quo (si veda il punto 7), ha oramai previsto anche una responsabilità solidale del subappaltatore e dell’appaltatore verso il committente. E se questo ovviamente non incide sul presente giudizio, in ogni caso è il segno di una tendenza a potenziare ulteriormente le garanzie offerte con il subappalto.

        Tornando ora a volgere lo sguardo al contesto normativo applicabile al processo a quo, l’elemento, comunque, decisivo è che – in base alla disciplina del subappalto relativo ai beni culturali – soltanto l’operatore dotato di una qualificazione specialistica può eseguire i lavori relativi a tali beni, e questo di per sé assicura loro una effettiva e adeguata tutela.

        Si dissolve, in tal modo, la censura di irragionevolezza, poiché il subappalto non condivide con l’avvalimento la ratio della norma censurata, riferibile, per l’appunto, all’esigenza di tutelare i beni culturali, il che smentisce la similitudine rispetto al tertium comparationis.

        Senza una giustificazione riconducibile alla protezione dei citati beni, non soltanto la mancanza del divieto di subappalto non contrasta con gli artt. 3 e 9 Cost., ma, al contrario, l’eventuale previsione del divieto di subappalto – come richiesto dal rimettente – potrebbe tradursi in una compressione del principio della concorrenza (si veda, in proposito, Corte di Giustizia, sentenze 27 novembre 2019, C-402/18, Tedeschi e 26 settembre 2019, C-63/18, Vitali), oltre che dell’autonomia privata, non priva di criticità.

        9.– In conclusione, nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte, che non ravvisa una violazione del principio di eguaglianza quando «alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sentenza n. 85 del 2020)» (sentenza n. 71 del 2021), le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., non sono fondate.

        Obbligo per il concorrente di dichiarare il subappalto “necessario” (art. 105 d.lgs. n. 50/2016)

        Consiglio di Stato, sez. V, 25.03.2022 n. 2217

        L’appellante evoca il subappalto c.d. qualificante o necessario, ossia la facoltà di subappaltare le attività scorporabili a qualificazione necessaria ad altra impresa fornita del requisito di qualificazione richiesto (sul quale, cfr. Cons. Stato, ord., III, 10 giugno 2020, n. 3702 che riferisce l’introduzione dell’istituto all’art. 12, comma 2, d.l. 28 marzo 2014, n. 47 conv. in l. 23 maggio 2014, n. 80, confermato dall’art. 118, d.lgs. 12 aprile 2016, n. 163 e compatibile con l’attuale quadro normativo; ammissibile anche in caso di appalto misto per Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3367).
        La giurisprudenza amministrativa ha precisato che il concorrente non è tenuto ad indicare il nominativo del subappaltatore già in sede di offerta (non rientrando tra gli adempimenti previsti dall’art. 107, comma 2, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, né dall’art. 118, d.lgs. n. 163 del 2006, cfr. Adunanza plenaria, 2 novembre 2015, n. 9, ma nella vigenza dell’attuale quadro normativo, cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2021, n. 1308); nondimeno, è tenuto a dichiarare la volontà di ricorrere al subappalto per supplire al requisito di qualificazione mancante, ossia la volontà di avvalersi del subappalto c.d. necessario (così, in particolare, Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2021, n. 1308 che ne fornisce anche una spiegazione: “L’indicazione del subappaltatore ai fini dell’integrazione dei requisiti di gara configura una vera e propria manifestazione di volontà da parte dell’operatore, che indice sulla stessa conformazione funzionale del concorrente e sulla correlata modulazione dei requisiti, anche ai fini della corrispondente verifica da parte dell’amministrazione”; conferma il ragionamento sebbene in fattispecie differente, Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2021, n. 1308).
        L’appellante aveva sì manifestato la volontà di subappaltare le attività oggetto di esecuzione, ma non aveva affatto dichiarato che, essendo privo del requisito di qualificazione per l’esecuzione di talune di esse (quelle per le quali era richiesta l’attestazione SOA di categoria OG1 e OG11), avrebbe, a scopo acquisitivo, fatto ricorso al subappalto (che, dunque, si sarebbe configurato quale subappalto necessario); al contrario, il r.t.i. -OMISSIS- aveva dichiarato il possesso dei requisiti in proprio anche per le lavorazioni in categoria scorporabile (…), salvo, poi, restare priva del requisito nel corso della procedura.
        Impegnarsi, allora, per la prima volta in sede di impugnazione del provvedimento di esclusione, a sopperire alla carenza del requisito di qualificazione necessaria facendo ricorso al subappalto quando s’era già dichiarato il possesso in proprio del requisito, significa tenere condotta non coerente con le regole di correttezza e buona fede al cui rispetto sono chiamate, così come la stazione appaltante, anche il privato concorrente (come, sostanzialmente, ritenuto dal giudice di primo grado parlando di “abuso” dell’istituto del subappalto per l’unico obiettivo di evitare gli effetti del provvedimento di esclusione).

        Riferimenti normativi:

        art. 105 d.lgs. n. 50/2016