Il Consiglio di Stato ha recentemente affermato un principio di diritto importante per quel che riguarda i rapporti tra privato e pubblica amministrazione.
Secondo i Giudici amministrativi (Consiglio di Stato, 20.06.2024 n. 5514), infatti, nel caso in cui a seguito di una condotta posta in essere da parte della pubblica amministrazione nel corso di un rapporto diretto alla conclusione di un contratto pubblico sia stato ingenerato un legittimo affidamento nel privato, quest’ultimo ha il diritto al risarcimento dell’interesse negativo.
Nello specifico, al fine di potersi ritenere responsabile l’amministrazione nei confronti del privato è necessario che essa abbia tenuto una condotta comunque contrastante con i principi della correttezza e della buona fede.
Deve trattarsi in ogni caso di un comportamento idoneo a violare il corretto svolgimento delle regole sociali tra coloro che partecipano ad una procedura di gara diretta alla conclusione di un pubblico appalto.
Il comportamento scorretto della pubblica amministrazione non è il solo presupposto per la configurabilità di una sua responsabilità. Da tale condotta infatti deve avere avuto origine un legittimo affidamento della parte che è stata la destinataria. Precisano i giudici amministrativi che deve trattarsi di un affidamento di carattere legittimo ovvero nella creazione di una aspettativa comunque lecita. Nel solo caso in cui la condotta dell’amministrazione sia stata tale da ingenerare uno stato psicologico come quello di cui sopra in capo ad una persona di media avvedutezza e cultura allora ci si potrà ritenere di essere in presenza di un affidamento legittimo.
Se l’affidamento abbia avuto origine da un atteggiamento caratterizzato da leggerezza e superficialità nel soggetto che è venuto a contatto con l’amministrazione dovrà essere esclusa la presenza di un legittimo affidamento tanto da non potersi configurare la responsabilità della pubblica amministrazione.
Sulla base di questi due presupposti scatterà l’astratto obbligo risarcitorio per la pubblica amministrazione.
Circa l’entità del danno risarcibile, l’amministrazione sarà tenuta a rifondere al privato le spese che comprovi di avere sostenuto al fine di partecipare alla gara (quali, ad esempio, compensi professionali, per la presentazione di istanze amministrative e per la redazione di elaborati tecnici) con esclusione di tutte quelle inerenti la normale gestione dell’attività d’impresa del privato.
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Revoca della gara pubblica e tutela legittimo affidamento
Invero, è stato in linea generale condivisibilmente osservato che la revoca della gara pubblica può ritenersi legittimamente disposta dalla stazione appaltante in presenza di documentate e obiettive esigenze di interesse pubblico che siano opportunamente e debitamente esplicitate, che rendano evidente l’inopportunità o comunque l’inutilità della prosecuzione della gara stessa, oppure quando, anche in assenza di ragioni sopravvenute, la revoca sia la risultante di una rinnovata e differente valutazione dei medesimi presupposti (Tar Campania Napoli Sez. VIII 5 aprile 2012 n. 1646; Trentino Alto Adige, Trento, 30 luglio 2009 n. 228) (T.A.R. Campania, Napoli, sezione ottava, 14 novembre 2019, n. 5368).
E ancora: nelle determinazioni di revoca la valutazione dell’interesse pubblico consiste in un apprezzamento discrezionale non sindacabile nel merito dal giudice amministrativo, salvo che non risulti viziato sul piano della legittimità per manifesta ingiustizia ed irragionevolezza (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 5 aprile 2012 n. 1646; T.A.R Campania, Napoli, Sez. I , 12 aprile 2010 n. 1897) (T.A.R. Campania, Napoli, sezione ottava, 14 novembre 2019, n. 5368).
Con riferimento ai procedimenti per l’affidamento di commesse pubbliche, è stato, in particolare, a ragione ritenuto che alle pubbliche amministrazioni che si determinino alla attivazione di procedure preordinate alla stipula di contratti, attraverso la selezione concorrenziale e comparativa della miglior controparte, va riconosciuto – prima della conclusione del relativo procedimento – ampio e generale potere (nella prospettiva del costante adeguamento al vincolo finalistico delle loro condotte) di ripensare la scelte operate in ordine alle modalità di selezione delle controparti negoziali, con l’unico limite del rispetto delle regole qualificate di buona fede e dell’affidamento dei concorrenti, suscettibile di essere, se del caso, salvaguardato – fermi gli effetti rimotivi della revoca legittimamente esercitata – in sede di responsabilità precontrattuale, sub specie facti (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831) (Consiglio di Stato, sezione quinta, 10 aprile 2020, n. 2358).
Inoltre, per giurisprudenza pressoché costante, l’aggiudicazione provvisoria è atto endoprocedimentale – instabile e ad effetti interinali, per la precisione – che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario. Con la conseguenza che la possibilità che ad una aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva costituisce evento del tutto fisiologico, inidoneo di per sé a ingenerare forme di affidamento tutelabili e dunque un qualsivoglia obbligo risarcitorio (cfr., ex multis: Cons. Stato, sez. V, 19 agosto 2016, n. 3646; Cons. Stato, sez. V, 9 luglio 2015, n. 3453).
La natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili tipica dell’aggiudicazione provvisoria non consente in altri termini di applicare pedissequamente, nei suoi riguardi, la disciplina dettata dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990, atteso che l’aggiudicazione provvisoria non è l’atto conclusivo del procedimento.
Ne deriva che, non essendo configurabile una situazione di legittimo affidamento in capo al soggetto interessato, non è richiesto in siffatte ipotesi un particolare raffronto tra l’interesse pubblico ritenuto preminente e quello privato recessivo e sacrificato, sicchè il passaggio dall’aggiudicazione provvisoria a quella definitiva non è dunque un obbligo della p.a. appaltante, né un diritto dell’aggiudicatario provvisorio (Consiglio di Stato, sezione quinta, 12 settembre 2023, n. 8273).
In analoga direzione, è stato così evidenziato che l’onere motivazionale sotteso alla revoca di tali atti deve essere calibrato in funzione della fase procedimentale in cui la stessa interviene e, in definitiva, dell’affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dal provvedimento: l’esplicitazione delle ragioni circa l’interesse pubblico al suddetto ritiro, in altre parole, varia di intensità a seconda della circostanza che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva (o addirittura la stipula del contratto) ovvero che il procedimento di valutazione comparativa concorrenziale non sia ancora completamente giunto a termine (TAR Perugia, sez. I, 16 giugno 2011, n. 172, cit.) (Consiglio di Stato, sezione quinta, 12 settembre 2023, n. 8273).
L’applicazione degli illustrati principi conduce alla reiezione delle censure formulate in relazione alla correttezza della disposta revoca (nonchè, conseguentemente, dell’indizione della nuova procedura, contrastata dalla Società ricorrente in stretta connessione con la dedotta illegittimità della revoca degli atti inerenti all’accordo quadro e con il reclamato diritto alla relativa aggiudicazione dell’accordo medesimo).
Cause di esclusione e condizioni di partecipazione – Devono essere indicate nel bando di gara – Eterointegrazione – Eccezionalità (art. 83 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. V, 27.07.2017 n. 3699
Secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, di regola, le condizioni di partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici devono essere tutte indicate nel bando di gara, la cui eterointegrazione con obblighi imposti da norme di legge si deve ritenere ammessa in casi eccezionali, poiché l’enucleazione di cause di esclusione non conosciute o conoscibili dai concorrenti contrasta con i principi europei di certezza giuridica e di massima concorrenza (Cons. Stato, V, 28 ottobre 2016, n. 4553). Ciò a maggior ragione, considerando che in tale caso si tratterebbe di una esclusione dalla gara per una lacuna formale indotta dalla stessa Amministrazione nella predisposizione degli atti di gara, con conseguente restringimento della concorrenza, in assenza di una lesione di rilievo sostanziale (Cons. Stato, V, 17 giugno 2014, n. 3093).
Appalti sotto soglia – Procedura negoziata – MEPA – Oneri di sicurezza aziendale – Mancata indicazione – Disciplina del nuovo Codice – Esclusione – Necessità – Errato riferimento normativo nel modello fac simile precompilato fornito dalla Stazione appaltante – Soccorso istruttorio – Inapplicabilità (art. 95 d.lgs. n. 50/2016)
TAR Campobasso, 09.12.2016 n. 513
Il disciplinare di gara è stato pubblicato sull’albo pretorio del Comune il 1.7.2016 e la lettera di invito è del 2.7.2016 e quindi la gara rientra pacificamente nel campo di applicazione del d. lgs. n. 50/2016 il cui articolo 95, comma 10 così statuisce: “Nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”.
Si tratta di disposizione che configura un ineludibile obbligo legale da assolvere necessariamente già in sede di predisposizione dell’offerta economica (così TAR Salerno, 6 luglio 2016, n. 1604) proprio al fine di garantire la massima trasparenza dell’offerta economica nelle sue varie componenti, evitando che la stessa possa essere modificata ex post nelle sue componenti di costo, in sede di verifica dell’anomalia, con possibile alterazione dei costi della sicurezza al fine di rendere sostenibili e quindi giustificabili le voci di costo riferite alla fornitura del servizio o del bene.
Poiché siffatta dichiarazione configura un elemento essenziale dell’offerta economica non può ritenersi integrabile ex post mediante l’istituto del soccorso istruttorio e comporta l’esclusione dalla gara anche in assenza di una espressa sanzione prevista dalla legge o dal disciplinare.
Né, in senso contrario, può invocarsi la mancata espressa menzione di tale obbligo dichiarativo nel disciplinare di gara e nella lettera di invito, come pure nel modulo di predisposizione dell’offerta, atteso che nel disciplinare di gara si faceva espressa menzione che trattavasi di procedura negoziata indetta “ai sensi dell’art. 36, comma 2, lett. b) …del D.Lvo 50/2016” e cioè del nuovo corpus normativo disciplinante la materia degli appalti che prevede in via generalizzata l’obbligo di immediata dichiarazione degli oneri relativi alla sicurezza già in fase di predisposizione dell’offerta economica.
Non può neppure opporsi che trattandosi di affidamento sottosoglia dovrebbero applicarsi i soli principi di cui all’art. 31, comma 1, del d. lgs. n. 50/2016, espressamente richiamato dall’art. 36, comma 1, del codice dei contratti pubblici: la richiesta di invito – RDO, predisposta dalla stazione appaltante sul MEPA, indicava espressamente che l’aggiudicazione sarebbe avvenuta con il criterio della “offerta economicamente più vantaggiosa”, secondo quanto espressamente indicato nella determina a contrarre n. 57 del 30.6.2016 – ove si stabilisce “che l’aggiudicazione del servizio avverrà con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art. 95, comma 6, del D Lgs. 50/2016” – e ribadito nell’allegato disciplinare.
La lex specialis conteneva dunque un chiaro richiamo al criterio di aggiudicazione e allo stesso articolo 95 che, nel nuovo codice, ne compendia la disciplina anche con specifico riferimento, come si è detto, all’obbligo per l’operatore di indicare già nell’offerta economica i propri costi aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Carattere dirimente riveste comunque la circostanza che tra i documenti obbligatori richiesti dalla procedura informatica RDO v’è il fac simile precompilato e non modificabile relativo all’offerta economica che prevede espressamente un campo dedicato alla indicazione dei costi relativi alla sicurezza che la società ricorrente ha omesso di compilare, tant’è che nella copia di domanda estratta dal sistema informatico depositata dal Comune resistente e non contestata dalla ricorrente, figura la cifra di default pari a “Euro 0,00”.
Non può pertanto dolersi la ricorrente della mancata espressa menzione di tale dichiarazione, essendo tale adempimento obbligatoriamente richiesto sia dalla normativa disciplinante la gara sia dai documenti di gara e, segnatamente, dal “fac simile di sistema” relativo alla offerta economica previsto dalla procedura RDO del MEPA sicchè non si pone neppure un problema di possibile contrasto con il diritto comunitario in relazione alla parità di trattamento ed alla tutela dell’affidamento del concorrente che può assumersi leso solo laddove la legge nulla disponga in tale senso e neppure i documenti di gara contemplino un siffatto obbligo dichiarativo.
Ed infatti la recente ordinanza della Corte di Giustizia, VI, 10 novembre 2016 ha affermato che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza, come attuati dalla direttiva 2004/18, devono essere interpretati nel senso che ostano alla esclusione di un offerente dalla procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico a seguito di inosservanza, da parte di detto offerente, dell’obbligo di indicare separatamente nell’offerta i costi aziendali per la sicurezza sul lavoro, obbligo il cui mancato rispetto è sanzionato con l’esclusione dalla gara e che non risulta espressamente dai documenti di gara o dalla normativa nazionale bensì emerge da una interpretazione di tale normativa e dal meccanismo diretto a colmare, con l’intervento del giudice nazionale di ultima istanza, le lacune presenti in tali documenti.
Un tala conclusione muove dalle premesse che nei documenti di gara – tra cui il giudice remittente aveva espressamente ricompreso non solo il bando ed il capitolato speciale ma anche l’allegato modello di compilazione per la presentazione delle offerte – non fosse stato previsto l’obbligo di indicare separatamente, nell’offerta economica, i costi di sicurezza aziendale, obbligo che invece nel caso di specie è previsto sia dalla disciplina del criterio di aggiudicazione richiamato dalla legge di gara e disciplinato dall’art. 95, sia dal fac simile di sistema dell’offerta economica i cui diversi campi sono appunto funzionali ad acquisire tutte le informazioni necessarie non solo alla attribuzione del punteggio ma anche alla verifica della anomalia mediante scomputo preventivo della quota del prezzo imputabile agli oneri di sicurezza, come obbligatoriamente previsto dal comma 10 dell’art. 95 (ma già anche dall’art. 87, comma 4 del d. lgs. n. 163/2006, laddove espressamente richiesto dai documenti di gara, come nel caso della procedura RDO del MEPA).Non vale neanche opporre che siffatto modulo sarebbe equivoco stante l’errato riferimento normativo all’art. 87, comma 4, del d. lgs. n. 163/2006 ivi presente, con conseguente necessità di tutelare l’affidamento ingenerato da tale erroneo richiamo normativo poiché una tale censura non figura nel ricorso introduttivo ma solo nella memoria difensiva depositata il 24.10.2016 e come tale deve ritenersi inammissibile oltre che tardiva.
Nel merito la doglianza è anche infondata poiché in presenza di una gara espressamente indetta ai sensi della sopravvenuta normativa di cui al d. lgs. n. 50/2016, secondo quanto inequivocabilmente indicato nel disciplinare di gara, e tenuto conto che lo ius superveniens rende pacificamente obbligatoria l’immediata dichiarazione dei costi della sicurezza già in sede di predisposizione dell’offerta economica, il mancato aggiornamento delle schede di offerta presenti nella procedura informatica del MEPA non può giustificare un affidamento incolpevole, essendo ben riconoscibile ad un operatore medio che nella specie si trattava di mancato adeguamento formale del richiamo normativo presente nella scheda di offerta economica, come confermato dal fatto che la procedura informatica prevedeva un apposito campo ove dichiarare, per l’appunto, i costi relativi alla sicurezza.
Inoltre la previsione nel fac simile di sistema dell’obbligo dichiarativo serviva proprio a rendere obbligatoria la dichiarazione che, diversamente, ai sensi dell’art. 87, comma 4 del d. lgs. 163/2006 poteva anche essere resa successivamente in sede di verifica dell’anomalia sicchè la violazione sussiste sia rispetto all’art. 95, comma 10, applicabile ratione temporis, che prevede un obbligo ex lege in tal senso, sia rispetto alla lex specialis tenuto conto che l’abrogato art. 87, comma 4 consentiva comunque alla stazione appaltante di prescrivere l’obbligo della dichiarazione preventiva a condizione che figurasse espressamente nei documenti di gara, come accaduto nel caso di specie.
Il provvedimento di esclusione è dunque legittimo sicchè la ricorrente va dichiarata priva di interesse alla disamina delle restanti doglianze. Come infatti di recente ribadito da Cons. Stato, IV, 20 aprile 2016, n. 1560, anche tenuto conto dei principi elaborati dalla Corte di giustizia UE nella recente sentenza della Grande Camera, 5 aprile 2016, C-689/13: “La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha specificato che anche se di regola è sufficiente l’interesse strumentale del partecipante a una gara pubblica di appalto a ottenere la riedizione della gara stessa, deve in ogni caso ritenersi che un tale interesse (che non può e non deve essere emulativo) non sussista in capo al soggetto legittimamente escluso dato che tale soggetto, per effetto dell’esclusione, rimane privo non soltanto del titolo legittimante a partecipare alla gara ma anche a contestarne gli esiti e la legittimità delle scansioni procedimentali (Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4; Cons. Stato, V, 20 febbraio 2012, n. 892;10 settembre 2010, n. 6546; 29 dicembre 2009, n. 8969; 21 novembre 2007, n. 5925; 13 settembre 2005, n. 4692).Il suo interesse protetto, invero, da qualificare interesse di mero fatto, non è diverso da quello di qualsiasi operatore del settore che, non avendo partecipato alla gara, non ha titolo a impugnare gli atti, pur essendo portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell’intera selezione, al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di riedizione della nuova gara.
Anzi, la citata sentenza dell’Adunanza Plenaria 7 aprile 2011, n. 4, ha ribadito ancora che nelle procedure pubbliche di affidamento dei contratti, la legittimazione al ricorso è correlata a una situazione differenziata, in modo certo, come risultato della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione, salvi i casi nei quali il ricorrente contesti, in radice, la scelta della stazione appaltante di indire la procedura, oppure, in qualità di operatore economico di settore, l’affidamento diretto o senza gara, oppure ancora una clausola del bando automaticamente escludente in relazione all’illegittima previsione di determinati requisiti di qualificazione, situazioni queste, che non ricorrono nel caso concreto.
In tale contesto, ha osservato la Plenaria, la mancata partecipazione alla gara, ostativa all’ammissibilità del ricorso, è del tutto equiparabile alla situazione di chi ne sia stato legittimamente escluso. (si veda di recente Ad Plen. n. 9 del 2014; successivamente Cons. Stato, Sez. V, n. 2256 del 2015).”