L’art. 38 comma 1, lett. f), del Codice degli Appalti 2006, applicabile ratione temporis (oggi art. 80 d.lgs. n. 50/2016) è posto dalla ricorrente alla base del primo e del secondo motivo di ricorso, sancisce, infatti, l’esclusione dalla partecipazione alle gare pubbliche per i soggetti i quali, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, abbiano commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dall’amministrazione che bandisce la gara, o che abbiano commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato attraverso qualsiasi mezzo probatorio.
La normativa in questione (emanata in attuazione dell’art. 45, c. 2, lett. d) della direttiva 2004/18/CE del 31.03.2004) si fonda sulla necessità di preservare l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della P.A. fin dal suo momento genetico, rimettendo alla stessa stazione appaltante “la individuazione del punto di rottura dell’affidamento nel futuro contraente, con valutazioni non pretestuose circa la valutazione degli elementi di fatto che possano erigersi alle ragioni della esclusione” (Cfr. Cassazione, Sezioni Unite, 17.2.2012, n. 2312).
Va altresì osservato che, nella prassi registratasi in materia, risulta valutabile, ai fini dell’operatività della norma in esame, ogni comportamento scorretto – in senso ampio- che incida sulla credibilità professionale dell’operatore economico, ricomprendendo, coerentemente alla normativa comunitaria presupposta, un’ampia gamma di ipotesi, così consentendo di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità (in termini, Consiglio di Stato, sez. V, 20.11.2015, n. 5299).
In ragione di ciò, il Collegio ritiene che la norma in questione codifichi un potere/dovere della stazione appaltante di valutare l’affidabilità del privato contraente.
Se è vero, infatti, che la P.A gode di un’ampia discrezionalità in ordine alle modalità di esercizio dei poteri di cui al citato art. 38 comma 1 lett. f), (fatti salvi, quindi, i limiti della manifesta irragionevolezza e, più in generale, dell’eccesso di potere nelle sue ulteriori declinazioni), è altrettanto vero che la stessa P.A è vincolata nell’an del suo esercizio, in presenza di fatti connotati da una significativa, palese ed oggettiva gravità, tali, cioè, da poter incidere sull’affidabilità della persona del contraente privato.
In tali situazioni, in conclusione, la P.A non può esimersi dall’esercitare il potere conferitole dalla legge a salvaguardia dell’interesse pubblico alla contrattazione con un soggetto affidabile.
La diversa interpretazione, infatti, cozzerebbe con il principio di parità di trattamento degli operatori economici, oltre che con lo spirito della disciplina comunitaria di cui il codice dei contratti costituisce attuazione. (…)
Per vero, le misure di self-cleaning rappresentano una conseguenza di precedenti condotte illecite e, in quanto tali, rispondono alla finalità di mantenere l’operatore economico sul mercato, ma non sono certamente idonee a sanare l’illiceità di condotte pregresse.
Ne consegue che tali misure, esplicitamente previste dalla legge come possibili indici di dissociazione rilevanti (…) [possono], piuttosto, rilevare solo per il futuro, in relazione, cioè, alle gare indette successivamente alla loro adozione (ex multis, TAR Roma, 02.03.2018 n. 2394; TAR Milano, 10.11.2017 n. 2123).
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