Utile d’impresa “minimo” ai fini della valutazione di anomalia dell’offerta (Art. 87)

Cons. Stato, sez. IV, 26.02.2015 n. 963
(sentenza integrale)

“Il giudizio che conclude il sub procedimento di verifica delle offerte anomale, costituisce espressione di un potere tecnico discrezionale dell’amministrazione, di per sé insindacabile, salva l’ipotesi in cui le valutazioni ad esso sottese non siano abnormi o manifestamente illogiche o affette da errori di fatto; il giudizio conclusivo ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme; conseguentemente la relativa motivazione deve essere rigorosa in caso di esito negativo; invece la positiva valutazione di congruità della presunta offerta anomala è sufficientemente espressa anche con motivazione per relationem alle giustificazioni rese dall’impresa offerente (cfr. ex plurimis, Cons. St., sez. V, n. 12 febbraio 2010 n. 741).
Tanto premesso, venendo al merito dell’appello e al giudizio sull’anomalia dell’offerta dell’aggiudicataria, questo Collegio ritiene che il TAR abbia correttamente motivato sul punto, non rilevando motivi per riformare la statuizione.
Come correttamente affermato dalla sentenza impugnata, difatti, il giudizio sull’anomalia dell’offerta ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell’offerta nel suo insieme, con conseguente irrilevanza di eventuali singole voci di scostamento. Altresì, non ha per oggetto la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell’offerta economica, essendo invero finalizzato ad accertare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile. In merito al procedimento di verifica dell’anomalia delle offerte, il Giudice Amministrativo può sindacare le valutazioni compiute dalla P.A. sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell’istruttoria, ma non può operare autonomamente la verifica della congruità dell’offerta presentata e delle sue singole voci, poiché, così facendo, invaderebbe una sfera propria della P.A., in esercizio di discrezionalità tecnica (cfr ex multis Cons. St., Sez. IV, sent. 23 luglio 2012, n.4206).
Ciò posto l’analisi fornita dalla consulenza tecnica d’ufficio dimostra che la valutazione fornita dalla Stazione Appaltante si dimostrava logica e ragionevole, contraddicendo le argomentazioni svolte dall’appellante in ordine alla insostenibilità di singole voci di offerta.
La CTU, alla quale correttamente il giudice di prime cure si è conformato, ha posto in rilevo che in capo alla aggiudicataria permane un utile, che seppur ridotto, rende l’offerta conforme ai principi in base ai quali nelle gare pubbliche di appalto, ai fini della valutazione di anomalia delle offerte presentate, non può essere fissata una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale e risultando in sé ingiustificabile solo un utile pari a zero, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante, come nel caso di ricadute positive che possono discendere non solo dalla prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, ma anche della qualificazione, della pubblicità e dal curriculum discendenti per un’impresa dall’essersi aggiudicata e dell’aver poi portato a termine un appalto pubblico.
Anche sotto tale profilo, quindi, la sentenza del TAR si è uniformata alla costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che in merito all’esiguità dell’utile ha affermato che: “ai fini della valutazione di anomalia delle offerte presentate nelle gare di appalto, si deve ribadire che non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante (cfr. Consi-glio di Stato, sez. VI, 16 gennaio 2009, n. 215 e Sez. IV, 23 luglio 2012, n. 4206); solo un utile pari a zero o l’offerta in perdita rendono ex se inattendibile l’offerta economica ed in occasione della verifica in contraddittorio della congruità dell’offerta è consentito un limitato rimaneggiamento degli elementi costitutivi di quest’ultima purché l’originaria proposta contrattuale non venga modificata sostanzialmente ovvero non venga alterata la sua logica complessiva (cfr. Cons. St., sez. V, sent. 17 luglio 2014, n. 3805).
Laddove, peraltro, il mancato rispetto dei minimi tabellari sul costo del lavoro o, in mancanza, dei valori indicati dalla contrattazione collettiva (oggetto principale della controversia) non determina l’automatica esclusione dalla gara ma costituisce un indice di anomalia dell’offerta che va poi verificato mediante un giudizio complessivo di remuneratività ed affidabilità che consente all’impresa di fornire le proprie giustificazioni di merito.”

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