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Omessa dichiarazione di una risoluzione “consensuale” con altra Stazione Appaltante : conseguenze (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. IV, 05.09.2022 n. 7709

E’ necessario inquadrare la questione nella cornice normativa complessiva.
E’ evidente che la questione attiene al perimetro degli obblighi dichiarativi in capo al concorrente di una procedura di gara; in particolare, occorre definire se tra i pregressi episodi professionali da riferire alla stazione appaltante in quanto suscettibili di integrare una delle cause di esclusione dalla procedura previste dall’art. 80, comma 5, lett. c) e ss. del d.lgs. n. 50 del 2016 rientri anche una c.d. risoluzione consensuale.
L’interpretazione da dare al quadro legislativo nazionale non può prescindere dalle disposizioni eurounitarie di riferimento e, in particolare, dall’art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE che stabilisce che le stazioni appaltanti possono escludere gli operatori economici “se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, il che rende dubbia la sua integrità”.
Il ruolo centrale delle amministrazioni aggiudicatrici nel valutare l’affidabilità degli operatori, deducendola dall’insieme delle condotte attuali o pregresse dei medesimi trova conferma nel considerando 101 della direttiva che, in relazione alla valenza della grave violazione dei doveri professionali ai fini dell’esclusione da una procedura di gara, stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche mantenere la facoltà di ritenere che vi sia stata grave violazione dei doveri professionali qualora possano dimostrare con qualsiasi mezzo idoneo che l’operatore economico ha violato i suoi obblighi (in tal senso v. anche C.G.U.E., sez. IV, 19 giugno 2019, n. 41). In tal senso, la Corte di Giustizia dell’U.E. ha escluso che la stazione appaltante possa essere vincolata dalla valutazione effettuata, nell’ambito di un precedente appalto, da un’altra amministrazione aggiudicatrice, per cui l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta a procedere a una propria valutazione del comportamento dell’operatore economico interessato dalla risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico (cfr. C.G.U.E., sez. IV, 3 ottobre 2019, n. 267).
In questo quadro, va riconosciuto quindi un ruolo precipuo all’apprezzamento da parte dell’amministrazione aggiudicatrice di tutte le condotte rilevanti degli operatori economici.
Come si è visto, l’art. 80 (Motivi di esclusione), comma 5, lettera c) ss. del d.lgs. n. 50 del 2016, prevede che le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, qualora: c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità; c-bis) l’operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione; c-ter) l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa.
Il provvedimento di risoluzione è, dunque, considerato dalla lettera c-ter) del comma 5 dell’art. 80 in quanto conseguente a un inadempimento nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione.
L’ Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza 28 agosto 2020, n. 16 , trattando degli obblighi dichiarativi al momento della partecipazione a una procedura di gara, ha chiarito che si tratta di “obbligo il cui assolvimento è necessario perché la competizione in gara possa svolgersi correttamente e il cui inadempimento giustifica invece l’esclusione”, precisando che “l’obbligo dovrebbe essere previsto a livello normativo o dell’amministrazione, attraverso le norme speciali regolatrici della gara. Nondimeno, (…) deve darsi atto che è consolidato presso la giurisprudenza il convincimento secondo cui l’art. 80, comma 5, lettera c), ora lett. c-bis), è una norma di chiusura in grado di comprendere tutti i fatti anche non predeterminabili ex ante, ma in concreto comunque incidenti in modo negativo sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico, donde il carattere esemplificativo delle ipotesi previste nelle linee guida emanate in materia dall’ANAC, ai sensi del comma 13 del medesimo art. 80”.

14. Il Collegio ritiene che non possa essere data una lettura formalistica del contenuto della lettera c-ter), se non a costo di pregiudicare il ruolo infungibile dell’amministrazione nella valutazione dell’affidabilità dei concorrenti.
Il Collegio ritiene, al contrario, di dovere aderire alle diverse conclusioni rassegnate in materia dalla più recente giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4708 del 2022; similmente, Cons. Stato, sez. V, n. 2922 del 2021).
L’art. 1372 c.c. prevede che il contratto ha forza di legge tra le parti e “non può essere sciolto che per mutuo consenso”.
Il mutuo dissenso costituisce non un “contro-negozio” ma una forma di risoluzione contrattuale basata su una scelta di autonomia negoziale delle parti. La fattispecie in esame si caratterizza per il fatto che le parti possono decidere di caducare il vincolo contrattuale per qualunque ragione. Nell’ambito applicativo della disposizione può, pertanto, rientrare, tra l’altro, sia la libera volontà di non proseguire la fase esecutiva del rapporto negoziale sia la sussistenza di una causa di inadempimento del contratto.
Nel perimetro degli obblighi dichiarativi rientra, pertanto, anche una precedente risoluzione consensuale intervenuta con altra stazione appaltante in fase di esecuzione di una procedura di gara quante volte la stessa sia dipesa da una condotta astrattamente idonea a fare dubitare dell’integrità ed affidabilità dell’operatore economico in vista dell’affidamento dell’appalto.
Occorre aderire a una lettura sostanzialista delle cause di esclusione, che non sia circoscritta al mero nomen iuris.
Lo scioglimento dal contratto è certo frutto di un accordo – e non invece di un provvedimento unilaterale dell’amministrazione – ma potrebbe essere pur sempre dovuto ad un precedente inadempimento dell’appaltatore; tale inadempimento costituisce pregressa vicenda professionale della quale la stazione appaltante deve essere edotta poiché suscettibile di far dubitare dell’affidabilità ed integrità del concorrente (Cons. Stato, sez. V, n. 4708 del 2022).
Come già precisato in giurisprudenza in relazione all’obbligo dichiarativo di precedente provvedimento di esclusione da altra procedura di gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 settembre 2021, n. 6407), viene comunque in luce il fatto storico in sé, con le sue connotazioni specifiche per le quali si è giunti alla risoluzione consensuale in fase di esecuzione, mentre non può essere riconosciuto un rilievo esclusivo alla tipologia di atto negoziale o provvedimento amministrativo che ne sia seguito (in tal senso, cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 dicembre 2020, n. 8211, in particolare par. 7.3); ciò proprio in ragione della necessità che ogni episodio professionale critico del concorrente sia autonomamente apprezzato da ciascuna stazione appaltante.
La garanzia per i concorrenti, al fine di evitare che il rilievo sostanzialista dell’inadempimento al di là della qualificazione della risoluzione o scioglimento del precedente contratto, trasmodi in arbitrio dell’amministrazione aggiudicatrice, risiede nell’obbligo di motivazione in capo alla stazione appaltante, che è formalmente rispettato se l’atto reca l’esternazione del percorso logico-giuridico seguito dall’amministrazione per giungere alla decisione adottata e il destinatario sia in grado di comprendere le ragioni di quest’ultimo e, conseguentemente, di utilmente accedere alla tutela giurisdizionale (così, Cons. Stato, sez. V, 21 luglio 2020, n. 4668; sez. V, n. 2922 del 2021).

15. Nel caso di specie, indipendentemente dalla causa specifica che ha condotto alla risoluzione consensuale del contratto tra la società -OMISSIS- s.r.l. e il Comune di Cori (l’impossibilità di reperire gli automezzi elettrici), non si è a tutta evidenza trattato di una risoluzione per impossibilità sopravvenuta ma, dopo che il Comune aveva in un primo momento qualificato la fattispecie come inadempimento, si è infine pervenuti, su proposta della società, a una risoluzione consensuale ai sensi dell’art. 1372, primo comma, c.c.) alla cui base permane comunque il fatto storico del mancato adempimento agli obblighi contratti con la stipula del contratto di appalto da parte della società appellante. Non si può negare il potere dell’amministrazione aggiudicatrice di qualificare tale fatto storico, riconducendo alla fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lettera c-ter), la condotta dell’operatore economico nei confronti di altro Comune.

Informazioni false o fuorvianti : comportano esclusione solo se idonee ad influenzare le decisioni della Stazione Appaltante (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 15.06.2021 n. 4641

6.2.3. In definitiva alle omissioni dichiarative ascritte all’appellante non potevano e non possono invero ricollegarsi gli effetti automaticamente escludenti che conseguono al provvedimento impugnato in prime cure.
Invero, secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale, la violazione degli obblighi informativi che incombono sui partecipanti alle pubbliche gare intanto può comportare l’esclusione del concorrente reticente, in quanto essa sia stata effettivamente valutata dalla stazione appaltante in termini di incidenza sulla permanenza degli imprescindibili requisiti di integrità ed affidabilità del concorrente stesso sì che “l’esclusione non è automatica, ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale della Stazione Appaltante, la quale potrà adottare la misura espulsiva una volta appurato, indipendentemente dalle modalità di acquisizione dei relativi elementi di fatto, che l’omissione dichiarativa abbia intaccato l’attendibilità professionale del singolo operatore economico, minando la relazione di fiducia venutasi a creare a seguito della partecipazione alla gara” (così Consiglio di Stato, Sez. V, 9 gennaio 2019, n. 196).
In sostanza, venuta a conoscenza della mancata informativa, la stazione appaltante può escludere dalla gara il concorrente reticente solo dopo aver accertato, mediante il discrezionale apprezzamento di tutte le circostanze del caso, che sussistano fondati dubbi sulla integrità o affidabilità dell’operatore stesso.
E’ stato chiarito che “in tanto una ricostruzione a posteriori degli obblighi dichiarativi può essere ammessa, in quanto si tratti di casi palesemente incidenti sulla moralità ed affidabilità dell’operatore economico, di cui quest’ultimo doveva ritenersi consapevole e rispetto al quale non sono predicabili esclusioni “a sorpresa” a carico dello stesso» (v. Cons. Stato, sentenza n. 4316 del 2020)” (Cons. Stato, IV, 5 agosto 2020, n. 4937)
Va infatti conferita “determinatezza e concretezza” all’elemento normativo della fattispecie, ovvero al carattere “dovuto” dell’informazione, al fine di “individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione”, dovendosi tenere distinte le due fattispecie (che l’appellata sentenza ha invece sovrapposto): a) dell’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza della dichiarazione resa; b) della falsità delle dichiarazioni, per tale intendendosi la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero (c.d. immutatio veri; cfr. ordinanza Cons. Stato, V, 9 aprile 2020, n. 2332). Nelle omissioni dichiarative poi non può certamente essere insito alcun automatismo escludente, in quanto esse postulano sempre un “apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente” (Consiglio di Stato, ordinanza V, 9 aprile 2020, n. 2332; IV, n. 4937/2020 cit.).
L’Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 16 del 28 agosto 2020, ha ribadito che l’esclusione per omissioni dichiarative del concorrente in relazione a reati c.d. “non ostativi” non può mai essere automatica, affermando che «La falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lett. c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50; in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo; alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico».
Pertanto anche in caso di informazioni “false o fuorvianti” l’esclusione non può essere disposta se non previa valutazione della loro idoneità ad «influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione» della stazione appaltante. Alle informazioni “false o fuorvianti” sono equiparate quelle “omissioni” che riguardano «informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione», dovendo, a maggior ragione, anche per esse escludersi ogni automatismo espulsivo; secondo quanto precisato dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria «L’elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa ora esaminata con quella relativa alle informazioni false o fuorvianti suscettibili di incidere sulle decisioni dell’amministrazione concernenti l’ammissione, la selezione o l’aggiudicazione, è dato dal fatto che in nessuna di queste fattispecie si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di cui alla lettera f-bis). Infatti, tanto “il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione”, quanto “l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione” sono considerati dalla lettera c) quali “gravi illeciti professionali” in grado di incidere sulla “integrità o affidabilità” dell’operatore economico. È pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante, come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c……Nel contesto di questa valutazione l’amministrazione dovrà pertanto stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità. Qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo».
6.2.4. Applicando tali principi alla fattispecie in esame non può negarsi che il provvedimento impugnato in primo grado è viziato proprio per l’effetto espulsivo immediato ed automatico fatto seguire all’omissione dichiarativa, senza alcuna valutazione della rilevanza dei fatti e/o elementi omessi e della loro incidenza sulla integrità ed affidabilità dell’operatore economico, tanto più che la violazione di quell’obbligo neppure risultava espressamente sanzionato con misura espulsiva dalla legge di gara.
Peraltro, per completezza si osserva che già prima della citata decisione dell’Adunanza Plenaria, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa era nel senso che “le omissioni assumono portata escludente non in sé, cioè come mero inadempimento al dovere di informazione, ma se e nella misura in cui siano anche state reputate rilevanti – sia nell’omissione in sé, che, necessariamente, rispetto al fatto omesso – da parte della stazione appaltante” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 8906; tra le tante, cfr. anche Cons. St., Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407; sez. V, 12 settembre 2019, n. 6157). Si deve infatti considerare che “non rileva, ai fini della relativa verifica che le informazioni dovute siano state omesse in sede di gara (cfr. Cons Stato, V, 4 dicembre 2019, n. 8294 ed altre), tanto è vero che si tratta di omissione suscettibile di soccorso istruttorio (cfr. Cons. Stato, V, n. 7922/19)” (Cons. St., Sez. V, 18 marzo 2021, n. 2350).

Dichiarazione non veritiera : rilevante solo quando riguarda una causa di esclusione esistente (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 01.06.2021 n. 4209

3.2. Il motivo è manifestamente infondato, considerato che:
– l’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 non individua quale causa di esclusione la mancata dichiarazione circa il fatto che determinati soggetti sono cessati nell’anno antecedente la pubblicazione del bando, poiché l’articolo si limita ad estendere a questi ultimi le fattispecie escludenti a carico dei soggetti apicali tuttora in carica;
– il soggetto per il quale, secondo parte ricorrente, il legale rappresentante del Consorzio avrebbe dovuto rendere diversa dichiarazione, non rientra tra quelli nei cui confronti, ai sensi del comma 3, dell’art. 80, rilevano le cause di esclusione dell’art. 80, commi 1 e 2 (essendo componente del consiglio di amministrazione privo di poteri di rappresentanza, in disparte la verifica circa la data di effettiva cessazione dalla carica, sulla quale non è necessario intrattenersi considerata la manifesta infondatezza in diritto della censura);
– la dichiarazione non veritiera è causa di esclusione, ai sensi dell’art. 80 lett. f bis, solo quando rilevante ai fini di gara, quindi – per quanto di interesse ai fini della presente decisione – soltanto nel caso in cui la falsità riguardi l’insussistenza di cause di esclusione invece esistenti, mentre, oltre a quanto appena detto, non è nemmeno in contestazione che il signor P.F., già componente del consiglio di amministrazione del Consorzio Rennova, non era, al momento del bando o della presentazione della domanda di partecipazione, destinatario di sentenze definitive di condanna o decreti penali di condanna divenuti irrevocabili per i reati indicati nel primo e nel secondo comma dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016.

Superamento dei limiti temporali per l’annullamento in autotutela in presenza di una falsa dichiarazione

Consiglio di Stato, sez. VI, 15.03.2021 n. 2207

Va detto che in epoca recente, pur se in materia di dichiarazioni rese in occasione di una procedura di gara svolta ai sensi del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ma esprimendo principi che ben possono attagliarsi al caso qui in esame, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 25 settembre 2020 n. 16, ha sviluppato le seguenti argomentazioni che il Collegio ritiene di riferire al caso di specie come segue:
– in via generale, “è risalente l’insegnamento filosofico secondo cui vero e falso non sono nelle cose ma nel pensiero e nondimeno dipendono dal rapporto di quest’ultimo con la realtà. In tanto una dichiarazione che esprima tale pensiero può dunque essere ritenuta falsa in quanto la realtà cui essa si riferisce sia in rerum natura”;
– premesso quanto sopra, le informazioni false o fuorvianti rese da un concorrente ben possono essere idonee ad influenzare le decisioni che verranno assunte da un’amministrazione che sta svolgendo una procedura selettiva;
– va però precisato che non è sufficiente che l’informazione sia falsa ma anche che la stessa sia diretta ed in grado di sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura selettiva;
– a ciò va aggiunto che le informazioni sono strumentali rispetto ai provvedimenti di competenza dell’amministrazione relativamente alla procedura selettiva, i quali sono a loro volta emessi non solo sulla base dell’accertamento di presupposti di fatto ma anche di valutazioni di carattere giuridico, opinabili tanto per quest’ultima quanto per l’operatore economico che le abbia fornite. Ne consegue che, in presenza di un margine di apprezzamento discrezionale, la demarcazione tra informazione contraria al vero e informazione ad essa non rispondente ma comunque in grado di sviare la valutazione della stazione appaltante diviene da un lato difficile, con rischi di aggravio della procedura di gara e di proliferazione del contenzioso ad essa relativo e dall’altro lato irrilevante rispetto al disvalore della fattispecie, consistente nella comune attitudine di entrambe le informazioni a sviare l’operato della medesima amministrazione;
– da tutto quanto sopra discende che la considerazione della dichiarazione in termini omissivi o non veritieri, per poter condurre all’esclusione dalla selezione (ovvero, come nel caso di specie, laddove la scoperta della inadeguatezza della dichiarazione rispetto alle regole di partecipazione alla selezione sia successiva all’adozione del provvedimento conclusivo e quindi conduca al suo annullamento in autotutela), deve essere ricondotta dall’amministrazione nell’ambito di un contraddittorio tra l’amministrazione procedente e il concorrente, solo all’esito del quale l’amministrazione potrà stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante, se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni ed infine se il comportamento tenuto dal concorrente abbia inciso in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità partecipativa. Del pari l’amministrazione dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa della selezione, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità.

[…]

13. – A questo punto, dunque, si impone lo sviluppo di ulteriori considerazioni in merito ai due istituti, apparentemente confliggenti tra di loro, dell’annullamento in autotutela e in particolare della previsione di cui all’art. 21-nonies, comma 2-bis, l. 241/1990, grazie al quale sarebbe possibile superare il limite temporale di diciotto mesi, con riferimento all’annullamento degli atti di rilascio di autorizzazione e di attribuzione di vantaggi economici (di cui al comma 1 del suddetto articolo), solo in epoca successiva al passaggio in cosa giudicata della sentenza penale di condanna di colui che ha ottenuto l’autorizzazione o il beneficio dichiarando il falso e del diverso istituto della decadenza dal beneficio, di cui all’art. 75 d.P.R. 445/2000, a mente del quale (per la parte che qui interessa non modificata dall’art. 264, comma 2, lett. a), n. 2), d.l.. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, che vi ha introdotto un nuovo comma 1-bis) “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.
La Sezione ha già chiarito che (cfr., tra le ultime, Cons. Stato, Sez. VI, 31 dicembre 2019 n. 8920) è ferma in giurisprudenza, per i più vari casi d’esercizio di una funzione amministrativa ampliativa delle facoltà giuridiche del privato e connessa ad autodichiarazioni rese da quest’ultimo (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2019 n. 3940, 3 febbraio 2016 n. 404 e 24 luglio 2014 n. 3934), la regola secondo cui, in base a detto art. 75, la non veridicità di quanto descritto nella dichiarazione sostitutiva presentata implica la decadenza dai benefici ottenuti con il provvedimento conseguente a tale dichiarazione, senza che, per l’applicazione di detta norma, abbia rilievo la condizione soggettiva del dichiarante (rispetto alla quale è irrilevante l’accertamento della falsità degli atti in forza di una sentenza penale definitiva di condanna), facendo invece leva sul principio di autoresponsabilità.

14. – Da ciò discende che (come ha chiarito l’Adunanza plenaria nella richiamata sentenza n. 16/2020), anche a voler seguire la prospettazione del TAR in tema d’autotutela discrezionale e di perentorietà del termine per esercitarla, laddove la fallace dichiarazione abbia sortito un effetto rilevante ai fini del rilascio del provvedimento amministrativo, è del pari congruo che il termine “ragionevole” (massimo di 18 mesi) decorra solo dal momento in cui la pubblica amministrazione abbia appreso tale non veridicità (cfr., ancora per tutte, seppure in materia edilizia ma con principi sovrapponibili pienamente al caso in esame, Cons. Stato, Ad. pl., 17 ottobre 2017 n. 8).
Tenendo conto dei principi espressi dall’Adunanza plenaria nelle due sentenze appena richiamate, si può dunque affermare che l’avere omesso di dichiarare o l’avere dichiarato in modo fuorviante ovvero non veritiero elementi indispensabili a permettere la formazione della volontà dell’amministrazione che si coagula nel provvedimento ampliativo, laddove tale volontà sia negli esiti coartata e comunque inquinata dalla non rispondenza al vero degli elementi di fatto e di diritto dichiarati dalla parte interessata, è lo stesso soggetto interessato, con il proprio comportamento, ad indurre l’amministrazione a rimuovere in autotutela il provvedimento caratterizzato da patologie rilevanti e quindi a provocare la decadenza dal beneficio ingiustamente acquisito, senza che possa essere garantita la sopravvivenza dello stesso in base ad un mero elemento di fatto quale il trascorrere del termine di 18 mesi.
Una lettura costituzionalmente orientata della norma di cui all’art. 21-nonies, comma 1, l. 241/1990, tenuto conto della portata degli artt. 3 e 97 Cost., conduce ad affermare che:
– il termine massimo di 18 mesi assegnato dal legislatore nel 2015 all’amministrazione per ritirare dal mondo giuridico, con effetto retroattivo, il provvedimento di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici è stato introdotto al fine di garantire il rispetto del principio del legittimo affidamento che trova il suo fondamento, nell’ordinamento unionale, nei principi del Trattato dell’unione europea e, in quello nazionale, nei principi dell’art. 97 Cost. nonché nelle disposizioni recate dall’art. 1, comma 1, l. 241/1990;
– sotto il versante del diritto eurounitario (nell’ambito della giurisprudenza della Corte di giustizia UE), il principio di tutela del legittimo affidamento impone che una situazione di vantaggio, assicurata ad un privato da un atto specifico e concreto dell’autorità amministrativa, non possa essere successivamente rimossa, salvo che non sia strettamente necessario per l’interesse pubblico (e fermo in ogni caso l’indennizzo della posizione acquisita).
– nello stesso tempo però (cfr. Cons. stato, Sez. III, 8 luglio 2020 n. 4392), affinché un affidamento sia legittimo è necessario un requisito oggettivo, che coincide con la necessità che il vantaggio sia chiaramente attribuito da un atto all’uopo rivolto e che sia decorso un arco temporale tale da ingenerare l’aspettativa del suo consolidamento e un requisito soggettivo, che coincide con la buona fede non colposa del destinatario del vantaggio (l’affidamento non è quindi legittimo ove chi lo invoca versi in una situazione di dolo o colpa);
– sulla spinta dei principi unionali il nostro legislatore ha dunque introdotto un limite massimo per l’adozione di atto di ritiro di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario, sempre che costui sia parte passiva e incolpevole nella provocazione della patologia che, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 1, l. 241/1990, affligge l’atto da ritirarsi, sicché la responsabilità nella adozione dell’atto illegittimo deve totalmente ascriversi all’amministrazione;
– diverso è il caso in cui il profilo patologico che affligge l’atto e che ne impone, al ricorrere dei presupposti, la rimozione, sia ascrivibile al comportamento mantenuto dalla parte che ha ottenuto l’adozione in suo favore dell’atto autorizzatorio ovvero di attribuzione di vantaggi economici;
– ancora una volta, in considerazione dell’art. 97 Cost e dell’art. 3 Cost., quest’ultimo con riferimento agli altri soggetti che pur potendo aspirare al rilascio del provvedimento ampliativo della sfera giuridica dell’interessato hanno dovuto accettare che il provvedimento favorevole fosse assegnato ad altri, l’ordinamento (sia quello unionale che quello nazionale) non può tollerare che il vantaggio sia conseguito attraverso un comportamento non corretto che abbia indotto in errore l’amministrazione procedente, sviando in modo decisivo la valutazione dei presupposti fissati dalla legge ai fini del rilascio del provvedimento attributivo di quel vantaggio, pregiudicando (anche solo potenzialmente) le aspirazioni di altri (…).
Pertanto, la surriproposta lettura costituzionalmente orientata dell’art. 21-nonies, comma 1, l. 241/1990, porta ad affermare che il limite temporale dei 18 mesi, introdotto nel 2015, in ossequio al principio del legittimo affidamento con riguardo alla posizione di colui che ha ottenuto un provvedimento autorizzatorio o di attribuzione di vantaggi economici, è dedicato dal legislatore e, quindi, trova applicazione, solo se il comportamento della parte interessata, nel corso del procedimento o successivamente all’adozione dell’atto, non abbia indotto in errore l’amministrazione distorcendo la realtà fattuale oppure determinando una non veritiera percezione della realtà o della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge e se grazie a tale comportamento l’amministrazione si sia erroneamente determinata (a suo tempo) a rilasciare il provvedimento favorevole. Nel caso contrario, non potendo l’ordinamento tollerare lo sviamento del pubblico interesse imputabile alla prospettazione della parte interessata, non può trovare applicazione il limite temporale di 18 mesi oltre il quale è impedita la rimozione dell’atto ampliativo della sfera giuridica del destinatario (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 17 maggio 2019 n. 3192, 24 aprile 2019 n. 2645 e 14 giugno 2017).

15. – Per completezza merita ancora di essere ricordato come la condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito come il superamento dei limiti temporali previsti per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela (sanciti dall’art. 21-nonies, comma 1, l. 241/1990, e già ivi espressi attraverso il canone del “termine ragionevole”) in presenza di una falsità dichiarativa o documentale presupponga la valenza obiettivamente determinante di siffatta falsa rappresentazione, tanto che è proprio sulla base di essa che il provvedimento ampliativo è stato adottato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27 giugno 2018 n. 3940).

Dichiarazioni omesse , false o fuorvianti – Esclusione – Non è automatica – Occorre una valutazione in concreto della Stazione appaltante (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 04.01.2021 n. 62

Importa osservare che, in ordine regime delle dichiarazioni omissive, reticenti, fuorvianti o propriamente false rese dagli operatori economici in sede di partecipazione alle procedure di evidenzia pubblica si è pronunziata, di recente, l’adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. plen. 28 agosto 2020, n. 16), che ha formulato principi di carattere generale in ordine all’interpretazione delle cause di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. n. 50 del 2016.
In particolare, la decisione, optando per una impostazione di carattere “sostanzialistico”, ha affermato i seguenti principi di diritto:
a) la falsità di informazioni, rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all’adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l’ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora, dopo le modifiche introdotte dal d.-l. n. 135 del 2018, lettera c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del Codice dei contratti;
b) in conseguenza di ciò, la stazione appaltante è sempre tenuta a svolgere la concreta valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza che si possa configurare alcun automatismo espulsivo;
c) alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell’operatore economico;
d) la lettera f-bis) dell’art. 80, comma 5, del Codice ha, invece, carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.
Tali conclusioni discendono dalla premessa che, rispetto all’ipotesi della falsità dichiarativa (o documentale) di cui alla lettera f-bis), quella relativa alle “informazioni false o fuorvianti” presenta un “elemento specializzante”, dato dalla loro idoneità a “influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione” della stazione appaltante, per il che, ai fini dell’esclusione non è sufficiente che l’informazione sia falsa, ma anche che la stessa sia diretta a ed in grado di sviare l’amministrazione nell’adozione dei provvedimenti concernenti la procedura di gara.
Ne consegue che, in presenza di dichiarazioni “fuorvianti” (anche di carattere omissivo, come nel caso di specie) si rivela imprescindibile una valutazione “in concreto” della stazione appaltante, come per le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c), ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto delle modifiche da ultimo introdotte dal d.l. n. 32 del 2019.
In particolare, la stazione appaltante non può (a mera presa d’atto della riscontrata omissione), disporre senz’altro l’estromissione della concorrente, ma deve volta a volta accertare e stabilire: a) se l’informazione (fornita od omessa) sia effettivamente falsa o fuorviante; b) se, in tal caso, la stessa “fosse in grado di sviare le proprie valutazioni” (trattandosi, con ciò, di omissione “rilevante”); c) se il comportamento tenuto dall’operatore economico “incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità” (trattandosi, allora, di omissione “significativa”).
Qualora tale valutazione sia, in concreto, mancata (avendo la stazione appaltante attivato un meccanismo di estromissione automatica), la medesima valutazione non può essere effettuata dal giudice amministrativo, a ciò ostando il principio della separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm. (secondo cui il giudice non può pronunciare “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”).

Falsa dichiarazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 80 del Codice dei contratti pubblici

Consiglio di Stato, sez. V, 25.09.2020 n. 5627

Tenuto conto delle argomentazioni esposte nella sentenza di primo grado per superare la censura di “non rispondenza al vero” della dichiarazione resa dal RTI aggiudicatario sull’importo economico del progetto, è evidente che:
– non si tratta di falsa dichiarazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis), del codice dei contratti pubblici, atteso che deve intendersi per tale una dichiarazione riferibile ad un dato di realtà, cioè ad una situazione fattuale per la quale si possa porre immediatamente l’alternativa logica vero/falso, vale a dire una dichiarazione per la quale si possa predicare che “la realtà cui essa si riferisce sia in rerum natura” (così, in termini, da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen. 28 agosto 2020, n. 16), tale non essendo nel caso di specie l’indicazione dell’importo economico del progetto, se non altro per l’alternativa tra il dato formale (ritenuto valido anche dal giudice di primo grado) e il dato sostanziale (su cui insistono le appellanti);
– non si tratta di falsa dichiarazione ai sensi e per gli effetti dello stesso art. 80, comma 5, lett. c-bis), poiché non suscettibile di influenzare le decisioni sull’esclusione o sulla selezione in quanto non riguardante un requisito di partecipazione (ma un elemento valutabile ai fini dell’attribuzione del punteggio), né suscettibile di influenzare l’aggiudicazione poiché – anche in considerazione dell’importo della fattura e della rilevanza dell’importo economico quale sub-criterio di valutazione – è stato dimostrato dalla stazione appaltante (senza smentita da parte appellante) che l’asserita “falsità” non ha avuto alcuna incidenza favorevole sull’attribuzione del punteggio nei confronti del RTI aggiudicatario;
– anche a voler ricondurre la fattispecie all’art. 80, comma 5, lett. c-bis) o, come pure sostenuto dalle appellanti, lett. c), sub specie di grave illecito professionale, l’indebita considerazione dell’importo della fattura contestata non avrebbe mai potuto comportare l’espulsione “automatica” invocata dalle appellanti, dovendo essere apprezzata dalla stazione appaltante; nel caso di specie, pur essendo mancate, come già rilevato dal giudice di primo grado, “attività istruttorie successive” e “contestazioni formali” da parte di Poste Italiane, è sufficiente osservare che le prime erano del tutto inutili, trattandosi di circostanze ben note a Poste Italiane e, malgrado ciò, la stazione appaltante ha ritenuto di evitare anche le “contestazioni formali”, evidentemente apprezzando la dichiarazione contestata come priva di qualsivoglia rilevanza sia, come detto, ai fini della gara, sia ai fini dell’integrità e affidabilità del RTI aggiudicatario.

Falsa dichiarazione – Concetto di falso – Non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso (art. 80 d.lgs. n. 50/2016) d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. VI, 21.07.2020 n. 4660

Quello che difetta in definitiva è quell’immutatio veri potenzialmente in grado di incidere sul processo decisionale della stazione appaltante, che aveva al contrario tutti gli elementi per valutare se l’adempimento da parte dell’appellata fosse corretto o meno. Da qui si desume come non si sia in presenza di una “falsa dichiarazione”. Del resto questo Consiglio (Cons. St., 12 maggio 2020, n. 2976) ha già avuto modo di precisare che: “In tema di false dichiarazioni rese dall’operatore economico nell’ambito delle gare di appalto, va precisato che il concetto di “falso”, nell’ordinamento vigente, si desume dal codice penale, nel senso di attività o dichiarazione consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera. Dunque, il falso non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso”. 

Gravi illeciti professionali – Omessa dichiarazione e falsa dichiarazione – Differenza – Conseguenze (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Napoli, 24.06.2020 n. 2634

Considerato: […]
che il Codice di contratti, per quanto di più diretto interesse, come modificato dal D.L. 14 dicembre 2018, n. 135 (convertito con modificazioni dalla Legge 11 febbraio 2019, n. 12), ha novellato l’articolo 80, comma 5 lettera c) del D. Lgs. 50/2016 prevedendo che integrino distinte cause di esclusione le seguenti circostanze: “c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità; c-bis) l’operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione; c-ter) l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa.”. Tale novella legislativa chiarisce bene che la valutazione di inidoneità professionale deriva da un apprezzamento discrezionale della Stazione appaltante, che non è necessariamente vincolata alla definitività degli addebiti relativi a pregressi inadempimenti contrattuali;
che la successiva lettera f-bis) correla l’applicazione della suddetta sanzione dell’esclusione della gara al fatto de ” l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”;
che, com’è noto, il citato art. 80, comma 5 si pone a presidio dell’esigenza di verificare l’affidabilità morale e professionale dell’operatore economico che andrà a contrarre con la P.A., prova ne sia che la declinazione applicativa dei suindicati principi regolatori ha trovato chiara esplicazione nelle linee guida all’uopo confezionate dall’ANAC, che, al punto 4.2., precisano, tra l’altro, che “la sussistenza delle cause di esclusione in esame deve essere autocertificata dagli operatori economici mediante utilizzo del DGUE. La dichiarazione sostitutiva ha ad oggetto tutti i provvedimenti astrattamente idonei a porre in dubbio l’integrità o l’affidabilità del concorrente, anche se non ancora inseriti nel casellario informatico. È infatti rimesso in via esclusiva alla stazione appaltante il giudizio in ordine alla rilevanza in concreto dei comportamenti accertati ai fini dell’esclusione”;
che, come evidenziato dal Consiglio di Stato in sede di parere (numero 02042/2017) licenziato a seguito dell’Adunanza del 14 settembre 2017, la differenza tra le due ipotesi è sostanziale, atteso che, nell’ipotesi di cui al comma 5, lett. c), la valutazione in ordine alla rilevanza in concreto ai fini dell’esclusione dei comportamenti accertati è rimessa alla Stazione appaltante, mentre nel caso del comma 5, lett. f-bis) l’esclusione dalla gara è atto vincolato, discendente direttamente dalla legge, che ha la sua fonte nella mera omissione da parte dell’operatore economico. Resta fermo che, da un punta di vista strutturale, anche l’omessa dichiarazione può concretare un’ipotesi di dichiarazione non veritiera, ragion per cui il discrimen tra le due fattispecie sembra doversi incentrare sull’oggetto della dichiarazione, che assumerà rilievo, ai sensi e per gli effetti di cui alla lettera f-bis), nei soli casi di mancata rappresentazione di circostanze specifiche, facilmente e oggettivamente individuabili e direttamente qualificabili come cause di esclusione a norma della disciplina in commento, ricadendosi altrimenti – alle condizioni previste dalla corrispondete disposizione normativa – nella previsione di cui alla fattispecie prevista al comma 5, lett.c) (Cons. Stato, III, 23/08/2018, n. 5040);
che, ai fini della conclusiva reiezione del ricorso, la Sezione – preso atto della omessa dichiarazione da parte dell’aggiudicataria della pregressa revoca di aggiudicazione disposta nei suoi confronti per il mancato allestimento dell’automezzo adibito al servizio oggetto di gara – ritiene di confermare il proprio orientamento (ex multis, 23.4.2020, n.1426) in linea con quella giurisprudenza (T.A.R. Puglia, Bari, III, 12/02/2019, n.230; Cons. Stato, V, 9/1/2019, n.196) secondo la quale, in merito alla causa di esclusione di cui alla lettera f-bis) del citato comma 5, in quanto di stretta interpretazione perché derogatoria al generale principio di massima partecipazione alle gare d’appalto, va affermato che tale disposizione si riferisce (testualmente) all’ipotesi in cui venga resa una dichiarazione espressa “non veritiera”, ossia falsa, laddove ipotesi affatto diversa è – come appunto nella fattispecie – la semplice omissione dichiarativa di mera esclusione non incidente sulla affidabilità ed integrità morale dell’operatore economico, dal momento che un’omissione dichiarativa giammai potrebbe integrare gli estremi della “falsa dichiarazione” o del grave illecito disciplinare in presenza di violazione di una norma civile, penale o amministrativa;
che, dunque, non si tratta né di esclusione dalla medesima gara nel cui ambito è avvenuta la produzione né di esclusione cui sia seguita l’iscrizione nel Casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC;

Obblighi dichiarativi – Informazioni dovute – Gravi illeciti professionali – Falsa dichiarazione – Rimessione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 09.04.2020 n. 2332 ord.

È rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione relativa alla consistenza, alla perimetrazione e agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alla procedura evidenziale, con particolare riguardo ai presupposti per l’imputazione della falsità dichiarativa, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c e b-bis, d.lgs. n. 50 del 2016.

L’art. 80 applicabile ratione temporis è quello risultante dal testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 5, comma 1, d. l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito dalla l. 11 febbraio 2019, n. 12. La disposizione transitoria dello stesso art. 5, comma 2 prevede infatti, che “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi, con i quali si indicono le gare, sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto […]”, cioè successivamente al 15 dicembre 2018.
Ciò detto, le irregolarità di carattere dichiarativo sono normativamente definite nel quadro delle “situazioni” concretanti “gravi illeciti professionali”, idonei, come tali, a “rendere dubbia” l’”integrità” e l’”affidabilità” del concorrente.
Sotto un profilo generale, fondano sull’obbligo – di ordine e di matrice propriamente precontrattuale – che grava su ogni operatore economico di fornire alla stazione appaltante ogni dato o informazione comunque rilevante, al fine di metterla in condizione anzitutto di acquisire, e quindi di valutare tutte le circostanze e gli elementi idonei ai fini della ammissione al confronto competitivo.
In quanto tale – operando nella logica relazionale del “contatto sociale qualificato” strutturato dalla procedura evidenziale – esso è anzitutto “di diritto comune”, facendo capo alla regola di condotta di cui agli artt. 1337 e 1338 del codice civile, che impone un generale (e, peraltro, reciproco) dovere di chiarezza e di completezza informativa.
Nel contesto evidenziale, di matrice pubblicistica, tale obbligo (manifestazione del “principio di correttezza”: cfr. art. 30, comma 1 del Codice) è vieppiù qualificato dalla professionalità che si impone agli operatori economici che intendano accedere, in guisa concorrenziale, al mercato delle commesse pubbliche: la quale vale a conferire speciale ed autonomo rilievo, presidiato dalla sanzione espulsiva, alla omissione delle “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, di cui fa espressa parola la lettera c-bis del comma 5, ad finem, sintetizzandone la complessiva ratio.
Si tratta, così acquisito, di obbligo essenzialmente strumentale, finalizzato (solo) a mettere in condizione la stazione appaltante di conoscere tutte le circostanze rilevanti per l’apprezzamento dei requisiti di moralità e meritevolezza soggettiva: non obbligo fine a se stesso, ma servente.
Nondimeno, la sua (distinta) previsione come (specifico, legittimo ed autonomo) motivo di esclusione testimonia (ad onta della, non decisiva, scissione della lettera c) e della successiva lettera c-bis) da ultimo operata dal d.l. n. 135 del 2018, convertito dalla l. n. 12 del 2019) della sua attitudine a concretare, in sé, una forma di grave illecito professionale: nel qual caso, il necessario nesso di strumentalità rispetto alle valutazioni rimesse alla stazione appaltante finisce per dislocarsi dal piano del concreto apprezzamento delle circostanze di fatto, rimesso alla mediazione valutativa della stazione appaltante, al piano astratto di una illiceità meramente formale e presunta, operante de jure.
Si intende, perciò, la necessità di una puntuale perimetrazione della portata (e dei limiti) degli obblighi informativi. Sui quali si scaricano, con evidente tensione, opposti e rilevanti interessi: da un lato quello di estromettere senz’altro dalla gara i soggetti non affidabili sotto il profilo della integrità morale, della correttezza professionale, della credibilità imprenditoriale e della lealtà operativa; dall’altro, quello di non indebolire la garanzia della massima partecipazione e di non compromettere la necessaria certezza sulle regole di condotta imposte agli operatori economici, presidiate dalla severa sanzione espulsiva.
L’equilibrio tra questi due interessi va garantito da una acquisizione del principio di tipicità dei motivi di esclusione (espressamente scolpito all’art. 83, comma 8 del Codice) non limitato al profilo (di ordine formale) della mera preclusione alla introduzione di fattispecie escludenti non normativamente prefigurate (c.d. numerus clausus), ma esteso al profilo ( di ordine sostanziale) della sufficiente tipizzazione, in termini di tassatività, determinatezza e ragionevole prevedibilità delle regole operative e dei doveri informativi.
È un problema che si pone, in modo particolare, per le omissioni dichiarative (ovvero per le dichiarazioni reticenti): per le quali occorre distinguere il mero (e non rilevante) nihil dicere (che, al più, legittima la stazione appaltante a dimostrare, con mezzi adeguati, “che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali”, diversi dalla carenza dichiarativa, idonei “a rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”) dal non dicere quod debetur (che, postulando la violazione di un dovere giuridico di parlare, giustifica di per sé – cioè in quanto illecito professionale in sé considerato – l’operatività, in chiave sanzionatoria, della misura espulsiva).
Chiaro, in tal senso, il riferimento al comportamento dell’operatore che abbia “omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura (cfr. lettera c), oggi c-bis): che pone, peraltro, il problema di conferire determinatezza e concretezza all’elemento normativo della fattispecie, per individuare con precisione le condizioni per considerare giuridicamente dovuta l’informazione.
La giurisprudenza ha, ancora di recente e da ultimo, ritenuto che l’individuazione tipologica dei gravi illeciti professionali avesse carattere meramente esemplificativo, potendo, per tal via, la stazione appaltante desumere il compimento di gravi illeciti professionali da ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui fosse accertata la contrarietà a un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (cfr. ex permultis, Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; id. 25 gennaio 2019, n. 591; id. 3 gennaio 2019, n. 72; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231), se stimata idonea a metterne in dubbio l’integrità e l’affidabilità.
Tale conclusione (verisimilmente agevolata dal tenore testuale aperto della lettera c) del comma 5 dell’art. 80:“tra questi rientrano”), è rimasta anche dopo la modifica dell’art. 80, comma 5, realizzata con il già citato art. 5 d.-l. n. 135 del 2018, che ha sdoppiato nelle successive lettere c-bis) e c-ter) la preesistente elencazione, mantenendo peraltro nella lett. c), ma espungendo il richiamato inciso, la richiamata previsione di portata generale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 22 luglio 2019, n. 5171).
Siffatta opzione esegetica è mossa, esplicitamente o implicitamente, dalla sopra evidenziata generalizzazione degli obblighi informativi precontrattuali, ancorati ad una clausola generale di correttezza professionale (cfr. art. 30, comma 1), intorno alla quale si addensa e coagula la stessa dimensione di lealtà, affidabilità e credibilità dell’operatore professionale: cui si assume plausibilmente imposto, a pena di esclusione automatica, un dovere generale di clare loqui, al fine di mettere la stazione appaltante in condizione di elaborare – nella prospettiva del “corretto svolgimento della procedura di selezione” – le proprie “decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione” (cfr. ancora la lettera c).
È evidente che, in siffatta prospettiva, gli obblighi informativi decampano dalla logica della mera strumentalità, diventando obblighi finali, dotati di autonoma rilevanza: di dal che l’omissione, la reticenza, l’incompletezza divengono – insieme alle più gravi decettività e falsità – forme in certo senso sintomatiche di grave illecito professionale in sé e per sé.
In questo quadro, ancorché non univocamente (in senso parzialmente contrario, e.g. Cons. Stato, sez. III, 23 agosto 2018, n. 5040; id., sez. V, 3 aprile 2018, n. 2063; id., sez. III, 12 luglio 2018, n. 4266), link si è interpretato l’ultimo inciso l’art. 80, comma 5, lett. c), attribuendogli il rigoroso significato di una norma di chiusura, che impone agli operatori economici di portare a conoscenza della stazione appaltante tutte le informazioni relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione (Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592; id. 25 luglio 2018, n. 4532; id.19 novembre 2018, n. 6530; id., sez. III,29 novembre 2018, n. 6787).
In senso parzialmente diverso, si è, tuttavia, osservato che siffatto generalizzato obbligo dichiarativo, senza la individuazione di un generale limite di operatività, “potrebbe rilevarsi eccessivamente oneroso per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali ampiamente datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa” (Cons. Stato, sez. V, 22 luglio 2019, n. 5171; id. 3 settembre 2018, n. 5142).
La necessità di un siffatto limite generale di operatività deriva, del resto, dall’art. 57, § 7 della Direttiva 2014/24/UE, che ha, per giunta, fissato in tre anni dalla data del fatto la rilevanza del grave illecito professionale, in ciò seguita dalle Linee guida ANAC n. 6/2016, precedute dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 2286/2016 del 26 ottobre 2016, che ha affermato, tra altro, la diretta applicazione nell’ordinamento nazionale della previsione di cui al predetto paragrafo.
Per tal via, la più recente giurisprudenza si è orientata alla individuazione anzitutto di un limite temporale all’obbligo dichiarativo, ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi (cfr., tra le varie, Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 2020, n. 1605).
In termini più significativi, è, nondimeno, maturata una prospettiva diversa, che muove dalla distinzione tipologica, risultante dalla previsione normativa, di due fattispecie distinte: a) l’omissione delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare la stessa ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142); b) la falsità delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella procedura di gara in corso di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero, cui conseguirebbe, per contro, l’automatica esclusione dalla procedura di gara, deponendo in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico (laddove, per l’appunto, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporterebbe l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso) (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407).
La distinzione può essere approfondita e precisata, osservando che l’ordito normativo – peraltro frutto di vari interventi correttivi, integrativi e, nel caso della lettera c), anche diairetici stratificati nel tempo – fa variamente riferimento: a) alla falsità di “informazioni” fornite (lettera c-bis), di “dichiarazioni” rese e di “documentazione” presentata (lettere f-bis, f- ter e g, nonché il comma 12), talora, peraltro, dando rilevanza alla mera (ed obiettiva) “non veridicità”, talaltra ai profili di concreta “rilevanza o gravità” ovvero ai profili soggettivi di imputabilità (evocati dal riferimento alla negligenza, alla colpa, anche grave, o addirittura al dolo); b) alla attitudine “fuorviante” delle informazioni (intesa quale suscettibilità di influenzare il processo decisionale in ordine all’esito della fase di ammissione); c) alla mera “omissione” (di informazioni dovute).
Inoltre, si distingue, con esclusivo riguardo alle falsità dichiarative e documentali, secondo che le stesse rimontino a condotte (attive od omissive), a loro volta poste in essere (cfr. comma 6), prima ovvero nel corso della procedura.
In altri termini, è un dato positivo la distinzione tra dichiarazioni omesse (rilevanti in quanto abbiano inciso, in concreto, sulla correttezza del procedimento decisionale), fuorvianti (rilevanti nella loro attitudine decettiva, di “influenza indebita”) e propriamente false (rilevanti, per contro, in quanto tali).
E se si considera che la reticenza corrisponde, in definitiva, alla c.d. mezza verità (la cui attitudine decettiva opera, quindi, in negativo, in relazione a ciò che viene taciuto, costituendo, quindi, una forma di omissione parziale), le informazioni fuorvianti son quelle che manifestano attitudine decettiva in positivo, per il contenuto manipolatorio di dati reali: una sorta di mezza falsità).
La distinzione è, già sul ridetto piano normativo, legata a diverse conseguenze: mentre le prime tre ipotesi (dichiarazioni omesse, reticenti e fuorvianti) hanno rilievo solo in quanto si manifestino nel corso della procedura, la falsità è più gravemente sanzionata dall’obbligo di segnalazione all’ANAC gravante sulla stazione appaltante in forza del comma 12 e della possibile iscrizione (in presenza di comportamento doloso o gravemente colposo e subordinatamente ad un apprezzamento di rilevanza) destinata ad operare anche nelle successive procedure evidenziali, nei limiti del biennio (lettere f-ter e g, quest’ultima riferita, peraltro, alla falsità commessa ai fini del rilascio dell’attestazione di qualificazione).
Con il che la falsità (informativa, dichiarativa ovvero documentale) ha attitudine espulsiva automatica oltreché (potenzialmente e temporaneamente) ultrattiva; laddove le informazioni semplicemente fuorvianti giustificano solo – trattandosi di modalità atta ad influenzare indebitamente il concreto processo decisionale in atto – l’estromissione dalla procedura nella quale si collocano.
Appare evidente che, in siffatta prospettiva ermeneutica, l’omissione (e la reticenza) dichiarativa si appalesano per definizione insuscettibili (a differenza della falsità e della manipolazione fuorviante, di per sé dimostrative di pregiudiziale inaffidabilità) di legittimare l’automatica esclusione dalla gara: dovendo sempre e comunque rimettersi all’apprezzamento di rilevanza della stazione appaltante, a fini della formulazione di prognosi in concreto sfavorevole sull’affidabilità del concorrente.
Per giunta, la distinzione può essere articolata – anche in specifica considerazione delle ragioni di doglianza, affidate all’appello in esame – sotto un distinto e concorrente profilo.
In effetti, la distinzione tra dichiarazioni false (che importano sempre l’esclusione) e dichiarazioni semplicemente omesse (per le quali si pone l’illustrata alternativa tra la tesi, formalistica, dell’automatica esclusione e quella, sostanzialistica, della rimessione al previo e necessario filtro valutativo della stazione appaltante) trae fondamento dal rilievo che la falsità, come predicato contrapposto alla verità, costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente (anche in sede giudiziale, in virtù della pienezza dell’accesso al fatto garantita dalle regole del processo amministrativo: cfr. art. 64 cod. proc. amm.).
Per contro, la dichiarazione mancante non potrebbe essere apprezzata in quanto tale, dovendo essere, volta a volta, valutate le circostanze taciute, nella prospettiva della loro idoneità a dimostrare l’inaffidabilità del concorrente.
Tale valutazione, in quanto frutto di apprezzamenti ampiamente discrezionali, non potrebbe essere rimessa all’organo giurisdizionale, ma andrebbe necessariamente effettuata (eventualmente a posteriori) dalla stazione appaltante; a differenza della falsità, che è di immediata verifica e riscontro, anche in sede contenziosa.

Dichiarazione omessa, reticente o falsa – Differenza – Conseguenze (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Catania, 16.03.2020 n. 693

Il Consiglio di Stato ha precisato che “In materia di esclusione dalle gare pubbliche la dichiarazione resa dall’operatore economico nella domanda di partecipazione circa le pregresse vicende professionali suscettibili di integrare “gravi illeciti professionali” può essere omessa, reticente o completamente falsa. V’è omessa dichiarazione quando l’operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come “grave illecito professionale”; v’è dichiarazione reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell’ottica dell’affidabilità del concorrente; è, infine, configurabile la falsa dichiarazione se l’operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero” (sez. V, n. 7492/2019 e 5171/2019).
Fatta tale distinzione, lo stesso giudice d’appello ha rassegnato le possibili conseguenze sul piano degli effetti giuridici, precisando che “solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l’automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso.” (Cons. Stato, V, 5171/2019).
Orbene, applicando i citati principi alla vicenda qui in esame va ricordato che la società controinteressata – con riguardo alle gare indette (…) indicate nella propria domanda di partecipazione – si era limitata a menzionare lo scioglimento unilaterale del rapporto, le penalità e le decurtazioni subite, senza fornire alcuna indicazione circa le ragioni che hanno determinato l’adozione dei citati provvedimenti, e senza quindi consentire al Comune di Taormina di poter effettuare quelle valutazioni funzionali ad apprezzare l’affidabilità del concorrente. In altre parole, non ricorre l’ipotesi della “dichiarazione falsa”, che dà luogo all’automatica esclusione, ma piuttosto quella della dichiarazione incompleta (o reticente) che postula l’esercizio di una attività valutativa da parte della stazione appaltante.
Ed infatti, proprio con riferimento alla stessa impresa, ma a diversa gara d’appalto, questo Tribunale (Sez. I, sentenza n. 2235/2018) ha già avuto modo di specificare che “avuto riguardo alle plurime risoluzioni subite dalla controinteressata (ancorché sub iudice) e delle penali contrattuali dichiarate (le quali non risultano tutte giudizialmente contestate), ritiene il Collegio che la stazione appaltate era tenuta a compiere una doverosa valutazione sulla moralità professionale, di cui però non v’è traccia nel verbale di gara. (…) Inoltre, ai fini dell’art. 80, co. 5, lett. c), è necessaria una attività di giudizio della commissione che deve consistere, alla luce della documentazione in atti e di quella che eventualmente è necessario acquisire ai fini di una piena contezza dei fatti e della loro rilevanza, nel valutare se sussista o meno il grave illecito professionale, tale da rendere dubbia l’integrità o affidabilità dell’operatore economico; questa valutazione discrezionale si deve concludere con un giudizio di sussistenza o insussistenza del grave illecito professionale supportato da motivazione, che, in caso di esclusione, deve essere congrua e in alcuni casi (individuati dalla giurisprudenza) rafforzata; il potere discrezionale si arresta a tale momento valutativo, in quanto, ove si accerti a seguito della detta attività, che il grave illecito professionale sussista, allora l’esclusione costituisce atto vincolato e dovuto. Orbene, in assenza di qualsivoglia riferimento anche alla sola valutazione effettuata dall’amministrazione sulla gravità e rilevanza nella gara in questione dei fatti dichiarati – valutazione che, giova ricordare, compete in via esclusiva all’amministrazione – rimane incontestata l’affermazione di parte ricorrente che la “valutazione è totalmente mancata”.”.

1) Subappalto e subaffidamento: differenza – 2) Falsa dichiarazione: comprende sia il falso “commissivo” che “omissivo” – 3) Condanne penali in capo al subappaltatore – Omessa dichiarazione – Esclusione automatica del concorrente subappaltante – Correttivi – Applicazione alla luce delle sentenza Corte di Giustizia Europea  (art. 80 , art. 105 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. III, 04.03.2020 n. 1603

1) Dunque, il tentativo di “derubricare” l’indicazione di -Omissis- a mero “sub-affidamento” incontra una prima e decisiva smentita nell’inequivoco tenore testuale della documentazione amministrativa prodotta in gara e poc’anzi richiamata.
Per il resto, il discrimen tra subappalto in senso proprio e mero subaffidamento va tracciato considerando il carattere accessorio o meno delle prestazioni affidate al sub-contraente, in quanto la disciplina di cui all’art. 105 del Codice non si applica unicamente alle prestazioni meramente strumentali e solo funzionalmente collegate con quelle oggetto del contratto (ma ad esso estranee), come tali qualificabili ai sensi del comma 2 del menzionato art. 105 (cfr. Tar Pescara, sez. I, nn. 43/2018 e 199/2018).
Ai sensi della disposizione da ultimo menzionata, “Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare”.
Nel caso di specie, la ricorrente non ha minimamente provato la ricorrenza di alcuna delle condizioni richieste dalla disposizione citata onde potersi escludere la sussistenza di una ipotesi di subappalto.

2) La recente giurisprudenza testé richiamata (elaborata in epoca successiva ai fatti di cui qui si controverta) ha effettivamente patrocinato un distinguo fra omesse, reticenti e false dichiarazioni ai sensi dell’art. 80, comma 5, d. lgs. n. 50 del 2016, desumendone, a valle, che l’omissione comunicativa “costituisce violazione dell’obbligo informativo, e come tale va apprezzata dalla stazione appaltante”, la quale, tuttavia, è chiamata a soppesare non il solo fatto omissivo in sé, bensì anche – nel merito – “i singoli, pregressi episodi, dei quali l’operatore si è reso protagonista, e da essi dedurre, in via definitiva, la possibilità di riporre fiducia nell’operatore economico ove si renda aggiudicatario del contratto d’appalto” (Cons. Stato, n. 2407/2019).
In questo contesto, l’omessa dichiarazione di condanne non ostative ai sensi dell’art. 80 comma 1, è stata valutata come integrante una fattispecie di “omessa dichiarazione” ex art. 80, comma 5, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016 (in questi termini, Cons. Stato, sez. V, n. 1649/2019; n. 2407/2019 e n. 8906/2019 e sez. III, n. 5040/2018), munita di portata escludente non in sé, cioè come mero inadempimento al dovere di informazione, ma se e nella misura in cui reputata rilevante – sia nell’omissione in sé, che, necessariamente, rispetto al fatto omesso – da parte della stazione appaltante.
A questa prima tesi se ne oppone una più risalente che ritiene l’omissione di una condanna (o di un fatto integrante un potenziale “grave illecito professionale”) di per sé una falsa dichiarazione, comportante in automatico l’esclusione dalla gara, in quanto rilevante ai sensi dell’art. 80 comma 5 lett, f bis) (Cons. Stato, Sez. V, n. 70/2020; n. 1649/2019, n. 7271/2018; n. 6529/2018).
A condivisibile supporto di questo secondo indirizzo – tale per cui nel concetto di “falsa dichiarazione” dovrebbe inquadrarsi non solamente l’ipotesi del falso “commissivo” tradizionalmente inteso, ma pure quella del falso cd. “omissivo” – si è affermato che “in materia di partecipazione alle gare pubbliche d’appalto, una consapevole “omissione” non può essere distinta, quanto agli effetti distorsivi nei confronti della stazione appaltante che la disposizione in esame mira a prevenire e reprimere, dalla tradizionale forma di mendacio commissivo. Invero, nelle procedure di evidenza pubblica l’incompletezza delle dichiarazioni lede di per sé il principio di buon andamento dell’amministrazione, inficiando ex ante la possibilità di una non solo celere ma soprattutto affidabile decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla gara; una dichiarazione inaffidabile, perché falsa o incompleta, è già di per sé stessa lesiva degli interessi tutelati, a prescindere dal fatto che l’impresa meriti o no di partecipare alla procedura competitiva; peraltro l’omessa dichiarazione ha il grave effetto di non consentire proprio all’Amministrazione una valutazione ex ante” (Cons. Stato, sez. V, n. 7271/2018 e sez. IV, n. 2771/2017).
Nello stesso senso si è di recente espressa questa sezione (con le pronunce nn. 1174/2020; 7173/2018; 3331/2019 quest’ultima riferita ad una ipotesi, equivalente a quella qui in esame, nella quale è stata ritenuta contrastante con il disposto dell’art. 80 comma 5 lett f bis) la risposta negativa resa alla domanda “L’operatore si è reso colpevole di gravi illeciti professionali di cui all’art. 80 comma 5 lett. c) del Codice”).

3) L’effetto dell’automatismo escludente risente, piuttosto, del recente pronunciamento della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2020, C-395/18), reso su ordinanza 29 maggio 2018, n. 6010 del Tar Lazio.
Si tratta di decisione riferita ad una fattispecie concreta non significativamente distante da quella qui in esame, in quanto riguardante l’esclusione di un operatore il cui subappaltatore era risultato non in regola con le norme che disciplinano l’accesso al lavoro dei disabili (art. 80 comma 5 lett. i) del d.lgs. n. 50/2016).
L’indirizzo del giudice comunitario è condensato nell’affermazione di principio per cui “l’articolo 57, paragrafo 4, lettera a), della direttiva 2014/24 non osta ad una normativa nazionale, in virtù della quale l’amministrazione aggiudicatrice abbia la facoltà, o addirittura l’obbligo, di escludere l’operatore economico che ha presentato l’offerta, dalla partecipazione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto, qualora nei confronti di uno dei subappaltatori menzionati nell’offerta di detto operatore venga constatato il motivo di esclusione previsto dalla disposizione sopra citata. Per contro, tale disposizione, letta in combinato disposto con l’articolo 57, paragrafo 6, della medesima direttiva, nonché il principio di proporzionalità, ostano ad una normativa nazionale che stabilisca il carattere automatico di tale esclusione” (par. 55).
La Corte di Giustizia pone l’accento sulla portata dell’art. 57, paragrafo 6 della direttiva 2014/24/UE il quale statuisce espressamente che “Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto”.
L’art. 57, paragrafo 6 della direttiva 2014/24/UE, stando alla ricostruzione operata dalla pronuncia in esame, rappresenta esternazione del principio di proporzionalità (art. 5 TUE, paragrafo 4), quale principio generale del diritto dell’Unione, ragion per cui le amministrazioni nazionali non possono non tenerne conto nell’applicare i motivi di esclusione facoltativi, come quello enunciato al paragrafo 4, lettera a) dell’articolo 57 della direttiva. Al contempo, le autorità tanto comunitarie quanto nazionali non possono imporre, sia con atti normativi che amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore (cioè sproporzionata) a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento sia idoneo (cioè adeguato all’obiettivo da perseguire) e necessario (nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile). Tale obiettivo può ben essere perseguito, secondo i giudici della CGUE, lasciando all’amministrazione aggiudicatrice la facoltà di valutare, caso per caso, le particolari circostanze del caso di specie, e all’operatore economico quella di dimostrare la propria affidabilità malgrado la constatazione della violazione, dato che si tratta pur sempre di una violazione commessa non da lui direttamente, quanto piuttosto da un soggetto estraneo alla sua impresa.
Ne viene che:
– l’effetto espulsivo del subappaltante dalla procedura di gara (quindi nella fase di valutazione delle offerte), conseguente ad una posizione di irregolarità del subappaltatore, costituisce soluzione consentita dalla normativa comunitaria, in alternativa a quella della mera sostituzione del subappaltatore medesimo;
– il maggior rigore adottato dal legislatore nazionale, tuttavia, non può giungere sino al punto di privare, da un lato, l’operatore economico che ha presentato l’offerta “della possibilità di fornire elementi circostanziati in merito alla situazione e, dall’altro, l’amministrazione aggiudicatrice della possibilità di disporre di un margine di discrezionalità” (par. 54):
– la stessa amministrazione è chiamata a considerare gli elementi di prova forniti da tale operatore in funzione della gravità della situazione e delle particolari circostanze del caso di specie;
– il ricorso a questi correttivi mitigatori è necessario per rendere l’esito espulsivo conciliabile con il principio di proporzionalità (oltre che con l’articolo 57, paragrafi 4 e 6, della direttiva 2014/24) e si giustifica in ragione del fatto che l’espulsione colpisce l’operatore economico che ha presentato l’offerta “per una violazione commessa non da lui direttamente, bensì da un soggetto estraneo alla sua impresa, per il controllo del quale detto operatore può non disporre di tutta l’autorità richiesta e di tutti i mezzi necessari” (par. 48).
Per giustificare la trasposizione al caso in esame delle affermazioni di principio enunciate dalla Corte di Giustizia, pur nella parziale diversità delle vicende a confronto (riferite alle ipotesi di cui alle lettere i) e f bis) dell’art. 80 comma 5), occorre ulteriormente segnalare che:
– le due fattispecie originano entrambe da ipotesi di esclusione facoltative (riconducibili all’art. 57 comma 4, rispettivamente lettere a) c) e h);
– nel giudizio della Corte, l’ipotesi di cui alla lettera i) dell’art. 57 comma 4, intercetta interessi di rilievo primario, nei diversi e cruciali settori del diritto ambientale, sociale e del lavoro (v. par. 38 sent.). Ne consegue che le cautele procedurali individuate nella pronuncia devono ritenersi, a fortiori, in quanto di maggior favore per l’impresa interessata, estensibili anche a casi riferiti a violazioni di minore gravità;
– comune alle due fattispecie comparate è la ratio cautelativa connessa alla estraneità della irregolarità contestata alla sfera giuridica dell’operatore economico direttamente partecipante alla gara.

Dissociazione dalla condotta penalmente rilevante – Dichiarazioni – Falso innocuo e falso inutile (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, 17.02.2020 n. 1212

7.1. Il primo giudice ha ritenuto legittima l’ammissione alla gara di -OMISSIS-pur in presenza del predetto precedente penale carico del presidente del collegio sindacale della società, non risultante dal casellario giudiziale, valorizzando i seguenti elementi: che la società, incolpevolmente, ne aveva appreso l’esistenza solo dopo aver presentato la domanda di partecipazione alla gara e ne aveva dato immediata informazione al seggio di gara; che la società aveva adottato adeguate misure di dissociazione dalla condotta penalmente rilevante, estranea alla società; che la società, in quanto partecipata totalitariamente da una s.p.a., a sua volta avente come socio unico altra s.p.a. quotata in borsa, “è dotata del massimo livello delle procedure di verifica e controllo dei propri partecipanti”.
7.2. Le censure che -OMISSIS- ha formulato avverso tali argomentazioni sono fondate.
7.3. Il primo giudice ha ritenuto che gli elementi rappresentati da -OMISSIS-fossero rispondenti a quanto richiesto dal comma 7 dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016 (che stabilisce che “Un operatore economico, o un subappaltatore, che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti”).
Ma la fattispecie era estranea all’istituto della dissociazione considerato dal primo giudice.
E’ infatti principio ripetuto nella giurisprudenza formatasi nella vigenza del precedente Codice dei contratti pubblici, e ribadito anche con riferimento al nuovo Codice, che nelle procedure a evidenza pubblica preordinate all’affidamento di un appalto l’omessa dichiarazione da parte del concorrente di tutte le condanne penali eventualmente riportate (sempreché per le stesse non sia già intervenuta una formale riabilitazione), anche se attinenti a reati diversi da quelli contemplati nell’art. 38, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 50 del 2016, può giustificare senz’altro l’esclusione dalla gara, traducendosi in un impedimento per la stazione appaltante di valutarne la gravità (Cons. Stato, 13 marzo 2019, n. 1649, che cita, ex multis, Cons. Stato, IV, 29 febbraio 2016, n. 834; V, 29 aprile 2016, n. 1641; 27 luglio 2016, n. 3402; 2 dicembre 2015, n. 5451; III, 28 settembre 2016, n. 4019).
La mancata indicazione delle condanne rilevanti ai sensi dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016 costituisce indi autonoma causa di esclusione, comportando l’impossibilità della stazione appaltante di valutare consapevolmente l’affidabilità del concorrente, che opera per il tramite dei suoi organi, e di dare in tal modo applicazione alla regola che impone la presenza del requisito dell’onorabilità sin dalla proposizione dell’offerta e per tutta la durata della gara e del rapporto (in caso di aggiudicazione), senza soluzione di continuità. Per converso, l’attività di dissociazione non può giammai assumere valore esimente con riferimento agli amministratori in carica al momento di presentazione della domanda di partecipazione (Cons. Stato, V, 7 giugno 2017, n. 2727; III, 1° luglio 2015, n. 3274).
Non è poi significativa l’assenza di coscienza e volontà da parte di -OMISSIS- nell’omissione dichiarativa, pure valorizzata dal primo giudice: ai fini della sussistenza o meno della fattispecie di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-bis del d.lgs. n. 50 del 2016 rileva infatti esclusivamente il fatto materiale e oggettivo del falso, a prescindere dunque dall’animus soggettivo che l’ha ispirato, tant’è che la disposizione attribuisce attribuito al dolo o alla colpa ai soli fini dell’ulteriore adozione, da parte dell’Anac, di sanzioni di carattere interdittivo (art. 80, comma 12).
Non trovano pertanto applicazione in materia gli istituti – di derivazione penalistica – del falso innocuo e del falso inutile (ex multis, Cons. Stato, IV, 7 luglio 2016, n. 3014), la completezza delle dichiarazioni costituendo, in materia di pubblici appalti, un autonomo valore da perseguire, in quanto strumentale alla celere decisione in ordine all’ammissione dell’operatore economico alla procedura: proprio per tale motivo, ai sensi dell’art. 80, una dichiarazione falsa o incompleta è di per sé inaffidabile, anche al di là delle effettive intenzioni del suo autore; non è pertanto decisivo ai fini di cui si discute che la società, nel rendere a suo tempo la dichiarazione per cui è causa, abbia fatto incolpevolmente affidamento sul certificato del casellario giudiziale dell’ex presidente del collegio sindacale, dal quale non risultava alcun precedente.
Da quanto sopra deriva l’infondatezza delle difese con cui il -OMISSIS- sostiene che, siccome la condanna in parola consiste in una pena non superiore ai 18 mesi, e considerando ulteriormente che l’esistenza del precedente penale (volutamente celato dall’interessato) è stata comunicata da -OMISSIS-non appena questa ne è venuta a conoscenza, la società era ammessa a provare, ai sensi del combinato disposto dei commi 7 e 8 dell’art. 80 del Codice dei contratti pubblici e al fine di evitare l’esclusione dalla gara, di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.

(…)

7.5. Non appare però superfluo segnalare che la sentenza appellata, illustrati al capo 5.2 i già citati elementi difensivi rappresentati da -OMISSIS- li ha fatti propri al capo successivo, con la locuzione “sulla scorta di tali elementi…” che precede la valutazione di infondatezza delle censure di -OMISSIS-, e che così facendo, il primo giudice è incorso, innanzitutto, in un errore sul fatto, validando, mediante la descritta tecnica espositiva, l’affermazione di -OMISSIS-di aver “risolto” il rapporto con il presidente del suo collegio sindacale non appena conosciuto il precedente penale: emerge infatti incontestatamente dal fascicolo di causa e costituisce fatto esposto anche nella comunicazione 18 settembre 2018 che quest’ultimo ha presentato le dimissioni dalla carica rivestita in seno alla società il 9 agosto 2018.
Da tale errore discende un errore ulteriore, che colpisce quella che, nella rappresentazione della sentenza (nella parte in cui, come detto, recepisce acriticamente le argomentazioni di -OMISSIS-, è la principale misura dissociativa che è stata (erroneamente) attribuita alla società: la “risoluzione” del rapporto con il predetto soggetto e l’adozione delle “misure organizzative necessarie alla ricostituzione dell’organo” cui egli precedentemente partecipava.
Infatti, per quanto sopra, non è ravvisabile il ruolo attivo esercitato dalla società nell’allontanamento di tale soggetto evocato dalla medesima (anche nelle memorie difensive qui proposte) con il riferimento a una “risoluzione” giammai avvenuta, mentre la ricostituzione dell’organo si rivela una mera e necessaria conseguenza delle dimissioni presentate dal soggetto stesso.
Sicchè, le iniziative rappresentate in giudizio da -OMISSIS-– anche laddove esse potessero essere qualificate come misure dissociative, il che, come visto, non è – si riducono, in sostanza, alla denuncia penale sporta dalla società in relazione alle “false certificazioni” rese dall’ex presidente del collegio sindacale in occasione delle autocertificazioni periodiche, atteso che, come ulteriormente chiarito da -OMISSIS-nella memoria depositata il 14 maggio 2019 (pag. 5, punto c), la società non ha neanche avviato azione volta a ottenere il risarcimento del danno, ritenendo che “un danno attuale e concreto non era ancora stato subito”.

False dichiarazioni o esclusione pregressa – Relative ad altre procedure – Non rilevano per la gara in corso – Gravi illeciti professionali – Obblighi dichiarativi – Occorre comunque che risultino dal Casellario Informatico ANAC (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Salerno, 20.12.2019 n. 2236

2.1.- In primo luogo, stante l’omesso espresso riferimento, da parte della stazione appaltante, nel provvedimento in oggetto, ad una delle specifiche fattispecie previste dall’art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, occorre verificare se il provvedimento impugnato possa sussumersi nell’ambito applicativo della causa di esclusione ivi contemplata alla lett. C).
In particolare, l’articolo citato, alla lett. C), espressamente dispone che l’esclusione è comminata allorquando la “stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità “.
Tra questi rientrano:
“- le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio, ovvero hanno dato luogo ad una condanna al risarcimento del danno o ad altre sanzioni;
– il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio;
– il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione;
– ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”.
Tale previsione ha una portata molto più ampia rispetto a quella contenuta nell’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 in quanto, da un lato, non opera alcuna distinzione tra precedenti rapporti contrattuali con la medesima o con diversa stazione appaltante; dall’altro non si riferisce esclusivamente alla negligenza o all’errore professionale, bensì, più in generale all’illecito professionale, affasciando quest’ultimo molteplici fattispecie, anche diverse dall’errore o negligenza, ed includendo, per tale ragione, condotte che intervengono non solo in fase di esecuzione contrattuale, ma anche in fase di gara.
Per completezza deve aggiungersi che il d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 ha novellato la disposizione in esame, prevedendo che integrino distinte cause di esclusione le seguenti circostanze:
“c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità;
c-bis) l’operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione;
c-ter) l’operatore economico abbia dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili; su tali circostanze la stazione appaltante motiva anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa.”
Tale novella legislativa chiarisce che la valutazione di inidoneità professionale deriva da un apprezzamento discrezionale della stazione appaltante, che non è necessariamente vincolata alla definitività degli addebiti relativi ai pregressi inadempimenti contrattuali, fornendo così un valido criterio ermeneutico rispetto alla disciplina previgente, percorsa da un acceso dibattito giurisprudenziale in relazione alla esaustività o meno delle fonti di prova delle condotte integranti grave illecito professionale.

2.2.- Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, osserva il Collegio, in linea con la costante giurisprudenza amministrativa, che la richiamata lett. c) dell’art. 80, co. 5, sebbene operi un espresso riferimento ai “gravi illeciti professionali” inficianti l’affidabilità e l’integrità dell’operatore economico, non contempla anche, quale causa di grave illecito professionale potenzialmente escludente, la fattispecie delle false dichiarazioni rese in altre procedure di gara non in corso, rientrando detta ipotesi nelle fattispecie contemplate alle lett. f bis) e f ter).
Il Giudice di appello, con il recente arresto del 27.09.2019, n. 6490, ha chiarito che: “è stato anche affermato, in giurisprudenza, che “l’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice dei contratti pubblici, contrariamente a quanto si sostiene nell’atto di appello, non è “riferito alle false dichiarazioni rese in procedure concorsuali non in corso e, quindi, già svoltesi”, ma al contrario, anche se non detto espressamente, “si riferisce alle “informazioni false o fuorvianti” ovvero all’omissione di “informazioni dovute” nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso”: ne consegue che “il rilievo ostativo alla partecipazione non è certo l’aver reso “false dichiarazioni in precedenti gare” (…), ma il rendere, nella gara in corso, dichiarazioni false o fuorvianti, ovvero l’omettere dichiarazioni dovute”).
Ai sensi dell’art. 80, co. 5, lett. c), d.lgs. n. 50/2016, quindi, l’operatore economico può essere escluso solo allorché abbia reso false dichiarazioni nella gara in corso, a nulla rilevando le dichiarazioni mendaci eventualmente poste in essere in precedenti procedure.
Nel dettaglio, non è postulabile che, ove una concorrente abbia dichiarato in una procedura di gara circostanze non veritiere, la stessa debba inserire l’esclusione derivante da tale comportamento nelle dichiarazioni da rendere nelle successive gare, posto che, al di là dei provvedimenti sanzionatori spettanti all’Anac in caso di dolo o colpa grave nel mendacio, tale causa di esclusione si riferisce – e si conchiude – all’interno della procedura di gara in cui è maturata.
In altri termini, la condotta omissiva evocata nel ricorso non rientra nel perimetro né delle circostanze “false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione”, né delle omissioni di “informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione” (cfr.: T.A.R. Napoli, sez. IV, 07/02/2019, n. 675).
Per potersi ritenere integrata la causa di esclusione di cui all’art. 80 comma 5, lett. c), d.lg. n. 50 del 2016, circa la sussistenza di precedenti denotanti gravi illeciti professionali, è necessario che le informazioni di cui si lamenta la mancata segnalazione risultino comunque dal Casellario Informatico di ANAC, in quanto solo rispetto a tali notizie potrebbe porsi un onere dichiarativo ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento. Eventuali esclusioni da precedenti procedure di gara assumono pertanto rilevanza solo se e fino a quando risultino iscritte nel casellario, per gli effetti e con le modalità regolate dal menzionato art. 80, comma 12, d.lg. n. 50/2016, qualora l’ANAC ritenga che emerga il dolo o la colpa grave della ditta interessata, in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti.
Invero, il d.lg. n. 56/2017, correttivo del Codice dei contratti pubblici, con l’art. 49 comma 1, lett. e, punto 1) — ha aggiunto all’art. 80 comma 5, la lett. f-ter) con cui prevede l’esclusione dell’operatore economico qualora sia iscritto nel casellario informatico tenuto dall’ANAC per aver presentato false dichiarazioni (cfr.: Consiglio di Stato sez. V, 04/07/2017, n. 3257).
Nel caso di specie, al fine di escludere che la ricorrente sia incorsa nella descritta causa di esclusione, appaiono decisive due circostanze: in primo luogo, come accertato anche dall’ANAC (cfr. delibera del Consiglio dell’Autorità n. 255 del 26.03.2019 – doc. n. 9), la dichiarazione resa da -OMISSIS-. S.p.A. in altra precedente gara (…) non poteva ritenersi mendace; in secondo luogo, la ricorrente, nella gara in esame, non era incorsa in alcuna falsa dichiarazione, atteso che la dettagliata dichiarazione integrativa allegata alla domanda di partecipazione consente di escludere la fattispecie della falsità dichiarativa rilasciata nella presente procedura di gara.
Pertanto, la circostanza che, a carico della -OMISSIS-, non risultasse alcuna annotazione sul casellario informatico dell’ANAC, relativa alla presentazione di false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara, comportava che, in conformità al sopra citato orientamento giurisprudenziale, la ricorrente non era tenuta ad alcun obbligo dichiarativo in tal senso.
Di tanto, e della esaustività della dichiarazione integrativa allegata alla domanda di partecipazione, si sarebbe dovuto tenere conto. Tuttavia, una simile considerazione è stata obliterata dal seggio di gara, con la conseguente illegittima valutazione della falsità delle dichiarazioni rese nella presente gara dalla ricorrente.

3.- Parimenti, non ricorrono nella specie le ipotesi espulsive di cui alle successive lettere f bis) ed f ter) del citato articolo 80 co 5.
3.1.- La lett. f bis) del medesimo art. 80, co. 5, d.lgs. n. 50/2016, invero, si riferisce ai documenti e/o dichiarazioni non veritiere che l’operatore economico presenti “nella gara in corso”. Nella presente gara è stata resa la dettagliata dichiarazione integrativa, più volte sopra richiamata, in cui la ricorrente aveva illustrato tutti i precedenti contenziosi con altre stazioni appaltanti, specificando la situazione esistente al momento di presentazione della domanda di partecipazione alla gara de qua.

3.2.- Analoga conclusione s’impone anche ove s’intendesse ricondurre l’impugnato provvedimento espulsivo alla ipotesi prevista dalla lett. f ter) dell’art. 80, co. 5 cit., secondo cui l’esclusione deve attingere l'”operatore economico iscritto nel casellario informativo tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara”.
Sebbene tale ultima disposizione stigmatizzi le dichiarazioni rese in precedenti procedure di gara, nella specie, tuttavia, non sussistono i presupposti fattuali per la sua applicazione, atteso che con la succitata delibera del Consiglio dell’Autorità n. 255 del 26.03.2019, l’ANAC ha disposto l’archiviazione del procedimento sanzionatorio attivato su segnalazione del Comune di …, affermando che la dichiarazione resa da -OMISSIS-. S.p.A. nella relativa gara “non può essere considerata mendace”.
In assenza del presupposto di applicazione, rappresentato dall’iscrizione nel Casellario ANAC per false dichiarazioni, la norma non può trovare in alcun modo applicazione (cfr.: Cons. St. 27.09.2019, n. 6490).
In assenza di tale presupposto, difatti, una precedente espulsione da una gara pubblica non può assumere rilievo, quale motivo di esclusione, in termini di grave illecito professionale e, quindi, di circostanza da dichiarare, posto che, diversamente opinando, “si realizzerebbe un’indefinita protrazione di efficacia, “a strascico” di simili situazioni” (Cons. St. 27.09.2019, n. 6490).
Ritiene in proposito il Giudice di appello che un partecipante ad una gara di appalto non è tenuto a riportare le esclusioni comminate nei suoi confronti in precedenti gare per aver dichiarato circostanze non veritiere, poiché, al di là dei provvedimenti sanzionatori spettanti all’ANAC in caso di dolo o colpa grave nel mendacio, la causa di esclusione ex art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 (“omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”), si riferisce – e si conchiude – all’interno della procedura di gara in cui è maturata-(cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 2018, n. 4594; id., sez. V, 13 settembre 2018, n. 5365; sez. V, 21 novembre 2018, n. 6576; sez. V, 9 gennaio 2019, n. 196).
Per potersi ritenere integrata la causa di esclusione dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 (“omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”) è dunque necessario che le informazioni di cui si lamenta la mancata segnalazione risultino, comunque, dal Casellario informatico dell’ANAC, in quanto solo rispetto a tali notizie potrebbe porsi un onere dichiarativo ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento; eventuali esclusioni da precedenti procedure di gara, per quanto siano state accertate dal giudice amministrativo, assumono pertanto rilevanza solo se e fino a quando risultino iscritte nel Casellario, per gli effetti e con le modalità previste nell’art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, qualora l’ANAC ritenga che emerga il dolo o la colpa grave dell’impresa interessata, in considerazione dell’importanza e della gravità dei fatti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 luglio 2017, nn. 3257 e 3258 e Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2018, n. 2063).
Conclusivamente, va affermato che, in riferimento all’omessa dichiarazione dell’esclusione da una precedente gara d’appalto, per potersi ritenere integrata la causa di esclusione dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 (“omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”) è necessario che le informazioni di cui si lamenta la mancata segnalazione risultino, comunque, dal Casellario informatico dell’ANAC. Inoltre il combinato disposto di cui al comma 5, lettere c), ed f-ter), nonché di cui al comma 12 dell’articolo 80 del nuovo codice dei contratti pubblici, deve essere inteso nel senso di non attribuire valenza univocamente escludente a qualunque falsità o omissione dichiarativa, ma di distinguere una duplice valenza, con effetti sia interni (in relazione alla singola gara in cui la falsità e/o l’omissione si è prodotta, e sanzionata con l’immediata e automatica esclusione dalla gara in base alle testuali previsioni di cui allo stesso art. 80, comma 5, lett. c), citato), sia esterni alla procedura in cui la circostanza si è verificata, in relazione a qualunque ulteriore e successiva gara. Per contro, non solo le disposizioni richiamate non impongono affatto un illimitato obbligo dichiarativo in capo alle partecipanti alla gara, ma anche non è possibile inferire le medesime conseguenze escludenti a prescindere dalla valutazione che l’Autorità di settore abbia fatto dell’originaria falsità e/o omissione.
Resta, per contro, preclusa alle stazioni appaltanti la possibilità di valutare autonomamente ai fini escludenti la condotta di un concorrente che abbia reso false e/o omissive dichiarazioni nell’ambito di una precedente gara e non sia stato iscritto nell’indicato casellario, fatta salva ovviamente l’ipotesi in cui perduri, al momento della procedura in corso, la circostanza escludente cui si riferiva l’originaria falsità.
Infine, nei medesimi termini deve essere intesa, e quindi perimetrata, la portata del corrispondente punto (21.2.) del disciplinare di gara, all’uopo rammentandosi che, nelle procedure di gare pubbliche, a fronte di più possibili interpretazioni di una clausola della lex specialis “non può legittimamente aderirsi all’opzione che, ove condivisa, comporterebbe l’esclusione dalla gara, ponendosi una tale lettura in contrasto con il principio della tassatività delle cause di esclusione” (cfr.: Consiglio di Stato sez. V, 23/08/2019, n. 5828).
Una simile conclusione non è contraddetta neppure, come pretenderebbe la difesa della resistente amministrazione, dal carattere immediatamente lesivo della suddetta clausola, potendosi riconoscere tale carattere esclusivamente alla clausola del bando di concorso che contenga la previsione di un requisito di partecipazione a pena di esclusione. Tale condizione non è ravvisabile nelle fattispecie, come quella in esame, in cui l’esclusione non è stata disposta in considerazione della presunta inesistenza di requisiti soggettivi di partecipazione, legati a situazioni e qualità del soggetto che ha chiesto di partecipare alla gara, bensì alla ritenuta inadeguatezza della documentazione allegata alla domanda di partecipazione e delle dichiarazioni ivi rese (cfr.: Consiglio di Stato sez. III, 07/06/2018, n. 3434).
Alla luce delle indicate coordinate ermeneutiche emerge, quindi, che la preclusione alla partecipazione alle gare per effetto della produzione di false dichiarazioni o falsa documentazione resti confinata alle due ipotesi tipiche: a) dell’esclusione dalla medesima gara nel cui ambito tale produzione è avvenuta; b) dall’esclusione da ulteriori e successive gare (ma soltanto nel caso in cui sia intervenuta l’iscrizione dell’impresa nel casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC, nelle ipotesi e con i limiti di cui all’art. 80, comma 5, lett. f- ter), e comma 12.

Gravi illeciti professionali – Precedente esclusione per irregolarità fiscale ormai sanata – Obbligo dichiarazione – Non sussiste – False dichiarazioni o falsa documentazione – Motivo di esclusione da successive gare – Ipotesi tipiche – Operatività (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, 27.09.2019 n. 6490

Il thema decidendum è costituito dal rilievo che assume la mancata dichiarazione di precedenti esclusioni da analoghe gare disposte per falsa attestazione della regolarità tributaria (nonostante l’irregolarità ai fini fiscali sia stata medio tempore rimossa e non risulti alcuna iscrizione nel casellario informatico ai sensi e per gli effetti dei cui al comma 5, lettera f-ter), e 12 dell’art. 80) e per mancata dichiarazione di precedenti risoluzioni contrattuali per inadempimento (sebbene tali vicende siano state puntualmente dichiarate dalla concorrente nella presente gara alla stazione appaltante che è stata, quindi, messa nelle condizioni di valutarne la portata e l’effettiva incidenza sulla sua affidabilità).

A tale riguardo ritiene il Collegio che non meritino censura le statuizioni di prime cure laddove hanno rilevato che la concorrente non sia tenuta a dichiarare nelle successive gare le precedenti esclusioni comminate nei suoi confronti per aver dichiarato circostanze non veritiere, poiché, al di là dei provvedimenti sanzionatori spettanti all’ANAC in caso di dolo o colpa grave nel mendacio, “tale causa di esclusione si riferisce – e si conchiude – all’interno della procedura di gara in cui è maturata”.

Ed infatti, il primo giudice si è conformato e ha correttamente applicato i consolidati principi affermati in subiecta materia dalla recente giurisprudenza che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 26 luglio 2018, n. 4594; id. sez. V, 13 settembre 2018, n. 5365; sez. V, 21 novembre 2018, n. 6576; sez. V, 9 gennaio 2019, n. 196; sez. V, 24 gennaio 2019, n. 597).

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale espresso nei precedenti richiamati, una precedente espulsione da una gara pubblica per irregolarità fiscale non può assumere rilievo, quale motivo di esclusione, in termini di grave illecito professionale e, quindi, di circostanza da dichiarare, posto che, diversamente opinando, “si realizzerebbe un’indefinita protrazione di efficacia, “a strascico”, delle violazioni relative all’obbligo di pagamento di debiti per imposte e tasse”, laddove l’art. 80, comma 4, del D.Lgs. n. 50 del 2016 riconosce efficacia escludente alla partecipazione alla gara solamente sino al momento in cui il concorrente non provveda alla regolarizzazione della propria posizione: ebbene, come evidenziato, non solo è pacifico che l’appellata fosse in regola con gli obblighi di natura fiscale al momento della scadenza del termine di partecipazione, ma è stato anche accertato con sentenza passata in giudicato che non fosse originariamente carente del requisito di regolarità tributaria neanche all’epoca della gara in cui fu esclusa.

Non può, dunque, ammettersi che in danno dell’appellata potesse sussistere la preclusione alla partecipazione derivante da una precedente esclusione disposta in ragione di una pregressa contestata irregolarità fiscale medio tempore rimossa: anche qualora, poi, l’appellata avesse dichiarato la precedente esclusione, la stazione appaltante non avrebbe potuto tenerne conto ai fini escludenti sia perché tale circostanza non era qualificabile ex se quale grave illecito professionale, sia perché risultava priva del carattere dell’attualità.

È stato infatti, a tale proposito, pure osservato che “l’art. 80, comma 5, lettera c) del Codice dei contratti pubblici – per quanto sia norma di non agevole esegesi stante la disomogeneità delle fattispecie contemplate – sembra comunque permeata da una nozione di attualità dell’illecito, nel senso di annettere rilievo ai soli fatti commessi in un arco temporale tale da far ritenere vulnerato il rapporto fiduciario con il concorrente” (Consiglio di Stato, sez. V, 13 settembre 2018, n. 5365).

Per quanto qui ancor più rileva, è stato anche affermato, in giurisprudenza, che “l’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice dei contratti pubblici, contrariamente a quanto si sostiene nell’atto di appello, non è “riferito alle false dichiarazioni rese in procedure concorsuali non in corso e, quindi, già svoltesi”, ma al contrario, anche se non detto espressamente, “si riferisce alle “informazioni false o fuorvianti” ovvero all’omissione di “informazioni dovute” nei confronti della stazione appaltante nella procedura di gara in corso”: ne consegue che “il rilievo ostativo alla partecipazione non è certo l’aver reso “false dichiarazioni in precedenti gare” (…), ma il rendere, nella gara in corso, dichiarazioni false o fuorvianti, ovvero l’omettere dichiarazioni dovute” (Cons. di Stato, V, 21 novembre 2018, n. 6576).

Del resto, tale conclusione ben si raccorda con l’autonoma causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lettera f-ter (introdotta dal d.lgs. n. 56 del 2017) per la quale l’avere presentato false dichiarazioni o falsa documentazione in precedenti gare è motivo di esclusione soltanto se abbia comportato l’iscrizione nel casellario informatico (ai sensi del comma 12 dello stesso art. 80) e “perdura fino a quando opera l’iscrizione nel casellario informatico”.

Richiamando, dunque, le argomentazioni svolte nei citati precedenti, va perciò affermato che, in riferimento all’omessa dichiarazione dell’esclusione da una precedente gara d’appalto, per potersi ritenere integrata la causa di esclusione dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016 (“omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”) è necessario che le informazioni di cui si lamenta la mancata segnalazione risultino, comunque, dal Casellario informatico dell’ANAC, in quanto solo rispetto a tali notizie potrebbe porsi un onere dichiarativo ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento: è stato perciò chiarito che “eventuali esclusioni da precedenti procedure di gara, per quanto siano state accertate dal giudice amministrativo, assumono pertanto rilevanza solo se e fino a quando risultino iscritte nel Casellario, per gli effetti e con le modalità previste nell’art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50 del 2016, qualora l’ANAC ritenga che emerga il dolo o la colpa grave dell’impresa interessata, in considerazione dell’importanza e della gravità dei fatti (v. sul punto anche Cons. di Stato, V, 4 luglio 2017, nn. 3257 e 3258)” (così Cons. di Stato, V, 3 aprile 2018, n. 2063 relativa ad analoga fattispecie in cui questa Sezione ha accolto l’appello della -omissis – e riformato la sentenza di primo grado che aveva ritenuto obbligatoria ai fini della partecipazione alla gara la dichiarazione da parte della – omissis – di aver subito la risoluzione contrattuale adottata dal Comune di Brindisi, come accertato dal T.A.R. Puglia, Lecce, con la sentenza n. 860 del 2016).

La giurisprudenza ha inoltre affermato che in relazione alle fattispecie che qui vengono in rilievo non è quindi più predicabile il precedente (sebbene non univoco) orientamento – formatosi nella vigenza dell’articolo 38 del decreto legislativo n. 163 del 2006 – secondo cui graverebbe sul concorrente l’obbligo di rappresentare alla stazione appaltante qualunque circostanza o informazione suscettibile di incidere sulla gara, per cui la mancata dichiarazione di tali circostanze e informazioni sarebbe di per sé indice sintomatico rivelatore di scarsa affidabilità professionale del concorrente.

Né può, ad avviso del Collegio, pervenirsi a conclusioni diverse da quelle indicate aderendo all’orientamento secondo cui il comma 5, lettera c), non comporta una preclusione assoluta della valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante circa la gravità di inadempienze le quali, pur non essendo immediatamente riconducibili a quelle tipizzate, quanto agli effetti, siano nondimeno astrattamente qualificabili come “gravi illeciti professionali”, sì da risultare comunque ostative alla partecipazione alla gara (in tal senso: Cons. di Stato, V, 2 marzo 2018, n. 1299; V, 13 settembre 2018, n. 5365).

Non può, infatti, ritenersi nella presente fattispecie che, per effetto del silenzio serbato dall’offerente sulle pregresse esclusioni, la stazione appaltante non sia stata messa nelle condizioni di non aver conoscenza di uno o più precedenti significativi in grado di orientarne il giudizio (come precisato in tema di obblighi dichiarativi nel precedente della Sezione 11 giugno 2018, n. 3592).

Invero, deve escludersi che una siffatta evenienza si sia verificata nella presente fattispecie.

Ed infatti, anche impostando i termini della questione sulla base di tale prospettiva, non può ravvisarsi, anche in un’ottica di favor partecipationis, “un grave illecito professionale” in una irregolarità fiscale da tempo superata e, comunque, non avente più attuale rilevanza (alla luce, peraltro, di quanto statuito dalla citata sentenza di questo Consiglio di Stato, sez. III, 2 aprile 2019, n. 2183, che ha escluso l’operatività nei confronti della – omissis – della clausola espulsiva connessa a infrazioni tributarie difettandone i presupposti); né essa può ravvisarsi nella mancata dichiarazione in altre gare di pregresse risoluzioni che sono state invece qui puntualmente dichiarate alla stazione appaltante.

In conclusione, il combinato disposto di cui al comma 5, lettere c), ed f-ter), nonché di cui al comma 12 dell’articolo 80 del nuovo codice dei contratti pubblici, deve essere inteso nel senso di non annettere valenza univocamente escludente a qualunque falsità o omissione dichiarativa, ma di distinguere una duplice valenza, con effetti sia interni (in relazione alla singola gara in cui la falsità e/o l’omissione si è prodotta, e sanzionata con l’immediata e automatica esclusione dalla gara in base alle testuali previsioni di cui allo stesso art. 80, comma 5, lett. c), citato), sia esterni alla procedura in cui la circostanza si è verificata, in relazione a qualunque ulteriore e successiva gara, ove invece le disposizioni richiamate non dispongono affatto un illimitato obbligo dichiarativo in capo alle partecipanti alla gara né è dato inferire dalle stesse conseguenze escludenti anche a prescindere dalla valutazione che l’Autorità di settore abbia fatto dell’originaria falsità e/o omissione.

Alla luce delle indicate coordinate ermeneutiche emerge, quindi, che la preclusione alla partecipazione alle gare per effetto della produzione di false dichiarazioni o falsa documentazione resti confinata alle due ipotesi tipiche: a) dell’esclusione dalla medesima gara nel cui ambito tale produzione è avvenuta; b) dall’esclusione da ulteriori e successive gare (ma soltanto nel caso in cui sia intervenuta l’iscrizione dell’impresa nel casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC, nelle ipotesi e con i limiti di cui all’art. 80, comma 5, lett. f- ter), e comma 12.

Resta, invece, preclusa alle stazioni appaltanti la possibilità di valutare autonomamente ai fini escludenti la condotta di un concorrente il quale abbia reso false e/o omissive dichiarazioni nell’ambito di una precedente gara e non sia stato iscritto nell’indicata casellario, fatta salva ovviamente l’ipotesi in cui perduri, al momento della procedura in corso, la circostanza escludente cui si riferiva l’originaria falsità (ad esempio, la situazione di regolarità fiscale o contributiva, dichiarata sussistente, ma in realtà non posseduta).

Gravi illeciti professionali – Sanzione della reticenza – Applicazione – Ratio (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Palermo, 31.07.2019 n. 1994

L’art. 80, co. 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/2016 stabilisce che le stazioni appaltanti escludono dalla procedura un operatore economico qualora dimostrino “… con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.
Dispone, poi, l’art. 80, co. 5, lett. f-bis), dello stesso d. lgs. n. 50/2016, che: “5. Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora: (…omissis…)  f-bis) l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere”.
Per quanto attiene alla lettera c) su riportata, come chiarito dal Giudice di secondo grado, “Nella citata disposizione sono, poi, individuate una serie di condotte che possono dar luogo a “gravi illeciti professionali”; la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che l’elencazione è meramente esemplificativa e la stazione appaltante può desumere il compimento di “gravi illeciti” da ogni altra vicenda pregressa dell’attività professionale dell’operatore economico di cui è stata accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; V, 25 gennaio 2019, n. 591; V, 3 gennaio 2019, n. 72; III, 27 dicembre 2018, n. 7231) se essa ne mette in dubbio l’integrità e l’affidabilità.
Per consentire alla stazione appaltante un’adeguata e ponderata valutazione sull’affidabilità e sull’integrità dell’operatore economico, sono posti a carico di quest’ultimo i c.d. obblighi informativi: l’operatore è tenuto a fornire una rappresentazione quanto più dettagliata possibile delle proprie pregresse vicende professionali in cui, per varie ragioni, gli è stata contestata una condotta contraria a norma o, comunque, si è verificata la rottura del rapporto di fiducia con altre stazioni appaltanti  (cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 febbraio 2019, n. 827V,16 novembre 2018, n. 6461V, 24 settembre 2018, n. 5500V, 3 settembre 2018, n. 5142V, 17 luglio 2017, n. 3493V, 5 luglio 2017, n. 3288V, 22 ottobre 2015, n. 4870). La violazione degli obblighi informativi può integrare, a sua volta, il “grave illecito professionale” endoprocedurale, citato nell’elencazione esemplificativa dell’art. 80, comma 5, lett. c) cit. come “omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare tale omissione o reticenza ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico. Cons. Stato, sez. V, 3 settembre 2018, n. 5142; III, 23 agosto 2018, n. 5040)….” (Consiglio di Stato, Sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407; v. anche: Sez. V, 24 settembre 2018, n. 5500).
Il su riportato art. 80, co. 5, lett. c) contiene, quindi, un’elencazione meramente esemplificativa dei gravi illeciti professionali, rispetto ai quali la stazione appaltante ha un ampio potere di apprezzamento discrezionale in ordine alla sussistenza dei requisiti di “integrità o affidabilità” dei concorrenti, sicché ogni concorrente, al fine di rendere possibile il corretto esercizio di tale potere-dovere, deve dichiarare qualunque circostanza potenzialmente incidente sul processo valutativo demandato all’Amministrazione, a prescindere da personali considerazioni su fondatezza, gravità e pertinenza di tali episodi (v. Consiglio di Stato, Sez. V, 24 gennaio 2019, n. 591; 11 giugno 2018, n. 3592).
È stato altresì rilevato che “…La tematica, infatti, esprime gli immanenti principi di lealtà e affidabilità e professionale dell’aspirante contraente che presiedono in genere ai contratti e in specifico modo – per ragioni inerenti alle finalità pubbliche dell’appalto e dunque a tutela di economia e qualità della realizzazione – alla formazione dei contratti pubblici e agli inerenti rapporti con la stazione appaltante. Non si rilevano validi motivi per non effettuare una tale dichiarazione, posto che spetta comunque all’amministrazione la valutazione dell’errore grave che può essere accertato con qualunque mezzo di prova (cfr. Cons. Stato, V, 26 luglio 2016, n. 3375)…” (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5500/2018 cit.; v. anche Cons. Stato, Sez. V, 26 luglio 2016, n. 3375).
Per quanto attiene alle dichiarazioni non veritiere, come ritenuto anche dal Giudice d’appello, la lettera f-bis) dell’art. 80, co. 5 – inserita nell’art. 80, co. 5, dall’art. 49, co. 1, lett. e), n. 1, del d. lgs. n. 56/2017 – si pone quale autonoma causa di esclusione, che la stazione appaltante è tenuta a disporre, quale atto vincolato, in quanto discendente direttamente dalla legge, e derivante dalla mera omissione da parte dell’operatore economico (v. Consiglio di Stato, parere n. 2042/2017).
La dichiarazione non veritiera è sanzionata dalla norma in linea generale, in quanto circostanza che rileva nella prospettiva dell’affidabilità del futuro contraente, a prescindere da considerazioni su fondatezza, gravità e pertinenza degli episodi non dichiarati.
La sanzione della reticenza è, infatti, funzionale all’affermazione dei principi di lealtà ed affidabilità, in una parola, della correttezza dell’aspirante contraente, che permea la procedura di formazione dei contratti pubblici e i rapporti con la stazione appaltante, come indirettamente inferibile anche dall’art. 30, co. 1, del d. lgs. n. 50/2016 (Consiglio di Stato, Sez. V, 19 novembre 2018, n. 6529).
Rispetto a tale disposizione, costituisce dato incontestato che la ricorrente non ha dichiarato l’esistenza di tre precedenti penali dell’amministratore unico cessato dalla carica nell’anno antecedente la pubblicazione del bando di gara, sostenendo che gli stessi non rientrerebbero nell’obbligo dichiarativo, in quanto tali notizie non avrebbero potuto influire sulle determinazioni della stazione appaltante.
Pertanto, a fronte di una dichiarazione resa dalla concorrente, obiettivamente non corrispondente alla documentazione acquisita dall’Amministrazione, la stazione appaltante è tenuta ad applicare la sanzione dell’esclusione, ponendosi tale causa di esclusione in una fase antecedente rispetto a qualsiasi valutazione sulla rilevanza dell’episodio non dichiarato: “Diversamente, la causa di esclusione introdotta con il correttivo al Codice dei contratti pubblici finirebbe per perdere quell’autonomia che il legislatore ha inteso attribuirle, senza margine di apprezzamento in capo all’amministrazione ulteriore rispetto al riscontro del falso” (v. Consiglio di Stato, Sez. V, 10 ottobre 2018, n. 5838).
Deve anche rammentarsi che, per giurisprudenza costante, non è configurabile, in capo all’impresa, alcuna scelta sui fatti da dichiarare, sussistendo l’obbligo dell’omnicomprensività della dichiarazione (v. Consiglio di Stato, Sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192).