Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria , 28.08.2020 n. 16
La falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lett. c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50; in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo; alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico; la lett. f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lett. c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.
La questione era stata rimessa all’Adunanza plenaria dalla sez. V con ord. 9 aprile 2020, n. 2332.
Ha chiarito l’Adunanza Plenaria che all’ipotesi prevista dalla falsità dichiarativa (o documentale) di cui alla lettera f-bis) quella relativa alle «informazioni false o fuorvianti» ha un elemento specializzante, dato dalla loro idoneità a «influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» della stazione appaltante. Ai fini dell’esclusione non è dunque sufficiente che l’informazione sia falsa ma anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara. Coerentemente con tale elemento strutturale, la fattispecie equipara inoltre all’informazione falsa quella fuorviante, ovvero rilevante nella sua «attitudine decettiva, di “influenza indebita”», secondo la definizione datane dall’ordinanza di rimessione, ovvero di informazione potenzialmente incidente sulle decisioni della stazione appaltante, e che rispetto all’ipotesi della falsità può essere distinta per il maggior grado di aderenza al vero.
La ragione della descritta equiparazione si può desumere dalle considerazioni svolte in precedenza e cioè dal fatto che le informazioni sono strumentali rispetto ai provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativamente alla procedura di gara, i quali sono a loro volta emessi non solo sulla base dell’accertamento di presupposti di fatto ma anche di valutazioni di carattere giuridico, opinabili tanto per quest’ultima quanto per l’operatore economico che le abbia fornite. Ne segue che, in presenza di un margine di apprezzamento discrezionale, la demarcazione tra informazione contraria al vero e informazione ad essa non rispondente ma comunque in grado di sviare la valutazione della stazione appaltante diviene da un lato difficile, con rischi di aggravio della procedura di gara e di proliferazione del contenzioso ad essa relativo, e dall’altro lato irrilevante rispetto al disvalore della fattispecie, consistente nella comune attitudine di entrambe le informazioni a sviare l’operato della medesima amministrazione.
Nella medesima direzione si spiega la circostanza che l’art. 80, comma 5, lett. c) [ora c-bis)] d.lgs. n. 50 del 2016 preveda anche «l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», quale ulteriore fattispecie di grave illecito professionale, a completamento e chiusura di quella precedente, ma rispetto a questa tipizzata in termini più ampi, con il riferimento al «corretto svolgimento della procedura di selezione», ed in cui il disvalore si polarizza sull’«elemento normativo della fattispecie» (così l’ordinanza di rimessione), ovvero sul carattere doveroso dell’informazione.
L’ipotesi presuppone un obbligo il cui assolvimento è necessario perché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica invece l’esclusione. Rispetto alle esigenze di trasparenza che si pongono tra i preminenti valori giuridici che presiedono alle procedure di affidamento di contratti pubblici (art. 30, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016), l’obbligo dovrebbe essere previsto a livello normativo o dall’amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara. Nondimeno, come ricordato dalla Sezione rimettente, deve darsi atto che è consolidato presso la giurisprudenza il convincimento secondo cui l’art. 80, comma 5, lett. c) [ora lett. c-bis)], è una norma di chiusura in grado di comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante, ma in concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, donde il carattere esemplificativo delle ipotesi previste nelle linee-guida emanate in materia dall’ANAC, ai sensi del comma 13 del medesimo art. 80 (linee-guida n. 6 del 2016; al riguardo si rinvia al parere reso dalla commissione speciale di questo Consiglio di Stato appositamente costituita sull’ultimo aggiornamento alle più volte richiamate linee-guida: parere del 13 novembre 2018, n. 2616; § 7.1; cfr. inoltre: Cons. Stato, V, 5 maggio 2020, n. 2850, 12 marzo 2020, n. 1774, 12 aprile 2019, n. 2407, 12 febbraio 2020, n. 1071; VI, 4 giugno 2019, n. 3755).
Sennonché in tanto una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi evidentemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono configurabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso.
L’elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa ora esaminata con quella relativa alle informazioni false o fuorvianti suscettibili di incidere sulle decisioni dell’amministrazione concernenti l’ammissione, la selezione o l’aggiudicazione, è dato dal fatto che in nessuna di queste fattispecie si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di cui alla lettera f-bis). Infatti, tanto «il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione», quanto «l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione» sono considerati dalla lettera c) quali «gravi illeciti professionali» in grado di incidere sull’«integrità o affidabilità» dell’operatore economico. E’ pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante, come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c) [ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto delle modifiche da ultimo introdotte dalla legge decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 – Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici; convertito dalla l. 14 giugno 2019, n. 55].
Nel contesto di questa valutazione l’amministrazione dovrà pertanto stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità.
Qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo. Osta a ciò, nel caso in cui tale valutazione sia mancata, il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo (secondo cui il giudice non può pronunciare «con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»). Laddove invece svolta, operano per essa i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale in cui l’amministrazione sola è chiamata a fissare «il punto di rottura dell’affidamento nel pregresso e/o futuro contraente» [Cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del 17 febbraio 2012, n. 2312, che ha annullato per eccesso di potere giurisdizionale una sentenza di questo Consiglio di Stato che aveva a sua volta ritenuto illegittimo il giudizio di affidabilità professionale espresso dall’amministrazione in relazione all’allora vigente art. 38, comma 1, lett. f), dell’abrogato codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163]; limiti che non escludono in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma che impongono al giudice una valutazione della correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’amministrazione.
Il sistema così descritto ha carattere completo e coerente con la causa di esclusione “facoltativa” prevista a livello sovranazionale, consistente nella commissione di «gravi illeciti professionali» tali da mettere in dubbio l’integrità dell’operatore economico e da dimostrare con «mezzi adeguati», ai sensi dell’art. 57, par. 4, lett. c), della direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, poi attuata con il codice dei contratti pubblici attualmente vigente.
Nondimeno, su di esso è intervenuto il sopra menzionato “correttivo”, di cui al d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, con l’aggiunta all’art. 80, comma 5, del codice della lettera f-bis), e dunque della causa di esclusione relativa all’operatore economico che presenti nella procedura di gara (o negli affidamenti di subappalti; ipotesi che qui non rileva) «documentazione o dichiarazioni non veritiere». Non «informazioni» dunque, come invece previsto dalla lettera c), ma documenti o dichiarazioni.
Al riguardo, è innanzitutto da escludere che i diversi termini impiegati rivestano una rilevanza pratica, poiché documenti e dichiarazioni sono comunque veicolo di informazioni che l’operatore economico è tenuto a dare alla stazione appaltante e che quest’ultima a sua volta deve discrezionalmente valutare per assumere le proprie determinazioni nella procedura di gara. Affermata dunque un’identità di oggetto tra le lettere c) e f-bis) in esame, dall’esame dei rispettivi elementi strutturali si ricava anche una parziale sovrapposizione di ambiti di applicazione, derivante dal fatto che entrambe fanno riferimento a ipotesi di falso.
Per dirimere il conflitto di norme potenzialmente concorrenti sovviene allora il criterio di specialità (art. 15 delle preleggi), in applicazione del quale deve attribuirsi prevalenza alla lettera c), sulla base dell’elemento specializzante consistente nel fatto che le informazioni false, al pari di quelle fuorvianti, sono finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante «sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» e concretamente idonee ad influenzarle. Per effetto di quanto ora considerato, diversamente da quanto finora affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, l’ambito di applicazione della lettera f-bis) viene giocoforza a restringersi alle ipotesi – di non agevole verificazione – in cui le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità, e non siano finalizzate all’adozione dei provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativi all’ammissione, la valutazione delle offerte o l’aggiudicazione dei partecipanti alla gara o comunque relativa al corretto svolgimento di quest’ultima, secondo quanto previsto dalla lettera c).
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Omessa dichiarazione relativa a “tutte” le condanne pregresse – Esclusione automatica – Rilevanza – Limiti (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. IV, 05.08.2020 n. 4937
11.1 Nel caso in esame, la sentenza appellata ha avallato il ragionamento della stazione appaltante circa l’automatica rilevanza escludente di qualsivoglia omissione dichiarativa, laddove ha statuito che l’omessa menzione della condanna patteggiata “giustifica […] l’estromissione dalla gara, posto che la condotta reticente della partecipante non ha fornito un quadro completo della situazione dell’impresa in relazione agli accertamenti di cui all’art. 80 del D. Lgs. n. 50/2016 ed ha impedito che il processo decisionale della Stazione Appaltante si svolgesse in maniera esauriente, non consentendo di esprimere ogni necessaria considerazione sulla sussistenza di eventuali gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia la integrità ed affidabilità dell’impresa […]”.
11.2 Al riguardo, questo Consiglio di Stato, con la recente ordinanza n. 2332 del 2020 della Sezione V, di rimessione all’Adunanza plenaria, ha sottoposto a critica l’orientamento secondo cui l’omissione informativa sia sempre qualificabile, di per sé, come “grave illecito professionale”.
In particolare ha messo in luce (par. 18 e ss.) che, in siffatta prospettiva, “gli obblighi informativi decampano dalla logica della mera strumentalità, diventando obblighi finali, dotati di autonoma rilevanza: di dal che l’omissione, la reticenza, l’incompletezza divengono – insieme alle più gravi decettività e falsità – forme in certo senso sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé.
In questo quadro, ancorché non univocamente (in senso parzialmente contrario, e.g. Cons. Stato, III, 23 agosto 2018, n. 5040; V, 3 aprile 2018, n. 2063; III, 12 luglio 2018, n. 4266), si è interpretato l’ultimo inciso l’art. 80, comma 5, lett. c), attribuendogli il rigoroso significato di una norma di chiusura, che impone agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione (Cons. Stato, V, 11 giugno 2018, n. 3592; 25 luglio 2018, n. 4532; 19 novembre 2018, n. 6530; III, 29 novembre 2018, n. 6787).
In senso parzialmente diverso, si è, tuttavia, osservato che siffatto generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale limite di operatività, “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa” (Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5171; Id., V, 3 settembre 2018, n. 5142).
La necessità di un siffatto limite generale di operatività deriva, del resto, dall’art. 57, § 7 della Direttiva 2014/24/UE, che ha, per giunta, fissato in tre anni dalla data del fatto la rilevanza del grave illecito professionale, in ciò seguita dalle Linee guida ANAC n. 6/2016, precedute dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 2286/2016 del 26 ottobre 2016, che ha affermato, tra altro, la diretta applicazione nell’ordinamento nazionale della previsione di cui al predetto paragrafo.
Per tal via, la più recente giurisprudenza si è orientata alla individuazione anzitutto di un limite temporale all’obbligo dichiarativo, ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi (cfr., tra le varie, Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1605)”.
11.3 Un’ampia elaborazione giurisprudenziale si è infatti incentrata sull’esistenza di un limite triennale di rilevanza temporale del fatto astrattamente configurabile quale “grave illecito professionale” ex art. 80 comma 5 lettera c) d. lgs. n. 50/16 decorrente dalla data di accertamento definitivo del fatto stesso ed identificabile, allorché venga in rilievo una sentenza non automaticamente escludente ex art. 80 comma 1 d. lgs. n. 50/16, nella data di pubblicazione della stessa (in questo senso cfr. da ultimo, TAR Lazio, sez. II – ter n. 4917 del 2020; cfr. anche Cons. Stato, Sez. V, n. 1605 del 2020, n. 5171 del 2019, n. 2895 del 2019).
Tale limite risulta oggi recepito anche dal diritto positivo nazionale atteso che il surriportato comma 10 bis dell’art. 80 del Codice dei Contratti, stabilisce espressamente che “nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza”, con formulazione applicabile, in via di interpretazione estensiva, “a tutte le ipotesi di grave illecito professionale (e, quindi, pure a quelle correlate all’emissione di una sentenza di condanna non automaticamente ostativa ex art. 80 comma 1 d. lgs. n. 50/16”, trattandosi di applicazione “coerente con il richiamo della disposizione ai “casi di cui al comma 5” da intendersi in senso generale e, quindi, comprensivo anche di tutte le ipotesi di “grave illecito professionale” qualunque ne sia la causa” (TAR Lazio, sentenza n. 4917 del 2020, cit.).
Peraltro, come già accennato, la giurisprudenza amministrativa, alla stregua dell’esegesi fornita dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte di Giustizia Sezione IV, 24 ottobre 2018, C-124/17), ha ritenuto, anche nella vigenza del testo dell’art. 80 comma 10 d. lgs. n. 50/16 antecedente alle modifiche introdotte dal d. l. n. 135/18 (che non prevedeva alcun limite temporale di rilevanza delle fattispecie costituenti possibili gravi illeciti professionali), che la direttiva 24/2014/UE fosse, in parte qua, direttamente applicabile nel nostro ordinamento (cfr., da ultimo Cons. Stato n. 1605/2020, cit., e, prima ancora, il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 2286/2016 del 26 ottobre 2016 espresso in relazione alle linee guida Anac n. 6/2016).
11.4. Nel caso di specie, deve pertanto concludersi che – essendo la condanna patteggiata valorizzata dall’amministrazione risalente al 1990 – non sussistesse alcuna omissione dichiarativa rilevante ai sensi dell’art. 80 comma 5, lett. c-bis) del d.lgs. n. 50 del 2016.12. Ad ogni buon conto, il Collegio osserva che, quand’anche volesse aderirsi all’orientamento più rigoroso – secondo cui l’esistenza di un potere discrezionale della stazione appaltante in ordine alla sussistenza di gravi illeciti professionali, consenta a quest’ultima di valorizzare anche condotte risalenti nel tempo – anche in questo caso il provvedimento impugnato rimarrebbe illegittimo.
12.1 La fattispecie di esclusione regolata dall’art. 80, comma 5, lett. c-bis del d.lgs. n. 50 del 2016 presuppone un obbligo dichiarativo il cui assolvimento è necessario perché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica invece l’esclusione.
In essa rileva pertanto l’omissione in sé rispetto ad un presupposto obbligo dichiarativo e in ciò si esprime il disvalore di tale causa di esclusione (in termini, Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 4316 del 6 luglio 2020).
Tuttavia, in tanto può parlarsi di “omissione” in quanto l’obbligo dichiarativo sia stato previsto o a livello normativo o dalla stazione appaltante nella legge di gara.
In tal senso, la cit. ordinanza di rimessione della Sez. V. n. 2332 del 2020, ha sottolineato l’esigenza “di conferire determinatezza e concretezza” all’elemento normativo della fattispecie, ovvero al carattere “dovuto” dell’informazione, al fine di “individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione” (par. 17).
Al riguardo, l’ordinanza (par. 20) ha ritenuto di poter valorizzare una prospettiva diversa da quella fondata sull’individuazione di un limite di rilevanza temporale delle condotte potenzialmente rilevanti come illecito professionale “che muove dalla distinzione tipologica, risultante dalla previsione normativa, di due fattispecie distinte:
a) l’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare la stessa ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico (cfr. Cons. Stato, V, 3 settembre 2018, n. 5142);
b) la falsità delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui conseguirebbe, per contro, l’automatica esclusione dalla procedura di gara, deponendo in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico (laddove, per l’appunto, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporterebbe l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso) (cfr. Cons. Stato, V, 12 aprile 2019, n. 2407)”.
12.2 A prescindere dalla soluzione che l’Adunanza plenaria darà alle questioni sottoposte dalla V^ Sezione di questo Consiglio, e pur prendendo atto dell’orientamento secondo cui l’art. 80, comma 5, lett. c-bis) del d.lgs. n. 50 del 2016 è una norma di “chiusura” in grado di comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante ma in concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, il Collegio condivide l’orientamento secondo cui “in tanto una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi palesemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono predicabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso” (Cons. Stato, sentenza n. 4316 del 2020, cit.).
E’ quanto appunto si verifica nel caso di specie in cui, come messo in luce dall’appellante, una condanna del -OMISSIS- della società, risalente a trenta anni fa e relativa ad un reato da tempo depenalizzato, non poteva essere agevolmente percepita dall’operatore economico come palesemente incidente sulla propria integrità professionale.
Inoltre, come argomentato con ferrea logica dall’ordinanza n. 2332 del 2010, nell’omissione dichiarativa accertata in sede giurisdizionale non può essere insito alcun automatismo escludente.
Essa “a differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità” postula infatti sempre un “apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente” (par. 23).
In definitiva, dall’esame dei rapporti tra le diverse fattispecie dell’art. 80, comma 5, del Codice dei contratti pubblici si ricava che omissione e falsità dichiarativa rispettivamente previste dalle lettere c-bis) e f-bis) non sono equiparabili e che diverse sono le conseguenze da esse derivanti, posto che solo da quest’ultima, e non anche dalla prima, deriva l’automatica esclusione dalla gara.
12.3 Nel caso di specie, si appalesa pertanto illegittimo anche l’automatismo espulsivo operato dalla stazione appaltante, per di più in una situazione in cui è incontestato che la legge di gara non prescrivesse esplicitamente l’obbligo dei concorrenti di dichiarare “tutte” le condanne riportate dagli esponenti aziendali, diverse da quelle indicate dall’art. 80, comma 1, del Codice.
1) Subappalto e subaffidamento: differenza – 2) Falsa dichiarazione: comprende sia il falso “commissivo” che “omissivo” – 3) Condanne penali in capo al subappaltatore – Omessa dichiarazione – Esclusione automatica del concorrente subappaltante – Correttivi – Applicazione alla luce delle sentenza Corte di Giustizia Europea (art. 80 , art. 105 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. III, 04.03.2020 n. 1603
1) Dunque, il tentativo di “derubricare” l’indicazione di -Omissis- a mero “sub-affidamento” incontra una prima e decisiva smentita nell’inequivoco tenore testuale della documentazione amministrativa prodotta in gara e poc’anzi richiamata.
Per il resto, il discrimen tra subappalto in senso proprio e mero subaffidamento va tracciato considerando il carattere accessorio o meno delle prestazioni affidate al sub-contraente, in quanto la disciplina di cui all’art. 105 del Codice non si applica unicamente alle prestazioni meramente strumentali e solo funzionalmente collegate con quelle oggetto del contratto (ma ad esso estranee), come tali qualificabili ai sensi del comma 2 del menzionato art. 105 (cfr. Tar Pescara, sez. I, nn. 43/2018 e 199/2018).
Ai sensi della disposizione da ultimo menzionata, “Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare”.
Nel caso di specie, la ricorrente non ha minimamente provato la ricorrenza di alcuna delle condizioni richieste dalla disposizione citata onde potersi escludere la sussistenza di una ipotesi di subappalto.2) La recente giurisprudenza testé richiamata (elaborata in epoca successiva ai fatti di cui qui si controverta) ha effettivamente patrocinato un distinguo fra omesse, reticenti e false dichiarazioni ai sensi dell’art. 80, comma 5, d. lgs. n. 50 del 2016, desumendone, a valle, che l’omissione comunicativa “costituisce violazione dell’obbligo informativo, e come tale va apprezzata dalla stazione appaltante”, la quale, tuttavia, è chiamata a soppesare non il solo fatto omissivo in sé, bensì anche – nel merito – “i singoli, pregressi episodi, dei quali l’operatore si è reso protagonista, e da essi dedurre, in via definitiva, la possibilità di riporre fiducia nell’operatore economico ove si renda aggiudicatario del contratto d’appalto” (Cons. Stato, n. 2407/2019).
In questo contesto, l’omessa dichiarazione di condanne non ostative ai sensi dell’art. 80 comma 1, è stata valutata come integrante una fattispecie di “omessa dichiarazione” ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 (in questi termini, Cons. Stato, sez. V, n. 1649/2019; n. 2407/2019 e n. 8906/2019 e sez. III, n. 5040/2018), munita di portata escludente non in sé, cioè come mero inadempimento al dovere di informazione, ma se e nella misura in cui reputata rilevante – sia nell’omissione in sé, che, necessariamente, rispetto al fatto omesso – da parte della stazione appaltante.
A questa prima tesi se ne oppone una più risalente che ritiene l’omissione di una condanna (o di un fatto integrante un potenziale “grave illecito professionale”) di per sé una falsa dichiarazione, comportante in automatico l’esclusione dalla gara, in quanto rilevante ai sensi dell’art. 80 comma 5 lett, f bis) (Cons. Stato, Sez. V, n. 70/2020; n. 1649/2019, n. 7271/2018; n. 6529/2018).
A condivisibile supporto di questo secondo indirizzo – tale per cui nel concetto di “falsa dichiarazione” dovrebbe inquadrarsi non solamente l’ipotesi del falso “commissivo” tradizionalmente inteso, ma pure quella del falso cd. “omissivo” – si è affermato che “in materia di partecipazione alle gare pubbliche d’appalto, una consapevole “omissione” non può essere distinta, quanto agli effetti distorsivi nei confronti della stazione appaltante che la disposizione in esame mira a prevenire e reprimere, dalla tradizionale forma di mendacio commissivo. Invero, nelle procedure di evidenza pubblica l’incompletezza delle dichiarazioni lede di per sé il principio di buon andamento dell’amministrazione, inficiando ex ante la possibilità di una non solo celere ma soprattutto affidabile decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara; una dichiarazione inaffidabile, perché falsa o incompleta, è già di per sé stessa lesiva degli interessi tutelati, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti o no di partecipare alla procedura competitiva; peraltro l’omessa dichiarazione ha il grave effetto di non consentire proprio all’Amministrazione una valutazione ex ante” (Cons. Stato, sez. V, n. 7271/2018 e sez. IV, n. 2771/2017).
Nello stesso senso si è di recente espressa questa sezione (con le pronunce nn. 1174/2020; 7173/2018; 3331/2019 quest’ultima riferita ad una ipotesi, equivalente a quella qui in esame, nella quale è stata ritenuta contrastante con il disposto dell’art. 80 comma 5 lett f bis) la risposta negativa resa alla domanda “L’operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali di cui all’art. 80 comma 5 lett. c) del Codice”).3) L’effetto dell’automatismo escludente risente, piuttosto, del recente pronunciamento della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2020, C-395/18), reso su ordinanza 29 maggio 2018, n. 6010 del Tar Lazio.
Si tratta di decisione riferita ad una fattispecie concreta non significativamente distante da quella qui in esame, in quanto riguardante l’esclusione di un operatore il cui subappaltatore era risultato non in regola con le norme che disciplinano l’accesso al lavoro dei disabili (art. 80 comma 5 lett. i) del d.lgs. n. 50/2016).
L’indirizzo del giudice comunitario è condensato nell’affermazione di principio per cui “l’articolo 57, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2014/24 non osta ad una normativa nazionale, in virtù della quale l’amministrazione aggiudicatrice abbia la facoltà, o addirittura l’obbligo, di escludere l’operatore economico che ha presentato l’offerta, dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto, qualora nei confronti di uno dei subappaltatori menzionati nell’offerta di detto operatore venga constatato il motivo di esclusione previsto dalla disposizione sopra citata. Per contro, tale disposizione, letta in combinato disposto con l’articolo 57, paragrafo 6, della medesima direttiva, nonché il principio di proporzionalità, ostano ad una normativa nazionale che stabilisca il carattere automatico di tale esclusione” (par. 55).
La Corte di Giustizia pone l’accento sulla portata dell’art. 57, paragrafo 6 della direttiva 2014/24/UE il quale statuisce espressamente che “Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto”.
L’art. 57, paragrafo 6 della direttiva 2014/24/UE, stando alla ricostruzione operata dalla pronuncia in esame, rappresenta esternazione del principio di proporzionalità (art. 5 TUE, paragrafo 4), quale principio generale del diritto dell’Unione, ragion per cui le amministrazioni nazionali non possono non tenerne conto nell’applicare i motivi di esclusione facoltativi, come quello enunciato al paragrafo 4, lettera a) dell’articolo 57 della direttiva. Al contempo, le autorità tanto comunitarie quanto nazionali non possono imporre, sia con atti normativi che amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore (cioè sproporzionata) a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento sia idoneo (cioè adeguato all’obiettivo da perseguire) e necessario (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile). Tale obiettivo può ben essere perseguito, secondo i giudici della CGUE, lasciando all’amministrazione aggiudicatrice la facoltà di valutare, caso per caso, le particolari circostanze del caso di specie, e all’operatore economico quella di dimostrare la propria affidabilità malgrado la constatazione della violazione, dato che si tratta pur sempre di una violazione commessa non da lui direttamente, quanto piuttosto da un soggetto estraneo alla sua impresa.
Ne viene che:
– l’effetto espulsivo del subappaltante dalla procedura di gara (quindi nella fase di valutazione delle offerte), conseguente ad una posizione di irregolarità del subappaltatore, costituisce soluzione consentita dalla normativa comunitaria, in alternativa a quella della mera sostituzione del subappaltatore medesimo;
– il maggior rigore adottato dal legislatore nazionale, tuttavia, non può giungere sino al punto di privare, da un lato, l’operatore economico che ha presentato l’offerta “della possibilità di fornire elementi circostanziati in merito alla situazione e, dall’altro, l’amministrazione aggiudicatrice della possibilità di disporre di un margine di discrezionalità” (par. 54):
– la stessa amministrazione è chiamata a considerare gli elementi di prova forniti da tale operatore in funzione della gravità della situazione e delle particolari circostanze del caso di specie;
– il ricorso a questi correttivi mitigatori è necessario per rendere l’esito espulsivo conciliabile con il principio di proporzionalità (oltre che con l’articolo 57, paragrafi 4 e 6, della direttiva 2014/24) e si giustifica in ragione del fatto che l’espulsione colpisce l’operatore economico che ha presentato l’offerta “per una violazione commessa non da lui direttamente, bensì da un soggetto estraneo alla sua impresa, per il controllo del quale detto operatore può non disporre di tutta l’autorità richiesta e di tutti i mezzi necessari” (par. 48).
Per giustificare la trasposizione al caso in esame delle affermazioni di principio enunciate dalla Corte di Giustizia, pur nella parziale diversità delle vicende a confronto (riferite alle ipotesi di cui alle lettere i) e f bis) dell’art. 80 comma 5), occorre ulteriormente segnalare che:
– le due fattispecie originano entrambe da ipotesi di esclusione facoltative (riconducibili all’art. 57 comma 4, rispettivamente lettere a) c) e h);
– nel giudizio della Corte, l’ipotesi di cui alla lettera i) dell’art. 57 comma 4, intercetta interessi di rilievo primario, nei diversi e cruciali settori del diritto ambientale, sociale e del lavoro (v. par. 38 sent.). Ne consegue che le cautele procedurali individuate nella pronuncia devono ritenersi, a fortiori, in quanto di maggior favore per l’impresa interessata, estensibili anche a casi riferiti a violazioni di minore gravità;
– comune alle due fattispecie comparate è la ratio cautelativa connessa alla estraneità della irregolarità contestata alla sfera giuridica dell’operatore economico direttamente partecipante alla gara.
Esclusione automatica delle offerte anomale – Presupposti (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. V, 30.10.2017 n. 4969
L’esclusione automatica delle offerte anomale nel caso di affidamenti sotto-soglia (e laddove il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso), pur non essendo vietato dall’ordinamento UE, rappresenta pur sempre un’ipotesi del tutto eccezionale.
E’ in particolare noto al riguardo che la Corte di giustizia dell’UE ha dichiarato la contrarietà all’ordinamento comunitario della disposizione nazionale (si tratta(va) dell’articolo 21-bis della l. 109 del 1994, la quale impone(va) all’amministrazione, qualora il numero delle offerte valide fosse superiore a cinque, di procedere all’esclusione automatica delle offerte considerate anormalmente basse facendo applicazione di un criterio matematico come quello basato sul c.d. ‘taglio delle ali’).
La Corte di Giustizia è pervenuta a tale conclusione in applicazione delle norme fondamentali del Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi, nonché del principio generale di non discriminazione (in tal senso: CGCE, IV, 15 maggio 2008 in cause C-147/06 e C-148/06 – SECAP).
Deve pertanto ritenersi che, anche nel nuovo sistema delineato dall’articolo 97, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (al pari di quello delineato dall’articolo 122, comma 9 del decreto legislativo n. 163 del 2006), la facoltà di contemplare ipotesi di esclusione automatica delle offerte anomale – e a prescindere da qualunque verifica in concreto circa l’effettiva sostenibilità delle offerte stesse – rappresenti una facoltà eccettuale che deve pertanto risultare da inequivoche disposizioni della legge di gara.
Si tratta, del resto, di un corollario del più generale principio secondo cui va escluso che una condizione di partecipazione ad una gara pubblica possa determinare l’automatica esclusione del concorrente, senza il previo esercizio del soccorso istruttorio, laddove tale condizione non sia espressamente prevista dai documenti di gara e possa essere individuata solo mediante una interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale o, comunque, all’esito di una non agevole operazione ermeneutica (in tal senso – ex multis -: Cons. Stato, III, 7 luglio 2017, n. 3364; id., III, 1° marzo 2017, n. 967; id., Ad. Plen. 27 luglio 2016, n. 20).
Esclusione automatica delle offerte anomale – Facoltà – Onere di indicazione nel bando di gara (art. 97 d.lgs. n. 50/2016)
Deduce la ricorrente che in mancanza di una espressa previsione nella lex specialis della possibilità di fare ricorso all’esclusione automatica così come disciplinata dall’art. 97 comma 8 del d.lgs.n. 50/2016 la Stazione Appaltante non avrebbe potuto procedere all’esclusione automatica dell’offerta ritenuta anomala, ma avrebbe dovuto avviare il sub-procedimento di anomalia in contraddittorio con essa.
Tale censura è fondata e meritevole di accoglimento: il dettato dell’art. 97 comma 8 del d.lgs. n. 50/2016, che stabilisce che “per lavori, servizi e forniture, quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso…, la stazione appaltante può prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2. In tal caso non si applicano i commi 4, 5 e 6. Comunque la facoltà di esclusione automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci”, è chiaro nel richiedere espressamente all’Amministrazione che intenda avvalersi dell’esclusione automatica delle offerte anomale di indicare tale facoltà nel bando di gara con apposita clausola.
Gli artt. 18 e 19 della lettera di invito, per cui “la valutazione delle offerte anormalmente basse” sarebbe avvenuta “sulla base dei criteri indicati dall’art. 97 del d.lgs. n. 50/2016” e “secondo cui “nell’esercizio della facoltà prevista dall’art. 97 comma 1 del nuovo Codice” si sarebbe proceduto “alla valutazione della congruità delle offerte ritenute anormalmente basse secondo le modalità indicate dall’art. 97 del nuovo Codice” non recano, invece, alcuna espressa previsione in tal senso, richiamando, tra l’altro, una disposizione come il comma 1 dell’art. 97 del Codice indicativa proprio dell’assenza dell’esclusione automatica, in quanto relativa ai chiarimenti che gli operatori possono fornire in caso di offerte che appaiano anormalmente basse.
Alla luce di tali considerazioni e della necessità di interpretare la lex specialis secondo i principi comunitari di massima partecipazione e di rispetto del contradditorio con le imprese partecipanti – che, avversi ad ogni rigido automatismo, impongono di avvisare i concorrenti sulle conseguenze che la formulazione delle loro offerte potrebbe avere, permettendo loro, così di elaborarle in modo consapevole – il ricorso deve essere dunque accolto, con annullamento dell’esclusione della ricorrente dalla procedura, del diniego di autotutela da parte dell’Amministrazione e di tutti gli atti connessi e consequenziali del procedimento.