11.5. La valutazione di congruità dell’offerta compiuta dalla stazione appaltante non è poi erronea neanche per quanto concerne il calcolo del costo medio orario, atteso che l’offerta è rimasta ferma nel suo importo complessivo, mentre i lievi scostamenti sono stati tutti sufficientemente giustificati dall’aggiudicataria. Vanno dunque anche qui confermate le statuizioni di prime cure, secondo cui le voci di spesa che hanno inciso sul costo del personale sono state modificate per sopravvenienze di fatto, come l’intervenuta stipula dei contratti con i liberi professionisti, mentre l’assenza di altre voci nel computo del costo medio orario del personale dipendente è stata puntualmente motivata dall’inapplicabilità di alcune di esse al caso concreto (anzianità, previdenza complementare) o dalla loro incidenza minimale (festività retribuite medie, rivalutazione TFR). 11.6. Parimenti nessuna variazione dell’offerta è stata posta in essere, mediante le giustificazioni, con riguardo al costo del personale non dipendente, adeguatamente comprovato dall’aggiudicataria fornendo all’amministrazione gli accordi contrattuali stipulati con i professionisti, che individuano la misura del compenso condivisa fra le parti.
Valgono poi a questo riguardo, a confutazione delle doglianze formulate, i passaggi essenziali della pronuncia di questo Consiglio di Stato richiamata dalla stessa parte appellante: “Il riferimento alle tabelle di cui all’art. 23, comma 16, contenuto nell’art. 97, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016, ne comporta l’inapplicabilità ai liberi professionisti; ciò non determina “la sostanziale totale non verificabilità delle offerte nell’ambito di un appalto di servizi attinenti l’ingegneria e l’architettura, in cui è fisiologico che molte prestazioni vengano svolte da liberi professionisti”, come sostenuto dall’appellante; piuttosto, la verifica di congruità va svolta alla stregua degli ulteriori parametri di riferimento dettati dallo stesso art. 97. Escluso che rilevi, come già ritenuto dalla sentenza, il D.M. n. 143 del 2013 [n.d.r.: corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura ed all’ingegneria], va dato atto che per tutti i professionisti l’aggiudicataria ha fornito i chiarimenti richiesti dalla stazione appaltante circa le fonti contrattuali regolanti le rispettive prestazioni e che, in mancanza di ulteriori deduzioni dell’appellante atte a dimostrare l’insostenibilità economica complessiva dell’offerta, il giudizio di congruità non presenta profili di macroscopica illogicità o erroneità fattuale tale da rendere palese una siffatta insostenibilità.” (Consiglio di Stato, sez. V, 25 novembre 2019, n. 8048).
Pertanto, considerato che, da un lato, la modifica alla stima previsionale, originariamente operata dalla concorrente, è avvenuta non sulla base di conteggi privi di concreta verificabilità, ma in ragione di una comprovata e oggettiva sopravvenienza di fatto (la definizione degli accordi contrattuali con i professionisti incaricati al momento della presentazione dei giustificativi) e che, dall’altro, la questione rileva non in funzione del rispetto di trattamenti remunerativi minimi, bensì della verifica della sostenibilità dell’offerta, anche riguardo a tale profilo la valutazione di congruità dell’offerta aggiudicataria operata dalla stazione appaltante deve ritenersi immune dagli errori prospettati da parte appellante.
14.1. Intanto, la clausola della lex specialis che imponga il divieto di ribasso sui costi di manodopera, sarebbe in flagrante contrasto con l’art. 97, comma 6 d.lgs. n. 50/2016 e, più in generale, con il principio di libera concorrenza nell’affidamento delle commesse pubbliche.
14.2. L’art. 97 comma 6 appena citato così recita: “6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall’articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. La stazione appaltante in ogni caso può valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa”. 14.3. Il divieto indiscriminato di ribasso sulla manodopera avrebbe i seguenti effetti: a) la standardizzazione dei costi vero l’alto; b) la sostanziale imposizione del ccnl individuato dalla stazione appaltante al fine di determinare l’importo stimato dell’appalto; c) la sostanziale inutilità dell’art. 97 comma 6 sopra citato e cioè l’obbligo per gli operatori economici del rispetto degli oneri inderogabili; d) l’impossibilità, da parte della stazione appaltante, di vagliare l’effettiva congruità in concreto delle offerte presentate dai concorrenti tenuto conto che: d1) ciò che la stazione appaltante deve verificare, con riferimento al costo della manodopera indicato, è l’eventuale scostamento dai dati tabellari medi con riferimento al “costo reale” (o costo ore lavorate effettive) comprensivo dei costi delle sostituzioni cui il datore di lavoro deve provvedere per ferie, malattie e tutte le altre cause di legittima assenza dal servizio; d2) l’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta, e la correlativa verifica della loro congruità risponde all’esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione (Consiglio di Stato, sez. V, 13 ottobre 2022, n. 8735); d3) l’indicazione dei costi della gestione e delle spese generali seppure indicate in misura esigua, impinge in valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale nella misura in cui la stazione appaltante ne ha ritenuto la congruità e attendibilità, alla luce del generale principio sul carattere globale e sintetico di tale giudizio per cui un sospetto di anomalia per una specifica componente non incide necessariamente ed automaticamente sull’intera offerta che deve essere comunque apprezzata nel suo insieme, con un giudizio globale e sintetico di competenza della stazione appaltante; d4) la valutazione di anomalia dell’offerta va fatta considerando tutte le circostanze del caso concreto, poiché un utile all’apparenza modesto può comportare un vantaggio significativo sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa (il mancato utilizzo dei propri fattori produttivi è comunque un costo), sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e dall’aver portato a termine un appalto pubblico, cosicché nelle gare pubbliche non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, al di fuori dei casi in cui il margine positivo risulta pari a zero (Consiglio di Stato, sez. V, 10 novembre 2021, n. 7498).
14.3. Un’ altra considerazione è dirimente. L’art. 23 comma 16, invocato dall’appellante a sostegno delle proprie ragioni, dispone che “I costi della sicurezza sono scorporati dal costo dell’importo assoggettato al ribasso”. I costi della sicurezza e solo quelli.
14.4. Al fine di leggere e applicare correttamente la clausola della lex specialis, è significativo richiamare, solo quale supporto interpretativo, l’art. 41 comma 14 del d.lgs. 36/2023 che, significativamente, opera una netta “inversione di rotta” rispetto al d.lgs. 50/2016 laddove dispone: “14. Nei contratti di lavori e servizi, per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”.
14.5. Persino nel “nuovo Codice”, che in applicazione di un preciso criterio di delega di cui all’art. 1 comma 2 lett. t) della L. 78/2022, ha previsto “in ogni caso che i costi della manodopera e della sicurezza siano sempre scorporati dagli importi assoggettati a ribasso” è stata fatta salva la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che un ribasso che coinvolga il costo della manodopera sia derivante da una più efficiente organizzazione aziendale così armonizzando il criterio di delega con l’art. 41 della Costituzione.
7.8. Ciò posto, giova evidenziare come l’errore di fondo che si annida nel ragionamento dell’originaria ricorrente, recepito anche dalla sentenza appellata, risiede nell’erroneo convincimento secondo cui ciò che deve essere giustificato in sede di procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta è il solo costo effettivo della manodopera e non quello teorico contrattuale.
7.8.1. Al contrario, se è vero sono consentiti motivati scostamenti dai valori indicati dalle tabelle ministeriali sul costo del lavoro (che, come affermato dalla consolidata giurisprudenza, non possono costituire parametri inderogabili dal cui mancato rispetto possa essere automaticamente desunta l’inattendibilità dell’offerta economica, non potendo essi, nella loro formulazione statistica, considerare l’effetto di tutti i fattori di incidenza sul costo medio del lavoro, valore quest’ultimo per la cui determinazione tabellare si considerano le ore mediamente lavorate, che scaturiscono detraendo dalle ore contrattuali le ore annue non lavorate, in parte predeterminabili in misura fissa, in altra parte suscettibili di variazione caso per caso: cfr. in termini Cons. Stato, sez. V, 28.1.2019, n. 690; Consiglio di Stato, VI, 20 ottobre 2020, n. 6336: id. 4 dicembre 2019, 8303), è però anche vero che le offerte che si discostino dai costi medi del lavoro indicati nelle tabelle ministeriali possono considerarsi anormalmente basse qualora la discordanza sia considerevole ed ingiustificata.
7.8.2. Orbene, nel caso di specie, lo scostamento del costo orario medio indicato in sede di giustificazioni è stato correttamente quantificato dai provvedimenti impugnati in una riduzione considerevole di circa il 24,29% rispetto a quello individuato dalla concorrente nella propria offerta tecnica e al valore indicato dalle tabelle ministeriali e non è stato affatto giustificato dalla concorrente -OMISSIS-; i chiarimenti resi da quest’ultima sono, pertanto, del tutto insufficienti a escludere l’anomalia dell’offerta in relazione al costo del lavoro.
7.9. Alla luce delle considerazioni svolte non andava, pertanto, rinnovata la verifica di anomalia dell’offerta prima classificata. 7.9.1. Infatti, l’impugnato provvedimento di esclusione è legittimo laddove ha correttamente ritenuto che il costo della manodopera non può che essere determinato dalle ore contrattuali offerte in gara (rispetto alle quali peraltro è stato anche valutato il progetto tecnico), sicché è su tale valore, e non sulle ore lavorate, che deve giustificarsi il costo orario complessivo. La concorrente ha, invece, utilizzato il monte ore effettivo non solo come divisore per addivenire al costo orario medio (operazione pacificamente consentita secondo il principio giurisprudenziale richiamato dalla sentenza appellata), ma, erroneamente, anche come moltiplicatore per calcolare il costo complessivo della manodopera (che andava invece, come detto, determinato con riferimento al monte ore “contrattuale”, che copre sia le ore lavorate sia le ore non lavorate per le quali devono essere impiegate unità in sostituzione ai fini della regolare esecuzione del servizio).
7.9.2. Anche il richiamo all’orientamento giurisprudenziale che rinvia al costo reale per la determinazione del costo medio orario è suggestivo, ma non coglie nel segno: infatti, come evidenziato, il costo reale può essere utilizzato, quale divisore, per determinare il costo medio orario, ma questo va poi moltiplicato per le ore contrattuali offerte (comprensive delle sostituzioni), in quanto esse rappresentano l’effettivo costo che l’impresa si è impegnata in offerta a sostenere nell’esecuzione del servizio da garantire alla stazione appaltante.
Osservato, in particolare, che l’interpretazione letterale dell’art. 95, comma 10 del d.lgs. 50/2016 induce a ritenere che la verifica di congruità del costo della manodopera, da effettuarsi prima dell’aggiudicazione riguardi, nello specifico, il rispetto dei minimi salariali retribuiti previsti dalla legge o dalle fonti da esse autorizzate, come si evince dalla chiara prescrizione in tal senso contenuta nell’art. 97 comma 5 lett. d) del d.lgs. 50/2016, cui rinvia il comma 10 dell’art. 95 sopra citato, cosicché spetta all’amministrazione verificare se “il costo del personale è inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle di cui all’articolo 23, comma 16”; ciò, in quanto, nel complessivo costo del lavoro per il cui valore rilevano anche le situazioni economico-finanziarie delle singole organizzazioni imprenditoriali, la componente di derivazione legale o contrattuale del trattamento salariale minimo è inderogabile ai sensi di quanto previsto dall’art. 97 comma 6 del d.lgs. 50/2016 (“Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall’articolo 100 del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81”);
Ritenuto che il criterio dell’interpretazione letterale del testo normativo (Cass. civ. Sez. Unite, 25 luglio 2022, n. 23051; T.A.R. Veneto Venezia Sez. I 29 agosto 2017, n. 809), che porta alle conclusioni appena rappresentate, debba plasmarsi con quello sistematico (così risolvendosi l’apparente dualismo, presente nell’art. 12 delle disp. att. c.c., tra lettera “significato proprio delle parole secondo la connessione di esse” e spirito o ratio “intenzione del legislatore”) e che, a tale scopo, sovviene la copiosa giurisprudenza secondo cui il rispetto dei trattamenti salariali minimi risponde all’esigenza di tutela del diritto di rango costituzionale dei lavoratori alla giusta ed equa retribuzione, con il conseguente obbligo dell’amministrazione di verificare tale conformità, anche laddove non si verta in ipotesi di offerta da sottoporre al giudizio di anomalia per legge (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 16 marzo 2020 n. 329; T.A.R. Lazio Latina Sez. I, 23 luglio 2020, n. 287; “la gravità della conseguenza giuridica dell’espulsione dalla gara segnala, sul piano sostanziale, la rilevanza dei beni giuridici tutelati attraverso l’imposizione della prescrizione normativa, che intende garantire la tutela del lavoro sia sotto il profilo della applicazione dei contratti collettivi (e, quindi, della tutela della retribuzione dei lavoratori secondo l’art. 36 Cost.), sia sotto il profilo della salute e della sicurezza dei lavoratori (art. 32 Cost., ma anche secondo e terzo comma dell’art. 36 Cost., in cui si fissano la durata massima della giornata lavorativa ed il diritto al riposo settimanale nonché alle ferie annuali, che individuano altrettante condizioni necessarie e rilevanti anche per la tutela della salute dei lavoratori” Cons. Stato, Sez. III, 19 ottobre 2021, n. 7036).
Ritenuto pertanto che: – la valutazione di congruità del costo della manodopera, per il profilo della garanzia del salario minimo oggetto di contrattazione collettiva, costituisce adempimento necessario, non solo al fine di verificare l’idoneità della forza lavoro indicata in offerta rispetto alla corretta e completa esecuzione della proposta progettuale presentata, ma soprattutto a garanzia dell’equa retribuzione del personale ivi impiegato, trattandosi di diritto costituzionalmente riconosciuto; – tale valutazione, sebbene frequentemente condotta nell’ambito del sub-procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta ai sensi dell’art. 97 del D.Lgs. n. 50 del 2016, mantiene in ogni caso una propria autonoma ratio rispetto a quest’ultima, risultando necessaria anche nell’ipotesi in cui l’offerta non sia considerata anomala (T.A.R. Piemonte, Torino, Sez. II, 19 maggio 2021, n. 502);
Ritenuto, in conclusione, che:
– incontestata la circostanza che la predetta valutazione di congruità sia stata omessa nella fattispecie in esame, è fondata la censura spiegata da parte ricorrente con conseguente annullamento del provvedimento di aggiudicazione;
– in ottemperanza alla presente decisione, il Comune dovrà rideterminarsi in merito all’aggiudicazione, previa verifica della congruità del costo del lavoro rispetto alla prescrizione di cui all’art. 97 comma 5 lett. d) del d.lgs. 50/2016 dell’offerta della prima classificata;
7.3. Si lamenta la incongruità dell’offerta per la omessa considerazione di costi legati ad alcune specifiche figure professionali (sicurezza, gestione commessa, responsabile del contratto, etc.). Sul punto, in sede di giustificativi, è stato ritenuto che simili oneri non dovevano essere computati in quanto rientranti tra i c.d. “costi indiretti della commessa”. Si rammenta che, per giurisprudenza costante (cfr. Cons. Stato, sez. V, 3 novembre 2020, n. 6786), sono “costi indiretti della commessa” quelli relativi al personale di supporto all’esecuzione dell’appalto o a servizi esterni, da tener distinti dai “costi diretti della commessa” comprensivi di tutti i dipendenti impiegati per l’esecuzione della specifica commessa. L’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta – e la correlativa verifica della loro congruità imposta alla stazione appaltante – si impone solo per i dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente, ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti (ad es. il direttore del servizio), il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto.
9.1. Come emerge dalla esposizione sopra svolta, la questione sollevata dall’appellante impone di stabilire se una indicazione palesemente incongruente dei costi della manodopera, come avvenuto nel caso di specie, comporti l’immediata esclusione dell’offerta, per la riscontrata difformità tra detto importo (indicato nell’offerta economica ai sensi dell’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti) e l’effettivo costo del lavoro ricavabile dall’offerta; ovvero se la stazione appaltante, constatato che tale indicazione non corrisponde al complessivo costo della manodopera impiegata per l’esecuzione dell’appalto, debba procedere non all’immediata esclusione dell’offerta ma all’avvio del procedimento di verifica della congruità dell’offerta nel cui ambito sarà tenuta ad accertare la conformità del costo del personale rispetto ai minimi salariali indicati nelle apposite tabelle ministeriali di cui all’art. 23, comma 16, del Codice dei contratti (art. 97, comma 5, lettera d), al quale rinvia l’art. 95, comma 10, ultimo periodo).
9.2. Va rilevato, anzitutto, che la questione non è risolvibile nei termini di un mero errore materiale, riconoscibile ictu oculi e quindi emendabile direttamente dalla stazione appaltante, posto che, nel caso di specie, dall’esame del documento contenente l’offerta economica non emergono elementi che facciano dubitare della corrispondenza di quanto indicato all’effettiva volontà del dichiarante. In particolare, il fatto che nell’offerta economica l’importo errato sia stato ripetuto sia in cifre che in lettere non lo rende immediatamente riconoscibile sulla base della mera lettura dell’offerta. Per giungere a tale conclusione occorrerebbe procedere a un’attività interpretativa basata su dati esterni al documento (quale, per esempio, l’importo del contratto posto a base di gara, che potrebbe rivelare la palese incongruenza del costo della manodopera indicato), ma la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è univoca non solo nell’affermare che l’errore può essere considerato tale solo se riconoscibile dal contesto stesso dell’atto e senza bisogno di complesse indagini ricostruttive (dovendo concretarsi in una «discrepanza tra volontà decisionale chiaramente riconoscibile da chiunque e rilevabile dal contesto stesso dell’atto»: Cons. Stato, VI, 2 marzo 2017, n. 978; V, 11 gennaio 2018, n. 113; id., 24 agosto 2021, n. 6025; id., 26 gennaio 2021, n. 796), richiedendo una correzione di ordine meramente materiale (Cons. Stato, III, 20 marzo 2020, n. 1998). In tale prospettiva, ai fini della eventuale emendabilità occorre che a questa «si possa pervenire con ragionevole certezza, e, comunque, senza attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima o a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente (Cons. Stato, III, 28 maggio 2014, n. 1487)» (in termini Cons. Stato, V, 9 dicembre 2020, n. 7752; Id. 2 agosto 2021, n. 5638).
9.3. Tuttavia, sebben non si tratti di errore materiale riconoscibile ed emendabile (e in tal senso va quindi modificata e corretta la motivazione della sentenza appellata), la attendibilità del costo della manodopera previsto nell’offerta deve essere, in ogni caso, accertata nella sede propria del procedimento di verifica della congruità dell’offerta. L’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici, non prevede, infatti, per l’ipotesi di errata o incongrua indicazione del costo della manodopera, l’immediata esclusione dell’offerta (prevedendo tale grave conseguenza unicamente per il caso della omessa indicazione: in termini Cons. Stato, V, 30 giugno 2020, n. 4140), ma impone la verifica della congruità ai sensi dell’art. 97, comma 5, lettera d); e solo se la verifica risultasse negativa l’offerta potrebbe essere esclusa.
Nel caso di specie non si tratta, come ha rappresentato la controinteressata, di una sottostima dei costi della manodopera, ma, proprio in relazione alla formulazione aggregata dell’offerta economica per i singoli servizi, i relativi costi della manodopera non sono in alcun modo esplicitati, dovendo gli stessi essere ricavati in via induttiva e per supposizione. In ogni caso l’aggiudicataria, però, non ha indicato i singoli costi della manodopera, comunque afferenti alla commessa e riferibili ai servizi subappaltati o svolti da personale non adibito a tempo pieno nella esecuzione dell’appalto. […] L’aggiudicataria ha indicato un costo per il personale non conforme al dato reale proprio perché non ha indicato tutto il personale impiegato, ma solo due addetti a tempo pieno, prevedendo, per tutti gli altri servizi previsti per l’esecuzione della commessa, una offerta aggregata che non ha distinto i costi della manodopera necessaria alla esecuzione del servizio.
Né al riguardo, può trovare applicazione il principio della generale affidabilità dell’offerta, atteso che la stessa deve necessariamente partecipare, già in sede di offerta economica, i singoli costi della manodopera anche al fine di consentire lo svolgimento del successivo subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta previsto dal successivo art. 97.
E’ l’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici che impone, ai concorrenti, di indicare “i propri costi della manodopera” nell’offerta economica.
Ciò costituisce un obbligo dichiarativo imposto alle società partecipanti alla gara pubblica a pena di esclusione, anche ed a prescindere da una espressa previsione, in tal senso, della lex specialis di gara (Cons. Stato, A.P., 2 aprile 2020, nn. 7 e 8) e discende chiaramente dal combinato disposto di cui all’art. 95, comma 10, del Codice dei contratti pubblici e dall’art. 83, comma 9, del medesimo codice, il quale non consente la regolarizzazione di carenze concernenti l’offerta tecnica o economica.
La formulazione aggregata dell’offerta economica per la maggior parte dei servizi afferenti alla commessa per cui è causa, ha comportato una alterazione dell’offerta ed una sua valutazione non adeguata al reale dato fattuale.
Risulta affermato costantemente in giurisprudenza che l’obbligatoria indicazione dei costi della manodopera in offerta si impone solo per i dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente, ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti (ad es. il direttore del servizio), il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto (TAR Firenze, 19.04.2022 n. 525; TAR Roma, 12.07.2021 n.8261; Consiglio di Stato, sez. V, 03.11.2020 n. 6786 e sez. III, 26.10.2020 n. 6530).
Occorre premettere che l’art. 95, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016esclude le forniture senza posa in opera dall’obbligo di indicare nell’offerta economica i costi della manodopera (come pure gli oneri aziendali in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro). Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. tt) del d.lgs. n. 50/2016, per appalti pubblici di forniture si intendono i contratti “aventi per oggetto l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o senza opzione per l’acquisto, di prodotti” (con la precisazione che “un appalto di forniture può includere, a titolo accessorio, lavori di posa in opera e di installazione”).
[…]
Né le prestazioni capitolari invocate da -OMISSIS- quali elementi contraddistinguenti lo specifico appalto in discussione, vale a dire la possibilità degli enti di richiedere preparazioni urgenti e consegne il sabato mattina, si rivelano atte a mutare la natura giuridica della fattispecie negoziale, che rimane qualificabile come fornitura senza posa in opera. Infatti, l’oggetto del contratto è sempre la fornitura del prodotto farmaceutico, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. tt) cit., perché non si tratta di servizi aggiuntivi che fuoriescono dall’ambito della compravendita, bensì di attività propedeutiche svolte presso il produttore e/o strumentali rispetto all’esecuzione dell’obbligazione principale di consegna del radiofarmaco, che, come tali, non danno vita ad un appalto misto di servizi e fornitura.
[…]
Sommario: 1. Premessa – 2. Definizione di appalto di fornitura “con” o “senza” posa in opera – 3. Conseguenze in termini di predisposizione dell’offerta economica – 4. Conclusioni
Il focus affronta il tema delle differenze intercorrenti tra gli appalti di fornitura con e senza posa in opera e le rispettive implicazioni e conseguenze che la qualificazione determina nella predisposizione dell’offerta economica da parte del concorrente.
Premessa.
Gli appalti di fornitura possono essere distinti in fornitura “con posa in opera” oppure “senza posa in opera” a seconda che la prestazione richiesta all’aggiudicatario si esaurisca con la mera consegna del bene, ovvero vi si affianchi una prestazione accessoria e secondaria volta a garantire il corretto ed effettivo utilizzo del bene. La distinzione non è sempre immediata ed alle volte implica un’attività valutativa, particolarmente attenta e scrupolosa da parte del concorrente, viste le implicazioni sostanziali che la distinzione porta con sé. Come è noto, infatti, soltanto nel caso in cui la fornitura si configuri come “senza posa in opera” il concorrente non sarà onerato dell’indicazione dei costi della manodopera in sede di offerta, con relativi rischi di sanzione espulsiva per la loro omissione. Per questa ragione, la corretta individuazione dell’oggetto dell’appalto rappresenta un adempimento essenziale, oltre che per la Stazione Appaltante, anche per l’operatore economico che intenda partecipare fruttuosamente al confronto concorrenziale ed ambire al bene ultimo, ossia l’aggiudicazione della commessa.
Definizione di appalto di fornitura “con” o “senza” posa in opera.
La Stazione Appaltante gode di ampia discrezionalità nella determinazione del contenuto del bando di gara, potendo scegliere le prestazioni più adeguate, opportune, congrue, efficienti ed efficaci ai fini del pieno, effettivo e corretto soddisfacimento dell’interesse pubblico. La cura in concreto dell’interesse pubblico spetta, infatti, unicamente all’Amministrazione, rappresentandone prerogativa unica ed essenziale, nonché fine istituzionale attribuito ex lege al Soggetto Pubblico.
In questi termini la Stazione Appaltante è chiamata, dapprima, a definire il perimetro dei fabbisogni alla cui soddisfazione è finalizzata la procedura di appalto e, successivamente, a procedere all’individuazione dell’oggetto della commessa, redigendo la lex specialis ossia la disciplina specifica e puntuale da applicarsi a quella determinata procedura, individuando così i requisiti morali, tecnici, economici al cui possesso è subordinata la partecipazione del concorrente in gara, nonché l’iter procedurale da seguire nel singolo confronto concorrenziale.
È doveroso precisare che, sebbene la legge di gara costituisca la disciplina di dettaglio della singola procedura, per quanto non espressamente previsto sarà applicabile il Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n 50/2016 (breviter Codice) anche a prescindere dal suo richiamo espresso da parte della lex specialis, trattandosi di norma di rango primario. Tale precisazione ha delle implicazioni notevoli in relazione alla condotta diligente e responsabile attesa da parte del concorrente ed alle conseguenze che possono scaturire dal mancato rispetto di taluni adempimenti in gara, come si dirà meglio nel prosieguo.
Come anticipato in premessa gli appalti che hanno ad oggetto la consegna di un bene possono differenziarsi in appalti con posa in opera o senza posa in opera, a seconda del fatto che l’Amministrazione si limiti a richiedere la sola prestazione principale della consegna, ovvero vi affianchi una prestazione secondaria, per sua natura accessoria e strumentale rispetto alla prima consistente in un complesso di attività necessarie al funzionamento e all’utilizzo del bene medesimo, tali da renderlo concretamente operativo.
La fornitura senza posa in opera si configura, difatti, ogni qualvolta il bene oggetto di commessa pubblica si presta ad essere utilizzato immediatamente dopo la sua consegna da parte di qualsiasi utente, anche se privo di particolari competenze o conoscenze tecniche e dunque senza che siano predisposti particolari accorgimenti tecnici finalizzati al suo funzionamento. In detti termini, la prestazione si esaurisce con la consegna della fornitura di modo che il bene oggetto della stessa possa essere impiegato immediatamente, potendosi tutt’al più richiedere «una snella, semplice, agevole installazione e un altrettanto immediato semplice collaudo delle apparecchiature senza il dispendio di particolari energie lavorative di carattere manuale, che possano acquistare rilievo al punto da configurare, propriamente, una posa in opera» (Consiglio di Stato, sez. III, 27.07.2020 n. 4764; id., 19.03.2020 n. 1974; Tar Milano, sez. IV, 27.03.2019 n. 661; id., sez. II, 10.12.2020 n. 2471; Consiglio di Stato, sez. III, 9.01.2020 n. 170).
Specularmente, nella fornitura con posa in opera la prestazione principale della consegna del bene deve essere accompagnata dall’intervento posto in essere da un soggetto tecnicamente qualificato, necessario al fine di rendere fruibile e oltremodo utilizzabile il bene oggetto della fornitura.
Sebbene in termini definitori la differenza sembri di facile e pronta percezione, nella realtà fattuale non sempre è agevole comprendere se l’appalto possa essere inquadrato all’interno dell’una o dell’altra categoria.
Non si pongono particolari problemi quando la Stazione Appaltante si preoccupa di definire testualmente l’appalto come fornitura con o senza posa in opera; più complicato è invece il caso in cui la medesima non vi provveda e lasci dunque al singolo operatore economico lo sforzo di valutare complessivamente, sulla base degli elementi specifici della procedura, la sua qualificazione nell’una o nell’altra categoria.
Conscia di tali problematiche, difficoltà ed incertezze applicative, date anche dall’assenza di una chiara indicazione nella legge, la giurisprudenza si è premurata di fornire taluni elementi al fine di orientare i concorrenti tutte le volte in cui si trovino a condurre un’attività ermeneutica e di valutazione sistematica della legge di gara. In particolare, è stato individuato quale criterio discretivo nella qualificazione della fornitura come con o senza posa in opera, quello della fruibilità immediata dell’opera da parte dell’utilizzatore. Solo nel caso di mera fornitura la prestazione diviene utilizzabile immediatamente senza che a tal fine sia necessaria l’esecuzione di opere ulteriori rispetto alla mera consegna, potendosi al più richiedersi il compimento di attività estremamente semplici, realizzabili da qualunque soggetto privo di competenze tecniche specifiche. A titolo esemplificativo, la giurisprudenza ha ricondotto nella fornitura senza posa in opera l’approvvigionamento di etichettatrici il cui funzionamento è subordinato al mero «collegamento con il cavo di alimentazione, l’azionamento dell’interruttore e un doppio click su tre icone del computer» (Consiglio di Stato, sez. III, 27.07.2020 n. 4764).
Diversamente, ha qualificato la fornitura con posa in opera la procedura avente ad oggetto apparentemente la sola fornitura di macchine per il recupero dei liquidi biologici, comprensiva dei relativi materiali di consumo, in realtà imponeva – a carico dell’aggiudicatario – altresì il collaudo dell’apparecchiatura ed il trasporto dei sistemi fino al luogo dell’installazione con i relativi collegamenti elettrici ed eventuali altri collegamenti tecnologici necessari al loro funzionamento al posto di attacco indicato (Tar Brescia, sez. I, 10.06.2021 n. 523).
Pare evidente che questo criterio discretivo, che ha lo scopo di fornire una mera indicazione, debba essere sempre commisurato con l’oggetto specifico dell’appalto e con le caratteristiche precipue dello stesso, alla luce della portata complessiva delle prestazioni e degli oneri richiesti all’aggiudicatario.
Conseguenze in termini di predisposizione dell’offerta economica.
La collocabilità della prestazione nell’alveo della fornitura con o senza posa in opera deve essere valutata attentamente dal concorrente, trattandosi di un’operazione da cui discendono conseguenze notevoli in termini di corretta predisposizione dell’offerta economica.
Infatti, ai sensi dell’art. 95, comma 10, d.lgs. 50/2016 «nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ad esclusione delle forniture senza posa in opera, dei servizi di natura intellettuale e degli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a)».
La ratio dell’obbligo dell’indicazione separata dei costi della manodopera, in caso di fornitura con posa in opera, è esplicitata nell’ultimo periodo dell’articolo citato, secondo il quale «le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell’aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto dall’art. 97, comma 5, lett. d) )».
Dal combinato disposto delle richiamate disposizioni consegue che l’indicazione separata dei costi della manodopera costituisce una componente essenziale dell’offerta economica in caso di fornitura con posa in opera e, perciò, la relativa carenza è di regola motivo di esclusione, essendo sottratta all’applicabilità del cosiddetto “soccorso istruttorio” ai sensi dell’art. 83, comma 9, del Codice.
Invero, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato «la mancata indicazione nell’offerta dei costi della manodopera, così come prescrive l’articolo 95, comma 10, del decreto legislativo n. 50/2016, comporta l’esclusione dalla gara, in quanto: a) i costi della manodopera costituiscono elemento essenziale dell’offerta, poiché la loro indicazione consente di verificare la salvaguardia dei livelli retributivi minimi dei lavoratori; b) la mancata quantificazione del costo della manodopera rende incompleta l’offerta, senza che sia possibile attivare il soccorso istruttorio, non trattandosi della carenza di meri elementi formali della domanda di partecipazione; c) trattandosi di norma imperativa, il citato art. 95, comma 10, va ad eterointegrare la “lex specialis” di gara, rendendo vigente e cogente l’obbligo anche ove non espressamente previsto» (cfr., ad esempio, Tar Perugia, sez. I, 5.10.2020 n. 438; Tar Milano, IV, 5.11.2019 n. 2306; Tar Napoli, sez. II, 3.02.2020 n. 520).
Peraltro, la compatibilità al diritto europeo della normativa interna che comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio è stata da ultimo affermata dalla stessa Corte di Giustizia Europea, sez. IX, 2.05.2019 causa C-309/18, Lavorgna: «[i] principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi dequibus in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice».
Tale orientamento è stato più di recente ripreso dal Consiglio di Stato, sez. V, 24.05.2021 n. 3996, che ha ribadito come anche il Giudice Europeo abbia «sancito la conformità al diritto euro-unitario sugli appalti pubblici della disposizione normativa interna, nella misura in cui essa comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio ed anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, purché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale in materia e quest’ultima sia espressamente richiamata nella medesima documentazione».
La sanzione escludente sarà dunque disposta a prescindere dal fatto che la lex specialis di gara prescriva l’obbligatorietà della separazione dei costi, così come nel caso in cui la Stazione Appaltante non abbia predisposto nella modulistica di gara un apposito spazio atto ad ospitare tali indicazioni (Tar Catania, sez. I, 20.9.2021 n. 2838), nonché nell’ipotesi fattuale in cui tali oneri debbano essere inseriti all’interno di un autonomo foglio ulteriore da aggiungere materialmente al modello di offerta economica (Tar Perugia, sez. I, 24.09.2021 n. 683).
Ciò nonostante, merita precisare come al fine di evitare una sproporzionata, irragionevole e perciò illegittima compressione della posizione del concorrente “incolpevole”, una parte della giurisprudenza – che potremmo definire “maggiormente garantista” – ha specificato che la sanzione espulsiva si applica «fatto salvo il caso in cui l’operatore economico “ragionevolmente informato e normalmente diligente” possa nutrire un valido e concreto affidamento sulla correttezza, non solo della modulistica predisposta dalla Stazione Appaltante, ma anche delle richieste da questa avanzate con i documenti di gara, in conformità ai principi di tutela del legittimo affidamento, nonché di trasparenza e di certezza del diritto» (Consiglio di Stato, sez. V, 28.9.2021 n. 6533): in tali casi l’attivazione del meccanismo del soccorso istruttorio sarebbe legittimo e ancor prima doveroso da parte della Stazione Appaltante.
Conclusioni.
Da quanto precede si manifesta ictu oculi la significatività del corretto inquadramento dell’appalto all’interno della categoria della fornitura con o senza posa in opera. Tale operazione è infatti necessaria al fine di un’efficace (in quanto finalizzata all’aggiudicazione) gestione della procedura da parte della Stazione Appaltante e della corretta partecipazione al confronto concorrenziale da parte dell’operatore economico, in particolare per quanto concerne l’indicazione dei costi della manodopera in sede di offerta economica.
Infatti la sanzione escludente in caso di omessa esplicitazione dei suddetti costi per un appalto di fornitura con posa in opera, anche nei casi di errori determinati o indotti dalla modulistica predisposta dalla Stazione Appaltante, costituisce un precipitato dell’applicazione di due distinti principi: i) quello dell’applicabilità diretta delle disposizioni del Codice per tutto quanto non espressamente regolato nella disciplina di gara e ii) quello di auto-responsabilità dell’operatore economico che partecipa alle procedure di affidamento di contratti pubblici, il quale è (o comunque deve essere) a conoscenza, in base ad un canone di ordinaria diligenza, dell’obbligo di indicazione specifica dei costi della manodopera discendente dall’art. 95, comma 10, del Codice.
Al riguardo va confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in sede di verifica dell’anomalia non va assunto a criterio di calcolo il “monte – ore teorico”, comprensivo anche delle ore medie annue non lavorate (per ferie, festività, assemblee, studio, etc.) di un lavoratore che presti servizio per tutto l’anno, ma deve invece considerarsi il “costo reale” (o costo ore lavorate effettive, comprensive dei costi delle sostituzioni) (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 27.12.2021 n. 8624; cfr. sez. V, 15.02.2021 n. 1317 e 12.06.2017 n. 2815) .
La gara per cui si discute è stata indetta su piattaforma MEPA e, per la formulazione dell’offerta economica, i concorrenti hanno dovuto utilizzare i modelli ivi presenti.
Per cui, la Coop. -Omissis- ha formulato la propria offerta economica in aderenza a quanto richiesto negli specimen anzidetti, nonché dalla lex specialis.
In tal caso, secondo l’orientamento della Corte di Giustizia U.E. 2 maggio 2019 (in causa C-309/2018), se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice
Tali principi sono stati condivisi anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 7 e 8 del 2020.
Dunque, la regola secondo cui la mancata indicazione dei costi di manodopera comporta in via automatica l’esclusione dell’offerente dalla gara, ai sensi dell’art. 95, comma 10, D.Lgs. n. 50/2016, può applicarsi solo nel caso in cui l’offerente sia messo nella possibilità concreta di indicare i costi in questione nella propria offerta economica.
Nel caso in esame, tale possibilità non era ravvisabile, per cui la regola si arresta e trova campo l’eccezione individuata dalla stessa Corte di Giustizia e dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Avendo, dunque, la Coop. -Omissis- giustificato i costi della manodopera nell’ambito del relativo sub-procedimento, appare evidente l’insussistenza del vizio lamentato.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito, con riguardo al significato da attribuire all’art. 95, comma 10, d.lgs. n. 50/2016 che, anche se “Il dato letterale è neutro perché il significante è tale che il significato potrebbe essere sia quello ristretto, riferito ai soli dipendenti subordinati che prestano l’attività esecutiva per lo specifico appalto, sia quello più ampio che comprenda l’interno fattore – lavoro necessario all’esecuzione dell’appalto, e, dunque, in questa ottica anche i servizi di supporto e ai servizi esterni”, è “preferibile … riferire il costo della manodopera di cui al citato art. 95, comma 10, ai soli costi diretti della commessa, esclusi, dunque, i costi per le figure professionali coinvolti nella commessa in ausilio e solo in maniera occasionale secondo esigenze non prevenibili (in termini Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2020, n. 6530; V, 21 ottobre 2019, n. 7135, che, in relazione alle figure professionali che prestano la propria opera a beneficio di più contratti di appalto riferiti alla stessa impresa, parla di attività “trasversale” e le enuncia in tutte quelle che hanno un ruolo direttivo o di coordinamento)”, e ciò in quanto “l’esigenza di tutela è avvertita solo e proprio per quei dipendenti impiegati stabilmente nella commessa, in quanto voce di costo che può essere variamente articolata nella formulazione dell’offerta per la specifica commessa; non è così, invece, per le figure professionali impiegate in via indiretta, che operano solo occasionalmente, ovvero lo fanno in maniera trasversale a vari contratti, il cui costo non si presta ad essere rimodulato in relazione all’offerta da presentare per il singolo appalto” (cfr. C.d.S., sez. V, 3/11/2020, n. 6786).
La valutazione della congruità del costo della manodopera ai sensi dell’art. 95, comma 10, d.lgs n. 50 del 2016, è viziata per non avere incluso nel calcolo del costo del lavoro la retribuzione delle ore non lavorate, spettante ex lege.
Invero, la retribuzione e il costo medio del lavoro sono due cose diverse: la prima va corrisposta al lavoratore dipendente anche quando lo stesso è assente per ferie, permessi, o altre ragioni giustificate, mentre il secondo ricomprende, oltre alla prima, anche il costo aggiuntivo connesso alla necessità di sostituire il personale dipendente legittimamente assente. L’ulteriore costo sostenuto per le sostituzioni va quindi sommato al costo medio orario delle retribuzioni per i dipendenti regolarmente assunti.
Il primo giudice, premesso che il tasso di assenteismo dipende in larga parte dalle caratteristiche specifiche del personale impiegato (stato di salute; età anagrafica; appartenenza di genere), osservato trattarsi di un appalto caratterizzato da alta intensità dell’impiego di manodopera e richiamata la giurisprudenza che segnala in materia la necessità di stime prudenziali, ha ritenuto non corretto che -Omissis- avesse fatto riferimento al proprio tasso di assenteismo aziendale, corrispondente a personale diverso da quello da impiegare nell’appalto, e ciò per effetto della c.d. “clausola sociale” di cui alla legge di gara. Ha quindi ritenuto che il denunziato scostamento, “vistoso e significativo”, comportasse “maggiori costi stimabili nella somma (allegata dalla ricorrente e non contestata dalle controparti) di circa € 150.000,00, che non può trovare una sufficiente compensazione nella somma di € 40.000,00 accantonata per far fronte a spese impreviste e nella somma di circa € 34.000,00 di utile stimata dalla controinteressata”. […] Ma tale stima non può essere confermata, risultando – come lamenta la parte appellante – sproporzionata rispetto all’effettivo numero dei lavoratori da assorbire in virtù della clausola sociale prevista dalla legge di gara, da cui l’erroneità della sentenza impugnata. […] Sicchè assume rilievo la circostanza, evidenziata sia dall’appellante che dal Comune, che gran parte del personale impiegato nel precedente servizio era regolato da rapporti di lavoro precari, a tempo determinato o comunque occasionali, così che solo una minima parte di esso, in quanto assunto a tempo indeterminato, risulta “assorbibile” in virtù della predetta clausola sociale.
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