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Violazione obblighi dichiarativi e principio della fiducia (art. 2 d.lgs. 36/2023)

TAR Brescia, 20.01.2025 n. 34

Proprio l’omessa dichiarazione delle due risoluzioni contrattuali sembra aver assunto il maggior peso specifico nella decisione dell’amministrazione di escludere dalla gara l’operatore economico, venendo in considerazione una condotta “fuorviante” del concorrente “suscettibil(e) di influenzare le decisioni sull’esclusione”.
La concorrente ha dichiarato in gara soltanto le due pregresse risoluzioni contrattuali intervenute oltre il triennio antecedente all’indizione della gara in esame, e come tali non rilevanti ai fini dell’esclusione ai sensi dell’art. 96 comma 10 lett. c) del Codice Appalti; non ha invece dichiarato le due risoluzioni più recenti, entrambe intervenute nel corso del 2023, evidentemente confidando (o sperando) che la mancata (o non ancora intervenuta) annotazione delle stesse nel Casellario Informatico dell’ANAC impedisse alla stazione appaltante di averne cognizione: come invece si è poi verificato.
La violazione del preciso obbligo dichiarativo che incombeva sulla ricorrente in relazione alle predette circostanze è tale di per sé da connotare in termini di gravità la condotta dell’operatore economico, ai sensi del citato art. 96 comma 14, venendo in considerazione una condotta omissiva e fuorviante dell’operatore dolosamente preordinata ad influenzare il processo decisionale della stazione appaltante in merito alla sussistenza, o meno, dei requisiti di partecipazione dell’operatore, e quindi ad incidere oggettivamente sull’integrità e affidabilità di quest’ultimo; sicchè appare irrilevante che il provvedimento impugnato non contenga una espressa motivazione sul punto, essendo l’inaffidabilità dell’operatore resa evidente dalla condotta tenuta in gara, e ciò anche alla luce dei principi generali della fiducia e della buona fede sanciti dagli articoli 2 e 5 del nuovo Codice Appalti, che costituiscono obblighi comportamentali reciproci a carico sia delle stazioni appaltanti che degli operatori economici.

Teoria del “contagio” di un operatore economico : corretta applicazione

Consiglio di Stato, sez. V, 21.02.2023 n. 1786

Quanto poi alla dedotta erronea applicazione della “teoria del contagio”, che ad avviso dell’appellante neppure avrebbe un reale fondamento normativo, ritiene il Collegio di dover ribadire il principio – da ultimo, Cons. Stato, V, 22 aprile 2022, n. 3107 – secondo cui “Allorché una persona fisica, titolare di carica rilevante, sia coinvolta in procedimenti penali ma per condotte tenute nella qualità di organo di un operatore economico diverso da quello che partecipa alla gara o addirittura per conto proprio, la giurisprudenza risulta propensa ad adottare, a tale specifico riguardo, la teoria c.d. del “contagio”. In pratica la presenza stessa, in determinate cariche, di una persona fisica non dotata in sé della necessaria affidabilità/integrità, trasmetterebbe tale caratteristica all’operatore economico “per contagio”, ossia de facto e dunque prescindendo dalla tematica dell’imputazione degli atti”.
Nel caso in esame rilevano sia il rapporto di immedesimazione organica tra persona fisica e società, sia la posizione di controllo e vigilanza in capo ai soggetti indicati come rappresentanti legali del gruppo societario comprendente -OMISSIS- ed -OMISSIS- s.p.a.: in questi termini, va ritenuta corretta la conclusione cui perviene l’amministrazione, secondo cui “nella fattispecie tanto più rileva la partecipazione societaria in quanto “-OMISSIS- S.P.A.” risulta […] proprietario del 100% delle quote di “-OMISSIS- S.r.l.”, circostanza che rafforza la conclusione per cui se è vero che “la responsabilità penale riguarda le sole persone fisiche e non anche le imprese, ma che se realizzate da quegli esponenti di cui l’impresa si serve per operare sul mercato, incidono necessariamente sulla sua affidabilità” (Cons. Stato, V, 24 giugno 2020, n. 3507).

Sul numero massimo di pagine dell’ offerta tecnica

TAR Napoli, 05.01.2022 n. 78

La consolidata giurisprudenza ha da tempo chiarito che “la prescrizione sul numero massimo delle pagine della relazione tecnica allegata all’offerta deve essere interpretata cum grano salis”, dando rilievo, nella specie, alla circostanza che “le ipotetiche violazioni (un’eccedenza di tre o quattro pagine) non [avevano] in concreto determinato alcuna alterazione valutativa dell’offerta” (cfr. Cons. Stato, V, 21 giugno 2012, n. 3677).
In tale prospettiva, la prescrizione inerente al numero massimo di pagine, oltre a poter dar luogo a esclusione solo se espressamente previsto dalla lex specialis (cfr. Cons. Stato, V, 8 gennaio 2021, n. 298; 9 novembre 2020, n. 6857; 2 ottobre 2020, n. 5777), richiede, negli altri casi – in relazione alla valutazione dell’offerta -, un’apposita prova sull’effettiva rilevanza a fini valutativi, e cioè sul vantaggio conseguito da un concorrente in danno degli altri per effetto dell’eccedenza dimensionale dell’offerta (cfr. Cons. Stato, n. 6857 del 2020, cit.; V, 3 febbraio 2021, n. 999); a ciò si aggiunga, ai fini della stessa valutazione dell’eccedenza, la necessità di considerare i margini di discrezionalità eventualmente rimessi ai medesimi operatori economici su alcuni dei parametri redazionali laddove non puntualmente definiti dalla lex specialis (Cons. Stato, n. 5777 del 2020, cit.).
Si è anche osservato che “lo stralcio di una parte dell’offerta … rappresenta una vera e propria sanzione espulsiva, in contrasto con il divieto di aggravamento degli oneri procedimentali nonché con l’interesse della stessa Amministrazione a selezionare l’offerta migliore. Pertanto, (…), una tale clausola, ove interpretata nel senso che la mancata osservanza di un parametro solo formale, riferito ad una mera modalità redazionale di formulazione del testo, comporta l’esclusione dell’offerta indipendentemente dai suoi contenuti, è radicalmente nulla per violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione ma, prima ancora, per violazione del principio di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., potendo consentire ad un’offerta qualitativamente peggiore o maggiormente onerosa di prevalere sull’offerta migliore per motivi che nulla hanno a che fare con l’interesse pubblico alla tutela della salute dei pazienti del Servizio sanitario pubblico ed alla ottimale allocazione delle risorse pubbliche né con il rispetto della libertà d’iniziativa economica privata e di concorrenza ma solo alla “comodità” d’esame dell’amministrazione” (Cons. Stato, sez. III, 8 giugno 2021, n. 4371).

Riferimenti normativi: art. 83 d.lgs. n. 50/2016

Gravi illeciti professionali – Valutazione – Incidenza sui requisiti imprescindibili di integrità ed affidabilità del concorrente – Necessità (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 15.12.2021 n. 8360

Giova anzitutto rammentare che l’art. 80, comma 5, lettera c), del codice dei contratti, nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie, prevede l’esclusione dalla gara dell’operatore economico qualora “la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. Tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni; il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio; il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”.
Secondo la giurisprudenza richiamata dal tribunale (cfr., Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; id., 25 gennaio 2019, n. 591; 3 gennaio 2019, n. 72) l’individuazione tipologica dei gravi illeciti professionali ha carattere meramente esemplificativo, potendosi desumere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui sia accertata la contrarietà a un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa, se stimata idonea a metterne in dubbio l’integrità e l’affidabilità. Inoltre, può costituire “grave illecito professionale” tanto un singolo episodio di particolare rilievo, quanto una serie di inadempimenti reiterati.
E’ stato anche evidenziato che l’esistenza dei “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia l’integrità o affidabilità” dell’operatore economico è rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione, potendo perciò essere disposta l’esclusione dalla gara dell’operatore economico solo in presenza di tale concreto ed effettivo apprezzamento da parte della Stazione appaltante delle circostanze rilevanti ai fini della partecipazione alla gara, ma non per la mera omessa dichiarazione di siffatte circostanze.
Invero la violazione degli obblighi informativi discendenti dall’art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. 50/2016 intanto può comportare l’esclusione del concorrente reticente, in quanto essa sia stata valutata dalla stazione appaltante in termini di incidenza sulla permanenza degli imprescindibili requisiti di integrità ed affidabilità del concorrente stesso sì che “l’esclusione non è automatica, ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale della Stazione Appaltante, la quale potrà adottare la misura espulsiva una volta appurato, indipendentemente dalle modalità di acquisizione dei relativi elementi di fatto, che l’omissione dichiarativa abbia intaccato l’attendibilità professionale del singolo operatore economico, minando la relazione di fiducia venutasi a creare a seguito della partecipazione alla gara” (Cons. Stato, sez. V, 9 gennaio 2019, n. 196): in altri termini, venuta a conoscenza della mancata informativa, la stazione appaltante può escludere dalla gara il concorrente reticente solo dopo aver accertato, mediante il discrezionale apprezzamento di tutte le circostanze del caso, che l’omissione dichiarativa costituisca prova del fatto che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.
E’ stato altresì chiarito che “in tanto una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi palesemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono predicabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso» (v. Cons. Stato, sentenza n. 4316 del 2020)” (Cons. Stato, sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4937)
Va infatti conferita “determinatezza e concretezza” all’elemento normativo della fattispecie ovvero al carattere “dovuto” dell’informazione, al fine di “individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione”, fermo restando che nelle omissioni dichiarative certamente non può essere insito alcun automatismo escludente, in quanto l’esclusione postula sempre un “apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente” (Cons. Stato, ordinanza sez. V, 9 aprile 2020, n. 2332; IV, n. 4937/2020 cit.).
Del resto è appena il caso di rilevare che già prima della ricordata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 16/2020 l’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa era nel senso che “le omissioni assumono portata escludente non in sé, cioè come mero inadempimento al dovere di informazione, ma se e nella misura in cui siano anche state reputate rilevanti – sia nell’omissione in sé, che, necessariamente, rispetto al fatto omesso – da parte della stazione appaltante” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 8906; tra le tante, cfr. anche Cons. St., sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407; sez. V, 12 settembre 2019, n. 6157), sottolineando che “non rileva, ai fini della relativa verifica che le informazioni dovute siano state omesse in sede di gara (cfr. Cons Stato, V, 4 dicembre 2019, n. 8294 ed altre), tanto è vero che si tratta di omissione suscettibile di soccorso istruttorio (cfr. Cons. Stato, V, n. 7922/19)” (Cons. st., Sez. V, 18 marzo 2021, n. 2350).
L’Adunanza Plenaria con la citata sentenza n. 16 del 28 agosto 2020 ha ulteriormente ribadito che «l’esclusione per omissioni dichiarative del concorrente in relazione a reati c.d. “non ostativi” non può essere automatica», affermando che «La falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lett. c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50; in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo; alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico», così che in dette fattispecie (nelle quali non si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di cui alla lettera f-bis), considerati dalla lettera c) quali “gravi illeciti professionali” in grado di incidere sulla “integrità o affidabilità” dell’operatore economico, è sempre indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante.
Ha anche precisato che «Nel contesto di questa valutazione l’amministrazione dovrà pertanto stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità. Qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo».

Offerta tecnica – Pagine eccedenti rispetto al numero massimo – Violazione – Occorre prova su vantaggio conseguito dal concorrente (art. 83 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 15.06.2021 n. 4635

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che “la prescrizione sul numero massimo delle pagine della relazione tecnica allegata all’offerta deve essere interpretata cum granu salis”, e ha dato rilievo nella specie alla circostanza che “le ipotetiche violazioni (un’eccedenza di tre o quattro pagine) non [avevano] in concreto determinato alcuna alterazione valutativa dell’offerta” (Cons. Stato, V, 21 giugno 2012, n. 3677).
In tale prospettiva, la prescrizione inerente al numero massimo di pagine, oltre a poter dar luogo a esclusione solo se espressamente previsto dalla lex specialis (Cons. Stato, V, 8 gennaio 2021, n. 298; 9 novembre 2020, n. 6857; 2 ottobre 2020, n. 5777), richiede negli altri casi – in relazione alla valutazione dell’offerta – un’apposita prova sull’effettiva rilevanza a fini valutativi, e cioè sul vantaggio conseguito da un concorrente in danno degli altri per effetto dell’eccedenza dimensionale dell’offerta (Cons. Stato, n. 6857 del 2020, cit.; V, 3 febbraio 2021, n. 999); a ciò si aggiunga, ai fini della stessa valutazione dell’eccedenza, la necessità di considerare i margini di discrezionalità eventualmente rimessi ai medesimi operatori economici su alcuni dei parametri redazionali laddove non puntualmente definiti dalla lex specialis (Cons. Stato, n. 5777 del 2020, cit.).

[rif. art. 83 d.lgs. n. 50/2016)

Dispositivi medici – Marcatura CE – Mancata dichiarazione requisiti – Esclusione – Illegittimità (art. 68 , art. 69 , art. 80 , art. 83 d.lgs. n. 50/2016)

TRGA Trento, 21.11.2018 n. 259

E’ illegittima l’esclusione (art. 80, d.lgs. n. 50/2016) da una procedura d’appalto di fornitura di dispositivi medici disposta per mancata dichiarazione di requisiti che si devono presumere certificati dalla marchiatura CE (art. 68, art. 69, d.lgs. n. 50/2016).
Nel caso in cui un dispositivo medico recante la marcatura CE ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 46 del 1997, ancorché installato e utilizzato correttamente secondo la sua destinazione e oggetto di manutenzione regolare, possa compromettere la salute e la sicurezza dei pazienti, degli utilizzatori o di terzi, il rimedio non può essere quello individuato dalla Stazione appaltante, ossia imporre ai soggetti che partecipano ad una gara, in aggiunta all’obbligo di comprovare la conformità del prodotto offerto alla normativa di settore, anche l’obbligo di dichiarare che il prodotto possiede ulteriori requisiti (art. 83, d.lgs. n. 50/2016)
Tale rimedio è infatti costituito dalla procedura di salvaguardia di cui all’art. 7 del citato d.lgs. n. 46 del 1997 (che recepisce l’art. 8 della direttiva 93/42/CEE), in base al quale il Ministero della salute dispone il ritiro dal mercato del dispositivo pericoloso e ne vieta o limita l’immissione in commercio o la messa in servizio, informando contestualmente il Ministero dello sviluppo economico e la Commissione delle Comunità europee (in tal senso anche la Corte di Giustizia UE nella sentenza n. 6 del 2007, secondo cui i dispositivi medici, “una volta che siano conformi alle norme armonizzate e certificati seguendo le procedure previste da tale direttiva, devono presumersi conformi ai summenzionati requisiti essenziali e, di conseguenza, devono essere considerati adeguati all’uso cui sono destinati”).

PER SAPERNE DI PIU’→ 

1) Avvalimento – Dichiarazioni mendaci – Sostituzione dell’impresa ausiliaria – Inapplicabilità; 2) Sentenze di condanna rilevanti quale causa di esclusione o quale illecito professionale – Differenze – Efficacia temporale – Effetti espulsivi ed effetti informativi (art. 80 , art. 89 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 19.11.2018 n. 6529

1) Va rilevato che l’art. 80, comma 5, lett. f-bis, del d.lgs. n. 50 del 2016 prevede quale causa di esclusione dalla gara l’ipotesi in cui «l’operatore economico […] presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere».
Con riferimento alla fattispecie dell’avvalimento, che qui viene in rilievo, l’art. 89, comma 1, dello stesso corpus normativo, dopo avere disposto che l’operatore economico avvalentesi delle capacità di altri soggetti è tenuto ad allegare una dichiarazione sottoscritta dalla impresa ausiliaria attestante il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti generali di cui all’art. 80, aggiunge che «nel caso di dichiarazioni mendaci […] la stazione appaltante esclude il concorrente e escute la garanzia».
Dal combinato disposto di queste norme contenute nel codice dei contratti pubblici emerge dunque inequivocabilmente che la dichiarazione mendace presentata dall’operatore economico, anche con riguardo alla posizione dell’impresa ausiliaria, comporta l’esclusione dalla gara.
La sentenza impugnata, pur rilevando il carattere non veritiero della dichiarazione, ha ritenuto che il precedente penale non influisca sulla moralità professionale dell’impresa ausiliaria riferendosi ad un reato di scarsa rilevanza, sanzionato nel 2011 (per fatti risalenti al 2008), precedente alla indizione della gara ed anche alla costituzione della società, avvenuta nel 2012.
La dichiarazione non veritiera è però sanzionata dalla norma in linea generale, in quanto circostanza che rileva nella prospettiva dell’affidabilità del futuro contraente, a prescindere da considerazioni su fondatezza, gravità e pertinenza degli episodi non dichiarati.
La sanzione della reticenza è funzionale all’affermazione dei principi di lealtà ed affidabilità, in una parola, della correttezza dell’aspirante contraente, che permea la procedura di formazione dei contratti pubblici ed i rapporti con la stazione appaltante, come indirettamente inferibile anche dall’art. 30, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016.
Nella fattispecie in esame la dichiarazione relativa alle condanne penali non è mendace sotto il profilo dell’obbligo dichiarativo delle condanne penali definitive in sè, in quanto, anche a prescindere dal perimetro temporale di rilevanza giuridica desumibile dal comma 10 dell’art. 80, quella oggetto di controversia non rientra proprio tra le condanne espressamente contemplate dal comma primo dello stesso art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016. (…)
La condanna assume peraltro rilievo in quanto espressione di “grave illecito professionale” ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016, dovendosi intendere tale qualsiasi condotta legata all’esercizio dell’attività professionale, contraria a un obbligo giuridico di carattere civile, penale ed amministrativo (così Consiglio di Stato, sez. III, 05.09.2017 n. 4192). In particolare, emerge il valore della condanna alla stregua di grave illecito professionale in senso stretto, trattandosi di un reato ambientale che può astrattamente mettere in dubbio la integrità od affidabilità dell’operatore, ed inoltre la sua mancata dichiarazione costituiva elemento suscettibile di influenzare l’esclusione, la selezione, ovvero l’aggiudicazione, connotandosi più propriamente in termini di scorrettezza procedimentale.
Di qui la configurabilità dell’obbligo dichiarativo della condanna ed il contenuto non veritiero della dichiarazione resa dall’impresa ausiliaria (…).

Non è invece persuasivo l’argomento defensionale (…) nella considerazione che, in ogni caso, ove l’ausiliaria si trovasse in una delle cause di esclusione di cui all’art. 80, la conseguenza sarebbe quella della sostituzione della medesima, come inferibile dall’art. 89, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016, e non già dell’esclusione dell’operatore aggiudicatario. A prescindere se la riproposizione di tale assunto richiedesse l’impugnazione incidentale, osserva la Sezione come correttamente la sentenza di primo grado abbia affermato che l’art. 89, comma 3, non trova applicazione in caso di attestazione mendace sul possesso dei requisiti ex art. 80 da parte dell’impresa ausiliaria, stante il rapporto di specialità con il primo comma dello stesso art. 89, che prevede espressamente l’esclusione del concorrente in caso di dichiarazioni mendaci provenienti dall’impresa ausiliaria.

2) Sotto il profilo degli effetti, è diverso l’obbligo di dichiarare sentenze penali di condanna rientranti tra quelle previste dall’art. 80, comma 1, ovvero rilevanti ai sensi del successivo comma 5, lett. c); nel primo caso l’esclusione è atto vincolato in quanto discendente direttamente dalla legge, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), la valutazione è rimessa alla stazione appaltante (fermo restando che, nella prospettiva della norma da ultimo indicata, l’operatore economico non può valutare autonomamente la rilevanza dei precedenti penali da comunicare alla stazione appaltante, poiché questa deve essere libera di ponderare discrezionalmente la sua idoneità come causa di esclusione).
Tale diversità di effetti (espulsivi in un caso, meramente informativi, con finalità preistruttoria nell’altro) giustifica anche, pur nella difficile ermeneusi del comma 10 dell’art. 80, perché solo nel primo caso l’ordinamento attribuisca un’efficacia temporale alla sentenza definitiva di condanna.

Informativa interdittiva antimafia – Presupposti – Sufficiente anche un solo dipendente “infiltrato” (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. III, 14.09.2018 n. 5410

Il condizionamento mafioso, che porta all’interdittiva (art. 80 d.lgs. n. 50/2016), può derivare dalla presenza di soggetti che non svolgono ruoli apicali all’interno della società, ma siano o figurino come meri dipendenti, entrati a far parte dell’impresa senza alcun criterio selettivo e filtri preventivi; il condizionamento mafioso si può desumere anche dalla presenza di un solo dipendente “infiltrato”, del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa, nonché dall’assunzione o dalla presenza di dipendenti aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, nonostante non ermergano specifici riscontri oggetti sull’influenza nelle scelte dell’impresa; le imprese possono effettuare liberamente le assunzioni quando non intendono avere rapporto con le pubbliche amministrazioni: ove intendano avere, invece, tali rapporti devono vigilare affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti contigui al mondo della criminalità organizzata.
L’interdittiva antimafia è volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione: l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge. Ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri. E’ estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né – tanto meno – occorre l’accertamento di responsabilità penali, quali il «concorso esterno» o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante. Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso; pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
Ha aggiunto la Sezione che quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l’Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del «più probabile che non», che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia.
Nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una «influenza reciproca» di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza; una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della ‘famiglia’, sicché in una ‘famiglia’ mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l’influenza del ‘capofamiglia’ e dell’associazione.

fonte: sito G.A.

Sanzione AGCM – Condotta anticoncorrenziale – Gravi illeciti professionali – Causa di esclusione non contestata, ovvero confermata all’esito di un giudizio – Compatibilità comunitaria (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Brescia, 12.09.2018 n. 352
Per quanto riguarda la sanzione dell’AGCM, la partecipazione a intese anticoncorrenziali può essere assimilata al grave errore professionale, e dunque costituisce causa di esclusione ex art. 80 comma 5, lett. c del d.lgs. 50/2016. Le sanzioni dell’Autorità rientrano tra le “altre sanzioni” previste dalla suddetta norma, e sono escludenti se non impugnate, o una volta passata in giudicato la sentenza che accerta la condotta anticoncorrenziale. Dopo un certo periodo, la riprovazione espressa dalla sanzione può essere bilanciata dalla buona condotta mantenuta dall’impresa sul mercato (Nello specifico, la sentenza che riconosce la condotta anticoncorrenziale è stata appellata, e dunque, secondo il TAR, non è utilizzabile ai fini dell’esclusione).

TAR Roma, 11.09.2018 n. 9263
A proposito della causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c, d.lgs. n. 50/2016 è stato recentemente osservato – sulla scorta di quanto rilevato dall’ordinanza n. 5033 del 23 agosto 2018 del Consiglio di Stato (che ha rimesso la norma alla valutazione di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea da parte della Corte di Giustizia) – che il legislatore nazionale, nel richiedere che il grave inadempimento dell’operatore sia incontestata o incontestabile in giudizio, si è posto in contrasto con l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici e con il Considerando 101 della medesima Direttiva, che “ritengono di consentire l’esclusione dell’operatore economico se la stazione appaltante è in condizione di dimostrare la sussistenza di un grave illecito professionale «anche prima che sia adottata una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori»”. Infatti, secondo la citata ordinanza, “Se obiettivo del legislatore nazionale è di alleggerire l’onere probatorio a carico dell’amministrazione per rendere più efficiente l’azione amministrativa attraverso l’elencazione di casi in cui è possibile escludere l’operatore economico (come in Consiglio di Stato, 2 marzo 2018 n. 1299), lo strumento non appare adeguato: l’azione amministrativa è, nei sensi detti, di fatto arrestata dall’instaurazione di altro giudizio in cui è contestato il grave illecito professionale. (…) In questo senso, del resto, si comprende il richiamo alla responsabilità dell’amministrazione per una sua eventuale decisione erronea. (…) La conseguenza è la necessaria subordinazione dell’azione amministrativa agli esiti del giudizio. Ciò è astrattamente possibile, essendo comprensibile che la scelta dell’amministrazione sia vincolata agli esiti di un giudizio, ma appare non compatibile con i tempi effettivi dell’azione amministrativa in relazione alle finalità di interesse generale del settore, vale a dire l’utile realizzazione delle opere o acquisizione dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni”.

Manifestazione di interesse dello stesso Operatore Economico in diverse forme: va escluso?

Ai sensi dell’art. 48, comma 7, D.Lgs. n. 50/2016, è fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in più di un raggruppamento temporaneo o consorzio ordinario di concorrenti, ovvero di partecipare alla gara anche in forma individuale qualora abbia partecipato alla gara medesima in raggruppamento o consorzio ordinario di concorrenti.
La contemporanea manifestazione d’interesse di soggetti tra loro incompatibili, o meglio del medesimo soggetto in forme diverse, integra, su un piano logico, la fattispecie che la norma in questione ha voluto scongiurare, rompendo l’equilibrio tra gli operatori economici interessati all’aggiudicazione dell’appalto che viene in rilievo. Infatti le diverse manifestazioni di interesse dello stesso soggetto, seppur strutturato in diverse forme (ditta individuale e consorziato – nonché esecutore dei lavori – di un consorzio) determinano quanto meno l’aumento delle probabilità – rispetto agli altri soggetti che hanno inoltrato manifestazione d’interesse – di essere sorteggiati per la partecipazione alla gara successiva, con evidente lesione del principio di parità di trattamento tra i diversi soggetti interessati allo svolgimento dell’appalto (da ultimo, TAR Palermo, 27.06.2018 n. 1437). 

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    Gravi illeciti professionali – Comportamenti e condotte valutabili – Rinvio a giudizio – Sufficienza (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Napoli, 26.06.2018 n. 4271

    I più recenti arresti giurisprudenziali in materia, come ammesso anche dalla ricorrente, depongono nel senso che – anche al di là dei casi in cui ricorra una fattispecie tipizzata dall’art. 80, comma 5, lett. c, d.lgs. n. 50/2016 (illecito professionale che abbia dato luogo ad una risoluzione o ad altra sanzione giudizialmente “confermata”) – residua in capo alla S.A. il potere di operare una valutazione discrezionale sulla gravità dell’illecito, fornendo adeguata motivazione sulla incidenza dell’inadempimento sull’affidabilità del concorrente.
    In tal senso si è espresso il Consiglio di Stato (in relazione a fattispecie in cui l’esclusione era stata motivata in base a “mere” negligenze poste in essere dal concorrente in ordine alle quali sussisteva “una situazione di conflittualità e di reciproche contestazioni”, ma difettavano gli effetti legali tipici escludenti previsti dall’art. 80) che ha statuito quanto segue: – “l’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella lettera c) del comma 5 dell’art. 80 è meramente esemplificativa, per come è fatto palese sia dalla possibilità della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione <<con mezzi adeguati>>, sia dall’incipit del secondo inciso (<<Tra questi (id est, gravi illeciti professionali) rientrano: […]>>) che precede l’elencazione; – quest’ultima, oltre ad individuare, a titolo esemplificativo, gravi illeciti professionali rilevanti, ha anche lo scopo di alleggerire l’onere della stazione appaltante di fornirne la dimostrazione con <<mezzi adeguati>>;[..omissis ..]– né le linee guida né il parere citato [ parere 3 novembre 2016, col n. 2286, n.d.r.] (e neanche il successivo, reso da questo Consiglio di Stato il 25 settembre 2017, n. 2042/2017) smentiscono l’interpretazione sopra enunciata, per la quale il pregresso inadempimento rileva a fini escludenti, qualora assurga al rango di <<grave illecito professionale>>, tale da rendere dubbia l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico, anche se non abbia prodotto gli effetti risolutivi, risarcitori o sanzionatori tipizzati. Pertanto, è rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante la valutazione della portata di pregressi inadempimenti che non abbiano (o non abbiano ancora) prodotto questi effetti specifici; in tale eventualità, però, i correlati oneri di prova e di motivazione sono ben più rigorosi ed impegnativi rispetto alle ipotesi esemplificate nel testo di legge e nelle linee guida” (Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 1299 del 2.3.2018 e sent. 3592 dell’11.6.2018; vedasi anche T.A.R. Lazio, sez. III, 8.3.2018 n. 2668, TAR Campania, sez. I, 11.42018 n. 2390, Sez. VIII, 5.6.2018, n. 3691 e, 18.6.2018, n. 4015).
    Analogamente, le Linee Guida n. 6 dell’Anac, già nel testo precedente l’aggiornamento operato col provvedimento dell’11 ottobre 2017, prevedevano che: a) «rilevano quali cause di esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 5, lettera c) del codice gli illeciti professionali gravi tali da rendere dubbia l’integrità del concorrente, intesa come moralità professionale, o la sua affidabilità, intesa come reale capacità tecnico professionale, nello svolgimento dell’attività oggetto di affidamento» (2.1.); b) «al ricorrere dei presupposti di cui al punto 2.1, la stazione appaltante deve valutare, ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente, i comportamenti idonei ad alterare illecitamente la par condicio tra i concorrenti oppure in qualsiasi modo finalizzati al soddisfacimento illecito di interessi personali in danno dell’amministrazione aggiudicatrice o di altri partecipanti, posti in essere, volontariamente e consapevolmente dal concorrente» (2.1.2.1.); c) «rilevano, a titolo esemplificativo: 1. quanto all’ipotesi legale del «tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante», gli atti idonei diretti in modo non equivoco a influenzare le decisioni della stazione appaltante in ordine: 1.1 alla valutazione del possesso dei requisiti di partecipazione; 1.2 all’adozione di provvedimenti di esclusione; 1.3 all’attribuzione dei punteggi» (2.1.2.2.); d) «nei casi più gravi, i gravi illeciti professionali posti in essere nel corso della procedura di gara possono configurare i reati di cui agli articoli 353, 353-bis e 354 del codice penale. Pertanto, al ricorrere dei presupposti previsti al punto 2.1, la stazione appaltante deve valutare, ai fini dell’eventuale esclusione del concorrente, i provvedimenti di condanna non definitivi per i reati su richiamati. I provvedimenti di condanna definitivi per detti reati configurano, invece, la causa di esclusione prevista dall’art. 80, comma 1, lettera a) del codice» (2.1.2.5.).
    Dal quadro normativo si desume che l’illecito professionale deve essere posto in essere dal concorrente e va valutato globalmente con riguardo alla posizione e agli interessi di questo (T.A.R. Lazio, sez. III, sent. n. 2668/2018, cit.).

    Alla luce di queste premesse, è stato ritenuto legittimo il provvedimento di esclusione dalla gara della società ricorrente in quanto la Commissione ha ritenuto di attribuire rilevanza al decreto di rinvio a giudizio emesso da una Procura della Repubblica per fatti non determinati e riconducibili agli illeciti professionali gravi (ex. Art 353 c.p., Tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante Comune di Sorrento), tenuto conto che tale situazione è congiunta all’ulteriore rilevante circostanza che la gara di cui trattasi concernente l’affidamento del medesimo servizio a cui si riferisce il decreto di rinvio a giudizio, ed è indetta dalla medesima stazione appaltante.
    Se ne desume che l’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione si appunta sui comportamenti univocamente idonei, tali da non richiedere, secondo i principi sopra esposti e ritenuti applicabili alla vicenda in esame, a monte l’accertamento mediante un provvedimento giudiziale definitivo.
    Deve ritenersi ragionevole la valutazione compiuta dalla stazione appaltante in ordine all’esistenza, per la nuova gara, di un illecito professionale escludente collegato alle condotte serbate da soggetti appartenenti alle compagini sociali riferite allo svolgimento del medesimo servizio oggetto della gara in questione.
    I fatti riferiti, che coinvolgono tra gli altri l’amministratore delegato e il legale rappresentante delle cooperativa, sono stati ritenuti idonei a configurare l’ulteriore ipotesi non elencata dall’art. 80 comma 5 d. lgs. 50/2016, in quanto in grado di incidere negativamente sulla integrità e/o affidabilità del concorrente in rapporto allo specifico contratto da affidare.
    Nell’economia funzionale della previsione e in assenza di puntuali indici normativi contrari, i comportamenti valutabili in termini di illecito professionale non possono essere ristretti soltanto a quelli posti in essere in occasione della gara de qua, ben potendo invece – come nel caso di specie – essere valutate come sintomatiche della mancanza di integrità e affidabilità anche condotte violative della trasparenza poste in essere con riguardo a identico precedente servizio svolto dalla società cooperativa ricorrente nei confronti del medesimo Comune.

    Contributo ANAC – Omesso versamento – Conseguenze (art. 83 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Roma, 01.06.2018 n. 6148

    a) fatte salve le ipotesi in cui la lex specialis preveda una espressa comminatoria di esclusione, l’omesso versamento del contributo ANAC non comporta in linea di principio l’estromissione dalla gara;
    b) ciò anche in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (cfr. sentenza 2 giugno 2016, C 27/15) nella parte in cui è stato affermato “che i principi di tutela del legittimo affidamento, certezza del diritto e proporzionalità ostano ad una regola dell’ordinamento di uno Stato membro che consenta di escludere da una procedura di affidamento di un contratto pubblico l’operatore economico non avvedutosi di una simile conseguenza, perché non espressamente indicata dagli atti di gara”;
    c) di conseguenza, in presenza di una siffatta omissione ben dovrebbe innescarsi il meccanismo del soccorso istruttorio di cui all’art. 83, comma 9, del decreto legislativo n. 50 del 2016, trattandosi di adempimento (si ripete: versamento contributo ANAC) sicuramente estraneo all’alveo dell’offerta economica e di quella tecnica: di qui la possibile regolarizzazione della connessa posizione da parte dell’impresa partecipante.

    Sul punto si è di recente pronunciato anche il Consiglio di Stato, sez. V, 19 aprile 2018, n. 2386, puntualmente riportata su questo sito con disamina di possibili contrasti con il Bando tipo n. 1, nonchè diverse decisioni di primo grado (cfr. TAR Lazio, sez. III bis, 6 novembre 2017, n. 11031; TAR Bari, sez. III, 4 dicembre 2017, n. 1240; TAR Veneto, sez. I, 15 giugno 2017, n. 563).

    Poiché nel caso di specie la suddetta esclusione è stata disposta proprio per il mancato versamento del contributo di cui all’art. 1, comma 67, della legge n. 266 del 2005, ed appurato che la disciplina di gara non prevedeva in modo espresso l’esclusione per il caso di mancato versamento di tale somma, la gravata estromissione dalla gara della ricorrente è stata reputata come illegittima.

    Offerta tecnica – Limite dimensionale (pagine) – Superamento – Conseguenze (art. 83 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Bologna, 31.05.2018 n. 435

    Va richiamato in proposito il principio di tassatività delle cause di esclusione (art. 83 d.lgs. n. 50/2016), tra le quali non è previsto il superamento di limiti dimensionali in senso materiale dell’offerta stessa; limiti dimensionali che non sono imposti da alcuna disposizione di legge o regolamento, come precisato da Consiglio di Stato, V, n. 5123/2014, secondo cui, in assenza di disposizioni di tal fatta, l’impresa può presentare un atto avente il numero delle pagine che ritenga più opportuno. La decisione richiamata stabilisce che una tale modalità di redazione del proprio scritto può ritardare o intralciare il buon andamento dell’azione amministrativa ed è per questo che, in linea di principio, si può ritenere legittimo un bando di gara che – per non appesantire oltremodo i lavori della commissione – limiti il numero delle pagine della relazione tecnica da presentare. Il bando può, invero, prevedere il numero massimo delle pagine a pena di esclusione (salvo il sindacato del giudice amministrativo, ove una tale limitazione risulti manifestamente incongrua, in rapporto al valore della gara ed alla complessità delle questioni da affrontare), così come può non prevedere una automatica esclusione, attribuendo così, almeno implicitamente, alla commissione il potere di valutare la relazione tecnica, e di attribuire conseguentemente i punteggi, non solo sulla base del suo intrinseco contenuto sostanziale, ma anche della sua mole e della sua chiarezza espositiva. Infatti, può essere un pregio della relazione tecnica proprio la manifestata dote di sintesi, che evidenzi con immediatezza (se del caso rinviando ad allegati) i suoi punti caratterizzanti.
    Tale pregio può comportare una valutazione positiva, dunque, sotto un duplice profilo e cioè sia in ordine alla maggiore efficacia persuasiva o descrittiva dello scritto sintetico, sia in ordine al buon andamento dei lavori dell’organo amministrativo.
    In altri termini, in assenza di una disposizione normativa o di una espressa previsione del bando che preveda espressamente la esclusione, la relazione tecnica può essere formulata come meglio ritenga l’offerente, il quale ha però tutto l’interesse a presentare una offerta che possa conseguire un consistente punteggio non solo per la chiarezza delle questioni segnalate e affrontate ovvero per la qualità delle soluzioni proposte, ma anche per la sinteticità dello scritto, che di per sé ne valorizza il contenuto.
    Rientra poi nell’ambito dei poteri tecnico – discrezionali della commissione verificare se lo scritto vada considerato prolisso e inutilmente ripetitivo di concetti (e dunque meritevole di conseguire un basso punteggio), ovvero valutare se la lunghezza dell’esposizione non abbia intralciato i lavori ed abbia contribuito a chiarire aspetti effettivamente meritevoli di trattazione.

    (Nel caso di specie, la legge di gara non prevedeva una specifica comminatoria di esclusione e la stessa relazione tecnica, recante n. 27 pagine in luogo delle 20 prescritte dal disciplinare, conteneva diverse illustrazioni grafiche al netto delle quali il suo contenuto in termini di caratteri risulta essere, in ogni caso, in linea di massima corrispondente all’obiettivo delle venti pagine stabilito dal medesimo disciplinare).

    Le superiori considerazioni inducono a disattendere anche la doglianza con la quale parte ricorrente ritiene che all’offerta tecnica della controinteressata avrebbe dovuto essere attribuito un punteggio pari a zero in ragione delle violazioni dimensionali della relazione di cui si è detto e comunque avrebbe dovuto essere valutata omettendo le pagine non ammesse. Sul punto è sufficiente osservare che nessuna disposizione della lex specialis prevede una siffatta decurtazione del punteggio né una tale misura sanzionatoria può farsi discendere dal complesso delle disposizioni contenute nel d. lgs. n. 50 del 2016.
    Alla luce di quanto sopra, nessuna violazione della parità di trattamento può ritenersi essersi verificata, risultando la condotta della commissione del tutto in linea con le cooordinate ordinamentali così come declinate nella legge di gara.
    In tal senso va anche disattesa la domanda di parte ricorrente volta ad ottenere la caducazione dell’intera procedura, invocata poiché i concorrenti che hanno rispettato i limiti dimensionali dell’offerta sarebbero stati ingiustamente penalizzati rispetto agli operatori economici che, come l’aggiudicataria, invece, non vi si sarebbero adeguati. A parte la correttezza dell’operato della commissione di cui s’è detto, è del tutto evidente che ove pure, in ipotesi, si fosse giunti ad una declaratoria di illegittimità dei provvedimenti adottati, essa non avrebbe potuto integrare i presupposti per far discendere, da una tale violazione, la caducazione dell’intera procedura di gara.

    Gara telematica – Numero seriale dell’offerta economica – Discordanze – Esclusione (art. 58 , art. 83 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Pescara, 29.05.2018 n. 178

    In una gara condotta in modalità telematica (art. 58 d.lgs. n. 50/2016) quale causa di esclusione automatica dell’offerta economica – e quindi di inoperatività del soccorso istruttorio (art. 83 d.lgs. n. 50/2016) – era espressamente prevista l’ipotesi di offerte con marcatura temporale diversa nel numero di serie, identificativo univoco, precedentemente comunicato al sistema, ossia per il caso di discordanza tra il numero serie inserito e quello presente nella marcatura temporale del file caricato a sistema.

    Tanto premesso, il Collegio ha innanzitutto escluso la prospettata nullità per violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione della gravata clausola del bando che sanzionava con l’espulsione ogni discordanza tra il numero di serie inserito e quello presente nella marcatura temporale del file caricato a sistema.
    In materia è ormai orientamento consolidato che il principio di tassatività in argomento va inteso nel senso che l’esclusione dalla gara deve essere disposta sia nel caso in cui il testo normativo la commini espressamente, sia nell’ipotesi in cui lo stesso imponga adempimenti doverosi, come nella specie, o introduca, comunque, norme di divieto (cfr. Consiglio di Stato, A.P., n. 19/2016 e n. 9/2014).

    La disposizione in questione è evidentemente posta a presidio della garanzia della identificabilità, univocità ed immodificabilità dell’offerta economica, che è regola posta a tutela della imparzialità e della trasparenza dell’agire della stazione appaltante, nonché ad ineludibile tutela del principio della concorrenza e della parità di trattamento tra gli operatori economici che prendono parte alla procedura concorsuale. Come chiarito dalla stessa pronuncia Cons. St sez. III n. 4050 del 2016 richiamata in ricorso, nel caso delle gare telematiche, la conservazione dell’offerta è affidata allo stesso concorrente, che la custodisce all’interno della memoria del proprio personal computer nella fase che intercorre tra il termine di presentazione e la procedura di upload. La identità del numero seriale della marcatura temporale inserita all’atto della presentazione dell’offerta e quella apposta sull’offerta nella fase di upload costituisce un adempimento essenziale al fine di garantire che l’offerta non sia stata modificata o sostituita in data successiva al termine ultimo perentorio di presentazione delle offerte.
    Di qui consegue innanzitutto che la corrispondenza del numero seriale costituiva un adempimento essenziale al fine di assicurare il regolare svolgimento della gara e garantire alla stazione appaltante l’identità tra le offerte caricate al sistema e quelle compilate entro il termine ultimo perentorio stabilito dal bando. Stante la chiara destinazione dello strumento in questione a cristallizzare il momento di presentazione dell’offerta entro il termine perentorio prescritto dal bando, ex art. 20 comma 3 del d.lgs. n. 82/2005, del tutto irrilevante pertanto si appalesa ogni considerazione circa l’utilizzazione della marcatura temporale in questione anche quale modalità per estendere la validità del certificato di firma digitale oltre il suo termine di validità temporale, avendo essa durata ventennale.
    In sostanza, in presenza di un adempimento essenziale e doveroso per i partecipanti alla gara, non può sostenersi né la nullità della dedotta causa di esclusione, né sotto altro profilo, la sua illegittimità in quanto elemento indispensabile ai fini della corretta identificazione dell’offerta economica e del regolare funzionamento della gara.

    Non è stata inoltre ritenuta sussistente la praticabilità del soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante, dal momento che, proprio nel caso dell’offerta economica, l’art. 83, comma 9, d.lgs. n. 50/2016 ne esclude l’impiego, stabilendo che solo le carenze di elementi di natura formale possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio di cui al presente comma. Diversamente, il soccorso istruttorio ivi previsto per il caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo di cui all’articolo 85, è esplicitamente escluso rispetto alle offerte economiche e tecniche.
    Sul punto è sufficiente richiamare la consolidata e condivisibile giurisprudenza , anche recente (Consiglio di Stato sez. V 10 gennaio 2017 n. 39) secondo cui “nelle gare pubbliche la radicalità del vizio dell’offerta non consente l’esercizio del soccorso istruttorio che va contemperato con il principio della parità tra i concorrenti, anche alla luce dell’altrettanto generale principio dell’autoresponsabilità dei concorrenti, per il quale ciascuno di essi sopporta le conseguenze di eventuali errori commessi nella formulazione dell’offerta e nella presentazione in coerenza con esigenze di certezza e celerità dell’azione amministrativa, soprattutto in settori come quello delle gare pubbliche, ove non si riconosce significatività alcuna a comportamenti del concorrente che possano essere incolpevoli o altrimenti imputabili alla stazione appaltante – magari rilevanti ad altri fini – restando l’accertamento della legittima partecipazione alla gara di un concorrente circoscritto all’oggettiva verifica della sussistenza dei necessari requisiti formali e sostanziali richiesti dalla normativa e dalla lex specialis, nonchè della loro corretta allegazione e rappresentazione (Consiglio di Stato sez. V 07 novembre 2016 n. 4645).

    Informativa interdittiva antimafia – Valutazione – Presupposti – Dipendenti controindicati – Rapporti con la clausola sociale (art. 50 , art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. III, 25.05.2018 n. 3138

    Giova premettere che, come recentemente ribadito da questa Sezione, “la valutazione prefettizia […] deve fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti che, alla stregua della «logica del più probabile che non», consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti nel loro valore sintomatico” e che “l’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, la libertà di impresa, da un lato, e la tutela dei fondamentali beni che presidiano il principio di legalità sostanziale sopra richiamati, richiedono alla Prefettura un’attenta valutazione di tali elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impongono al giudice amministrativo un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del Prefetto nell’esercizio di tale ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale” (Consiglio di Stato, Sez. III, 09.02.2017 n. 565).

    Quanto all’assunzione dei dipendenti controindicati, ritiene, anzitutto, il Collegio che debbano essere forniti alcuni chiarimenti sulla rilevanza di tale circostanza come sintomatica del tentativo di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata.
    A rilevare non è il dato in sé che un’impresa possa avere alle proprie dipendenze soggetti pregiudicati oppure sospettati di essere contigui ad ambienti mafiosi, quanto piuttosto che la presenza degli stessi possa essere ritenuta indicativa, alla luce di una quadro indiziario complessivo, del potere della criminalità organizzata di incidere sulle politiche assunzionali dell’impresa e, mediante ciò, di inquinarne la gestione a propri fini.

    Se si adotta questa prospettiva risulta chiaro perché questa Sezione, in alcuni propri precedenti, abbia annoverato fra gli elementi indiziari del tentativo di infiltrazione mafiosa “l’assunzione esclusiva o prevalente, da parte di imprese medio-piccole, di personale avente precedenti penali gravi o comunque contiguo ad associazioni criminali” (sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016, richiamata anche dalla sentenza n. 3299 del 20 luglio 2016).
    Non può dunque sussistere alcun automatismo fra presenza di dipendenti controindicati e tentativo di infiltrazione mafiosa.
    Del resto, se così non fosse, se ne ricaverebbe che un soggetto pregiudicato non possa mai essere assunto da alcuna impresa, non solo se attiva nel mercato delle commesse pubbliche (e, più in generale, dell’economia pubblica), ma anche se operante nell’economia privata, stanti i più recenti approdi di questo Consiglio in ordine all’-OMISSIS- di applicazione dell’informativa antimafia (Cons. Stato, Sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565). Ma così evidentemente non è.
    Se ne ricaverebbe, altresì, che il dipendente controindicato possa essere, qualora già assunto, immediatamente e legittimamente licenziato, ma ciò non sembra in linea con i più recenti approdi ermeneutici del giudice del lavoro, che invece sembrano inclinare per una maggior cautela prima di risolvere il rapporto (Corte di Cassazione, Sez. L., 10 gennaio 2018, n. 331).
    Giova, inoltre, osservare che il giudizio sulla permeabilità dell’impresa non può prescindere dalla disamina degli strumenti che l’ordinamento mette ordinariamente e concretamente a disposizione degli operatori economici per evitare di assumere soggetti controindicati (essenzialmente, certificato del casellario e dei carichi penali pendenti).
    Si vuole cioè dire che la circostanza che un’impresa abbia assunto persone controindicate, nell’assenza di ulteriori elementi, può assumere in sé valore sintomatico della contiguità con gli ambienti della criminalità organizzata a condizione che gli operatori economici – soprattutto nei settori “a rischio” di cui all’articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n. 190 in cui la pervasività del fenomeno mafioso è statisticamente più evidente – siano dotati dal legislatore di adeguati meccanismi preventivi per venire a conoscenza della possibile sussistenza di ragioni di controindicazione a fini antimafia, pur genericamente formulate, vieppiù nell’ipotesi in cui l’imprenditore sia già iscritto alla cd white list di cui al D.P.C.M. 18 aprile 2013 (equipollente all’informativa antimafia liberatoria) e le plurime e contestuali nuove assunzioni conseguano all’adempimento di un obbligo giuridico, come nel caso della cd clausola sociale.

    E’ noto che la clausola sociale volta a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato presso il gestore uscente, è imposta, nella formulazione dei bandi di gara, dall’art. 50 del vigente codice dei contratti pubblici “per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera…”. Essa deve essere incondizionatamente accettata dal subentrante, pena l’esclusione dalla gara, salva la possibilità di quest’ultimo di armonizzare l’indiscriminato dovere di assorbimento del personale dell’impresa uscente con il fabbisogno richiesto dall’esecuzione del nuovo contratto e con la pianificazione e l’organizzazione del lavoro propria del subentrante (cfr. da ultimo, Consiglio di Stato Sez. III, n. 5 maggio 2017, n. 2078).
    Dinanzi a questo obbligo giuridico, temperato – all’attuale stato della giurisprudenza – dai soli aspetti organizzativi e oggettivi peculiari del subentrante, non è seriamente esigibile dall’imprenditore un controllo personale, e un giudizio, altrettanto personale, sull’esistenza e influenza delle parentele dell’assumendo, sulle sue frequentazioni, o sulle indagini non ancora giunte ad un rinvio a giudizio (evento a seguito del quale la notizia è evincibile dal certificato dei carichi penali pendenti), e soprattutto, non è esigibile che esso imprenditore si sottragga agli obblighi assunzionali per ragioni soggettive (e non oggettive) in assenza di previsioni di legge che vietino l’instaurazione o la prosecuzione del rapporto, o comunque di informazioni qualificate, in quanto provenienti dalla Prefettura o dagli organi di Polizia, che rendano verosimile la sussistenza del rischio che l’assumendo possa essere un “cavallo di Troia” delle associazioni mafiose o anche semplicemente un soggetto “controindicato” ai fini antimafia, avuto riguardo al tipo di attività e al luogo di svolgimento della stessa.

    Nel caso di specie, in assenza di meccanismi informativi predisposti dall’ordinamento, deve ritenersi secondo la logica del più probabile che non, e salvo quanto appresso si dirà in ordine alle singole posizioni lavorative, che è ben più probabile che l’assunzione di soggetti controindicati tra quelli già in servizio presso l’uscente, sia avvenuto in un quadro di inconsapevolezza delle ragioni di controindicazioni (diverse da quelle evincibili dalla certificazione penale). Né, del resto l’amministrazione ha fornito una prova contraria, ossia che le assunzioni siano avvenute per compiacenza o sottomissione agli ambienti malavitosi.