Obblighi dichiarativi nel caso di società composte da due soci titolari al 50% (Art. 38)

lui232Consiglio di Stato, sez. V, 21.07.2015 n. 3621
(sentenza integrale)

“Questa Sezione sul tema ha già preso posizione nello stesso senso della decisione appellata con la propria sentenza 30 agosto 2012, n. 4654, osservando nell’occasione quanto segue:
«il socio titolare del 50% del capitale è certamente in grado di far valere la propria posizione nella direzione dell’impresa societaria, in particolare in quella a responsabilità limitata, come si ricava da una piana lettura delle disposizioni del codice civile richiamate nell’atto di appello;
– a quest’ultimo riguardo, si appalesa decisivo l’art. 2479 bis, nel cui III comma sono fissati i quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea, in ogni caso mai superiori alla “metà del capitale sociale»;
– ne consegue che il titolare di tale porzione del capitale sociale è in grado di assumere tutte le decisioni necessarie al funzionamento della società, risultandone quindi smentito l’assunto, pur pregevolmente argomentato, su cui si impernia il contrario avviso del Giudicedi primo grado, e cioè che il possesso del 50% del capitale conferisce al relativo titolare meri poteri di condizionamento negativo in ordine alle scelte di gestione della società.
La titolarità dei poteri di gestione attiva che deve invece annettersi alla titolarità di una tale porzione di capitale è evidentemente tale da indurre a ritenere che ad essa si attagli la disposizione del codice dei contratti pubblici su cui si controverte in questo giudizio, poiché è proprio in funzione della sostanziale direzione dell’impresa societaria che può spiegarsi l’estensione dei doveri dichiarativi in ordine ai requisiti di affidabilità morale nei pubblici appalti al soggetto formalmente privo di cariche amministrative».
4f Questa interpretazione, condivisa dalla Sez. VI con la decisione 28 gennaio 2013 n. 513, è stata in seguito fatta propria anche dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la sentenza 6 novembre 2013, n. 24.
Con tale pronuncia si è ritenuto, invero, che l‘espressione «socio di maggioranza» debba intendersi riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale, e infine, quando i soci siano tre, all’eventuale titolare del 50 %.
Sul punto rilevante ai fini di causa l’Adunanza Plenaria ha svolto, in particolare, le seguenti, condivisibili considerazioni.
«Come indicato nell’ordinanza di rimessione, la lettera della norma non è chiara non essendo completata l’espressione “socio di maggioranza” con la precisazione del tipo di maggioranza richiamata, se assoluta o relativa, e risultando perciò giustificato il conseguente dubbio interpretativo.

Riguardo all’espressione letterale questo Consiglio ha già precisato che il riferimento al “socio” e non “ai soci” di maggioranza non è dirimente poiché “l’impiego del singolare non è decisivo, potendosi esso spiegare in funzione della portata dell’obbligo dichiarativo, che fa evidentemente capo al singolo esponente societario, non senza trascurare che la formulazione della norma non reca la specificazione che deve trattarsi di maggioranza assoluta (Cons. Stato, sez. V, 30 agosto 2012, n. 4654).
Per risolvere il dubbio è quindi necessario basarsi sulla finalità della normativa che, come detto, è quella di assicurare che non partecipino alle gare, né stipulino contratti con le amministrazioni pubbliche, società di capitali con due o tre soci per le quali non siano attestati i previsti requisiti di idoneità morale in capo ai soci aventi un potere necessariamente condizionante le decisioni di gestione della società; dovendosi accedere ad un’interpretazione teleologica delle disposizioni de qua che, senza fermarsi al dato meramente letterale, si armonizzi con la ratio specifica della normativa sugli appalti pubblici, per la quale è ostativo il mancato possesso dei requisiti morali da parte di soci idonei a influenzare, in termini decisivi e ineludibili, le decisioni societarie.
9.2. Un socio ha un tale potere quando per adottare le decisioni non si può prescindere dal suo apporto, assumendo di conseguenza questo potere efficacia determinante non soltanto in negativo, in funzione di veto, ma anche in positivo, in funzione di codeterminazione, poiché il socio che ha il potere di interdire l’adozione di una decisione è anche quello che deve concorrere perché siaadottata.
Questa situazione si riscontra nel caso di due soci al 50% poiché nessuna decisione può essere presa se uno dei due è contrario mentre entrambi devono concordare su ciascuna decisione.
Ciò rilevato risulterebbe contrastante con la ratio della normativa che nessuno dei due soci provveda alle dichiarazioni richieste dalla legge necessarie per il controllo dell’idoneità morale della società, pur potendo ciascuno dei due condizionare, da solo, le decisioni societarie, dovendosi quindi concludere che entrambi i soci devono rendere le dichiarazioni prescritte».
L’Adunanza Plenaria ha altresì sottolineato la coerenza delle proprie conclusioni con il principio di tassatività delle cause di esclusione. «Infatti, da un lato, la mancata dichiarazione da parte dei soggetti sopra indicati si configura quale ragione di esclusione per ‘mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice’ (art. 46, comma 1bis, del Codice, aggiunto dall’art. 4, del d.l. n. 70 del 2011), ponendosi l’inadempimento in questione in contrasto con le dette prescrizioni secondo il loro fine sostanziale di salvaguardia delle garanzie di affidabilità dei contraenti, e, dall’altro, la precisazione di fattispecie certe preclude nell’applicazione della normativa l’individuazione di cause di esclusione non preordinate, in coerenza con la prescrizione della loro tipizzazione».”

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