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Azione di rivalsa a tutela della Stazione Appaltante per aggiudicazione illegittima e comportamento illecito dell’ operatore economico

Assai frequenti sono i casi in cui l’aggiudicazione di una gara sia il portato di una condotta illecita da parte di un operatore economico che vi ha partecipato. La normativa oggi vigente, al fine di attenuarne le conseguenze, prevede una serie di disposizioni poste a
tutela dei soggetti che abbiano ricevuto danni a seguito di una aggiudicazione illegittima di una gara.
Il nuovo Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023 contiene un’importante precisazione circa la condotta da tenersi da parte di tutti coloro che partecipino ad una procedura ad evidenza pubblica.
Il comma 1 dell’ art. 5 del Codice prevede che le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici debbano comportarsi reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento. Si tratta di una disposizione che presenta efficacia cogente e che pone a carico di entrambe le parti precisi obblighi ed oneri: tutti i soggetti che, attraverso qualsiasi forma, prendano parte ad una procedura di contrattazione pubblica dovranno comportarsi in modo da non ledere le aspettative legittime della controparte.
Infatti, nell’ambito di un procedimento di gara, anche prima dell’aggiudicazione, sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede.
Va tuttavia debitamente precisato che, in caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti: pertanto, nei casi in cui non spetta l’aggiudicazione, il danno da lesione dell’affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall’interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico.
Dal rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento discende l’azione di rivalsa prevista dal comma quarto del richiamato art. 5 del Codice dei contratti pubblici in favore della stazione appaltante o dell’ente concedente che siano stati condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso: a tal fine, resta ferma la responsabilità concorrente dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima attraverso un comportamento illecito.
Si tratta di una disposizione posta a tutela della stazione appaltante, che beneficia della possibilità di tutelare, in rivalsa, la propria posizione nei confronti dell’operatore economico che abbia realizzato la condotta illecita per conseguire l’aggiudicazione.
La disposizione contiene una riaffermazione del principio del concorso nella responsabilità civile conseguente alla realizzazione di un danno, ossia quella del terzo che abbia ottenuto l’illegittima aggiudicazione di una gara, che costituisce una responsabilità di tipo precontrattuale fondata su di una violazione dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento.
All’azione di rivalsa posta in essere da parte della stazione appaltante (o dell’ente concedente) troveranno applicazione le disposizioni previste dagli articoli 2055 e seguenti del Codice Civile che regolamentano i casi di responsabilità solidale.
Circa i soggetti legittimati passivi di tale responsabilità, vi è innanzitutto il soggetto che abbia ottenuto l’aggiudicazione poi rivelatasi illegittima, alla cui responsabilità potrà accompagnarsi quella di tutti gli altri soggetti che con esso abbiano comunque concorso nella realizzazione del fatto illecito.
Relativamente agli aspetti procedurali dell’azione di regresso rivalsa, l’art. 124 comma 1 del d.lgs. 104/2010, come modificato dal nuovo Codice dei contratti pubblici, dispone: “L’accoglimento della domanda di conseguire l’aggiudicazione e di stipulare il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122. Se non dichiara l’inefficacia del contratto, il giudice dispone il risarcimento per equivalente del danno subito e provato. Il giudice conosce anche delle azioni risarcitorie e di quelle di rivalsa proposte dalla stazione appaltante nei confronti dell’operatore economico che, con un comportamento illecito, ha concorso a determinare un esito della gara illegittimo”. La norma rafforza non solo la posizione del terzo illegittimamente pretermesso ma anche quella della stazione appaltante e dell’ente concedente che potranno impiegare lo strumento giudiziario della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo al fine di ottenere il risarcimento dei danni prodotti dalla condotta illecita di uno dei concorrenti.

Responsabilità precontrattuale , principio della fiducia e tutela dell’ affidamento (art. 2 d.lgs. 36/2023)

Consiglio di Stato, sez. V, 13.09.2024 n. 7574

Tale tesi ha un senso con riguardo alla responsabilità civile da provvedimento amministrativo, a norma dell’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., ma non anche con riguardo alla responsabilità precontrattuale, che, secondo il paradigma generale di cui all’art. 1337 cod. civ., impone alle parti di comportarsi, nella fase che precede la stipulazione del contratto, secondo buona fede in senso oggettivo. La giurisprudenza ha posto in evidenza che nei rapporti di diritto amministrativo è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo in relazione a comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica suindicati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi (Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21).
Il principio di buona fede e di tutela dell’affidamento (da ultimo, recepito nell’art. 5 del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 36 del 2023), già secondo l’elaborazione compiuta da Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5, comporta che nello svolgimento dell’attività autoritativa l’amministrazione è tenuta a rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile, che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può fare nascere una responsabilità da comportamento scorretto, incidente sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze derivanti dall’altrui scorrettezza. La sentenza dell’Adunanza plenaria ha altresì chiarito che la responsabilità precontrattuale richiede non solo la buona fede soggettiva del privato, ma anche gli ulteriori seguenti presupposti :
a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e lealtà;
b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo;
c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (e cioè le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia il nesso eziologico tra il danno e il comportamento scorretto che si imputa all’amministrazione.
Emerge dunque da tale inquadramento generale che la responsabilità precontrattuale è in funzione del comportamento scorretto (Cons. Stato, V, 10 agosto 2018, n. 4912; IV, 20 febbraio 2014, n. 790), e non già dell’illegittimità provvedimentale.
La statuizione di inammissibilità appare dunque non condivisibile con riguardo alla responsabilità precontrattuale, che prescinde dall’illegittimità provvedimentale e dunque dall’esigenza stessa di impugnare il provvedimento (nel caso di specie, di revoca dell’aggiudicazione).

Errore materiale nei documenti di gara : rettifica o chiarimenti ?

TAR Potenza, 10.09.2024 n. 438

Si tratta di attività illegittima, incidendo la stessa sull’individuazione di uno dei requisiti di capacità tecnica e professionale. Invero, i chiarimenti resi dalla stazione appaltante nel corso di una gara d’appalto non hanno contenuto provvedimentale, non potendo costituire, per giurisprudenza consolidata, integrazione o rettifica della lex specialis di gara. Sul punto, in particolare, va richiamato quanto statuito da condivisibile giurisprudenza del Giudice d’appello, secondo cui «i chiarimenti della stazione appaltante, infatti, sono ammissibili solo se contribuiscono, con un’operazione di interpretazione del testo, a renderne chiaro e comprensibile il significato, ma non quando, proprio mediante l’attività interpretativa, si giunga ad attribuire ad una disposizione della lex specialis, un significato e una portata diversa o maggiore di quella che risulta dal testo stesso, in tal caso violandosi il rigoroso principio formale della lex specialis, posto a garanzia dei principi di cui all’art. 97 Cost. (in termini, Cons. Stato, sez. III, 7 gennaio 2022, n. 64; id., sez. III, 15 dicembre 2020, n. 8031).
Come si è già rilevato, la stazione appaltante ha sostituito tramite “chiarimenti” uno dei requisiti di partecipazione, pervenendo a un risultato che (anche avuto riguardo alla chiara portata letterale del disciplinare di gara) e diversamente da quanto pretenderebbero parte resistente e la controinteressata, è scevro da portata chiarificatrice di sorta. Nel contempo, si è dato luogo a una modifica non consentita delle regole alla base della selezione pubblica, trattandosi di attività che si pone in contrasto con la par condicio. Tale risultato, peraltro, contrasta anche con i principi di buona fede e legittimo affidamento riposto dai concorrenti sulla lex specialis di gara, di cui all’art. 5, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 36 del 2023.
[…] In senso opposto, osserva il Collegio come l’errore materiale non sia emendabile con lo strumento dei chiarimenti, in quanto, secondo la giurisprudenza, l’errore materiale o l’omissione commessa nella lex specialis richieda un’apposita rettifica del bando e del disciplinare da parte della stazione appaltante fatta con le stesse forme di detti atti e non già con un semplice chiarimento del responsabile unico del procedimento (in termini, Cons. Stato, , sez. III, 7 gennaio 2022, n. 64; TAR Lazio, sez. III-quater, 6 dicembre 2018, n. 11828; Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 2017, n. 5162).
La pretesa correzione dell’asserito errore materiale nell’indicazione della certificazione di qualità si sarebbe dovuta attuare tramite un’apposita rettifica del disciplinare di gara da parte della stazione appaltante, fatta con le stesse forme di adozione di tale atto, e non già mediante un mero “chiarimento”, come invece avvenuto in concreto.
In difetto di ciò non è consentito all’amministrazione aggiudicatrice di disapplicare il regolamento imperativo della procedura di affidamento da essa stessa predisposto, e al quale la stessa deve comunque sottostare (ex multis, Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9).

Principio autovincolo confermato dal nuovo Codice dei contratti pubblici

Consiglio di Stato, sez. V, 24.05.2024 n. 4659

Il Collegio osserva che le ampie deduzioni difensive (anche in tema di subappalto necessario) del Comune appellante, finalizzate a giustificare la regolarità dell’affidamento diretto dell’appalto alla società aggiudicataria, non colgono nel segno, atteso che alla soluzione della questione deve pervenirsi partendo dal presupposto che nella lex specialis la Stazione appaltante ha previsto espressamente un criterio di ‘autovincolo’.
Orbene, secondo il principio dell’autovincolo, la Stazione appaltante è tenuta a rispettare le regole che, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, ha deciso di porre a presidio dello svolgimento della procedura di gara, in ragione dei principi dell’affidamento e della parità di trattamento tra i concorrenti.
Il criterio di aggiudicazione di un appalto pubblico prescelto dalla Stazione appaltante in una procedura comporta sempre che la stessa è obbligata al rispetto della legge di gara, sicchè l’individuazione del contraente deve avvenire sulla scorta delle regole prescelte.
Nel caso di specie, l’Amministrazione si è avvalsa della possibilità dell’affidamento diretto ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D.L. n. 76 del 2020, convertito con legge n. 120 del 2020, ma ciò, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non fa venire meno l’obbligo del rispetto della legge di gara (c.d. autovincolo).
Il rispetto dell’autovincolo, giova ribadire per ragioni di completezza espositiva, è confermato anche dal vigente codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36 del 2023) che fra i principi fondamentali annovera quello dell’affidamento e della buona fede, per cui occorre tutelare l’affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 5 del d.lgs. n. 36 del 2023).
Nella specie, la lex specialis si è fondata sul suddetto indirizzo, tenuto conto che l’art. 3 dell’Invito, rubricato appunto ‘Criterio di affidamento’, richiama espressamente i principi di cui all’articolo 30 del d.lgs. n. 50 del 2016, così rappresentando la scelta di individuare un criterio di affidamento e di autodisciplinare la procedura di affidamento diretto.

Soccorso procedimentale : onere della stazione appaltante chiedere chiarimenti ed approfondire il contenuto dell’offerta economica , anche in virtù dei principi di buona fede e affidamento (art. 5 , art. 101 d.lgs. 36/2023)

TAR Palermo, 19.12.2023 n. 3787

Va, infatti, considerato che le offerte nelle gare pubbliche, al pari di qualunque atto negoziale, sono suscettibili di interpretazione al fine di individuare l’esatta volontà dell’offerente, con la conseguenza che sono ammessi interventi della commissione di gara volti a correggere errori materiali rilevabili ictu oculi (cfr., ex plurimis, T.A.R. Valle d’Aosta, sentenza n. 25/2022).
In un’ottica di massima partecipazione a una procedura di evidenza pubblica va consentito al concorrente di emendare l’errore ostativo immediatamente percepibile (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 9415/2022), specie se generato da clausole della lex specialis non precise (in questi termini, T.A.R. Emilia-Romagna, n. 664 del 10.11.2023).
Nel caso di specie, l’esistenza dell’errore nell’esternazione della volontà dell’operatore economico era resa manifesta dalla circostanza che nella medesima offerta l’odierna deducente ha quantificato i costi della manodopera nella somma di euro 205.299,70, vale a dire in una somma superiore alla stessa offerta totale che la ricorrente si sarebbe impegnata a offrire nell’interpretazione della Commissione di gara; infatti, ove per ipotesi il ribasso del 47,70 per cento fosse stato riferito all’importo complessivo posto a base del servizio, pari a euro 260.679,45, l’offerta economica netta sarebbe dovuta essere di euro 136.335,35, il che è decisamente incongruo e inconciliabile rispetto alla quantificazione dei costi della manodopera nella maggiore somma di euro 205.299,70.
In presenza di dati così palesemente inconciliabili, sarebbe stato onere della stazione appaltante approfondire il contenuto dell’offerta economica, chiedendo e valutando i chiarimenti previsti dall’art. 101, comma 3, del nuovo Codice dei contratti pubblici. La norma appena richiamata dispone infatti che “La stazione appaltante può sempre richiedere chiarimenti sui contenuti dell’offerta tecnica e dell’offerta economica e su ogni loro allegato. L’operatore economico è tenuto a fornire risposta nel termine fissato dalla stazione appaltante, che non può essere inferiore a cinque giorni e superiore a dieci giorni. I chiarimenti resi dall’operatore economico non possono modificare il contenuto dell’offerta tecnica e dell’offerta economica”. La Commissione di gara e la Stazione Appaltante hanno trascurato del tutto il dovere imposto dalla norma appena richiamata, in forza della quale avrebbero dovuto chiedere i necessari chiarimenti all’odierna ricorrente e valutarli nei limiti in cui ciò non si traducesse in una modifica postuma del contenuto dell’offerta economica.
Il rifiuto di riconsiderare il contenuto dell’offerta economica alla luce dei chiarimenti offerti, nonostante l’esistenza di una evidente anomalia nella formulazione dell’offerta tale da manifestare un errore ostativo (attinente cioè non alla formazione della volontà negoziale dell’offerente, ma alla sua semplice esternazione), integra senza dubbio una violazione dei principi di buona fede e affidamento che, ai sensi dell’art. 5, d.lgs. n. 36/2023, reggono ogni procedura di gara e impongono l’obbligo del soccorso istruttorio e procedimentale nei casi previsti dall’art. 101 del nuovo Codice dei contratti pubblici, tanto più nel caso in esame in cui all’inesatta individuazione della base d’asta a cui riferire il ribasso percentuale espresso ha contribuito non poco – come si è visto – l’infelice formulazione testuale dell’art. 4 del capitolato speciale d’appalto.
L’esclusione che ne è derivata è quindi illegittima e va annullata, con onere per la commissione di valutazione e la stazione appaltante, per quanto di rispettiva competenza, di riformulare la graduatoria sulla base della volontà negoziale realmente sottesa all’offerta economica presentata dalla società ricorrente e a ripetere il giudizio di anomalia, tenuto conto delle giustificazioni sul costo della manodopera dalla medesima ricorrente rassegnate con la nota del 31.10.2023 (doc. 13 allegato al ricorso).

Principi di buona fede e collaborazione nel nuovo Codice contratti pubblici (art. 5 d.lgs. 36/2023)

Consiglio di Stato, sez. III, 13.12.2023 n. 10744

Nondimeno il Collegio non può fare a meno di richiamare la regola per cui le parti del procedimento amministrativo (dunque anche nel procedimento di evidenza pubblica) devono tenere una condotta conforme ai princìpi di collaborazione e di buona fede [art. 1, comma 2-bis, legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 12, comma 1, lett. a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120].
Si tratta, com’è stato osservato in dottrina, di una tendenza normativa “a voler configurare un “rapporto” di tipo orizzontale tra cittadini e pubblica amministrazione”, che “(…) se genera in capo alla seconda doveri di protezione o, secondo taluni, obblighi correlati a diritti soggettivi, parimenti comporta anche una più marcata responsabilizzazione dei primi, sia in seno al procedimento che con riguardo al processo”.
È appena il caso di osservare che il sopravvenuto art. 5 del d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36, direttamente inapplicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, fornisce tuttavia ulteriori argomenti esegetici in tal senso (rispetto ad un precetto già vigente all’atto della celebrazione della gara per cui è causa).
Tanto premesso, e fermo restando che l’amministrazione conserva in tesi la titolarità e la facoltà di esercizio del potere di autotutela rispetto all’ammissione dell’offerta dell’odierna appellante, ritiene il Collegio che la riferita condotta della ricorrente sul piano procedimentale non presenti elementi di conformità al canone appena richiamato, mentre sul versante processuale configura in astratto un venire contra factum proprium che, com’è noto, costituisce una forma di abuso del processo (ex multis, in materia di procedure di evidenza pubblica, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 9691/2022; sez. III, sentenza n. 10878/2022).