Consiglio di Stato, sez. III, 13.12.2023 n. 10744
Nondimeno il Collegio non può fare a meno di richiamare la regola per cui le parti del procedimento amministrativo (dunque anche nel procedimento di evidenza pubblica) devono tenere una condotta conforme ai princìpi di collaborazione e di buona fede [art. 1, comma 2-bis, legge 7 agosto 1990, n. 241, aggiunto dall’art. 12, comma 1, lett. a), del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120].
Si tratta, com’è stato osservato in dottrina, di una tendenza normativa “a voler configurare un “rapporto” di tipo orizzontale tra cittadini e pubblica amministrazione”, che “(…) se genera in capo alla seconda doveri di protezione o, secondo taluni, obblighi correlati a diritti soggettivi, parimenti comporta anche una più marcata responsabilizzazione dei primi, sia in seno al procedimento che con riguardo al processo”.
È appena il caso di osservare che il sopravvenuto art. 5 del d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36, direttamente inapplicabile ratione temporis alla fattispecie dedotta nel presente giudizio, fornisce tuttavia ulteriori argomenti esegetici in tal senso (rispetto ad un precetto già vigente all’atto della celebrazione della gara per cui è causa).
Tanto premesso, e fermo restando che l’amministrazione conserva in tesi la titolarità e la facoltà di esercizio del potere di autotutela rispetto all’ammissione dell’offerta dell’odierna appellante, ritiene il Collegio che la riferita condotta della ricorrente sul piano procedimentale non presenti elementi di conformità al canone appena richiamato, mentre sul versante processuale configura in astratto un venire contra factum proprium che, com’è noto, costituisce una forma di abuso del processo (ex multis, in materia di procedure di evidenza pubblica, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 9691/2022; sez. III, sentenza n. 10878/2022).
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