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Deve ritenersi anomala una offerta con utile modesto ?

TAR Bari, 06.06.2024 n. 709

In casi analoghi, il Consiglio di Stato ha avuto modo di sottolineare che “al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerato anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico” (Consiglio di Stato, sentenza n. 4559 del 5 maggio 2023). Ne discende che, solo un utile pari a zero o l’offerta in perdita rendono ex se inattendibile l’offerta, caratteristiche non presenti nella fattispecie in esame.

Si rileva, inoltre, che, nel caso in esame, l’elaborazione dell’offerta di gara costituiva una scelta dell’operatore strutturabile anche con modalità asimmetriche e caratterizzata da una vera e propria “discrezionalità privatistica”, insuscettibile di un sindacato intrinseco del Giudice amministrativo, il quale può prenderla ad esame entro limiti circoscritti e, soprattutto, in via mediata, considerato che detto sindacato è, di fatto, esercitabile solo attraverso il vaglio di come sia stata esercitata la discrezionalità della Stazione appaltante che, sull’offerta in questione, esprime la valutazione d’uopo sua propria.

Era in altri termini un fatto di libertà di iniziativa imprenditoriale della società partecipante (cfr. art. 41 Cost.) confezionare l’offerta con modalità anche oggettivamente peculiari, purché ovviamente venisse rispettato il criterio della remuneratività in concreto e purché il vaglio dell’Amministrazione avesse in definitiva condotto ad una valutazione (non irrazionale o irragionevole) di preferenza per l’offerta in concreto formulata.

Verifica di anomalia : utile di impresa esiguo non denota ex se inaffidabilità dell’offerta economica , ma non può ridursi ad una cifra meramente simbolica (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 27.09.2022 n. 8330

E’ certamente noto a questa Sezione l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui “ai fini della valutazione di anomalia delle offerte presentate nelle gare di appalto, …non è possibile fissate una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua dovendosi avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante” (Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4206). Tuttavia un utile pari a zero, oppure l’offerta in perdita o scarsamente remunerativa, come quella di specie, rendono ex se inattendibile l’offerta economica (Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2014, n. 3805).
Va rammentato che la finalità della verifica dell’anomalia dell’offerta è quella di evitare che offerte troppo basse espongano l’amministrazione al rischio di esecuzione della prestazione in modo irregolare e qualitativamente inferiore a quella richiesta e con modalità esecutive in violazione di norme, con la conseguente concreta probabilità di far sorgere contestazioni e ricorsi.
L’amministrazione deve, infatti, aggiudicare l’appalto a soggetti che abbiano presentato offerte che, avuto riguardo alle caratteristiche specifiche della prestazione richiesta, risultino complessivamente proporzionate sotto il profilo economico all’insieme dei costi, rischi ed oneri che l’esecuzione della prestazione comporta a carico dell’appaltatore con l’aggiunta del normale utile di impresa, affinchè la stessa possa rimanere sul mercato.
Pertanto, se è vero che la giurisprudenza amministrativa è orientata in prevalenza nel senso di ritenere che un utile di impresa esiguo non denota di per sé l’inaffidabilità dell’offerta economica, è altrettanto vero che, secondo l’opinione generale, l’utile non può ridursi ad una cifra meramente simbolica.
Gli appalti devono essere affidati ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese, dovendosi ritenere che un utile trascurabile (come quello di specie), potrebbe portare l’affidatario dell’appalto ad una negligente esecuzione, oltre che, come di fatto avvenuto, determinare contenziosi.
L’interesse del committente pubblico a poter confidare sulla regolare esecuzione del servizio deve ritenersi prevalente su quello dell’impresa, frequentemente invocato in questi casi (e valorizzato dall’Amministrazione resistente anche nel caso in esame), ad eseguire comunque (ossia, anche in perdita o con utile aziendale eccessivamente scarso) un appalto, al fine di acquisire esperienza professionale e fatturato da utilizzare in vista della partecipazione a futuri appalti.
Tale assunto è espressione dei principi generali posti a garanzia della serietà dell’offerta e della corretta esecuzione del contratto, e trova applicazione anche a prescindere dal fatto che, nel caso di specie, la legge di gara non stabilisca una percentuale minima di utile di impresa, e, in termini più generali, non constino previsioni normative in tal senso.
[…]
Pertanto, in merito al procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte, il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dalla P.A. sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell’istruttoria, sebbene non possa operare autonomamente la verifica della congruità dell’offerta presentata e delle sue singole voci, poiché, così facendo, invaderebbe una sfera propria della P.A., in esercizio di discrezionalità tecnica (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, n. 4206 del 2012).
Ciò posto, l’analisi della documentazione depositata dalle parti in atti e le deduzioni difensive dalle stesse proposte, in uno con l’esiguità dell’utile percepito dell’impresa aggiudicataria, dimostrano che la valutazione fornita dalla Stazione appaltante sia illogica e non ragionevole, sicchè vanno condivise le argomentazioni svolte dall’appellante in ordine alla insostenibilità delle singole voci dell’offerta, tenuto conto che sono stati esposti costi inferiori rispetto a quelli effettivi.

Riferimenti normativi:

art. 97 d.lgs. n. 50/2016

Offerta in perdita – Inammissibilità – Onlus – Irrilevanza (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Brescia, 21.06.2021 n. 577

Passando al merito, va osservato come in linea generale un concorrente non possa giustificare la propria offerta con apodittiche affermazioni sulla propria posizione di forza sul mercato e sulle particolari condizioni di favore che consegue – in virtù di tale posizione – nei contratti di fornitura di materiale e mezzi da impiegare nell’esecuzione dell’appalto.
Così come non può essere astrattamente enfatizzata la circostanza che l’offerente sia una Onlus, che come tale non è tenuta alla distribuzione degli utili: tale condizione può al più consentire di presentare un’offerta con un utile minimo, ma non certo legittimare la presentazione di un’offerta in perdita. Diversamente, infatti, ne verrebbe alterata la concorrenza, senza garanzie per la stazione appaltante di conseguire la prestazione contrattuale.

[rif. art. 97 d.lgs. n. 50/2016]

Importo a base d’asta – Utile d’impresa – Discrezionalità della Stazione Appaltante (art. 30 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. III, 28.12.2020 n. 8359

Secondo la giurisprudenza, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulti pari a zero, non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante (Consiglio di Stato, sez. III , 17/06/2019 , n. 4025; V, 29 dicembre 2017, n. 6158; 13 febbraio 2017, n. 607 e 25 gennaio 2016, n. 242; sez. III, 22 gennaio 2016, n. 211 e 10 novembre 2015, n. 5128).
Analogamente, può affermarsi che non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale la base d’asta debba considerarsi palesemente incongrua e irragionevole.
Una base d’asta che contempli un margine di utile esiguo è frutto di un contemperamento di interessi che rientra nella sfera di discrezionalità della stazione appaltante: è ovvio che un vantaggio in termini di risparmio possa comportare una perdita in termini di qualità, ma la scelta di quale sia il vantaggio da perseguire in via prioritaria appartiene pur sempre alle valutazioni interne dell’Amministrazione e non è escluso che, dato il carattere concorrenziale del mercato, la qualità del servizio non risulti eccessivamente penalizzata dalla scelta di privilegiare l’economia di spesa.

[rif. art. 30 d.lgs. n. 50/2016]

 

Utile d’impresa: non sussiste un interesse protetto dell’operatore economico

TAR Milano, 26.11.2020 n. 2317

Quanto all’immediata impugnazione della lex specialis di gara ha ricordato che il Collegio che, alla luce dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 26 aprile 2018, n. 4 (che ha richiamato propri precedenti in termini: 29 gennaio 2003, n. 1 e 17 aprile 2011, n. 4), “le clausole non escludenti del bando […][vanno] impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (id est: aggiudicazione a terzi), considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto già stabilito dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice europea, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo”. 

L’elaborazione giurisprudenziale sul tema ha più volte chiarito che la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnarne l’esito (essendo titolare di una posizione differenziata) e che i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi a identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione. Le eccezioni, che impongono l’onere di immediata impugnazione, possono essere ricondotte alle ipotesi in cui (i) si contesti in radice l’indizione della gara, (ii) si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto affidamento in via diretta del contratto, (iii) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2019, n. 2732).

Devono, in altre parole, essere immediatamente impugnate le sole clausole immediatamente escludenti o che impediscono la partecipazione alla gara e la presentazione di un’offerta. 

Come riconosciuto dalla citata Adunanza plenaria n. 4 del 2018, la giurisprudenza ha poi fatto rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” anche le fattispecie di (a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale; (b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; (c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; (d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; (e) clausole impositive di obblighi contra ius; (f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come, ad esempio, quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbito dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di 0 pt.); (g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2019, n. 2732; id., sez. III, 28 settembre 2020, n. 5705).​​​​​​​

Si è detto che le ipotesi di immediata impugnazione del bando si pongono come speciali rispetto alla regola generale dell’impugnazione “a valle”, sicché la lamentata diseconomia non è apprezzabile in questa sede, se non nei limiti in cui essa si traduca nell’inadeguatezza della base d’asta (per il vitto) a sopportare i costi, circostanza che invero non è nemmeno affermata dalla ricorrente.

Va inoltre osservato, in generale, che non sussiste un interesse protetto dell’operatore economico a che un bando sia formulato in termini tali da garantirgli il maggior utile possibile o il minor spreco di risorse, poiché l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione è volto a garantire la migliore gestione dei servizi in termini di efficienza, efficacia ed economicità, interesse fisiologicamente diverso da quello dell’operatore economico, volto a conseguire un utile d’impresa.

Prezzo a base d’asta: deve sempre consentire un adeguato margine di guadagno per le imprese ?

Costituisce principio giurisprudenziale consolidato in materia quello per cui gli appalti pubblici devono pur sempre essere affidati ad un prezzo che consenta un adeguato margine di guadagno per le imprese, giacché le acquisizioni in perdita porterebbero inevitabilmente gli affidatari ad una negligente esecuzione, oltre che ad un probabile contenzioso: laddove i costi non considerati o non giustificati siano tali da non poter essere coperti neanche tramite il valore economico dell’utile stimato, è evidente che l’offerta diventa non remunerativa e, pertanto, non sostenibile (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 8110 e 15 aprile 2013, n. 2063; Sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 963; Sez. III, 11 aprile 2012, n. 2073).

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    Utile necessario – Applicazione alle Cooperative Sociali (no profit) – Adeguato guadagno – Imposto soltanto alle Società commerciali (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Cagliari, 03.04.2020 n. 210

    Vanno tenute in considerazione, nella valutazione del giudizio di congruità dell’offerta, anche le specificità e le agevolazioni di cui -Omissis- poteva usufruire, in ragione della propria organizzazione, delle certificazioni, delle economie di scala e delle agevolazioni di cui l’impresa può usufruire, come evidenziato in sede di verifica di anomalia.
    Considerando, ai fini dell’utile, che la Cooperativa Sociale – Onlus, per sua natura, agisce per scopi sociali e mutualistici e non commerciali, avendo una vocazione non lucrativa.
    Ulteriore parametro di riferimento per la valutazione dell’anomalia è che il giudizio di incongruità dell’offerta deve avere carattere “globale” in considerazione della serietà dell’offerta “nel suo complesso”, con necessario riconoscimento di palese “inattendibilità complessiva” dell’offerta e non di singole voci.
    Ed in questa sede il giudizio di anomalia è sindacabile solo qualora si riscontri una discordanza considerevole e palesemente ingiustificata (Consiglio di Stato sez. V, 26/11/2018, n. 6689, sez. III, 18/09/2018, n. 5444 ; sez. V, 07/05/2018, n. 2691).
    (…)
    Tale aspetto non può essere considerato indicativo dell’anomalia, in quanto ciò che è importante, per le Cooperative sociali Onlus, è che tutti i costi trovino copertura .
    Né si può sostenere che limitare al minimo l’utile possa determinare una illegittima lesione della concorrenza essendo una scelta della Onlus partecipante, consentita ed ammissibile, quella di non ottenere lucro dal contratto, preferendo garantire l’interesse ad impiegare i soci, con l’acquisizione del servizio (Tar Sardegna sez. I, 18 novembre 2016 n. 897).
    Non applicabile è l’obbligo-necessità di un “adeguato margine di guadagno” imposto (solo) per le società commerciali (Consiglio di Stato, Sez. V, 31 luglio 2019, n. 5435). Ciò che è importante ed essenziale è che non vi siano “perdite”.
    Dunque in caso di Cooperativa Sociale no profit un utile modesto può comportare un vantaggio significativo per l’impiego dell’attività lavorativa dei soci, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico” (cfr.: Consiglio di Stato, sez. V, 17.01.2018, n. 270).
    Il principio del cosiddetto utile necessario non trova necessariamente applicazione per le società cooperative a mutualità prevalente ex art. 2512 c.c. o per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
    La giurisprudenza ha, sul punto, affermato (Consiglio di Stato, sez. V, 19.11.2018 n. 6522 e TAR Roma, 6.6.2019 n. 7322) che la finalità lucrativa “non è estensibile a soggetti che operano per scopi non economici, bensì sociali o mutualistici, per i quali l’obbligatoria indicazione di un utile d’impresa si tradurrebbe in una prescrizione incoerente con la relativa vocazione non lucrativa, con l’imposizione di un’artificiosa componente di onerosità della proposta. Ne deriva che, diversamente da quanto accade per gli enti a scopo di lucro, l’offerta senza utile presentata da un soggetto che tale utile non persegue non è, solo per questo, anomala o inaffidabile, in quanto non impedisce il perseguimento efficiente di finalità istituzionali che prescindono da tale vantaggio strictu sensu economico (in tal senso: Cons. Stato, V, sent. 84 del 2015; id, V, 3855 del 2016).”
    E la solidità patrimoniale della Cooperativa emerge dalla sussistenza di un considerevole Patrimonio (…).
    La previsione di un ribasso così elevato è stata possibile per l’aggiudicataria avendo ridotto al minimo l’utile d’impresa , in modo ammissibile, trattandosi di Onlus, che ha, per sua natura, il prevalente ed essenziale scopo di assicurare il rapporto di lavoro ai propri soci.
    L’esiguità del profitto che l’aggiudicataria intende trarre dall’esecuzione del contratto è profilo di per sé, non contestabile, perché rimesso alle libere scelte dell’operatore economico in base alla propria organizzazione effettiva ed articolazione strutturale (Cons. Stato sez. V, 27 settembre 2017, n. 4527; Cons. Stato sez. V, 29 maggio 2017, n. 2556; Cons. Stato sez. V, 13 febbraio 2017, n. 606).

    [rif. art. 97 d.lgs. n. 50/2016]

     

    Offerta in perdita (o con utile pari a zero) – Inattendibilità ed insostenibilità – Automaticità (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

    TAR Salerno, 06.11.2019 n. 1911

    Il condotto accertamento ha acclarato che l’offerta presentata dalla ricorrente principale, computando anche le voci di costo relative alle migliorie offerte ma non considerate in sede di giustificazione della riscontrata anomalia, era stata formulata in “perdita”, atteso che il computo dei predetti costi erodeva completamente l’utile preventivato determinando una perdita d’esercizio.
    Se è vero che non sia possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, – poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (Cfr.: Consiglio di Stato, sez. V, 17/01/2018, n. 270) -, è altrettanto vero che un utile pari a zero ovvero la formulazione dell’offerta in perdita rendono ex se inattendibile l’offerta economica, essendo, in occasione della verifica in contraddittorio della congruità dell’offerta, consentito un limitato rimaneggiamento degli elementi costitutivi di quest’ultima purché l’originaria proposta contrattuale non venga modificata sostanzialmente ovvero non venga alterata la sua logica complessiva omettendo i costi di lavorazioni oggetto dell’offerta (CdS IV, 963/2015, conferma TAR Calabria, Reggio Calabria, nn. 603 del 2013 e 544 del 2014; Consiglio di Stato, sez. V, 22/01/2015 n. 289).
    Il Collegio ritiene pertanto violato dalla stazione appaltante, nel caso di specie, l’art. 97 del D.Lgs. n. 50/2016, in quanto l’offerta in perdita rende “ex se” inattendibile l’offerta economica” (Consiglio di Stato, sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 963), con la consequenziale illegittimità, in accoglimento del ricorso incidentale, del provvedimento con cui è stato formulato il giudizio di non anomalia dell’offerta presentata dalla – omissis – (Cfr. Cons. St., ez. IV, 26 febbraio 2015 n. 963, in De Jure; id., sez, VI, 18 marzo 2008 n. 1139, in Foro amm. CDS, 2008, 3, 856).

    Anomalia dell’offerta – Utile minimo di impresa – CCNL applicabile – Discrezionalità dell’Operatore Economico (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

    CGA Regione Sicilia, 25.06.2018 n. 368

    In sede di gara pubblica, ai fini della valutazione della anomalia dell’offerta e del costo del lavoro (art. 97 d.lgs. n. 50/2016) la scelta del contratto collettivo rientra nelle prerogative dell’imprenditore, fatto salvo il limite della coerenza del contratto collettivo scelto rispetto all’oggetto dell’appalto (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 12.03.2018 n. 1574).
    In sede di gara pubblica, ai fini della valutazione della anomalia un utile esiguo di per sé solo non equivale a determinare tale anomalia, sebbene costituisca un indice sintomatico e debba quindi indurre l’amministrazione procedente ad una verifica accurata dell’equilibrio complessivo dell’offerta (Consiglio di Stato, sez. V, 17.07.2014 n. 3805).

    E’ possibile stabilire una soglia minima di utile d’impresa ai fini della verifica di anomalia dell’offerta?

    E’ possibile stabilire una soglia minima di utile d’impresa ai fini della verifica di anomalia dell’offerta? Nella gara pubblica la valutazione di anomalia dell’offerta va fatta considerando tutte le circostanze del caso concreto, poiché un utile all’apparenza modesto può comportare un vantaggio significativo sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa (il mancato utilizzo dei propri fattori produttivi è comunque un costo), sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e dall’aver portato a termine un appalto pubblico, cosicché nelle gare pubbliche non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulta pari a zero (Consiglio di Stato, sez. III, 22.01.2016 n. 211; Cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 10.11.2015, n. 5128).
     

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