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Cumulo alla rinfusa per i Consorzi Stabili nel settore beni culturali

TAR Salerno, 27.03.2023 n. 692

4.2. Con i primi due motivi del ricorso introduttivo e nelle corrispondenti prime due doglianze dei motivi aggiunti, parte ricorrente ha lamentato l’illegittimità della propria esclusione, per violazione degli artt. 146 e 30 del d.lgs. n. 50 del 2016 nonché del principio del favor partecipationis, in quanto l’art. 146 del Codice prevedrebbe l’inapplicabilità del meccanismo del c.d. cumulo alla rinfusa per i consorzi stabili soltanto con riferimento alle lavorazioni relative alle categorie di beni culturali OG 2, OS 2A, OS 2B, OS 24,OS 25 e non anche alla categoria OG 13, con conseguente possibilità per quest’ultima di designare una consorziata del tutto priva di qualificazione. La ricostruzione di parte ricorrente richiama il c.d. cumulo alla rinfusa, da cui deriverebbe, in tesi, che sia sufficiente che il possesso della categoria per cui è causa sia in capo ad altro operatore non consorziato, anche se non indicato come esecutore.
Sul punto, è opportuno evidenziare che l’art. 47 c. 2 del d.lgs. n. 50 del 2016 prevedeva che “I consorzi di cui agli articoli 45, comma 2, lettera c), e 46, comma 1, lettera f), al fine della qualificazione, possono utilizzare sia i requisiti di qualificazione maturati in proprio, sia quelli posseduti dalle singole imprese consorziate designate per l’esecuzione delle prestazioni, sia, mediante avvalimento, quelli delle singole imprese consorziate non designate per l’esecuzione del contratto”. Tale formulazione tuttavia è stata superata dal D.L. 18/4/2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14/6/2019, n. 55, per cui la fattispecie per cui è causa è regolata da quest’ultima e più recente formulazione normativa; infatti «La disposizione ha avuto vigore sino al 2019. L’art. 1, comma 20, lett. l), n. 1), del D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 giugno 2019, n. 55, ha eliminato tale regola, ripristinando l’originaria e limitata perimetrazione del cd. cumulo alla rinfusa ai soli aspetti relativi alla “disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo”, i quali sono “computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate”» (Cons. St., Ad. Plen. n. 5/2021). Insomma, correttamente interpretato, il nuovo art. 47 del d.lgs. n. 50/2016 non ha la portata invocata da parte ricorrente, in quanto nel testo attuale della norma, ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, il c.d. cumulo alla rinfusa è “oggi limitato ad attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo” (Cons. St., Ad. Plen. n. 5/2021).
Una vicenda analoga a quella per cui è causa è stata esaminata dal Consiglio di Stato con la pronuncia n. 11596 del 2022 (in tale vicenda, relativamente all’ipotesi del possesso della qualificazione per la categoria OG11), che ha ribadito il principio secondo cui «la possibilità di “qualificazione cumulativa” nell’ambito dei consorzi stabili è limitata, ai sensi dell’art. 47, c. 1 del Codice, soltanto ai requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e mezzi dell’opera e all’organico medio annuo», derivandone, in base a tale pronuncia, che qualora la lex specialis di gara richieda che l’operatore che esegue la lavorazione debba essere in possesso di determinati requisiti di professionalità, è escluso che un consorzio, sia pur “alla rinfusa”, possa indicare come esecutrice una consorziata priva del requisito di professionalità richiesto (nella specie la qualificazione per la categoria OG11) prospettando che altra consorziata, non indicata come esecutrice, ne sia munito. È opportuno richiamare il ragionamento della citata pronuncia: «Come correttamente rilevato dall’appellante, la questione posta con il motivo di ricorso incidentale era se alla consorziata designata per l’esecuzione dei lavori fosse richiesto il possesso dei requisiti speciali di partecipazione previsti dal disciplinare di gara oppure se fosse solo il consorzio, eventualmente giovandosi del c.d. cumulo alla rinfusa, a dover essere in possesso dei predetti requisiti.
Consapevole dei diversi orientamenti maturati sulla questione, il Collegio intende aderire all’interpretazione dell’art. 47 d.lgs. n. 50 del 2016 data da questa Sezione nella sentenza del 22 agosto 2022, n. 7360.
Nel rinviare alla motivazione della stessa per l’enunciazione del ragionamento che conforta la decisione, ci si limita qui a richiamare le conclusioni cui la stessa è pervenuta: “In definitiva, alla luce dell’attuale quadro normativo, si deve concludere nei complessivi sensi per cui:
a) la possibilità di “qualificazione cumulativa”, nell’ambito dei consorzi stabili, è limitata ai requisiti relativi alla disponibilità delle attrezzature e mezzi dell’opera e all’organico medio annuo (cfr. art. 47, comma 1);
b) i consorzi stabili possono, per tal via, partecipare alle gare qualificandosi in proprio (art. 47, comma 2, prima ipotesi) e comprovando i propri requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, potendo, a tal fine, cumulare attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo di tutte le consorziate (con il limite, non codificato ma implicito, del divieto di cumulo in caso di autonoma partecipazione, alla medesima gara, dell’impresa consorziata, che autorizzerebbe – di là dalla paradossale vicenda del concorso competitivo con cooperazione qualificatoria – una implausibile valorizzazione moltiplicativa dei medesimi requisiti: cfr., per la relativa vicenda, Corte di Giustizia UE, C-376/08, 23 dicembre 2009);
c) i consorzi stabili, anche quando partecipino e si qualifichino in proprio, possono eseguire la prestazione (oltreché con la propria struttura) per il tramite delle consorziate, ancorché non indicate come esecutrici in sede di gara (onde, in chiara – seppur circostanziata – prospettiva proconcorrenziale, il ricorso alla struttura consortile consente ad imprese non qualificate di partecipare, sia pure indirettamente, alle procedure di affidamento): si tratterebbe – nella ricostruzione di ad. plen. n. 5/2021, che argomenta dal confronto con la previgente formulazione dell’art. 47, comma 2, di “una forma di avvalimento attenuata dall’assenza di responsabilità”: che, benché si tratti, va riconosciuto, di formula men tecnicamente rigorosa che sostanzialmente espressiva, sintetizza un condivisibile corollario di sistema);
d) in alternativa, il consorzio può, in sede evidenziale, designare, per l’esecuzione del contratto, una o più delle imprese consorziate (che, in tal caso, partecipano direttamente alla gara, concorrendo alla sostanziale formulazione dei tratti, anche soggettivi, dell’offerta ed assumendo, in via solidale, la responsabilità per l’esatta esecuzione, ancorché la formalizzazione del contratto sia rimessa al consorzio, che è parte formale: cfr., ancora, Cons. Stato, ad. plen., n. 5/2021 cit.);
e) in tal caso (che è quello in cui si sussume la vicenda di specie) è necessario che le imprese designate possiedano e comprovino (con la ribadita salvezza dei, limitati e specifici, casi di qualificazione cumulativa) i requisiti, tecnici e professionali, di partecipazione.”.
3.3. Ai fini del presente giudizio rileva in particolare quanto precisato nel punto sub e) della sentenza citata: le consorziate designate come esecutrici dei lavori devono essere in possesso (e comprovare) dei requisiti tecnico – professionali richiesti per l’esecuzione dei lavori.
Siccome è pacifico in atti che le tre consorziate designate dal Consorzio -OMISSIS- per l’esecuzione non fossero in possesso delle attestazioni di qualificazione SOA per tutte le categorie di lavori previste dal disciplinare di gara, lo stesso andava escluso dalla procedura di gara» (Cons. St., sez. V, 29/12/2022, n. 11596). Dunque la censura di parte ricorrente è infondata, in quanto basata su una ricostruzione della qualificazione alla “rinfusa” dei consorzi stabili ormai superata dal dato normativo, che circoscrive tale fattispecie solo alle attrezzature, mezzi d’opera e organico medio annuo, e non alla qualificazione che, a maggior ragione per categorie relative a beni culturali, deve essere posseduta dall’operatore che concretamente esegue la lavorazione.

Subappalto – Contratti attinenti al settore dei beni culturali – Questioni di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 d.lgs. n. 50/2016 – Non fondatezza

Corte Costituzionale, 11.04.2022 n. 91

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza iscritta al numero 195 del reg. ord. 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Molise, sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 9 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 105 e 146 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali.

2.– Il giudice rimettente riferisce di doversi pronunciare sulle domande di annullamento di una serie di atti concernenti l’affidamento dei «[l]avori di adeguamento degli impianti delle sedi del Polo Museale del Molise», a seguito di procedura indetta dall’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa – Invitalia, nonché di «risarcimento danni in forma specifica con il conseguimento dell’appalto e subentro nel relativo contratto da parte della ricorrente».

2.1.– In particolare, precisa che alla gara avevano partecipato – tra gli altri – l’associazione temporanea di imprese (ATI) Se. spa e C. I. Al. srl, la Si. spa e la C. A. M., che si erano classificate, rispettivamente, nelle prime tre posizioni della graduatoria.

Espone, inoltre, che la terza classificata chiedeva sia l’annullamento degli atti, con i quali le imprese contro-interessate non erano state esclude dalla gara, le relative offerte erano state valutate positivamente e l’appalto era stato aggiudicato alla ATI Se. spa e C. I. Al. srl, sia il risarcimento del danno in forma specifica.

2.2.– Il giudice a quo, dopo aver respinto le eccezioni sollevate dalla resistente Invitalia e dalla controinteressata Si. spa, nonché il secondo e il terzo motivo di ricorso, ravvisa la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale in relazione al primo motivo di ricorso, concernente l’ammissione alla gara della ATI Se. spa e C. I. Al. srl e della Si. spa «per aver le stesse supplito alla carenza del possesso della qualificazione SOA OG2 attraverso il ricorso al subappalto».

Rileva, inoltre, che il divieto di avvalimento nel settore dei beni culturali è da ritenersi norma eccezionale, non suscettibile di interpretazione analogica. Di conseguenza, esclude che i dubbi di legittimità costituzionale possano essere superati con un’interpretazione conforme e ravvisa la rilevanza delle questioni sollevate.

2.3.– Nel merito, il Collegio rimettente individua la ratio del divieto di avvalimento, di cui all’art. 146, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti cod. contratti pubblici), nell’esigenza di affidare l’esecuzione dei lavori che riguardano i beni culturali a soggetti muniti di qualificazioni specialistiche, al fine di assicurare a tali beni un’adeguata tutela.

A fronte di simile divieto e della giustificazione che sottende, si paleserebbe – secondo il giudice a quo – una irragionevolezza nella mancata estensione di un analogo divieto al subappalto, posto che tale istituto, nel confronto con l’avvalimento, offrirebbe meno garanzie di tutela.

In particolare, il rimettente ravvisa nel subappalto, specie quello necessario, l’attitudine a divenire mezzo di elusione dei principi di aggiudicazione mediante gara, nonché possibile canale di infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici. Inoltre – sempre in base all’ordinanza – l’istituto darebbe meno garanzie di qualità nell’esecuzione della prestazione, per di più in difetto di una responsabilità solidale del subappaltatore.

La mancata previsione di un divieto di subappalto nella materia dei beni culturali apparirebbe, pertanto, irragionevole alla luce della diversa disciplina dell’avvalimento, manifestando profili di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost.

3.– Quanto alle ulteriori censure formulate nell’atto di costituzione in giudizio dalla C. A. M., esse sono inammissibili per la loro estraneità al perimetro del thema decidendum, quale segnato dall’ordinanza di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 252 del 2021, n. 150 e n. 26 del 2020).

4.– Inoltre, deve essere dichiarata inammissibile la costituzione in giudizio di Se. Spa in proprio e quale mandataria della ATI Se. spa e C. I. Al. srl, ai sensi dell’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 75 del 2022, n. 75 e n. 57 del 2021). L’atto di costituzione è stato, infatti, depositato il 17 febbraio 2021 e, dunque, è tardivo rispetto al termine perentorio di venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 20 gennaio 2021.

5.– Ancora in via preliminare, occorre analizzare le eccezioni sollevate in rito da Invitalia.

La parte resistente nel giudizio a quo ravvisa nell’ordinanza un’incompleta ricostruzione del quadro normativo «in tema di qualificazione degli operatori nel settore dei lavori pubblici», nonché un approccio ermeneutico divergente dagli orientamenti giurisprudenziali a livello «sia nazionale che europe[o] in tema di avvalimento e subappalto». Una corretta ricostruzione di questi ultimi avrebbe condotto – secondo Invitalia – a una interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni censurate, nel senso del riconoscimento che «[l]’assenza di limitazioni al subappalto […] rispetta pienamente le indicazioni della giurisprudenza e del diritto dell’unione europea nell’ottica di favorire l’effettiva concorrenza negli appalti pubblici la cui tutela costituisce anche un obiettivo costituzionalmente garantito».

6.– Le eccezioni non sono fondate.

L’atto introduttivo non evidenzia, sotto il profilo della ricostruzione normativa e giurisprudenziale, un’incompletezza che infici «l’iter logico argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza (ex multis, sentenze n. 61 del 2021, n. 136 del 2020, n. 150 del 2019 e n. 27 del 2015; ordinanze n. 108 del 2020, n. 136 e n. 30 del 2018 e n. 88 del 2017)» (sentenza n. 194 del 2021).

Di conseguenza, la valutazione delle motivazioni esposte attiene unicamente al merito.

A una medesima conclusione si deve, d’altro canto, giungere anche con riferimento all’eccezione concernente il mancato esperimento del tentativo di interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni censurate.

Invitalia contesta che il giudice a quo non sarebbe addivenuto ad una interpretazione adeguatrice, intesa quale riconoscimento della conformità a Costituzione dell’omessa previsione del divieto di subappalto.

Sennonché un simile argomento – orientato a comprovare la coerenza con i principi costituzionali di quanto le disposizioni censurate testualmente prevedono – depone semplicemente a favore della non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate.

Quanto, invece, a un’interpretazione conforme alla Costituzione, che segua il verso delle censure mosse dal rimettente, il quale invoca un’estensione del divieto anche al subappalto, si tratta invero di un tentativo espressamente esperito dal giudice a quo e dal medesimo escluso. L’ipotesi di ampliare in via ermeneutica la disciplina prevista dall’art. 146, comma 3, cod. contratti pubblici anche al subappalto viene, infatti, rigettata con una congrua motivazione relativa al divieto di analogia operante per le norme eccezionali.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ove il rimettente abbia, come nel caso di specie, considerato la possibilità di una interpretazione idonea a eliminare il dubbio di legittimità costituzionale, ma l’abbia motivatamente esclusa, la valutazione sulla correttezza o meno dell’opzione ermeneutica riguarda non già l’ammissibilità delle questioni sollevate, bensì – come già anticipato – il merito (da ultimo, ex plurimis, sentenze n. 64 del 2021, n. 168, n. 158, n. 118, n. 50 e n. 11 del 2020).

7.– Sempre in via preliminare, si deve dar conto che, successivamente al deposito dell’ordinanza di rimessione, sono intervenute alcune novità legislative riguardanti una delle disposizioni censurate. L’art. 105 cod. contratti pubblici è stato, infatti, modificato dall’art. 49 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure), convertito, con modificazioni, nella legge 29 luglio 2021, n. 108, nonché dall’art. 10 della legge 23 dicembre 2021, n. 238 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2019-2020).

Sennonché, le citate modifiche non incidono sulla vicenda oggetto del giudizio a quo, poiché la nuova disciplina, in assenza di specifiche indicazioni del legislatore, non trova applicazione – in conformità al principio tempus regit actum – ai bandi e agli inviti pubblicati prima dell’entrata in vigore della riforma.

8.– Nel merito, le questioni sollevate dal TAR Molise non sono fondate.

In via preliminare, onde valutare le censure mosse in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., occorre esaminare la disciplina dell’avvalimento, che funge da tertium comparationis, e, specificamente, la ratio della norma che dispone il divieto di fare ricorso a tale istituto nel settore dei beni culturali.

8.1.– L’avvalimento è stato introdotto nell’ordinamento italiano, sul modello di discipline europee (tra le prime pronunce che si sono occupate del tema, Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenze 2 dicembre 1999, in causa C-176/98, Holst Italia, nonché 14 aprile 1994, in causa C-389/92, Ballast Nedam Groep I), al fine di agevolare – come emerge dall’art. 89 cod. contratti pubblici – la partecipazione alle gare d’appalto.

In particolare, esso consente a un soggetto privo di taluni requisiti prescritti per la partecipazione a una gara, di avvalersi di quelli posseduti da un altro operatore (l’ausiliario), il quale – tramite contratto – li mette a disposizione del concorrente (l’avvalente) per tutta la durata dell’appalto.

L’avvalimento, dunque, non è in sé un tipo normativo, né impone il ricorso a uno specifico schema contrattuale, ma identifica un effetto giuridico, che, a seconda delle risorse offerte, può essere variamente conseguito attraverso il «i) mandato […], ii) […] [l’]appalto di servizi, nonché iii) [la] garanzia atipica» (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 4 novembre 2016, n. 23) o altro contratto tipico o atipico.

L’importante è che l’avvalimento permetta temporaneamente di operare un’integrazione dell’azienda aggiudicatrice con i mezzi, i beni o le competenze professionali messi a disposizione dall’ausiliario, che sono indispensabili alla stessa partecipazione alla gara. Per queste ragioni, il contratto deve indicare con precisione i requisiti prestati (sul punto, si veda Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 10 gennaio 2022, n. 169, che richiama Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 4 ottobre 2021, n. 6619, 21 luglio 2021, n. 5485 e 12 febbraio 2020, n. 1120) e deve essere accompagnato da una dichiarazione sottoscritta da parte dell’impresa ausiliaria, con cui essa attesta, oltre al possesso dei requisiti, anche il suo impegno, nei confronti non soltanto del concorrente, ma della stessa stazione appaltante, a fornire le risorse di cui il primo è carente.

Una tale integrazione ab initio dell’impresa concorrente, altrimenti priva dei requisiti per la partecipazione alla gara, spiega la responsabilità solidale dell’impresa ausiliaria, insieme con la concorrente, nei confronti della stazione appaltante.

Quanto alla fase esecutiva dell’appalto, il codice dei contratti pubblici, per un verso, cerca di assicurare l’effettiva messa a disposizione, nonché il concreto impiego dei mezzi e delle risorse prestate al concorrente, prevedendo che la stazione appaltante svolga opportune verifiche al riguardo.

Per un altro verso, tuttavia, non prescrive, almeno in generale, che la prestazione da eseguire con le risorse offerte dall’ausiliario debba essere necessariamente effettuata da quest’ultimo, ferma restando la facoltà dell’aggiudicatario di stipulare con l’ausiliario anche un contratto di subappalto.

In sostanza, viene accertata l’effettività del prestito dei requisiti (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 3 settembre 2021, n. 6212 e 17 maggio 2018, n. 2953), ma non viene assicurata l’esecuzione diretta dei lavori ad opera dell’ausiliario.

L’art. 89, comma 8, cod. contratti pubblici dispone, infatti, quale regola generale, che l’esecuzione spetta all’aggiudicatario, che deve integrare al proprio interno le risorse dell’ausiliario.

Una deroga a simile criterio si rinviene unicamente nelle ipotesi in cui l’ausiliario metta a disposizione i titoli di studio o professionali «di cui all’allegato XVII, parte II, lettera f)». Soltanto con riferimento alla menzionata fattispecie, l’art. 89, comma 1, cod. contratti pubblici prevede che la possibilità di avvalersi dei requisiti di altri soggetti sia subordinata alla condizione che questi ultimi eseguano direttamente i lavori o i servizi, per i quali i titoli prestati siano richiesti.

In definitiva, in difetto di una generalizzata garanzia di esecuzione della prestazione da parte dell’ausiliario, emerge la ragione del divieto previsto all’art. 146, comma 3, cod. contratti pubblici ad avvalersi del citato istituto nel settore dei beni culturali. L’intenzione della norma è assicurare che i lavori vengano direttamente eseguiti da chi abbia la specifica qualificazione richiesta, nonché mezzi e risorse necessari a preservare una tale categoria di beni.

La finalità del divieto è, dunque, quella di rafforzare la tutela dei beni culturali oggetto dei contratti regolati dal Capo III, Titolo VI, Parte II del codice dei contratti pubblici.

8.2.– Evocati i principali tratti normativi dell’avvalimento, ai quali si lega la ratio della disposizione che vieta il ricorso a tale istituto nel settore dei beni culturali, non si rinviene, nella disciplina relativa al subappalto, una analoga motivazione idonea a supportare la similitudine con l’art. 146, comma 3, cod. contratti pubblici e, di riflesso, a palesare una irragionevole disparità di trattamento.

Il subappalto, pur condividendo con l’avvalimento taluni caratteri e finalità, a partire dal favor partecipationis, si connota per una disciplina, che garantisce la tutela dei beni culturali, ove siano oggetto del contratto.

È quanto si inferisce da due aspetti della regolamentazione del subappalto che lo distinguono dall’avvalimento.

8.2.1.– Innanzitutto, il subappalto, quando non sia affidato all’ausiliario e, dunque, non risulti abbinato all’istituto dell’avvalimento, presuppone che l’impresa abbia i requisiti per partecipare alla gara.

Questo implica che, nei contratti di lavori, l’impresa, anche qualora non disponga di tutte le qualificazioni richieste per le singole lavorazioni oggetto dell’appalto, abbia, quanto meno, l’attestazione SOA relativa alla categoria prevalente per l’importo totale dei lavori oggetto del contratto. Tale disciplina si desume sia dall’art. 12, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 2014, n. 80, che – come conferma la giurisprudenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenze 20 luglio 2021, n. 5447 e 15 febbraio 2021, n. 1308, nonché Consiglio di Stato, sezione terza, ordinanza 10 giugno 2020, n. 3702 – è tuttora in vigore, avendo l’art. 217, comma 1, lettera nn), cod. contratti pubblici abrogato i soli «commi 3, 5, 8, 9 e 11» del citato art. 12, sia dall’art. 92 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»), anch’esso tuttora vigente, come rileva la già richiamata sentenza del Consiglio di Stato n. 1308 del 2021.

Le garanzie offerte, in sede di gara, dal possesso dei requisiti relativi alla categoria prevalente non implicano, d’altro canto, una fungibilità, in sede esecutiva, tra le varie qualifiche richieste.

Solo nel caso delle categorie a qualificazione non obbligatoria l’aggiudicatario può eseguire anche in proprio le relative lavorazioni, sfruttando l’attestazione SOA posseduta nella categoria prevalente (art. 12, comma 2, lettera a, del d.l. n. 47 del 2014, come convertito).

Viceversa, per le categorie a qualificazione obbligatoria l’ordinamento impone che l’esecutore dei lavori abbia tale specifica qualificazione. Di conseguenza, il concorrente, pur se dotato dei requisiti prescritti ai fini della partecipazione alla gara – grazie all’attestazione SOA posseduta nella categoria prevalente –, non può, tuttavia, eseguire le lavorazioni inerenti alle categorie a qualificazione obbligatoria, sicché si rende necessario il ricorso al subappalto.

Al contrario, nel caso dell’avvalimento, il concorrente da solo non dispone delle qualifiche per partecipare alla gara, ma, una volta integrate nell’azienda le risorse e le competenze necessarie, tramite l’avvalimento, esegue in proprio le relative prestazioni, salva la previsione di cui all’art. 89, comma 1, cod. contratti pubblici e ferma restando la facoltà di fare eventualmente ricorso al subappalto.

8.2.2.– Emerge, a questo punto, la seconda e decisiva differenza del subappalto rispetto all’avvalimento.

Il tipo contrattuale del subappalto – un subcontratto che si dirama dal modello dell’appalto – presenta, quali obbligazioni tipiche, il compimento «con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio» di un’opera o di un servizio «verso un corrispettivo in denaro» (art. 1655 del codice civile).

In sostanza, l’esecuzione dei lavori in proprio, effettuata in maniera autonoma rispetto al subcommittente, rientra tra le obbligazioni tipiche del subappalto, cui, viceversa, risulta in toto estranea l’obbligazione a prestare unicamente requisiti.

Di riflesso, sia che l’aggiudicatario possa partecipare all’appalto, ma non abbia la qualificazione specialistica per le lavorazioni relative ai beni culturali (ciò che rende necessario il subappalto), sia che abbia tale qualificazione specialistica, ma decida, nel rispetto del bando di gara, di avvalersi in via facoltativa del subappalto, in ogni caso, il tipo contrattuale in esame garantisce che l’esecuzione della prestazione sia effettuata in proprio e in via diretta dal subappaltatore.

Al contempo, la lettera dell’art. 148, comma 4, cod. contratti pubblici, secondo cui «[i] soggetti esecutori dei lavori di cui al comma 1 [riferito ai beni culturali e del paesaggio] devono in ogni caso essere in possesso dei requisiti di qualificazione stabiliti dal presente capo», assicura che il subappaltatore esecutore dei lavori disponga delle necessarie qualificazioni specialistiche.

Risulta, a questo punto, naturale che il subappaltatore risponda della sua esecuzione nei confronti del subappaltante e che quest’ultimo sia responsabile verso il committente. Peraltro, va incidentalmente precisato che l’evoluzione normativa, sopra richiamata e non riferibile al giudizio a quo (si veda il punto 7), ha oramai previsto anche una responsabilità solidale del subappaltatore e dell’appaltatore verso il committente. E se questo ovviamente non incide sul presente giudizio, in ogni caso è il segno di una tendenza a potenziare ulteriormente le garanzie offerte con il subappalto.

Tornando ora a volgere lo sguardo al contesto normativo applicabile al processo a quo, l’elemento, comunque, decisivo è che – in base alla disciplina del subappalto relativo ai beni culturali – soltanto l’operatore dotato di una qualificazione specialistica può eseguire i lavori relativi a tali beni, e questo di per sé assicura loro una effettiva e adeguata tutela.

Si dissolve, in tal modo, la censura di irragionevolezza, poiché il subappalto non condivide con l’avvalimento la ratio della norma censurata, riferibile, per l’appunto, all’esigenza di tutelare i beni culturali, il che smentisce la similitudine rispetto al tertium comparationis.

Senza una giustificazione riconducibile alla protezione dei citati beni, non soltanto la mancanza del divieto di subappalto non contrasta con gli artt. 3 e 9 Cost., ma, al contrario, l’eventuale previsione del divieto di subappalto – come richiesto dal rimettente – potrebbe tradursi in una compressione del principio della concorrenza (si veda, in proposito, Corte di Giustizia, sentenze 27 novembre 2019, C-402/18, Tedeschi e 26 settembre 2019, C-63/18, Vitali), oltre che dell’autonomia privata, non priva di criticità.

9.– In conclusione, nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte, che non ravvisa una violazione del principio di eguaglianza quando «alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sentenza n. 85 del 2020)» (sentenza n. 71 del 2021), le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost., non sono fondate.

Cumulo alla rinfusa non applicabile per gli appalti nel settore dei beni culturali (art. 45 , art. 146 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 17.03.2022 n. 1950

9.1. Come noto il meccanismo del c.d. cumulo alla rinfusa non può operare negli appalti del settore dei beni culturali essendo necessario in tal caso che le imprese indicate come esecutrici siano autonomamente qualificate ad eseguire i lavori.
9.2. E’ l’art. 146 del d.lgs. n. 50/2016  ad escludere che nei contratti in materia di beni culturali i consorzi stabili possano qualificarsi con il meccanismo del cumulo alla rinfusa. Si tratta di norma di stretta interpretazione, non applicabile ad interventi diversi ma sicuramente derogatoria rispetto al sistema ordinario (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 22 gennaio 2021, n. 49).
9.3. E’ pertinente il richiamo, operato dal giudice di prime cure al precedente di questa Sezione (Consiglio di Stato sez. V, 16 gennaio 2019, n. 403) secondo cui “non è in discussione la generale operatività del “cumulo alla rinfusa” per i consorzi stabili di cui all’art. 45, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, che, quindi, ferma restando la possibilità di qualificarsi con i requisiti posseduti in proprio e direttamente, possono ricorrere anche alla sommatoria dei requisiti posseduti dalle singole imprese partecipanti, come chiarito ormai dall’art. 47, comma 2, dello stesso codice dei contratti pubblici (così Cons. Stato, V, 27 agosto 2018, n. 5057), ma la sua ammissibilità nella materia dei contratti nel settore di beni culturali, caratterizzati da una particolare delicatezza derivante dalla necessità di tutela dei medesimi, in quanto beni testimonianza avente valore di civiltà, espressione di un interesse altior nella gerarchia dei valori in giuoco (art. 9 Cost.)”.
9.4. Occorre tenere conto della specialità della disciplina riguardante i lavori nella materia dei beni culturali, in cui si richiede il possesso dei requisiti in capo all’impresa consorziata designata per eseguire i lavori. La finalità di tale disciplina è quella di evitare che l’intervento sui beni culturali sia effettuato da soggetti non qualificati, a prescindere dall’esistenza di un soggetto che se ne assuma la responsabilità nei confronti dell’Amministrazione. Si tratta di un profilo che attiene alla funzione di tutela dei beni culturali, che giustifica, sul piano della comparazione dei valori, anche una limitazione della regola della concorrenzialità, con il suo portato del favor partecipationis (Consiglio di Stato sez. V, 16 gennaio 2019, n. 403, cit.).

Concessione – Servizi aggiuntivi – Valorizzazione dei beni culturali alla luce del Decreto Semplificazioni

Consiglio di Stato, sez. V, 27.10.2020 n. 6549

La controversia presente riguarda l’affidamento in concessione dei servizi di biglietteria, bookshop e servizi di assistenza alla visita presso -Omissis-, e dunque enuclea una fattispecie di concessione integrata dei servizi aggiuntivi con servizi complementari, prevista dall’art. 117, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, e poi meglio specificata quale forma di “integrazione orizzontale” dall’art. 3, comma 5, d.m. 29 gennaio 2008 (modalità di affidamento a privati e di gestione integrata dei servizi aggiuntivi presso istituti e luoghi della cultura).
In tale contesto non è sostenibile la legittimità di una concessione integrata avente ad oggetto, come dalla tabella n. 1 dell’art. 3 del Disciplinare di gara, quale prestazione principale il servizio di biglietteria e i servizi di assistenza alla visita e quale prestazione secondaria il servizio di bookshop: il che però ha orientato la selezione verso tipologie di operatori non adeguatamente qualificati in materia di servizi aggiuntivi, vale a dire verso il preminente compito cognitivo di valorizzazione culturale, che è la ragione prima e comunque qualitativamente dominante di una tale complessa esternalizzazione.
Viene infatti, indebitamente, in tal modo operato, sul piano dei contenuti e dei requisiti di capacità dei soggetti aspiranti alla partecipazione alla gara, uno spostamento del baricentro della concessione, non compatibile con le rammentate finalità di valorizzazione culturale, cui è evidentemente estranea la stretta gestione dei servizi di biglietteria alla stregua di quanto esposto, ed anche del contenuto suo proprio, che consiste nelle «attività di emissione, distribuzione, vendita e verifica dei titoli di legittimazione all’ingresso degli istituti e luoghi della cultura […], nonché quelle di incasso e versamento degli introiti», secondo la definizione dell’art. 2, comma 1, d.m. 11 dicembre 1997, n. 507.
Contro questa praticata configurazione, la rilevanza preponderante dei servizi aggiuntivi rispetto a quello accessorio e strumentale di biglietteria è implicita anche nella lettera della norma, come mostra la circostanza che l’art. 117, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 prevede come mera possibilità quella della gestione in concessione integrata: la concessione è di suo formula propria dei soli servizi aggiuntivi, sì che questi ultimi, in caso di uso di tale strumento giuridico (che è modalità di gestione finalizzata alla valorizzazione), non possono divenire né formalmente, né sostanzialmente accessori (in termini Cons. Stato, V, 7 dicembre 2017, n. 5773).
L’inversione dell’ordinario (cioè stabilito dalla norma) rapporto di accessorietà, oltre a non garantire l’efficace perseguimento della funzione della valorizzazione culturale, incide anche sul profilo causale della concessione, tramutandola sostanzialmente – per la bilateralità che diviene dominante -in un appalto. Non appare dunque condivisibile, sul piano strettamente giuridico, l’assunto delle resistenti per cui entrambi i servizi risulterebbero in modo complementare funzionali alla valorizzazione del sito: e ciò a prescindere dalla prevalenza economica del servizio di biglietteria, che si vorrebbe dire comunque orientato alla valorizzazione dei musei, richiedendosi ai concorrenti di indicare una “infrastruttura informatica di supporto”.
Invero la concessione di servizi non ammette che il servizio di biglietteria, quand’anche caratterizzato da un maggiore volume di incassi, possa avere prevalenza funzionale, sì da precludere la partecipazione di soggetti attivi in servizi aggiuntivi di bookshop e di editoria (ma senza avere emesso biglietti per gli importi richiesti).

Tale è anche il senso della disposizione introdotta dall’art. 8, comma 7-bis, della legge 11 settembre 2020, n. 120, di conversione del d..l. 16 luglio 2020, n. 76 (“decreto legge semplificazioni”), che, in fine all’art. 117, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42 del 2004), oggetto di disamina, ha aggiunto i seguenti periodi : «Qualora l’affidamento dei servizi integrati abbia ad oggetto una concessione di servizi ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lett. vv), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, l’integrazione può essere realizzata anche indipendentemente dal rispettivo valore economico dei servizi considerati. E’ ammessa la stipulazione di contratti di appalto pubblico aventi ad oggetto uno o più servizi tra quelli di cui al comma 1 e uno o più tra i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria».
La norma, seppure non direttamente applicabile alla presente controversia ratione temporis, è invocata dalle resistenti per una pretesa portata ricognitiva: e se ne predica un’effettualità finalizzata ad ammettere l’affidamento integrato in concessione indipendentemente dal valore economico dei servizi, e dunque dalla necessità di applicare la disciplina sui contratti misti.
A bene considerare, tale opzione ermeneutica evidenzia la specialità della concessione di servizi in materia di beni culturali, idonea anche ad escludere un problema di compatibilità con i principi europei in materia di contratti pubblici; ma non ad infrangere il principio della necessaria prevalenza funzionale (non: economica) dei servizi per il pubblico rispetto a quelli complementari.
La regola non sembra posta in discussione neppure dall’affermazione della possibilità che l’integrazione tra i servizi (per il pubblico, da una parte, ed i servizi di pulizia, vigilanza, biglietteria, dall’altra parte) possa avvenire, anziché mediante la concessione, con il contratto di appalto pubblico (come analogamente introdotto all’art. 115 dello stesso d.lgs. n. 50 del 2016).
La soluzione, in ipotesi innovativa ma sistematicamente eccentrica, dell’utilizzazione dell’appalto in luogo della concessione potrebbe aprire notevoli problemi interpretativi: ma per le dette ragioni la disposizione, visto il suo carattere a tutto concedere innovativo, qui non rileva perché posteriore al caso.

Subappalto nel settore dei beni culturali: rimessione alla Corte Costituzionale (art. 105 , art. 146 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Campobasso, 17.10.2020 n. 278

Chiarito dunque che il ricorso al subappalto qualificatorio, da parte delle controinteressate è conforme alla normativa vigente e al disciplinare di gara, va scrutinata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli art. 105 e 146 del codice dei contratti pubblici- rispetto alle norme parametro di cui agli articoli 3 e 9 Cost. – nella parte in cui prevedono un trattamento differente tra avvalimento e subappalto nella materia dei beni culturali.
Sulla rilevanza della questione
La questione è rilevante in quanto:
– è decisiva ai fini di scrutinare le censure in ordine all’utilizzo del subappalto qualificatorio nella materia dei beni culturali, considerato che una dichiarazione di illegittimità costituzionale degli articoli 105 e 146 del codice degli appalti, laddove non prevedono un divieto di subappalto in tale materia, comporterebbe l’accoglimento del primo motivo di ricorso con conseguente annullamento degli atti impugnati;
– è incidente in maniera determinante sull’esito del giudizio, stante il rigetto di tutte le altre censure.
Sulla non manifesta infondatezza
Come enunciato nel punto n. 13 della presente ordinanza, il codice dei contratti pubblici, con riferimento alle lavorazioni relative ai beni culturali (articolo 146, comma 3), prevede un divieto di avvalimento, senza nulla disporre in ordine al subappalto.
La ragione del divieto del ricorso all’avvalimento nella specifica materia dei beni culturali va ravvisata nell’esigenza di assicurare che l’esecuzione dei lavori in tale delicato settore venga effettuata da un soggetto munito delle relative qualificazioni specialistiche, in ragione della particolare protezione che l’articolo 9 Cost. riserva a tali beni. Invero, già in sede di delega al Governo per l’emanazione del nuovo codice dei contratti pubblici, il legislatore fissava quale criterio direttivo il «riordino e semplificazione della normativa specifica in materia di contratti relativi a beni culturali, ivi inclusi quelli di sponsorizzazione, anche tenendo conto della particolare natura di quei beni e delle peculiarità delle tipologie degli interventi, prevedendo altresì modalità innovative per le procedure di appalto relative a lavori, servizi e forniture e di concessione di servizi, comunque nel rispetto delle disposizioni di tutela previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e garantendo la trasparenza e la pubblicità degli atti» (Cfr. legge 11/2016, co. 1, lett. o). Ed infatti, gli appalti che rientrano nel settore dei beni culturali di cui sopra sono disciplinati nella Parte II, Titolo VI, Capo III (artt. 145 e ss.) del d.lgs. 50/2016 “appalti nel settore dei beni culturali” nonché all’interno del relativo Regolamento “D.M. 22 agosto 2017”, n. 154 che stabilisce i requisiti di qualificazione che le imprese devono possedere per partecipare agli appalti pubblici di lavori rientranti in questa categoria.
Siffatta regolamentazione, teleologicamente orientata verso le citate finalità di tutela e valorizzazione dei beni culturali, prende le mosse dalla volontà di preservare e di ridurre al minimo i rischi di perdita o deterioramento del bene. Esigenze – queste – che trovano risposta nelle speciali norme dettate in tema di qualificazione, la cui ratio è quella di assicurare che interventi su tali beni siano eseguiti soltanto da soggetti aventi specifiche competenze ed esperienza nella materia.
A tal uopo, l’art. 146 del d.lgs. 50/2016, precisa al comma 1, “…per i lavori di cui al presente capo è richiesto il possesso di requisiti di qualificazione specifici e adeguati ad assicurare la tutela del bene oggetto di intervento”.
Strettamente correlato alla previsione da ultimo menzionata è poi il disposto del successivo comma 3, a mente del quale: “per i contratti di cui al presente capo, considerata la specificità del settore ai sensi dell’articolo 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, non trova applicazione l’istituto dell’avvalimento, di cui all’articolo 89 del presente codice”. Dunque, proprio l’esigenza di garantire un’adeguata tutela dei beni culturali induce il legislatore a sancire un assoluto divieto di avvalimento, ponendo così una netta deroga rispetto all’applicazione generalizzata dell’istituto richiesta dai principi comunitari.
Per converso, stando al tenore letterale delle disposizioni menzionate, si deve escludere l’esistenza di analogo divieto con riferimento al subappalto, in applicazione del noto criterio dell’ubi voluit dixit.
Allo scopo di valutare se il diverso trattamento tra appalto ed avvalimento nella specifica materia dei beni culturali debba considerarsi irragionevole sotto il profilo della tutela dei beni culturali, si rende necessario richiamare le funzioni, le analogie e le differenze dei due istituti, per poi focalizzarsi sul c.d. subappalto qualificatorio o necessario che è quello che viene in rilievo nel caso di specie.

A tal fine è opportuno riportare il contenuto degli articoli del codice dei contratti pubblici che regolano gli istituti in questione.
L’art. 105 del d.lgs. 50/2016, rubricato “subappalto”, per quel che interessa in questa sede prevede che: “I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto. Il contratto non può essere ceduto a pena di nullità, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 106, comma 1, lettera d). È ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo. 2. Il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare. Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. L’affidatario comunica alla stazione appaltante, prima dell’inizio della prestazione, per tutti i sub-contratti che non sono subappalti, stipulati per l’esecuzione dell’appalto, il nome del sub-contraente, l’importo del sub-contratto, l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati. Sono, altresì, comunicate alla stazione appaltante eventuali modifiche a tali informazioni avvenute nel corso del sub-contratto. È altresì fatto obbligo di acquisire nuova autorizzazione integrativa qualora l’oggetto del subappalto subisca variazioni e l’importo dello stesso sia incrementato nonché siano variati i requisiti di cui al comma 7”.
(…)
8. Il contraente principale è responsabile in via esclusiva nei confronti della stazione appaltante. L’aggiudicatario è responsabile in solido con il subappaltatore in relazione agli obblighi retributivi e contributivi, ai sensi dell’articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Nelle ipotesi di cui al comma 13, lettere a) e c), l’appaltatore è liberato dalla responsabilità solidale di cui al primo periodo”.

L’articolo 89, in materia di avvalimento, invece prevede che:
“1. L’operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all’articolo 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’articolo 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all’articolo 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. Per quanto riguarda i criteri relativi all’indicazione dei titoli di studio e professionali di cui all’allegato XVII, parte II, lettera f), o alle esperienze professionali pertinenti, gli operatori economici possono tuttavia avvalersi delle capacità di altri soggetti solo se questi ultimi eseguono direttamente i lavori o i servizi per cui tali capacità sono richieste. L’operatore economico che vuole avvalersi delle capacità di altri soggetti allega, oltre all’eventuale attestazione SOA dell’impresa ausiliaria, una dichiarazione sottoscritta dalla stessa attestante il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti generali di cui all’articolo 80, nonché il possesso dei requisiti tecnici e delle risorse oggetto di avvalimento. L’operatore economico dimostra alla stazione appaltante che disporrà dei mezzi necessari mediante presentazione di una dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appaltante a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente. Nel caso di dichiarazioni mendaci, ferma restando l’applicazione dell’articolo 80, comma 12, nei confronti dei sottoscrittori, la stazione appaltante esclude il concorrente e escute la garanzia. Il concorrente allega, altresì, alla domanda di partecipazione in originale o copia autentica il contratto in virtù del quale l’impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisiti e a mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto. A tal fine, il contratto di avvalimento contiene, a pena di nullità, la specificazione dei requisiti forniti e delle risorse messe a disposizione dall’impresa ausiliaria.
(…)
5. Il concorrente e l’impresa ausiliaria sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto. Gli obblighi previsti dalla normativa antimafia a carico del concorrente si applicano anche nei confronti del soggetto ausiliario, in ragione dell’importo dell’appalto posto a base di gara”.

Come risulta dal contenuto delle disposizioni citate, tanto l’avvalimento, quanto il subappalto rispondono alla medesima funzione di favorire la partecipazione delle imprese, soprattutto di quelle medie e piccole dimensioni, alle gare d’appalto, permettendo alle stesse di ottenere determinati requisiti di partecipazione (avvalimento) o di far svolgere ad una diversa impresa una quota delle prestazioni oggetto del contratto pubblico (subappalto).
Tali istituti, tuttavia, presentano divergenze di rilievo.
A livello operativo si differenziano, anzitutto, per il momento in cui vengono utilizzati:
– l’avvalimento si colloca nella fase di gara, perché permette ad un’impresa di ottenere requisiti per partecipare ad una procedura di gara per l’affidamento di un contratto pubblico;
– il subappalto, invece, si colloca nella fase esecutiva, cioè quando un’impresa, dopo aver vinto la gara, decide di far svolgere ad un’altra impresa una parte delle prestazioni oggetto dell’appalto.
In secondo luogo, differiscono per la responsabilità che assume l’impresa coinvolta nei confronti del committente pubblico rispetto alla corretta esecuzione dell’appalto:
– nell’avvalimento, l’ausiliaria, cioè l’impresa che presta i requisiti, è solidalmente responsabile con l’impresa che ha ricevuto il requisito;
– nel subappalto, il subappaltatore è un soggetto terzo rispetto alla stazione appaltante, avendo quest’ultima rapporti solo con l’affidatario del contratto pubblico, il quale è responsabile in via esclusiva dell’esecuzione dell’appalto.
Tali differenze operative si assottigliano notevolmente nell’ipotesi particolare del subappalto necessario, che è quello che viene in rilievo nel caso di specie.
Tale istituto, vale ricordarlo, ricorre nell’ipotesi in cui l’appaltatore difetta dei requisiti, ivi compresi quelli di qualificazione, necessari per la realizzazione della prestazione, sicché subappalta parte di lavori ad altra impresa che sia in possesso di tali requisiti. In altre parole, l’operatore economico che non potrebbe di per sé concorrere in quella data procedura, in quanto carente dei prescritti requisiti, viene ammesso a parteciparvi avvalendosi dello strumento del subappalto.
Si tratta di una figura eccentrica rispetto al tradizionale schema del subappalto, perché viene ad operare non solo nella fase esecutiva, ma sin dalla fase iniziale, di ammissibilità alla procedura e qualificazione del concorrente, al punto che, in assenza di una specifica disposizione normativa che lo disciplini, da alcuni si dubita della sua stessa percorribilità.
Tanto premesso in punto di ricostruzione degli istituti, si passa ora analizzare gli argomenti offerti dall’Amministrazione resistente e dalla -Omissis- a favore della manifesta infondatezza della censura di illegittimità costituzionale posta dal ricorrente.
Si sostiene, in particolare, che il diverso trattamento tra subappalto (consentito) e avvalimento (vietato) nella materia dei beni culturali sia del tutto logica e coerente, per la ragione che nel subappalto le lavorazioni sono eseguite dal subappaltatore e quindi da soggetto qualificato, mentre nel caso dell’avvalimento le prestazioni sono eseguite dall’ausiliato (privo di alcuna esperienza nel settore), limitandosi l’ausiliario a “prestare” la SOA senza concorrere in alcun modo alla esecuzione dei lavori.

Il Collegio non ritiene condivisibile tale ricostruzione, la quale non tiene nella dovuta considerazione la disciplina dell’avvalimento, che invece valorizza fortemente il ruolo dell’ausiliario in fase esecutiva, rendendo l’impresa ausiliaria co-partecipe e corresponsabile (insieme al concorrente, l’ausiliato) in tutto quanto sia necessario ad assicurare una corretta esecuzione della prestazione.
Ciò risulta in maniera inequivocabile dalla lettura delle seguenti disposizioni:
– “il concorrente e l’impresa ausiliaria sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto” (articolo 89, comma 6 del codice dei contratti pubblici);
– “l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati” (articolo 89, comma 8, codice dei contratti pubblici);
– “in relazione a ciascun affidamento la stazione appaltante esegue in corso d’esecuzione le verifiche sostanziali circa l’effettivo possesso dei requisiti e delle risorse oggetto dell’avvalimento da parte dell’impresa ausiliaria, nonché l’effettivo impiego delle risorse medesime nell’esecuzione dell’appalto. A tal fine il responsabile unico del procedimento accerta in corso d’opera che le prestazioni oggetto di contratto sono svolte direttamente dalle risorse umane e strumentali dell’impresa ausiliaria che il titolare del contratto utilizza in adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di avvalimento, pena la risoluzione del contratto di appalto” (articolo 89, comma 9).
Chiarito dunque che l’impresa ausiliaria, al pari di quella subappaltatrice, ha un ruolo decisivo nella fase esecutiva, e che quindi sotto tale profilo non appare giustificata la contestata diversità di disciplina, si deve evidenziare, al contrario, che sussistono una serie di argomenti che inducono a ritenere irragionevole la mancata previsione di limiti al ricorso al subappalto nella specifica materia dei beni culturali, a fronte di un espresso divieto di avvalimento nel medesimo settore. Tali argomenti possono essere sintetizzati come segue:
1) le minori garanzie normative che circondano il subappalto rispetto all’avvalimento. Difatti, mentre nel caso di avvalimento vi è una responsabilità solidale tra il concorrente e l’impresa ausiliaria nei confronti della stazione appaltante “in relazione alle prestazioni oggetto del contratto” (art. 89, co. 5 del d.lgs. 50/2016) e l’individuazione del soggetto di cui l’operatore economico intende avvalersi è nota ab origine alla stazione appaltante, ciò non avviene in caso di subappalto, in cui la responsabilità esclusiva dell’esecuzione dei lavori è del concorrente e in cui il subappaltatore è un soggetto che non è nemmeno noto, in fase di gara, alla stazione appaltante;
2) le ulteriori garanzie introdotte dalla giurisprudenza amministrativa nei confronti dell’istituto dell’avvalimento. Per ritenere valido il contratto di avvalimento, infatti, la giurisprudenza richiede all’impresa ausiliata di provare la relazione giuridica sussistente con l’impresa ausiliaria mediante uno specifico contratto di avvalimento, avente oggetto determinato, individuante in modo chiaro e specifico la volontà dell’impresa ausiliaria, la natura dell’impegno assunto, nonché l’effettiva disponibilità di porre a disposizione dell’impresa concorrente i requisiti richiesti (Cons. Stato, III, 3 maggio 2017, n. 2022; V, Cons. Stato 4 novembre 2016, n. 4630; nello stesso senso si è orientata la giurisprudenza con riguardo all’avvalimento dell’attestazione SOA, che pure viene rilasciata previa verifica della complessiva capacità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dell’impresa: Cons. Stato, V, 16 maggio 2017, n. 2316; 12 maggio 2017, n. 2226; 23 febbraio 2017, n. 852; 6 giugno 2016, n. 2384; 27 gennaio 2016 n. 264). L’indicazione contrattuale degli elementi in questione è, nella descritta prospettiva, necessaria per definire l’oggetto dell’avvalimento ai sensi dell’art. 1346 Cod. civ., donde la nullità (strutturale) del contratto medesimo in base alla comminatoria del successivo art. 1418, comma 2, laddove risulti impossibile individuare un’obbligazione assunta dall’ausiliario su un oggetto puntuale e che sia coercibile per l’aggiudicatario, oltre che per la stazione appaltante, in virtù della responsabilità solidale prevista dall’art. 49, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006 (da ultimo, Cons. Stato, n. 6651/2018 cit.). Le conclusioni che precedono sono assunte dalla giurisprudenza prevalente, nella quale è ricorrente l’affermazione che, nel caso di avvalimento c.d. “tecnico od operativo”, ovvero avente a oggetto requisiti diversi rispetto a quelli di capacità economico-finanziaria, sussiste sempre l’esigenza di una messa a disposizione in modo specifico di risorse determinate: onde è imposto alle parti di indicare con precisione i mezzi aziendali messi a disposizione dell’ausiliata per eseguire l’appalto (Cons Stato, V, 22 dicembre 2016, n. 5423; 28 febbraio 2018, n. 1216)» (Cfr. Cons. St., Sez. V, sent. 2243/2019);
3) le criticità e lo sfavore con cui giurisprudenza amministrativa guarda al subappalto: “il subappalto, confinato alla fase esecutiva dell’appalto e sottratto ai controlli amministrativi aventi sede nella procedura di gara: (i) si presta ad una possibile sostanziale elusione dei principi di aggiudicazione mediante gara e di incedibilità del contratto; (ii) costituisce un mezzo di possibile infiltrazione negli pubblici appalti della criminalità organizzata, la quale può sfruttare a suo vantaggio l’assenza di verifiche preliminari sull’identità dei subappaltatori proposti e sui requisiti di qualificazione generale e speciale di cui agli artt. 80 e 83 del d.lgs. n. 50 del 2016; (iii) conosce una prassi applicativa talora problematica, poiché la tendenza dell’appaltatore a ricavare il suo maggior lucro sulla parte del contratto affidata al subappaltatore (tendenzialmente estranea ad ingerenze della stazione appaltante) produce riflessi negativi sulla corretta esecuzione dell’appalto, sulla qualità delle prestazioni rese e sul rispetto della normativa imperativa in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro” (Cfr. Cons. St., Sez. III, ord. 10349 del 10.06.2020);
4) il rilievo che viene attribuito all’impresa ausiliaria in fase esecutiva, per le ragioni specificate in sede di analisi dell’articolo 89 c.p.a.
I profili di irragionevolezza segnalati sono ancora più evidenti nell’ipotesi, che viene in rilievo nel caso di specie, di c.d. subappalto qualificatorio, il quale, per un verso, presenta analogie fortissime con l’avvalimento, per l’altro, palesa criticità ancora maggiori rispetto al subappalto codicistico. Vale sul punto il richiamo a quanto osservato dall’ANAC: “il subappalto dell’intera prestazione o quasi, specie se necessario al fine di ottenere la qualificazione in gara (c.d. “subappalto necessario”), snaturerebbe il senso dell’affidamento al contraente principale, dovendosi in tal caso favorire – a fronte di un massiccio coinvolgimento di soggetti terzi – la partecipazione diretta alla gara da parte di tali soggetti, con assunzione della responsabilità solidale verso la stazione appaltante, analogamente a quanto avviene in altri istituti (ad esempio, nei raggruppamenti temporanei di impresa e nei consorzi ordinari, cfr. art. 48, comma 5, del Codice), atteso che il subappaltatore non ha alcun obbligo nei confronti della stazione appaltante (Cfr. atto di segnalazione ANAC n. 8 del 13 novembre 2019).
Chiarito che la mancata previsione di un divieto di subappalto nella specifica materia dei beni culturali appare irragionevole alla luce della diversa disciplina dell’avvalimento, in ciò manifestando profili di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 9 Cost., vale altresì precisare che non sussistono margini per fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina censurata. Difatti un’interpretazione che estenda le regole previste dall’articolo 146, comma 3, del codice dei contratti pubblici, in materia di avvalimento, al subappalto è preclusa dai principi generali sulla interpretazione delle leggi, che non consentono l’interpretazione analogica delle norme eccezionali, dovendosi riconoscere tale natura all’articolo 146, comma 3 del codice dei contratti pubblici, poiché tale norma introduce una deroga alla regola del ricorso generalizzato all’avvalimento in materia di appalti pubblici, in linea con principi europei che incentivano forme di aggregazione delle PMI ai fini della partecipazioni alle gare.
Si deve altresì precisare – al fine di escludere dubbi sulla possibile violazione degli articoli 11 e 117, comma 1, Cost. da parte della normativa che risulterebbe a seguito della prospettata pronuncia di illegittimità costituzionale – che non si rilevano profili di incompatibilità rispetto ai principi europei di favor partecipationis alle gare di appalto, secondo quanto stabilito dalle sentenze della Corte di Giustizia Europea (C-63/18) del 26/10/2019 e (C- n. 402/18) del 27/11/2019.
Difatti, tali pronunce, pur affermando che i principi europei impongono limiti al legislatore nazionale nel porre restrizioni all’utilizzo del subappalto, hanno fondato il proprio decisum sulla circostanza che la normativa impugnata in quei giudizi vietasse in modo generalizzato e astratto il ricorso al subappalto senza aver riguardo “al settore economico interessato”, alla “natura dei lavori” o alla “identità dei subappaltatori”. In altri termini ciò che è stato ritenuto non conforme rispetto alla Direttiva 2014/24 è la previsione di un limite quantitativo fisso al subappalto, sganciato dalle circostanze empiriche del caso concreto e non invece la previsione di limiti al ricorso al subappalto giustificati dalla esigenza di tutelare lavori che incidono su settori – quali è senz’altro quello dei beni culturali – che ricevono protezione anche a livello comunitario. Tale interpretazione, del resto appare in linea con l’art. 36 TFUE il quale prevede che: “Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale”.
Tale interpretazione peraltro è già stata condivisa dalla giurisprudenza amministrativa la quale ha avuto modo di chiarire che è “considerata contraria al diritto comunitario la previsione di un limite generale all’utilizzo di questo istituto che prescinda dal settore economico interessato, dalla natura delle prestazioni e dall’identità dei subappaltatori. L’affermazione di tale principio però non esclude che in casi specifici, con riferimento a determinate tipologie di appalto come quelle riguardanti le opere superspecialistiche, non possa essere giustificato un limite percentuale all’esperibilità del subappalto in relazione alla natura particolare delle prestazioni da svolgere, come prevede l’art. 63, paragrafo 2, della direttiva UE n. 2014/24” (Cfr. TAR Toscana, sent. 898/2020).

14. In ragione delle suesposte considerazioni, il Collegio ritiene necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione di legittimità costituzionale degli articoli 105 e 146 del codice dei contratti pubblici nella parte in cui non prevedono un divieto di subappalto nel settore dei beni culturali rispetto alle norme parametro di cui agli articoli 3 e 9 Cost.

Beni culturali – Consorzi stabili – Designazione consorziata esecutrice – Qualificazione – Mancanza – Principio del cumulo alla rinfusa – Inapplicabilità – Sostituzione – Inammissibilità (art. 45 , art. 47 , art. 146 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 16.01.2019 n. 403

Giova principiare dal parere dell’A.N.A.C., su cui si basa il provvedimento di esclusione, alla cui stregua “i consorzi stabili nell’ambito degli appalti nel settore dei beni culturali possono indicare quali esecutori delle opere i soli consorziati che siano in possesso (in proprio) delle qualificazioni richieste dalla lex specialis per l’esecuzione dei lavori oggetto di affidamento, anche in ragione di quanto stabilito dall’art. 146, comma 2, del Codice; inammissibile l’eventuale sostituzione delle consorziate esecutrici dal Consorzio … in sede di offerta poiché ciò costituirebbe una illegittima sanatoria ex post del difetto di un requisito di partecipazione, rappresentato nel caso di specie dalla qualificazione OG2 direttamente in capo agli operatori economici che eseguono le opere oggetto dell’appalto”.
Non è in discussione la generale operatività del “cumulo alla rinfusa” per i consorzi stabili di cui all’art. 45, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, che, quindi, ferma restando la possibilità di qualificarsi con i requisiti posseduti in proprio e direttamente, possono ricorrere anche alla sommatoria dei requisiti posseduti dalle singole imprese partecipanti, come chiarito ormai dall’art. 47, comma 2, dello stesso codice dei contratti pubblici (così Consiglio di  Stato, sez. V, 27.08.2018 n. 5057), ma la sua ammissibilità nella materia dei contratti nel settore di beni culturali, caratterizzati da una particolare delicatezza derivante dalla necessità di tutela dei medesimi, in quanto beni testimonianza avente valore di civiltà, espressione di un interesse altior nella gerarchia dei valori in giuoco (art. 9 Cost.).
L’esegesi sia letterale, che funzionale, dell’art. 146, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 induce la Sezione ad escludere che nei contratti in materia di beni culturali i consorzi stabili possano qualificarsi con il cumulo alla rinfusa, essendo richiesto dalla norma il possesso di requisiti di qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela del bene oggetto di intervento.
Ne deriva che legittimamente è stato escluso dalla procedura negoziata il Consorzio, in quanto le imprese consorziate designate per l’esecuzione erano pacificamente prive della qualificazione in OG2, a nulla rilevando il possesso dei medesimi da parte del Consorzio.
(…)
Rileva non tanto, ad avviso della Sezione, il comma 2 dell’art. 146 del d.lgs. n. 50 del 2016, che effettivamente sembra, in prospettiva, guardare all’utilizzazione, ai fini della qualificazione, dei lavori eseguiti, prevedendo che possa avvalersene solo il soggetto che li abbia in concreto realizzati, quanto piuttosto il primo comma che evidenzia il carattere strettamente inerente all’esecutore dei lavori del possesso dei requisiti di qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela dei beni oggetto di intervento, come dimostra anche il rinvio, seppure di portata parziale, prevalentemente esemplificativa, all’art. 29 del d.lgs. n. 42 del 2004, che, in tema di conservazione, momento della funzione di tutela dei beni culturali, enuclea il carattere professionale dei restauratori e degli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro. Rileva, come già in precedenza ricordato, anche il comma 3, che, nella misura in cui esclude, nella materia in esame, il ricorso ad un istituto di portata generale e di matrice eurounitaria, quale è l’avvalimento, e quindi al prestito dei requisiti, inevitabilmente va inteso come attribuzione di rilievo, ai fini della qualificazione, al profilo soggettivo dell’esecutore dei lavori. Al contrario, non assume valore la mancata prescrizione nella lex specialis, in quanto le cause di esclusione dalle gare previste dalla legge non devono essere riprodotte anche nella legge di gara; è vero piuttosto che il principio di tassatività delle cause di esclusione, attualmente sancito dall’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, dispone che i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal codice e da altre disposizioni di legge vigenti, incorrendo altrimenti nella sanzione della nullità.
(…)
Il Consorzio invoca l’applicazione dell’art. 47, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, ma non tiene conto della specialità della disciplina riguardante i lavori nella materia dei beni culturali, in cui si richiede il possesso dei requisiti in capo all’impresa consorziata designata per eseguire i lavori. Ciò in quanto la finalità di tale disciplina è quella di evitare che l’intervento sui beni culturali sia effettuato da soggetti non qualificati, a prescindere dall’esistenza di un soggetto che se ne assuma la responsabilità nei confronti dell’Amministrazione. Si tratta di un profilo che attiene alla funzione di tutela dei beni culturali, che giustifica, sul piano della comparazione dei valori, anche una limitazione della regola della concorrenzialità, con il suo portato del favor partecipationis.
(…)

Regolamento appalti per i lavori riguardanti i beni culturali tutelati (art. 146 d.lgs. n. 50/2016)

Con il Decreto 22.08.2017 n. 154, adottato dal Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, pubblicato sulla GURI n. 252 del 27.10.2017 è emanato il 

Regolamento concernente gli appalti pubblici di lavori riguardanti i beni culturali tutelati ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004 n. 42 

Entrata in vigore del provvedimento: 11.11.2017

Il Regolamento costituisce attuazione dell’art. 146 del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016.

CdS: parere sul Regolamento relativo ai lavori concernenti i beni culturali (art. 146 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, comm. spec., 30.01.2017 n. 263

Il Consiglio di Stato ha reso parere favorevole sul Regolamento governativo in merito alla disciplina di dettaglio degli appalti dei lavori concernenti beni culturali, in attuazione degli artt. 146 ss., d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50.
“Il Regolamento realizza un passo avanti verso l’obiettivo di un testo organico ed unitario per gli appalti dei beni culturali, che dev’essere ulteriormente perseguito – si legge nel parere – attraverso l’attuazione, se non contestuale, almeno coordinata, anche di altre parti del Codice relative ai beni culturali.
Nel parere favorevole allo schema di decreto, il Consiglio di Stato ha sottolineato anche l’opportunità di una disciplina ad hoc e ancora più snella per i lavori sotto i 40.000 euro. In tali casi, si dovrebbe consentire che il certificato di buon esito dei lavori possa essere rilasciato, oltre che dalla soprintendenza, anche dall’amministrazione aggiudicatrice.
Nel parere del Consiglio di Stato, inoltre, si esprime parere favorevole su una delle principali novità previste dallo schema di Regolamento, e cioè sulla “possibilità di omettere, in situazioni particolari, il progetto esecutivo e di affidare i lavori sulla base del progetto definitivo”, e si sottolinea che “per prevenire il contenzioso occorre validare definitivamente la scelta con previsioni ad hoc un sede di decreti correttivi al codice appalti”.