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Responsabilità precontrattuale nelle gare per affidamento di contratti pubblici : come riconoscerla

Consiglio di Stato, sez. V, 28.11.2023 n. 10221

In termini generali “Chi entra in una trattativa precontrattuale (specie se condotta nelle forme del procedimento di evidenza pubblica, soggetto anche ai poteri di autotutela pubblicistici preordinati alla cura dell’interesse pubblico), si assume un ineliminabile margine di rischio in ordine alla conclusione del contratto”. Infatti “ciascuna parte che intraprende una trattativa (o partecipa ad un procedimento di gara) sa che è esposta ad un margine di rischio, che, in linea di principio, deriva dall’esercizio della libertà contrattuale di entrambe le parti, e quindi anche dal legittimo esercizio alla libertà contrattuale dell’amministrazione” (Ad. plen. 4 maggio 2018 n. 5).
Il riconoscimento della responsabilità precontrattuale modifica la naturale allocazione dei rischi economici sostenuti per partecipare alla trattativa (o alla gara): l’insorgenza della responsabilità precontrattuale determina il trasferimento dei costi da un soggetto ad un altro, cui è imputabile la scorrettezza.
Perché si abbia il trasferimento del rischio bisogna che vi sia, da un lato, un comportamento scorretto e, dall’altro lato, un affidamento incolpevole: detti elementi costituiscono i presupposti che garantiscono un idoneo punto di equilibrio tra la libertà contrattuale della stazione appaltante e l’esercizio delle prerogative pubblicistiche di quest’ultima e il limite della correttezza e della buona fede.
In ambito civilistico tradizionalmente la responsabilità precontrattuale postula che l’affidamento abbia ad oggetto lo svolgimento di trattative che non siano inutili: tipicamente le trattative sono inutili laddove una delle controparti le intraprende senza avere intenzione di stipulare il contratto o sapendo, o dovendo sapere, di stipulare un contratto invalido, così violando il dovere di buona fede.
Anche in ambito pubblicistico, l’art. 1 comma 2-bis della legge n. 241 del 1990 n. 241 dispone che i “rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”, positivizzando una regola generale delle relazioni giuridiche intersoggettive, che, in ambito pubblicistico, oltre a connotarsi per specifiche declinazioni, trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97 comma 2 Cost.).
A fronte del dovere di buona fede si pone l’affidamento sulla correttezza dell’operato di controparte e, nella specie, dell’amministrazione (Ad. plen. 29 novembre 2021 n. 21, 4 maggio 2018 n. 5 e 5 settembre 2005 n. 6).
“Nei rapporti di diritto amministrativo, inerenti al pubblico potere, è configurabile un affidamento del privato sul legittimo esercizio di tale potere e sull’operato dell’amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, fonte per quest’ultima di responsabilità non solo per comportamenti contrari ai canoni di origine civilistica ora richiamati, ma anche per il caso di provvedimento favorevole annullato su ricorso di terzi” (Ad. plen. 29 novembre 2021 n. 21).
Nel settore delle procedure di affidamento dei contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione postula che l’amministrazione abbia violato il dovere di buona fede e che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento e che questo affidamento non sia a propria volta inficiato da colpa.
L’affidamento si dipana in modo diverso a seconda del tipo di procedimento di evidenza pubblica che viene in rilievo (anche tenendo conto dei diversi margini di discrezionalità di cui la stazione appaltante dispone (così l’Ad. plen 4 maggio 2018 n. 5).
Nei rapporti di diritto civile, affinché un affidamento sia legittimo occorre tuttavia che esso sia fondato su un livello di definizione delle trattative tale per cui la conclusione del contratto, di cui sono già stati fissati gli elementi essenziali, può essere considerato come uno sbocco prevedibile, e rispetto al quale il recesso dalle trattative, in linea di principio libero, risulti invece ingiustificato sul piano oggettivo e integrante una condotta contraria al dovere di buona fede ex art. 1337 cod. civ. (Cass. civ., sez. II, 15 aprile 2016 n. 7545).
Analogamente, in ambito pubblicistico, l’affidamento è legittimo quando sia stata pronunciata l’aggiudicazione definitiva, cui non abbia poi fatto seguito la stipula del contratto, ed ancorché ciò sia avvenuto nel legittimo esercizio dei poteri della stazione appaltante (Cons. St., sez. II, 20 novembre 2020 n. 7237).
L’aggiudicazione è dunque considerato il punto di emersione dell’affidamento ragionevole, tutelabile pertanto con il rimedio della responsabilità precontrattuale.
Nondimeno la giurisprudenza ha negato rilievo ostativo al riconoscimento della responsabilità precontrattuale nei casi nei quali non è intervenuta l’aggiudicazione definitiva (nell’ottica del d. lgs. n. 163 del 2006 ratione temporis vigente, mentre il riferimento è all’aggiudicazione nel vigore del d. lgs. n. 50 del 2016)
La Corte di cassazione ha infatti affermato che l’affidamento del concorrente ad una procedura di affidamento di un contratto pubblico è tutelabile “indipendentemente da un affidamento specifico alla conclusione del contratto”; la stazione appaltante è quindi responsabile sul piano precontrattuale “a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante” (Cass., sez. I, 3 luglio 2014 n. 15260).
Anche la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della procedura di gara va svolta in concreto, in ragione del fatto che “il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale”.
Nella medesima prospettiva di un accertamento in concreto degli elementi costitutivi della responsabilità precontrattuale si è del resto espressa questa Adunanza plenaria nella più volte richiamata sentenza 4 maggio 2018, n. 5, secondo cui la responsabilità precontrattuale può insorgere “anche prima dell’aggiudicazione e possa derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai più volte richiamati doveri di correttezza e buona fede”.

Responsabilità precontrattuale della Stazione Appaltante per revoca aggiudicazione

Consiglio di Stato, sez. V, 12.09.2023 n. 8273

8. Resta da valutare se vi sia spazio per il risarcimento da responsabilità precontrattuale. Occorre verificare se la PA si sia comportata non solo da buon amministratore ma anche da corretto contraente.
8.1. A tale riguardo il TAR Lazio nega anche tale tipo di responsabilità precontrattuale sulla base di quanto riportato al punto 6.3. (motivazioni sufficienti in termini di revoca). Si tratta tuttavia di argomenti che attengono soltanto alla legittimità del provvedimento adottato (qui positivamente già vagliata) e non anche alla correttezza del comportamento concretamente assunto.
8.2. In diritto, si premette che secondo la costante giurisprudenza amministrativa: “anche in caso di revoca legittima degli atti di aggiudicazione di gara per sopravvenuta indisponibilità di risorse finanziarie può sussistere la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione che abbia tenuto un comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza soprattutto perché, accortasi delle ragioni che consigliavano di procedere in via di autotutela mediante la revoca della già disposta aggiudicazione non abbia immediatamente ritirato i propri provvedimenti, prolungando inutilmente lo svolgimento della gara, così inducendo le imprese concorrenti a confidare nelle chances di conseguire l’appalto” (Cons. Stato, sez. V, 5 maggio 2016, n. 1797; Cons. Stato, sez. V, 1° febbraio 2013, n. 633).
Più in particolare è stato affermato che: “le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro concernente invece la responsabilità dell’amministrazione e i connessi obblighi di protezione in favore della controparte. Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21).
Ed ancora che: “A conferma della descritta evoluzione si pone l’art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: “(i) rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”” (Cons. Stato, ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, cit.). Infine che: “La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede. >> (Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5)” (così Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514).
In questa direzione, pertanto: “non viene in rilievo l’attività provvedimentale della p.a. (l’esercizio diretto ed immediato del potere) bensì il comportamento (collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere) complessivamente tenuto dalla stazione appaltante nel corso della gara, di modo che rilevano le regole di diritto privato la cui violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità; anche per la p.a. le regole di correttezza e buona fede così come per i privati sono regole di responsabilità” (Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2020, n. 4514, cit.). […]
8.3.5. In questa direzione il Collegio ravvisa pertanto evidenti profili di responsabilità di tipo precontrattuale a carico del Comune per comportamento scorretto nella fase delle trattative. Ciò in quanto il tratto procedimentale che ha seguito la aggiudicazione provvisoria è stato caratterizzato da superficialità e disattenzione nel non rendere tempestivamente e puntualmente edotta la parte appellante circa la difficoltà di natura finanziaria medio tempore sorte in ordine alla possibilità di eseguire concretamente l’appalto. Di qui il venir meno agli obblighi di lealtà e correttezza.
8.3.6. In sintesi: la revoca è stata in sé legittima ma il comportamento complessivamente tenuto dal Comune non è risultato improntato alla massima lealtà e correttezza, avendo taciuto per tre anni la sussistenza di cause seriamente ostative alla definizione della procedura avviata nel 2010.

Appalti pubblici – Responsabilità precontrattuale della Stazione Appaltante – Risarcimento danni – Presupposti – Adunanza Plenaria Consiglio di Stato

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29.11.2021 n. 21

Nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa.

La questione è stata rimessa da Cons. St., sez. II, ord., 6 aprile 2021, n. 2753

L’Adunanza plenaria n. 21 reitera anche i principi espressi dalla Adunanza plenaria 29 novembre 2021, n. 19

Con riguardo alla questione, concernente i limiti entro cui può essere riconosciuto il risarcimento per lesione dell’affidamento, con particolare riguardo all’ipotesi di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture, successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale, deve in primo luogo essere precisato che questo settore dell’attività della pubblica amministrazione è quello in cui tradizionalmente e più volte è stata riconosciuta la responsabilità di quest’ultima. Le ragioni alla base dell’orientamento di giurisprudenza favorevole al privato venutosi a creare in questo settore si spiega sulla base del fatto che, sebbene svolta secondo i moduli autoritativi ed impersonali dell’evidenza pubblica, l’attività contrattuale dell’amministrazione è nello stesso tempo inquadrabile nello schema delle trattative prenegoziali, da cui deriva quindi l’assoggettamento al generale dovere di «comportarsi secondo buona fede» enunciato dall’art. 1337 c.c. (come chiarito dall’Adunanza plenaria nelle sopra citate pronunce del 5 settembre 2005, n. 6, e del 4 maggio 2018, n. 5).

La tutela risarcitoria per responsabilità precontrattuale è posta a presidio dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili, e dunque del più generale interesse di ordine economico a che sia assicurata la serietà dei contraenti nelle attività preparatorie e prodromiche al perfezionamento del vincolo negoziale. La reintegrazione per equivalente è pertanto ammessa non già in relazione all’interesse positivo, corrispondente all’utile che si sarebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto, riconosciuto invece nella responsabilità da inadempimento, ma dell’interesse negativo, con il quale sono ristorate le spese sostenute per le trattative contrattuali e la perdita di occasioni contrattuali alternative, secondo la dicotomia ex art. 1223 cod. civ. danno emergente – lucro cessante.

Applicata all’evidenza pubblica, la responsabilità precontrattuale sottopone l’amministrazione alla duplice soggezione alla legittimità amministrativa e agli obblighi di comportamento secondo correttezza e buona fede, i quali costituiscono, come in precedenza esposto, profili tra loro autonomi, e da cui può rispettivamente derivare l’annullamento degli atti adottati nella procedura di gara e le responsabilità per la sua conduzione (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, V, 12 luglio 2021, n. 5274; 12 aprile 2021, n. 2938; 2 febbraio 2018, n. 680).

In senso parzialmente diverso si è espressa la Cassazione civile. Con sentenza in data 3 luglio 2014, n. 15260 (Sezione I) la Suprema Corte ha affermato che l’affidamento del concorrente ad una procedura di affidamento di un contratto pubblico è tutelabile “indipendentemente da un affidamento specifico alla conclusione del contratto”; la stazione appaltante è quindi responsabile sul piano precontrattuale «a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante».

L’apparente contrasto rispetto agli approdi della giurisprudenza amministrativa deve tuttavia essere ridimensionato, avuto riguardo al fatto che il caso deciso dalla Cassazione riguardava il concorrente primo classificato in una procedura di gara poi annullata in sede giurisdizionale amministrativa su ricorso di un altro concorrente. La stessa giurisprudenza amministrativa non si è del resto arroccata su rigidi apriorismi, ma con criterio elastico – che questa Adunanza plenaria ritiene condivisibile – ha negato rilievo dirimente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, laddove ha in particolare affermato che la verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della procedura di gara va svolta in concreto, in ragione del fatto che «il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale» (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831).

Individuato un primo requisito dell’affidamento tutelabile nella sua ragionevolezza e nel correlato carattere ingiustificato del recesso, il secondo consiste nel carattere colposo della condotta dell’amministrazione, nel senso che la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve esserle imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. (in questo senso va ancora richiamato Cons. Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5).

l’elemento della colpevolezza dell’affidamento si modula diversamente nel caso in cui l’annullamento dell’aggiudicazione non sia disposto d’ufficio dall’amministrazione ma in sede giurisdizionale. In questo secondo caso emergono con tutta evidenza i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio. Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm. l’azione deve essere proposta, e di difenderlo. La situazione che viene così a crearsi induce per un verso ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da questo avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio.

Trattative inutili – Responsabilità precontrattuale della Stazione Appaltante – Danno da perdita di chance e danno curriculare – Non risarcibilità – Onere della prova

Consiglio di Stato, sez. V, 26.04.2021 n. 3303

La questione sollevata, anche se risolta in senso favorevole alla deducente, non può infatti condurre di per sé sola all’accoglimento della domanda risarcitoria.
Lo stesso dicasi con riferimento alla dedotta autonomia della domanda risarcitoria rispetto a quella impugnatoria, non potendosi così ritenere, a parere dell’appellante, rilevante la insussistente illegittimità dell’atto impugnato. E’ pur vero che la domanda di risarcimento del danno precontrattuale è sganciata dalla illegittimità dell’atto amministrativo, venendo in considerazione il comportamento scorretto della stazione appaltante, ma ancora una volta occorre rilevare che le ragioni a base del rigetto della domanda di risarcimento del danno sono ricollegate al difetto di comprova del danno solo astrattamente lamentato. La condotta della Stazione appaltante, così come emerge dagli atti di causa, consistente nella mancata definizione della procedura evidenziale per ragioni risalenti ad epoca risalente, è tale da integrare la responsabilità precontrattuale per lesione dell’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili.
Secondo questo Consiglio (sentenza, sez. V, 2 febbraio 2018, n. 680), “a differenza della responsabilità da mancata aggiudicazione, la culpa in contrahendo della Pubblica amministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica di affidamento di contratti costituisce fattispecie nella quale l’elemento soggettivo assume una sua specifica rilevanza, in correlazione con l’ulteriore elemento strutturale del contrapposto affidamento incolpevole del privato in ordine alla positiva conclusione delle trattative prenegoziali; infatti, i presupposti della responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione consistono nell’affidamento ingenerato dal comportamento della stazione appaltante su tale esito positivo e nell’assenza di una giusta causa per l’inattesa interruzione delle trattative”. Orbene, la sussistenza di tali elementi costitutivi è stata appurata dal T.a.r. e le relative statuizioni sono ormai passate in giudicato, non essendo state contestate da parte appellata in sede incidentale.
Rimane da verificare se l’impresa danneggiata da tale comportamento era gravata da un preciso onere della prova in ordine al danno lamentato.
Sul punto, da reputare realmente decisivo della controversia, l’appellante deduce che non vi sarebbe un preciso onus probandi in capo al danneggiato, essendo la relativa quantificazione demandata a criteri equitativi, applicabili dal giudice adìto. E’ bene precisare che “mentre i danni da mancata aggiudicazione sono parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell’utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all’immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati al solo interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2 aprile 2019, n. 2181). Invero, nel novero dei danni risarcibili, in casi siffatti, non rientra il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all’esecuzione del contratto non stipulato (Cons. Stato, sez. V, 28 gennaio 2019, n. 697). Inoltre, secondo un orientamento seguito anche da questo Consiglio, “nell’ambito della responsabilità precontrattuale, il c.d. danno curriculare non è risarcibile, perché non attiene all’interesse negativo, ma, più propriamente, all’interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell’appalto, non dall’inutilità della trattativa” (Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2013, n. 633). Ciò sarebbe già sufficiente per respingere l’appello in esame, atteso che l’appellante identifica le voci di danno, come precisate nel corso del giudizio di prime cure, nel danno da perdita di chance e nel danno curriculare (pagina 8, rigo 3 dell’appello), entrambi non risarcibili in caso di responsabilità precontrattuale, qualificata tale dallo stesso appellante.
[…]
Ad ogni modo, a prescindere dalla catalogazione delle voci di danno al fine di discernere tra quelle risarcibili o meno, va ribadito che in materia rileva il principio dell’onere della prova, di guisa che il privato deve provare sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione (Ad. plen. n. 5/2018).
Ne consegue che anche le spese per la partecipazione alla gara devono essere documentate per conseguirne il risarcimento, dimostrazione che l’appellante non ha fornito. Del resto, rientra nell’orbita applicativa di tale onere processuale, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, anche il danno curriculare, in quanto “la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è ormai attestata nel ritenere necessaria la comprova specifica e circostanziata anche di tale profilo di danno (Cons. Stato, III, n. 1607 del 2020, cit.; V, n. 5803 del 2019, cit.; n. 5283 del 2019, cit.; III, 15 aprile 2019, n. 2435; V, 2 gennaio 2019, n. 14; 26 aprile 2018, n. 2527; 28 dicembre 2017, n.6135; 16 dicembre 2016, n. 5322)” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 gennaio 2021, n. 632). Nel senso della soggezione anche del danno curriculare al principio dell’onere della prova si è espressa anche l’Adunanza plenaria (sentenza n. 2/2017), pur evidenziando che nel processo amministrativo trovi applicazione il c.d. “principio dispositivo temperato dal metodo acquisitivo”, in forza dell’art. 64 del c.p.a.
Il comma primo stabilisce infatti che le parti hanno l’onere di fornire soltanto “gli elementi di prova che sono nella loro disponibilità”, mentre il comma terzo attribuisce al giudice il potere di disporre, anche d’ufficio, i documenti utili ai fini della decisione che siano nella disponibilità dell’Amministrazione. E’ tuttavia opinione consolidata che il predetto temperamento trovi applicazione soltanto nei giudizi impugnatori, che, caratterizzandosi per la presenza dell’interesse pubblico e per la sua indisponibilità, denotano una forte asimmetria tra le parti in favore della p.A., asimmetria che è alla base di tale principio acquisitivo. Quanto esposto non opera nei giudizi risarcitori, né quando si tratti di controversie su diritti, in quanto si controverte su situazioni giuridiche rientranti nella “disponibilità” (ex art. 64 c.p.a.) del privato, senza tali “esigenze di riequilibrio”. 28Pertanto, poiché in ipotesi di danno curriculare la vertenza ha ad oggetto una pretesa risarcitoria da far valere innanzi al G.A. in sede esclusiva, il principio dispositivo troverà massima applicazione, con la conseguenza che dovrà essere il ricorrente a provare i fatti posti a fondamento della pretesa fatta valere in giudizio (art. 2697 cc), ossia il mancato incremento del curriculum.

Responsabilità precontrattuale dell’ operatore economico per mancata stipulazione del contratto d’appalto ( art. 1337 c.c. )

Consiglio di Stato, sez. II, 31.12.2020 n. 8546 

La Pubblica amministrazione può agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi nelle materie a giurisdizione esclusiva, quale tipicamente la contrattualistica pubblica; ciò accade tipicamente per azioni a titolo di responsabilità precontrattuale proposte nei confronti delle controparti private, per condotte scorrette nella fase delle trattative; allo stesso paradigma è riconducibile l’azione risarcitoria per il danno che l’Amministrazione ritenga di avere subito dalla mancata stipula del contratto per l’annullamento dell’aggiudicazione per causa riconducibile all’aggiudicatario; al fine di valutare la sussistenza dell’illecito, tuttavia, devono comunque essere utilizzate a “parti invertite” e con i necessari adattamenti tutte le categorie concettuali elaborate dalla giurisprudenza con riferimento alla condotta della pubblica amministrazione; pertanto anche il privato fruisce della “esimente” della complessità giuridica di un istituto, laddove il suo corretto inquadramento sia alla base del comportamento che gli viene addebitato dalla controparte pubblica.

La possibilità di agire in giudizio a tutela dei propri diritti soggettivi in ambiti di giurisdizione esclusiva da parte della p.a. è stata da sempre riconosciuta dal giudice amministrativo, avuto riguardo in particolare alle azioni a titolo di responsabilità precontrattuale proposte nei confronti delle controparti private, per condotte scorrette nella fase delle trattative. A favore della riconosciuta bilateralità direzionale delle tutele milita in primo luogo il principio di concentrazione delle stesse, che avrebbe reso irrazionale ed antieconomico non trattare unitariamente la domanda riconvenzionale di un’amministrazione verso il privato che l’abbia evocata in giudizio innanzi al giudice amministrativo, con l’evidente rischio anche di contrasto di giudicati (Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 20; id., A.P., 20 luglio 2012, n. 28; nonché da ultimo Cost. n. 179 del 2016). L’aggiudicazione definitiva, pur integrando il momento di cesura tra una generica aspettativa di buon esito della gara, più o meno rafforzata dalla tipologia dei contatti intercorsi, e una specifica connotazione soggettiva quale “vincitore” della procedura ad evidenza pubblica, attiene ancora tuttavia al piano delle “trattative”, di cui costituisce il massimo punto espressivo, al di là del quale nasce il sinallagma contrattuale e gli obblighi tra le parti si connotano della vicendevolezza riconducibile allo stesso. Il suo annullamento, quindi, eliminando tale diaframma formale fra la fase delle trattative e la fase della stipula del contratto e della susseguente esecuzione della prestazione, fa sostanzialmente retroagire i rapporti tra le parti alla prima di esse, ivi collocando la necessaria valutazione del comportamento del privato. 

Al fine di dirimere una controversia che veda quale parte attrice l’Amministrazione, anziché il privato, devono comunque essere utilizzate le categorie concettuali elaborate dalla giurisprudenza “a parti rovesciate”, non limitandosi alla operatività a discolpa (anche) del privato della “esimente” della «obiettiva situazione di incertezza circa le corrette determinazioni (pubblicistiche) da assumere».

Il dibattito sulla responsabilità riveniente dalla non corretta gestione della dinamica relazionale nella contrattualistica pubblica ha costituito da tempo l’ambito più fertile di sviluppo della teorica di un sistema di diritto comune che attingendo ai principi civilistici ne mutua l’essenza al fine di ampliare la soglia della risarcibilità ed elevare il livello di collaborazione richiesto alla pubblica amministrazione, seppur senza rinunciare alle prerogative del proprio potere autoritativo. La commistione tra regole pubblicistiche e regole privatistiche che ne connota la disciplina, infatti, sì da renderle operanti non in sequenza temporale, ma in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione, ben giustificano l’approccio osmotico a categorie concettuali tipiche del diritto privato da parte dei titolari di pubblici poteri (Cons. Stato, sez. II, 20 novembre 2020, n. 7237). Da qui la rilevanza attribuita a quelle di correttezza, che non possono pertanto essere relegate soltanto ad una o più delle singole fasi in cui si suddivide una gara, ma le permeano nella loro interezza, in quanto le stesse, oltre che intrise di aspetti pubblicistici e privatistici, sono tutte pur sempre teleologicamente orientate all’unico fine della stipulazione del contratto. Prima della quale, dunque, il loro rispetto non può che riguardare le “trattative”, il “contatto” più o meno intensamente qualificato nelle quali esse si sono circostanziate, a seconda del grado di sviluppo del procedimento.

Va ricordato altresì come la differenza tra violazione delle regole pubblicistiche e civilistiche risiede nel fatto che la prima, in quanto riferita all’esercizio diretto ed immediato del potere, impatta sul provvedimento, determinandone, di regola, l’invalidità; l’altra, invece, si riferisce al comportamento, seppur collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere, complessivamente tenuto dalla stazione appaltante o dall’amministrazione aggiudicatrice nel corso della gara e la loro violazione genera non invalidità provvedimentale, ma responsabilità. Il che non può non valere anche con riferimento alla condotta del privato, seppure a sua volta destinata a confluire in atti dell’Amministrazione. Essa, dunque, va egualmente valutata alla stregua della rispondenza ai richiamati canoni di correttezza comportamentale, non potendo certo porsi sullo stesso piano un errore o una dimenticanza o una scelta determinata da errore di diritto scusabile, e un’altra, consapevolmente volta invece a trarre in inganno il contraente pubblico. Diversamente opinando, si arriverebbe al paradosso di “punire” con maggior rigore la condotta che abbia inciso in via “mediata” su un provvedimento, rispetto a quella ascrivibile direttamente al funzionario preposto ad esprimere la volontà dell’Amministrazione, la cui responsabilità, espressamente evocata in caso di annullamento d’ufficio dal portato testuale del comma 1 dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, rientra comunque nella normale perimetrazione della colpevolezza.

Ha ancora ricordato la Sezione che il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione, richiedendosi la positiva verifica di tutti i requisiti previsti, e cioè la lesione della situazione soggettiva tutelata, la colpa, l’esistenza di un danno patrimoniale e la sussistenza di un nesso causale tra l’illecito e il danno subito. Essendo tuttavia la Pubblica Amministrazione chiamata a muoversi (anche) all’interno di un quadro procedimentale rigorosamente predeterminato fin dalla fase della scelta del contraente, non gode certo della medesima “libertà di autodeterminazione” riconosciuta e tutelata nel privato (Cons. Stato, A.P., 4 maggio 2018, n. 5) se non nel senso della tutela dell’affidamento riposto nel buon esito delle procedure, scongiurando fattori di indebito procrastinamento della definizione delle stesse e conseguentemente dell’interesse pubblico sotteso all’attivazione della procedura concorsuale. Affinché, tuttavia, tale generica aspettativa di buon esito intrinseca all’esercizio di qualsivoglia funzione pubblica, venga attinta dal comportamento del privato è necessario che quest’ultimo abbia colpevolmente orientato le scelte (sbagliate) dell’Amministrazione. 

Sia l’Amministrazione che il privato sono tenuti a comportarsi secondo i principi di correttezza e buona fede nelle trattative; la tutela dell’aspettativa della pubblica amministrazione, tuttavia, non può identificarsi in quella della “libertà di autodeterminazione negoziale”, in quanto la stessa è chiamata a muoversi all’interno di un quadro procedimentale rigorosamente predeterminato, stante la commistione tra regole di diritto pubblico e regole di diritto privato che connota tipicamente l’ambito della contrattualistica pubblica; perché possa dirsi lesa l’aspettativa qualificata della pubblica amministrazione è pertanto necessario che il privato abbia rafforzato colpevolmente la fiducia dell’Amministrazione nel buon esito del procedimento; la mancata stipula del contratto che consegua all’annullamento dell’aggiudicazione può costituire un fatto riconducibile allo stesso idoneo a far “scattare” i meccanismi speciali di tutela rinforzata previsti dal legislatore (oggi, la c.d. “garanzia a prima richiesta” ex art. 93,  d.lgs. n. 50 del 2016), ma perché a ciò consegua anche il risarcimento degli ulteriori danni subiti devono sussistere anche i rimanenti presupposti dell’illecito civile. 

Responsabilità precontrattuale nella gara d’appalto

Consiglio di Stato, sez. II, 20.11.2020 n. 7237

1) Contratti della Pubblica amministrazione – Principi di correttezza e buona fede nelle trattative – Art. 1337 cod. civ. – Applicabilità. 

Anche ai soggetti pubblici – sia nell’ambito di trattative negoziali condotte senza procedura di evidenza pubblica, sia nell’ambito di vere e proprie procedure di gara – si applica l’obbligo di improntare la propria condotta al canone di buona fede e correttezza sancito nell’art. 1337 cod. civ.; occorre, cioè, evitare di ingenerare nella controparte privata affidamenti ingiustificati ovvero di tradire, senza giusta causa, affidamenti legittimamente ingenerati; la buona fede e la correttezza si specificano in una serie di regole di condotta, tra le quali l’obbligo di valutare diligentemente le concrete possibilità di positiva conclusione della trattativa e di informare tempestivamente la controparte dell’eventuale esistenza di cause ostative rispetto a detto esito  (Cons. Stato, A.P., 5 settembre 2005, n. 6; Cass., S.U., 12 maggio 2008, n. 11656). 

La lettura necessariamente evolutiva e costituzionalmente orientata dei principi che devono permeare le relazioni tra privati e pubblica amministrazione, ha individuato proprio nella contrattualistica pubblica il terreno più fertile per lo sviluppo della tematica. Secondo la dottrina più evoluta, infatti, esso costituisce un significativo esempio della configurabilità di un sistema istituzionale di diritto comune connotato dalla osmotica utilizzabilità di regole del diritto privato da parte dei titolari di pubblici poteri, dando comunque luogo a rapporti giuridici qualificati tra privato e pubblica amministrazione all’interno dei quali può assumere rilievo l’affidamento, quale situazione di aspettativa giuridica a sua volta qualificata. Nel suo ambito, dunque, le regole pubblicistiche e regole privatistiche non operano in sequenza temporale, ma in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione. Ciò comporta che anche quelle di correttezza non possono essere relegate soltanto ad una o più delle singole fasi in cui si suddivide una gara, in quanto ognuna di esse, proprio perché astrattamente permeata di aspetti pubblicistici e privatistici, necessita di una lettura unitaria e consequenziale. Ciascuna singola fase, cioè, seppur distinta da quella successiva e da quella precedente, è accomunata alle altre in chiave teleologica, in quanto comunque mirata all’unico fine della stipulazione del contratto, prima della quale il rispetto dei principi della buona fede e correttezza non può che riguardare le “trattative”, più o meno intense che esse siano state. 
​​​​​​L’applicabilità delle disposizioni civilistiche, dunque, deriva dalla possibilità di equiparazione dell’amministrazione che agisce nella procedura volta alla conclusione di un contratto ad un contraente privato: tutte le fasi della procedura, infatti, si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale e, pertanto, il rispetto dei principi di cui agli artt. 1337 e 1338 cod. civ. non può essere circoscritto al singolo periodo successivo alla determinazione del contraente.  

La differenza tra le due tipologie di regole, comunque intersecanti il bagaglio operativo della stazione appaltante, risiede nel fatto che la violazione delle prime, in quanto hanno ad oggetto il provvedimento – id est, l’esercizio diretto ed immediato del potere – ne determina, di regola, l’invalidità; le altre, invece, si riferiscono al comportamento, seppur collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere, complessivamente tenuto dalla stazione appaltante o dall’amministrazione aggiudicatrice nel corso della gara e la loro violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità. 
Non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A., dunque, le regole di correttezza e buona fede, che non necessariamente inficiano la validità del provvedimento, trasmodano in canoni di valutazione del comportamento complessivamente tenuto, quale fondamento della conseguente responsabilità. Nel caso in cui l’aggiudicazione, quale momento tipico fondante l’aspettativa di concludere il contratto, venga annullato per causa non imputabile all’aggiudicatario, si realizza una sorta di situazione intermedia che attinge ai profili di responsabilità da provvedimento illegittimo, ma non si esaurisce né si compendia nella stessa.  

D’altro canto, come è stato ben evidenziato nei più recenti arresti della giurisprudenza sul punto (v. ancora A.P. n. 5 del 2018) il dovere di correttezza ha nel tempo conquistato una funzione (ed un conseguente ambito applicativo) certamente più ampia rispetto a quella concepita dal codice civile del 1942, che lo collocava nella visione economica corporativistica dell’epoca e in tale ridotta accezione imponeva di leggere anche la susseguente solidarietà. Esso, cioè, non è più considerato strumentale solo alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile; bensì, alla «tutela della libertà di autodeterminazione negoziale, cioè di quel diritto (espressione a sua volta del principio costituzionale che tutela la libertà di iniziativa economica) di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenza illecite derivante da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza». Ciò ha portato la discussione sull’intensità e pregnanza del momento relazionale e della forza dell’affidamento da esso ingenerato necessari a dare rilievo al canone della correttezza come mera modalità comportamentale, distinguendosi altresì i casi in cui la violazione dà vita ad un illecito riconducibile al generale dovere del neminen laedere di cui all’art. 2043 cod. civ. da quelli in cui pare affiorare una vera e propria obbligazione nascente dal “contatto sociale” qualificato.  

Di recente il giudice di legittimità, proprio muovendosi nell’alveo di tali sviluppi di pensiero, pronunciandosi peraltro sulla giurisdizione, ha inteso riconoscere la risarcibilità del danno all’affidamento che il privato abbia riposto nella condotta procedimentale dell’amministrazione, la quale si sia poi determinata in senso sfavorevole, indipendentemente da ogni connessione con l’invalidità provvedimentale o, come precisato, dalla stessa esistenza di un provvedimento (Cass., S.U., ord., 28 aprile 2020, n. 8236).  

2) Conclusione del contratto – Affidamento del concorrente – Sorge solo con l’aggiudicazione definitiva – Conseguenza. 

​​​Nell’ambito di una procedura di evidenza pubblica, è con l’aggiudicazione definitiva che certamente può sorgere in capo al partecipante alla gara un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto, tale da legittimarlo a dolersi, facendo valere la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, del “recesso” ingiustificato dalle trattative che la stessa abbia posto in essere attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela pubblicistici sugli atti di gara. Beninteso, ogni singolo provvedimento adottato durante la gara può essere astrattamente idoneo – in virtù di specifiche circostanze ricorrenti nel caso concreto – ad ingenerare nel concorrente il legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento, ma solo la definitiva individuazione del contraente ne costituisce l’incontestato punto di approdo.

Nonostante, dunque, ogni singolo provvedimento adottato durante la gara sia astrattamente idoneo – in virtù di specifiche circostanze ricorrenti nel caso concreto – ad ingenerare nel concorrente il legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento, solo la definitiva individuazione del contraente ne costituisce l’incontestato punto di approdo. Ciò ha indotto, al contrario, a non riconoscere la stessa portata potenzialmente “affidante” all’aggiudicazione provvisoria in quanto «un atto endoprocedimentale ad effetti ancora instabili e del tutto interinali» che si inserisce nell’ambito della scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo (Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3449). 
D’altro canto, secondo un recente orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite della Corte di cassazione la responsabilità dell’amministrazione sarebbe astrattamente configurabile, anche al di fuori dall’ambito dei procedimenti amministrativi finalizzati alla conclusione di un contratto, in conseguenza dell’avvenuto annullamento, in via giurisdizionale o per autotutela, di un provvedimento favorevole al privato (Cass. civ., S.U., ordinanze “gemelle” 23 maggio 2011, nn. 6594, 6595 e 6596; id. 22 gennaio 2015, n. 1162; id. 4 settembre 2015, n. 17586). Nei casi in cui, cioè, successivamente alla rimozione del provvedimento favorevole, il privato beneficiario prospetti di aver subito un danno ingiusto per avere confidato nella legittimità dello stesso ed aver regolato la sua azione in base ad esso, la relativa responsabilità dell’amministrazione si connota come responsabilità da comportamento in violazione del diritto soggettivo all’integrità patrimoniale (rectius, secondo quanto sopra detto, alla libertà di autodeterminazione negoziale). Il privato, infatti, lamenta che l’agire scorretto dell’amministrazione ha ingenerato un affidamento incolpevole sulla legittimità del provvedimento attributivo del beneficio e, quindi, sulla legittimità della conseguente attività negoziale (onerosa per il suo patrimonio) posta in essere in base allo stesso. Attività che, invece, una volta venuto meno il provvedimento, si rivela, perché anch’essa travolta dalla sua illegittimità, come inutile, conseguentemente fonte – in quanto onerosa – di perdite o mancati guadagni. Il che, rileva ancora la Sezione, rende inconsistenti anche le critiche avanzate dalla difesa erariale circa la riconducibilità del danno rivendicato all’annullamento di un provvedimento, quale l’aggiudicazione, comunque vantaggioso per la parte ricorrente. In questi casi, al contrario, come precisato dalle Sezioni Unite della Cassazione, il provvedimento viene in considerazione come elemento di una più complessa fattispecie (di natura comportamentale) che è fonte di responsabilità solo se e nella misura in cui risulti oggettivamente idonea ad ingenerare un affidamento incolpevole, sì da indurre il privato a compiere attività e a sostenere costi incidenti sul suo patrimonio nel positivo convincimento della legittimità dell’atto. Affidamento tutelato sub specie di responsabilità precontrattuale finanche laddove si sia addivenuti ad un contratto valido, ma svantaggioso (cfr. sul punto Cass., S.U., 19 dicembre 2017, n. 26725, nel quale si è ritenuto che il comportamento sleale non ha reso la trattativa inutile, ma il contraente ha comunque subito la scorrettezza, economicamente pregiudizievole, come ad esempio per una reticenza informativa antidoverosa).  

In sintesi, la sussistenza di un legittimo affidamento ingenerato nel concorrente di una procedura ad evidenza pubblica è costituita dall’atteggiamento complessivamente tenuto della pubblica amministrazione nel corso delle trattative: infatti «ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivo tenuto dall’amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede» (Cons. Stato, sez. IV, 16 gennaio 2014, n. 142).  

fonte: sito della Giustizia Amministrativa

Responsabilità precontrattuale “pura” (da comportamento) della Stazione Appaltante – Mancata stipulazione del contratto – Danni risarcibili – Onere della prova (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Napoli, 28.02.2020 n. 929

Secondo consolidati principi giurisprudenziali sussiste una responsabilità precontrattuale in capo alla P.A. che, omettendo di stipulare un contratto con un soggetto già individuato come affidatario, attraverso il completamento della procedura di evidenza pubblica giunto sino a proclamare l’impresa aggiudicataria, disponga poi la revoca (sia pur legittima), avendo ingenerato nella controparte il legittimo affidamento relativo alla futura conclusione del contratto.
In tal caso si configura in capo alla P.A. una responsabilità precontrattuale per la lesione dell’altrui libertà negoziale, realizzata attraverso un comportamento doloso o colposo, ovvero mediante l’inosservanza del precetto di comportamento secondo buona fede. La responsabilità deriva dalla condotta amministrativa, se non nella fase delle trattative, comunque in una fase precedente alla conclusione del contratto, che si ricollega a un comportamento scorretto tenuto da una parte negoziale, ai danni dell’altra (cfr.: T.a.r. Lazio Roma II, 9.7.2018, n. 7628, Cons. Stato, sez. VI, n. 633 del 2013 e sez. IV, n. 744 del 2014).
Con riferimento alla pubblica amministrazione, sono ormai superate le posizioni che nutrivano dubbi sull’astratta configurabilità di una sua culpa in contraendo nell’esercizio dell’attività contrattuale , rilevandosi che i pubblici poteri sono tenuti non solo al rispetto dei principi costituzionali di imparzialità, buona amministrazione e buon andamento (art. 97 Cost.) nell’espletamento della propria azione, ma anche all’osservanza della clausola di buona fede nei rapporti instaurati con il privato, al fine di tutelarne il legittimo affidamento.
Il principio di buona fede è posto a presidio non solo dell’aspettativa della conclusione del contratto ma prima ancora, della correttezza e lealtà delle trattative poiché costituisce la misura dei poteri legittimamente esercitabili dalle parti, sia che operi come principio “atipico”, sia che risulti specificato da obblighi di protezione, non solo nei rapporti tra individui ma anche con organizzazioni complesse, quali la pubblica amministrazione, che rispettano procedure predeterminate. Ne consegue la configurabilità di una responsabilità di tipo pre-contrattuale per violazione di norme imperative che pongono “regole di condotta”, da osservarsi durante l’intero svolgimento della procedura di evidenza pubblica: le regole ‘di validità’ e ‘di condotta’ operano in quest’ottica su piani distinti, non essendo necessaria la violazione delle regole di validità per aversi responsabilità precontrattuale, mentre l’inosservanza delle regole di condotta può non determinare l’invalidità delle procedure di affidamento.
L’applicabilità dei principi e delle regole privatistiche sulla responsabilità precontrattuale (artt. 1337 e 1338 c.c.) al rapporto tra pubblica amministrazione e privato si colloca nel processo di progressiva erosione dell’area di privilegio della p.a. e di attrazione di quest’ultima alla disciplina di diritto comune, nei limiti della compatibilità: in assenza di disciplina speciale ed in coerenza con l’istanza di uguaglianza, la soluzione viene ricerca nel diritto comune, con gli adattamenti necessari per rispettare la peculiarità dell’agire contrattuale della p.a..
Si tratta quindi di una responsabilità non da provvedimento ma da comportamento, in quanto l’art. 1337 c.c. pone in capo alla p.a. obblighi analoghi a quelli che gravano su un comune soggetto nel corso delle trattative precontrattuali. In proposito la Suprema Corte ha rilevato che la stessa va inquadrata nella responsabilità di tipo contrattuale da “contatto sociale qualificato”, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 c.c. e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell’art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli art. 1175 e 1375 c.c. ( cfr Cass. Sez. I , 12.7.2016 n. 14188).
(…)
In tema, va fatta applicazione dei principi enunciati dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (pronuncia n. 4/2018) , ed in particolare della considerazione in base alla quale gli obblighi di comportamento richiamati si impongono in qualunque momento della procedura :” La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede.”
Invero, la valenza costituzionale del dovere di correttezza impone di ritenerlo operante in un più vasto ambito di casi, in cui, pur eventualmente mancando una «trattativa» in senso tecnico giuridico, venga, comunque, in rilievo una situazione “relazionale” qualificata, capace di generare ragionevoli affidamenti e fondate aspettative; anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza.
In materia vige il principio della reciproca autonomia e differenziazione tra illegittimità dell’atto amministrativo e illiceità del comportamento dell’amministrazione. Tale principio è stato cristallizzato dall’Adunanza Plenaria del 5 settembre 2005, n. 6, che ha rilevato come la violazione delle norme di correttezza ex art. 1337 c.c. prescritte dal diritto comune assume significato e rilevanza solo dopo che gli atti della fase pubblicistica attributivi degli effetti vantaggiosi siano venuti meno, e tali effetti si siano trasformati in affidamenti rimasti senza seguito. La revoca dell’aggiudicazione vale a porre al riparo l’interesse pubblico dalla stipula di un contratto che l’amministrazione non avrebbe potuto fronteggiare per carenza delle risorse finanziarie occorrenti. Tuttavia resta il fatto ,definito nella citata pronuncia dalla Plenaria, “incancellabile” degli affidamenti suscitati dagli atti della procedura di evidenza pubblica poi rimossi ( affidamenti perdurati fino a quando alla parte non è stata comunicata la revoca degli atti stessi).
Un comportamento che, nella fattispecie in esame come in quella valutata dalla Adunanza plenaria, appare violativo degli obblighi di legge, ove si consideri che gli affidamenti radicati nell’impresa si sono lasciati perdurare al di là del tempo strettamente indispensabile, non offrendosi rapide notizie sulla criticità della procedura di non ammissione a finanziamento.
Sotto il profilo concreto della pretesa risarcitoria va rilevato che si tratta di risarcimento da lesione di interesse negativo per la responsabilità da comportamento illecito .
Mette conto evidenziare inoltre, ai fini della perimetrazione in particolare degli oneri probatori della parte e del quantum di danno risarcibile, che nella presente fattispecie si verte in ipotesi di responsabilità precontrattuale cd pura.
Si distingue invero, in ambito di responsabilità precontrattuale della P.A, due ipotesi.
La prima è quella relativa alla “responsabilità precontrattuale c.d. “spuria”, che si configura in caso di illegittimità degli atti amministrativi di una procedura ad evidenza pubblica; in tal caso, la fonte del danno cagionato al privato non risiede nella violazione della regola della buona fede precontrattuale, ma nella violazione di specifiche regole pubblicistiche. La p.a. sarà responsabile in base ad un provvedimento illegittimo, da cui scaturisce un illecito aquiliano, ex art. 2043 in quanto il provvedimento sarà concepito come un fatto illecito causativo di un danno ingiusto.
La seconda ipotesi è quella della cd. “responsabilità precontrattuale pura”, ovvero riconducibile al modello civilistico di cui all’art. 1337 c.c.., qualora l’Amministrazione, con un proprio comportamento contrario a buona fede, lede il legittimo affidamento riposto dal privato nella conclusione del contratto, incidendo negativamente sul suo diritto all’autodeterminazione in ambito negoziale e, quindi, violando una posizione di diritto soggettivo; in tal caso la pubblica amministrazione risponderà secondo il regime della responsabilità da inadempimento.
La configurabilità di tale fattispecie ricorre tipicamente laddove, come nel caso in esame, l’amministrazione incida con atto di autotutela su di una gara già culminata nell’atto di aggiudicazione e il privato aggiudicatario avanzi una richiesta risarcitoria che fa leva sulla scorrettezza della stazione appaltante; di conseguenza il risarcimento può riguardare il solo “interesse negativo” , rappresentato dalle spese sostenute per partecipare alla procedura e mancati profitti da occasioni perdute a causa dell’impegno profuso nella partecipazione alla gara.
Tale è la situazione venutasi a creare nel caso di specie, per atto di ritiro legittimo sul piano amministrativo, in cui la responsabilità da contatto sociale qualificato è stata integrata dalla mancanza della idonea diligenza della stazione appaltante, successiva alla conclusione della procedura di evidenza pubblica, non avendo custodito il verbale di verifica e validazione del progetto dei lavori, e non essendo stata in grado di riprodurne validamente il contenuto, sì da giungere a subire il diniego di ammissione a finanziamento per effetto di tale carenza formale-sostanziale. A ciò deve aggiungersi la mancanza di adeguata tempestività nel comunicare alla impresa la sussistenza delle criticità della procedura di ammissione a finanziamento.
E’ appena il caso di rilevare, in termini di giurisdizione, che, in tema di responsabilità precontrattuale pura come quella in esame, la causa petendi è un diritto soggettivo, ma vertendosi in materia di procedure di affidamento di contratti pubblici, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, con la conseguenza che anche le questioni relative alla responsabilità precontrattuale pura sono attratte nella giurisdizione amministrativa.
Ai fini della sussistenza degli elementi integranti la fattispecie di responsabilità, il privato oltre alla
propria buona fede soggettiva (ovvero l’affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), deve dimostrare:
a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà;
b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo;
c) sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione.
(…)
In particolare, per il profilo dell’elemento soggettivo, mette conto evidenziare che prima della sentenza con cui la Suprema Corte nel 2016 ha qualificato la responsabilità precontrattuale come contrattuale da contatto sociale qualificato, non vi era alcuna differenza tra la responsabilità precontrattuale pura (di cui agli artt. artt. 1337 e 1338 c.c.) e spuria della p.a. (ex art. 2043 c.c.), atteso che entrambe venivano ricondotte alla responsabilità extracontrattuale, rispondendo secondo il relativo regime, anche se con una sostanziale differenza costituita dal fatto che per quest’ultima si applicava il modello della responsabilità soggettiva presunta per effetto della illegittimità del provvedimento amministrativo, mentre per la prima occorreva la prova della colpa dell’amministrazione . A seguito della pronuncia delle SS.UU. , la responsabilità precontrattuale spuria resta una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. da provvedimento illegittimo, mentre la responsabilità precontrattuale pura diventa una responsabilità da contatto sociale qualificato e, dunque, una responsabilità da inadempimento di un obbligo di protezione e di informazione, sussumibile nel regime di cui all’art. 1218 c.c..: pertanto il privato è sollevato dall’onere della prova dell’elemento soggettivo in base al regime proprio della responsabilità da inadempimento ex art. 1218 c.c.. Peraltro nel presente giudizio il privato ha assolto il proprio onere di allegazione della violazione della diligenza e buona fede, restando a carico dell’amministrazione la prova del fatto inevitabile, che nella specie è mancato.
(…)
La ricorrente ha richiesto in primo luogo il rimborso delle spese di partecipazione alla gara.
Sotto tale aspetto, viene in rilievo la lesione del diritto del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 7 marzo 2016, n. 2966; Cons. Stato, sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444), e pertanto va affermata la risarcibilità di tali spese.
In particolare, per effetto della revoca della aggiudicazione , sia pur legittima, si verte in ipotesi di responsabilità precontrattuale e quindi proprio di lesione dell’interesse del concorrente a non essere coinvolto in trattative inutili. La precipua voce di danno ristorabile in applicazione dell’art. 1337 c,c, è quella relativa alle spese sopportate per le trattative ( cui nella specie va equiparata la partecipazione ad una procedura di evidenza pubblica revocata, e non seguita dalla stipula del contratto in favore della legittima aggiudicataria).
(…)
Va altresì esaminata la richiesta del risarcimento del lucro cessante, sotto specie di mancato conseguimento dell’utile di impresa, e di danno curricolare: la natura della responsabilità precontrattuale esclude in radice la possibilità di reintegrare tale voce di danno, essendo la responsabilità limitata al mero interesse contrattuale negativo. In proposito è assolutamente pacifico in giurisprudenza che a titolo di responsabilità precontrattuale non va riconosciuto il mancato utile derivante dall’esecuzione del contratto: se il danno è causato dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede (art. 1337 c.c.) – ipotesi che si configura generalmente come nella specie nella fase successiva all’aggiudicazione –il danno da risarcire è riferito all’interesse negativo”. Inoltre, è ammesso il ristoro della perdita di chance , ma per le sole occasioni di guadagno alternative cui l’operatore leso avrebbe potuto attingere in assenza del contegno dannoso dell’Amministrazione, mentre non è ammesso il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all’esecuzione del contratto non stipulato (cfr.: Cons. Stato V, 28.1.2019, n. 697).
(…)
Anche in tema di danni da responsabilità precontrattuale va fatta invero applicazione, con i dovuti adattamenti, dei principi enunciati dalla Adunanza plenaria nella pronuncia n. 2/2017, a mente della quale il danneggiato deve ” offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c.”. .
Ne consegue che, per il ristoro delle occasioni di guadagno mancate in attesa del contratto non concluso, la richiedente deve fornire rigorosamente la prova di tali occasioni mancate, non potendo genericamente ricorrere ad una deduzione vaga ed indimostrata.
(…)
In proposito va rilevato che si esclude in linea generale la risarcibilità in via precontrattuale del danno curriculare, ossia quello consistente nella impossibilità di far valere in future contrattazioni, il requisito economico pari al valore dell’appalto non eseguito, trattandosi di un interesse contrattuale positivo derivante dalla mancata esecuzione dell’appalto e non dalla inutilità della trattativa. Va dato atto dell’orientamento di una parte della giurisprudenza , che lo riconosce nell’ipotesi in cui non si tratti di rottura di trattative generiche, ma laddove si era già addivenuti alla sicura individuazione del contraente, con la aggiudicazione definitiva , in presenza di un contenuto contrattuale già compiutamente definito, per il tramite del bando di gara e dell’offerta della aggiudicataria (CdS sez. V 2.5.2017 n. 1979). Il Collegio non condivide tuttavia tale opzione interpretativa, atteso che il danno curricolare ,pur in presenza di una individuazione del contraente mediante la procedura di evidenza pubblica, rappresenta un interesse derivante dalla mancata esecuzione dell’appalto, costituendo una specificazione del danno per perdita di chance derivante dalla mancata esecuzione del contratto non concluso, ovvero una forma di lucro cessante, e non può comportare eccezione alla regola generale della ristorabilità del solo interesse negativo ex art. 1337 c.c. .

Conclusivamente, nel caso di responsabilità precontrattuale, i danni – se si esclude, come nel caso di specie, la perdita di occasioni di guadagno alternative -devono essere limitati al solo interesse negativo, ravvisabile, per le procedure ad evidenza pubblica, nelle spese inutilmente sopportate per partecipare alla gara, nelle spese di pianificazione, programmazione e progettazione e in tutte le altre spese inutilmente sostenute prima e dopo l’aggiudicazione, in ragione dell’affidamento nella conclusione del contratto, ivi comprese le spese di ammortamento di attrezzature e macchinari acquistati o locati per la realizzazione delle opere appaltate (cfr.: Cons. Stato V, 28.1.2019, n. 697).

Nei suesposti limiti, va riconosciuto alla ricorrente un risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale, che è stato adeguatamente dedotto e provato solo relativamente alle spese per la partecipazione alla gara, e di quelle per sostenere i contenziosi conseguenti alle impugnative delle ditte non aggiudicatarie, ma non di altre voci di danno, al riguardo rilevandosi come l’impresa non ha neppure dedotto di avere acquistato o locato macchinari per la realizzazione delle opere appaltate. Né è stata provata la perdita di altre favorevoli occasioni di guadagno in attesa della stipula del contratto con la stazione appaltante, per cui il lucro cessante- sotto tale limitata voce riconoscibile in caso di responsabilità precontrattuale- non può ritenersi provato.
Poiché le spese sono state solo enunciate nella consulenza di parte sopra richiamata, ma non documentate, non si ravvisano i presupposti per far luogo alla quantificazione nella presente sede.

Avvalendosi della facoltà ex art. 34, comma 4, c.p.a., stante la mancata opposizione delle parti, il Collegio stabilisce di affidare alla proposta di -Omissis-, a favore della ricorrente creditrice ed all’eventuale successivo accordo delle parti, la quantificazione del danno, sulla base dei criteri che qui di seguiti si riassumono:
1) dev’essere attributo alla società ricorrente, a titolo risarcitorio, un importo pari a tutte le spese, documentate o da documentare a cura della ricorrente stessa, relative alla partecipazione alla gara, alle progettazioni, programmazioni e pianificazioni eseguite e ad ogni attività comunque presupposta; nonché delle spese relative ai giudizi per la contestazione della aggiudicazione intentati da parte delle imprese successivamente graduate, nei limiti in cui parte ricorrente provi fatturazioni per onorari professionali superiori a quanto liquidato in sentenza in proprio favore ;
2) sugli importi risarcitori saranno applicati gli interessi legali dalla maturazione (data di esborso effettivo di ciascuna somma) al soddisfo.

[rif. art. 32 d.lgs. n. 50/2016]

Annullamento dell’aggiudicazione – Conoscenza dei vizi della gara da parte dell’aggiudicatario – Legittimo affidamento – Non configurabilità – Responsabilità precontrattuale della Stazione Appaltante – Non sussiste (art. 32 d.lgs. n. 50/2016)

 

Consiglio di Stato, sez. III, 23.04.2019 n. 2614

L’odierna appellante sostiene che il primo giudice, allorché ha respinto la domanda risarcitoria, avrebbe errato nel sostenere che vi sarebbe violazione della regola della correttezza, di cui all’art. 1337 c.c., solo dopo l’annullamento dell’aggiudicazione per non essere configurabile, prima dell’aggiudicazione, alcun legittimo affidamento del concorrente tutelabile sul piano della responsabilità c.d. precontrattuale.

L’assunto dell’appellante in punto di diritto merita condivisione perché, come l’Adunanza plenaria di questo Consiglio ha chiarito nella sentenza n. 5 del 4 maggio 2018, risulterebbe eccessivamente restrittiva e, per molti versi contraddittoria, la tesi secondo cui, nell’ambito dei procedimenti di evidenza pubblica, i doveri di correttezza (e la conseguente responsabilità precontrattuale dell’amministrazione in caso di loro violazione) nascono solo dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione.

Aderendo a tale impostazione, si finirebbero, infatti, per creare a favore del soggetto pubblico “zone franche” di responsabilità, introducendo in via pretoria un regime “speciale” e “privilegiato”, che si porrebbe in significativo contrasto con i principi generali dell’ordinamento civile e con la chiara tendenza al progressivo ampliamento dei doveri di correttezza emergente dagli orientamenti più recenti della giurisprudenza civile e amministrativa.

Cionondimeno si deve qui osservare che, come pure ha chiarito l’Adunanza plenaria, sentenza n. 5 del 4 maggio 2018, per valutare l’affidamento incolpevole del privato anche in tale fase, precedente all’aggiudicazione, si deve avere riguardo, tra gli altri elementi, anche alla conoscenza o, comunque, alla conoscibilità, secondo l’onere di ordinaria diligenza richiamato anche dall’art. 1227, comma secondo, c.c., da parte del privato, dei vizi (di legittimità o di merito), che hanno determinato l’esercizio del potere di autotutela, peraltro in ossequio al tradizionale principio civilistico, secondo cui non può considerarsi incolpevole l’affidamento che deriva dalla mancata conoscenza della norma imperativa violata.

E del vizio macroscopico che ne inficiava la legittimità e che, infatti, ha condotto all’annullamento in autotutela delle due gare, vizio consistente nella possibilità di aprire le buste contenenti il progetto tecnico prima che la Commissione giudicatrice avesse specificato i criteri valutativi delle proposte, non poteva non essere consapevole l’odierna appellante, se è vero, come essa sostiene, che “appare grossolana la illegittimità contenuta nel bando, poi annullato, in base alla quale la Commissione di gara poteva fissare i criteri per l’attribuzione del punteggio dopo aver esaminato le offerte dei concorrenti”.

La stessa appellante rammenta, peraltro, che tale illegittimità era tanto conclamata, e percepibile ictu oculi, che il vizio di illegittimità era stato evidenziato alla stazione appaltante anche da illustri consulenti legali di altri partecipanti alla gara.

E invece l’odierna appellante, dopo aver partecipato alle due gare, non ha mai contestato tale presunta illegittimità, ma anzi (…) ha sollecitato le Commissioni di gara a concludere le procedure valutative nel modo più rapido, entro i tempi stabiliti dal bando, senza fare menzione del vizio se non dopo l’annullamento in autotutela e nella sola citata diffida del 25 novembre 2006.

Risulta dunque evidente che essa, nonostante la piena consapevolezza del vizio che inficiava le procedure, abbia preso alla parte alle gare senza mai nulla eccepire, né in sede procedimentale né in sede processuale, ma anzi sollecitando la Commissione a concludere le procedure valutative, inficiate ab origine da tale grave illegittimità, posta poi a fondamento dei provvedimenti adottati in autotutela dall’Azienda.

Non è pertanto tutelabile in questa sede alcun legittimo affidamento in capo all’odierna appellante che, ben conscia dell’identico vizio, reiterato, che affliggeva le due procedure, non ne ha mai fatto constare all’amministrazione procedente l’illegittimità, ma anzi l’ha più volte sollecitata a concludere rapidamente le procedure di evidenza pubblica in radice viziate, salvo poi richiedere opportunisticamente il risarcimento del danno per lesione della propria libertà contrattuale una volta intervenuto, seppure dopo diverso tempo, l’annullamento delle gare in autotutela e dopo essersi aggiudicata, per sua espressa ammissione, i servizi all’esito delle nuove gare bandite dall’Azienda (almeno per alcuni lotti).

Simili strategie opportunistiche, contrarie all’obbligo di diligenza che grava anche sul privato asseritamente creditore, non sono però tutelabili e tutelate dall’art. 1337 c.c., in quanto il fondamento della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, a prescindere qui da ogni controversa questione sul suo corretto inquadramento dogmatico, sta in un rapporto di correttezza e di collaborazione, tra il soggetto pubblico e quello privato, che non è mai unidirezionale, ma sempre mutuo e scambievole, considerando che nell’ambito del procedimento amministrativo (a maggior ragione in quello di evidenza pubblica cui partecipano operatori economici qualificati), il dovere di correttezza è un dovere reciproco, che grava, quindi, anche sul privato, a sua volta gravato da oneri di diligenza e di leale collaborazione verso l’Amministrazione (Consiglio di Stato, Ad. plen., 4 maggio 2018 n. 5).

Progetto a base di gara non esecutivo e privo dei necessari pareri: sussiste la responsabilità precontrattuale della Stazione appaltante con obbligo di risarcimento del danno ?

A tal proposito si rileva che ai sensi dell’art. 23, comma 1, del Codice “la progettazione in materia di lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo ed è intesa ad assicurare: … g) la compatibilità con le preesistenze archeologiche”.
Il successivo comma 8 prevede che “il progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo, determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare, il relativo costo previsto, il cronoprogramma coerente con quello del progetto definitivo, e deve essere sviluppato ad un livello di definizione tale che ogni elemento sia identificato in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo”.
Ai sensi del successivo art. 26 “la stazione appaltante, nei contratti relativi ai lavori, verifica la rispondenza degli elaborati progettuali ai documenti di cui all’articolo 23, nonché la loro conformità alla normativa vigente” (comma 1) prevedendo che detta verifica abbia “luogo prima dell’inizio delle procedure di affidamento” (comma 2).
La medesima norma dispone, altresì, che “al fine di accertare l’unità progettuale, i soggetti di cui al comma 6, prima dell’approvazione e in contraddittorio con il progettista, verificano la conformità del progetto esecutivo o definitivo rispettivamente, al progetto definitivo o al progetto di fattibilità” (comma 3) accertando in particolare “a) la completezza della progettazione” e “c) l’appaltabilita’ della soluzione progettuale prescelta” (comma 4).
Il richiamato contesto normativo evidenzia come in materia di gare pubbliche gravi sulle Stazioni appaltanti un onere di diligenza circa lo scrupoloso ed esaustivo assolvimento di tutti gli adempimenti propedeutici all’indizione delle stesse, strumentale all’attuazione dei principi di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. 
Nel caso di gara bandita in assenza di una compiuta e preventiva istruttoria circa la fattibilità del progetto ponendo a base di gara un progetto non ancora esecutivo*,  sussiste, quindi, tanto il presupposto della colpa dell’Amministrazione concretizzatasi in un negligente esperimento degli adempimenti istruttori propedeutici all’indizione della gara, quanto, di conseguenza, l’imputabilità di detta condotta alla stessa (in tal senso, TAR Parma, 19.11.2018 n.  304).

La giurisprudenza ha di recente affermato il principio della riconoscibilità del risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. a seguito di esercizio del potere di autotutela legittima da parte della Stazione appaltante anche se intervenuto precedentemente all’individuazione del contraente mediante adozione del provvedimento di definitiva aggiudicazione prescindendo dal momento in cui si manifesta la condotta in contrasto con il principio di correttezza atteso che “l’attuale portata del dovere di correttezza è oggi tale da prescindere dall’esistenza di una formale “trattativa” e, a maggior ragione, dall’ulteriore requisito che tale trattativa abbia raggiunto un livello così avanzato da generare una fondata aspettativa in ordine alla conclusione del contratto” (Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, 4 maggio 2018, n. 5).
Nell’occasione veniva, altresì rilevato che “la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, ha, infatti, in più occasioni affermato che anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza (cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 633; Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 2015, n. 1142; Cons. Stato, ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6; Cass. civ., sez. un. 12 maggio 2008, n. 11656; Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636; Cass. civ., sez. I, 3 luglio 2014, n. 15250)”.
Circa i presupposti della fattispecie risarcitoria a titolo di responsabilità contrattuale, l’Adunanza Plenaria li individuava in un affidamento incolpevole leso “da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà”; nell’imputabilità di detta violazione all’Amministrazione e, infine, nella prova del danno. 
In punto di quantificazione del danno, che l’Adunanza Plenaria ha affermato dover coprire “il danno subito, normalmente correlato al c.d. interesse negativo”, deve affrontarsi il profilo della prova dello stesso, integrante un onere posto a carico del danneggiato, tanto con riferimento al “danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale)” quanto del “danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità rispetto alla condotta scorretta che si imputa all’amministrazione”)”.

* Nel caso di specie era incontestabile che l’Amministrazione avesse bandito la gara in assenza di una compiuta e preventiva istruttoria circa la fattibilità del progetto ponendo a base di gara un progetto non ancora esecutivo e non vagliato dalla Soprintendenza che su detto documento veniva chiamata a pronunciarsi dopo circa tre mesi dalla conclusione della gara.

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    Responsabilità precontrattuale dell’operatore economico offerente – Risarcimento danni – Giurisdizione

    TAR Milano, 12.10.2018 n. 2267

    Al riguardo, è noto, essendo stato ripetutamente affermato dalla Corte di Cassazione, a partire dalle ordinanze nn. 6594-6596 del 23 marzo 2011, che l’attrazione della tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo può verificarsi soltanto qualora il danno patito dal soggetto che agisce nei confronti della pubblica amministrazione sia conseguenza immediata e diretta della dedotta illegittimità del provvedimento che ha impugnato (cfr. Cass. civ. S.U. ordinanze nn. 17586 del 4 settembre 2015, 12799 del 22 maggio 2017, 1654 del 23 gennaio 2018, Cass. civ. sez. I n. 25644 del 27 ottobre 2017 e Cass. sez. Lavoro n. 2327 del 5 febbraio 2016).
    Con la recente ordinanza delle Sezioni unite civili del 24 settembre 2018, n. 22435, poi, la Suprema Corte ha ribadito che “si è al di fuori della giurisdizione amministrativa se viene in rilievo una fattispecie complessa in cui l’emanazione di un provvedimento favorevole, che venga successivamente annullato in quanto illegittimo, si configura solo come uno dei presupposti dell’azione risarcitoria che si fonda altresì sulla capacità del provvedimento di determinare l’affidamento dell’interessato e la lesione del suo patrimonio che consegue a tale affidamento e alla sopravvenuta caducazione del provvedimento favorevole”.
    Di particolare rilievo, in relazione al caso in esame, si presenta l’ulteriore osservazione, svolta nell’ordinanza n.22435, a proposito delle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A., rispetto alle quali si afferma che “permane la linea di discrimine fra azioni risarcitorie dipendenti dall’illegittimità dell’atto e azioni risarcitorie dipendenti dall’affidamento derivato dal comportamento della pubblica amministrazione, rimanendo privo di rilievo che tale comportamento sia più o meno direttamente connesso all’esercizio dell’attività appartenente al settore di competenza esclusiva. Nel secondo caso il soggetto leso denuncia non già la lesione del suo interesse legittimo pretensivo bensì quella della sua integrità patrimoniale derivata dall’affidamento incolpevole sulla legittimità dell’attribuzione favorevole poi caducata. Viene quindi in rilievo in questa ipotesi non solo la situazione lesa, che peraltro è riferibile a un diritto soggettivo e non a un interesse legittimo, ma anche la natura stessa del comportamento lesivo che non consiste tanto ed esclusivamente nella illegittimità dell’agire della p.a. ma piuttosto nella violazione del principio generale del neminem laedere”.
    Anche in precedenza, in relazione a fattispecie vertenti, come quella in esame, su una domanda risarcitoria avanzata dall’Amministrazione nei confronti di un privato a titolo di responsabilità precontrattuale, imperniata sulla violazione di obblighi di buona fede e correttezza e sull’assenza di un provvedimento da caducare, la Suprema Corte ne aveva affermato l’attrazione nella giurisdizione dell’A.G.O. (cfr. Sez. un., 4 luglio 2017, n. 16419).
    In senso analogo, del resto, si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa, sul presupposto che la giurisdizione amministrativa esclusiva, come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204/2004, trova “il suo limite e la sua giustificazione nelle situazioni connotate dall’esercizio di un potere pubblicistico nelle quali l’intreccio tra interessi legittimi e diritti soggettivi rende difficile individuare di volta in volta il plesso giurisdizionale competente”, sicché ove l’Amministrazione “si reclama danneggiata da un comportamento attuato da privati, senza alcuna inerenza ad un potere pubblico” deve essere declinata la giurisdizione a favore del giudice ordinario (cfr. T.A.R. Toscana, I Sezione, sentenza 12/05/2011, n.818).
    Da quanto sin qui esposto si ricava che, la domanda risarcitoria proposta in via riconvenzionale dall’Amministrazione, facendo valere la responsabilità precontrattuale del privato per i danni da essa sofferti in conseguenza del coinvolgimento in trattative rivelatesi inutili, si colloca al di fuori della giurisdizione del giudice adito, rientrando in quella dell’A.G.O.

    Dovere di correttezza e lealtà degli operatori economici concorrenti alla gara

    TAR Roma, 30.11.2017 n. 11875

    Quando è contestato il metodo di gara, è necessaria la tempestiva impugnazione del bando di gara (vedi TAR Lazio, II ter, 7 agosto 2017 nr. 09249 e Consiglio di Stato, III, 2 maggio 2017, nr. 2014; TAR Basilicata 27 settembre 2017, n. 612, da ultimo ribadito, sia pure ai fini della rimessione all’Adunanza Plenaria da Consiglio di Stato, ord. 7 novembre 2017, nr 5138). A sostegno di tale impostazione militano invero diversi ordini di considerazioni, essendo corrispondenti, tra l’altro, anche ad un canone di buona fede sostanziale.
    Vengono in rilievo, pertanto, la mancanza nella disciplina eurounitaria di una puntuale indicazione del momento in cui deve essere consentito alla parte l’esercizio del diritto di ricorso, a fronte di un indirizzo orientato a dilatare e anticipare l’ambito della legittimazione e dell’interesse all’impugnazione, anche in un’ottica di protezione generale della concorrenza e di rispetto della legalità delle gare; l’ espressa comminatoria di nullità delle clausole espulsive autonomamente previste dalla stazione appaltante (comma 1 bis dell’art. 46 del d. lgs. n. 163/2006 ed all’art. 83 comma 8 del d. lgs. n. 50/2016) inteso come indizio della vocazione generale ed autonoma dell’interesse alla partecipazione; la previsione dell’onere di immediata impugnazione dell’altrui ammissione alla procedura di gara (art. 120 c.p.a., commi 2-bis e 6-bis); l’introduzione nell’ordinamento dell’istituto delle “raccomandazioni vincolanti” dell’Autorità Nazionale Anticorruzione previsto dall’art. 211, comma 2 del d. lgs. 50/2016 e, dopo la sua abrogazione, della legittimazione dell’ANAC all’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (disposizioni che evidenzierebbero la necessità di assicurare il corretto svolgimento delle procedure di appalto nell’interesse di tutti i partecipanti e finanche di quello collettivo dei cittadini a prescindere dall’interesse del singolo partecipante all’aggiudicazione); la necessità di riconoscere, nei suddetti strumenti normativi, in particolare nel rito c.d. “superaccelerato” del comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a. un vero e proprio interesse sostanziale alla correttezza e legittimità del confronto concorrenziale nelle pubbliche gare da valorizzarsi adeguatamente nell’esigenza di risolvere subito e pregiudizialmente le questioni inerenti lo svolgimento della gara.
    Ad ulteriore sostegno di tale impostazione militano anche ragioni di buona fede e leale cooperazione tra i concorrenti e la P.A. procedente, che sono prospettabili, quale ragione e fondamento della disciplina sin qui richiamata, innanzitutto in una prospettiva costituzionalmente orientata che consideri i precetti di efficienza ed efficacia dell’azione della P.A. sanciti dall’art. 97 della Costituzione come rivolti non solo a regolare il funzionamento degli uffici della P.A. ma anche le relazioni che con essi instaurino i privati interessati all’ottenimento dei benefici o di vantaggi dipendenti dall’azione dell’Amministrazione, liberamente aderendo alle regole procedimentali di selezione dell’avente titolo che quei precetti sono volti ad applicare.
    Sotto altro e convergente profilo, il principio di buona fede trova applicazione alla fattispecie anche secondo i principi di cui all’art. 1337 cod.civ., dal momento che la procedura di gara, essendo rivolta a selezionare un contraente della P.A., deve inquadrarsi in un ambito che, ancorchè soggetto ad una rigida procedimentalizzazione, resta oggettivamente precontrattuale (sul rapporto tra procedura di gara e responsabilità precontrattuale in genere, vedasi, ex plurimis, T.A.R. Napoli, Campania, sez. I 04 aprile 2017 n. 1803; T.A.R. Venezia, Veneto, sez. I 27 marzo 2017 n. 310; Consiglio di Stato sez. V 05 maggio 2016 n. 1797); ne deriva che non sussistono ragioni per escludere che, nello svolgimento della procedura di gara, anche le parti private, concorrenti nella gara, siano impegnate all’osservanza, secondo la migliore diligenza, dei doveri di correttezza e lealtà propri di questa fase, tra i quali quello, pienamente esigibile e riconducibile al dovere di informazione, di far valere tempestivamente le ragioni di illegittimità o di irregolarità della gara che possono condizionarne lo svolgimento al punto da decretarne la ripetizione integrale.
    Il caso all’odierno esame del Collegio conferma, in concreto, l’orientamento sin qui richiamato, posto che la concorrente contesta il metodo di gara, cui ha preso parte, solo all’esito della propria esclusione, ma lamentando una violazione del principio della concorrenza effettiva in termini che sono generali ed oggettivi perché tale violazione non ha rilievo ai fini dell’aggiudicazione della gara, essendo scaturita l’esclusione stessa da ragioni del tutto autonome e diverse, legate (sulla base di quanto prospettato) alla modalità di redazione della scheda dell’offerta. Non è dunque neppure prospettabile che la lesione della “concorrenzialità” della procedura, di cui parte ricorrente si duole, si sia concretizzata e come tale resa percepibile solo al momento dell’esclusione dell’offerta (come sarebbe potuto accadere, in tesi, per motivi afferenti il merito tecnico della proposta o i requisiti di partecipazione delle altre concorrenti e così via); appare evidente che la contestazione del metodo di gara si fonda su elementi già interamente presenti al momento della pubblicazione del bando ed è sorretta solo da un interesse caducatorio (valevole, cioè, ai soli fini della ripetizione della procedura) che, dunque, nei termini in cui viene prospettato, sia pienamente esigibile entro i termini processuali di decadenza propri della domanda di annullamento così come proposta.

    Responsabilità precontrattuale prima dell’aggiudicazione: rimessione all’Adunanza Plenaria CdS

    Consiglio di Stato, sez. III, 24.11.2017 n. 5492 ord.

    E’ rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato:

    a) se la responsabilità precontrattuale sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione;

    b) se, nel caso di risposta affermativa, la responsabilità precontrattuale debba riguardare esclusivamente il comportamento dell’amministrazione anteriore al bando, che ha fatto sì che quest’ultimo venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili, ovvero debba estendersi a qualsiasi comportamento successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, che ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione.

    Sulla questione sussiste infatti un contrasto fra le Sezioni, necessitante di un intervento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria.

    Alcune pronunce del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. VI, n. 4236 e n. 5638 del 2012), hanno cominciato a sostenere la sussistenza della responsabilità precontrattuale anche nella fase che precede la scelta del contraente, e quindi prima e a prescindere dall’aggiudicazione.

    La giurisprudenza amministrativa successiva (Cons. St., sez. V, 21 agosto 2014, n. 4272) di recente ha però affermato, con un orientamento che si è andato via via cristallizzandosi ed al quale aderisce anche la stessa Sezione terza, seppure con necessarie precisazioni e “concessioni” all’opposto indirizzo – che la responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione è connessa alla violazione delle regole di condotta tipiche della formazione del contratto e quindi non può che riguardare fatti svoltisi in tale fase; perciò la responsabilità precontrattuale non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione.

    fonte: sito della giustizia amministrativa