Occorre premettere che gli artt. 34 e 71 del d.lgs. n. 50 del 2016, oggi sostituiti dagli artt. 57 e 83 del d.lgs. n. 36 del 2023, impongono alla pubblica amministrazione di adeguare la lex specialis della gara ai criteri ambientali minimi, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale ed adottati, con riferimento a specifiche categorie di appalti e concessioni, con decreti del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Le stazioni appaltanti sono, pertanto, tenute ad inserire, nella documentazione di gara, le specifiche tecniche e le clausole contrattuali elaborate, tramite i decreti ministeriali, per il conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione (come avvenuto, nel caso di specie, in virtù del rinvio del capitolato d’oneri al d.m. n. 51 del 2021), per cui deve farsi riferimento principalmente proprio a tali prescrizioni ministeriali, che integrano la lex specialis, al fine di stabilire: 1) il contenuto dei criteri ambientali minimi; 2) la configurazione di determinate specifiche tecniche come elemento essenziale dell’offerta, la cui assenza determina l’esclusione dalla gara, o piuttosto come requisito premiante, a cui è collegata l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo; 3) il segmento procedurale in cui collocare la verifica del rispetto dei criteri ambientali minimi (Cons. Stato, Sez. III, 21 gennaio 2022, n. 397). In ordine a tale ultimo aspetto va precisato che, laddove una determinata specifica tecnica assurga a criterio premiante, la sua verifica diventa logicamente necessaria già durante la procedura di gara, proprio ai fini dell’attribuzione del punteggio aggiuntivo, sebbene la sua assenza non possa determinare l’esclusione del concorrente, ma solo il mancato riconoscimento del premio; al contrario, laddove una determinata specifica tecnica sia imposta quale elemento essenziale dell’offerta, la proposta formulata deve contenere, a pena di esclusione, un impegno in tal senso, ma la verifica del rispetto di tale impegno non appartiene ontologicamente alla procedura di gara, potendo essere demandata ad un momento successivo all’aggiudicazione e, cioè, anche alla fase di esecuzione del contratto.
Sommario: 1. Sull’onere di immediata impugnazione del bando non conforme ai CAM; 2. Sull’eterointegrazione della lex specialis di gara; 3. Sul ruolo dei criteri premianti; 4. Sul principio del risultato in relazione ai CAM; 5. Sul principio della fiducia in relazione ai CAM.
Il focus propone una rassegna ragionata sui principali orientamenti giurisprudenziali di TAR e Consiglio di Stato (con link alla versione integrale) riguardo ai criteri ambientali minimi (CAM), soprattutto in considerazione della crescente rilevanza assunta dalla tutela dell’ambiente nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica (art. 57 D.Lgs. 36/2023).
L’evoluzione giurisprudenziale di cui si darà atto riflette la trasformazione che ha interessato negli ultimi anni la disciplina dei contratti pubblici: si è, infatti, passati da una concezione unipolare (ancorata alle sole esigenze di contabilità pubblica), ad una bipolare (che, alla prima, ha affiancato il perseguimento dell’interesse pro-concorrenziale), ad una multipolare, secondo una logica ispirata ad un uso alternativo dell’appalto.
Il contratto d’appalto si è così trasformato da mero strumento di acquisizione di beni, servizi e forniture a strumento di politica economica e di politiche socialie ambientali, capace di orientare i modelli economici, indirizzandoli verso una maggiore sostenibilità ambientale, economica, sociale ed etica. In sostanza, l’interesse pubblico di ogni Stazione Appaltante continua ad essere orientato alla scelta del miglior offerente, ma il miglior offerente non si valuta più solo sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, ma anche in base alla sua capacità di concorrere a tutelare concretamente gli ulteriori interessi pubblici assegnati per legge alla cura dell’amministrazione.
Di conseguenza, considerato che la ratio della disciplina dei criteri ambientali minimi è posta a presidio di interessi superindividuali della collettività (e delle generazioni future), anche la capacità dell’offerente di attuare le politiche ambientali, alle quali i CAM risultano funzionali, assumerà un peso sempre più determinante ai fini dell’aggiudicazione.
1. Sull’onere di immediata impugnazione del bando non conforme ai CAM.
Sulla sussistenza o meno di un onere di immediata impugnazione del bando di gara nell’ipotesi in cui quest’ultimo non contenga alcun riferimento alle specifiche tecniche, alle clausole contrattuali e ai criteri premiali previsti dai decreti CAM di riferimento si registrano due opposti orientamenti in giurisprudenza.
1.1. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, la mancata impugnazione del bando di gara entro il termine di trenta giorni dalla sua pubblicazione non determina l’irricevibilità del ricorso. La non conformità della lex specialis di gara agli artt. 57, comma 2, e 83, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 non integra un vizio tale da imporre un onere di immediata impugnazione, non sussistendo le condizioni che “impongono/consentono l’immediata impugnazione del bando, ovvero che la clausola contestata sia escludente o impedisca di formulare l’offerta” (TAR Roma, 13.11.2024 n. 20198); essendo queste le uniche due categorie di clausole che la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato, a seguito della sentenza dell’Adunanza plenaria n. 4/2018, grava dell’onere di immediata impugnazione.
Né, come chiarito dai Giudici di Palazzo Spada, si ravvisano ragioni per addivenire ad una rimeditazione di tale orientamento, posto che proprio i criteri sanciti dalla ricordata sentenza n. 4/2018 dell’Adunanza Plenaria impediscono di addivenire ad un diverso esito interpretativo (Consiglio di Stato, sez. III, 27.05.2024 n. 4701). In alcun modo, infatti, l’illegittimità dei criteri ambientali minimi influisce sulla formulazione dell’offerta: non solo in termini di impossibilità assoluta, ma neppure in termini di condizionamento relativo (Consiglio di Stato, sez. III, 08.02.2024 n. 1300).
Nella materia specificamente attinente ai criteri ambientali minimi, in forza di tale indirizzo giurisprudenziale, la non conformità della legge di gara all’art. 57, comma 2, del d.lgs. 36/2023 non è quindi un vizio tale da imporre un’immediata e tempestiva impugnazione del bando.
Con le sentenze 11.11.2024 n. 19910 e 13.11.2024 n. 20198, anche la Seconda Sezione del TAR Roma, ha condiviso l’orientamento sostenuto dal Consiglio di Stato. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativo, avallato dall’Adunanza Plenaria (n.1/2003 e 4/2018), la lesività immediata del bando si può configurare solo per le clausole cd. “immediatamente escludenti”, tali essendo sia quelle che, in senso proprio e diretto, fissano requisiti illegittimi di accesso al procedimento selettivo, sia quelle che, in modo indiretto, impediscono tout court la formulazione di un’offerta seria e consapevole. Il mancato recepimento dei CAM non si presenta, quindi, realmente impeditivo della partecipazione ovvero della presentazione dell’offerta, determinando piuttosto una violazione delle regole di ingaggio della competizione, destinata ad assumere carattere lesivo solamente con l’aggiudicazione (in senso conforme, TAR Salerno, 01.10.2024 n. 1767 e Consiglio di Stato, sez. III, 30.12.2024 n. 10473).
Recentemente, anche il TAR Napoli (sentenze Sez. I 15.01.2025 n.427 e Sez. IV 17.01.2025 n.488) ha ribadito che la dedotta non conformità della legge di gara ai criteri ambientali minimi non integra un vizio tale da imporre l’immediata e tempestiva impugnazione del bando di gara, essendosi al di fuori dei casi eccezionali di clausole escludenti o impeditive della partecipazione.
Al tempo stesso, secondo tale orientamento, la partecipazione alla procedura di gara non costituisce acquiescenza alle regole poste alla base del confronto competitivo e non impedisce la proposizione di un eventuale gravame, “essendo l’impugnazione proponibile solo all’esito della procedura e avverso l’aggiudicazione, senza che ciò possa qualificarsi come un venire contra factum proprium” (Consiglio di Stato, sez. III, 30.12.2024 n. 10473; TAR Napoli, 15.01.2024 n. 377).
D’altra parte, l’interesse principale dell’operatore economico è all’aggiudicazione della commessa, adeguando l’offerta alla domanda pubblica (con il limite della possibilità di formulazione dell’offerta): laddove l’interesse pubblico sotteso al conseguimento degli obiettivi ambientali previsti dal piano d’azione per la sostenibilità ambientale si radica – in forza di un preciso obbligo normativo – in capo all’amministrazione che predispone la legge di gara (Consiglio di Stato, sez. III, 30.12.2024 n. 10473). Di conseguenza, fino all’assegnazione (a terzi) della gara (con l’aggiudicazione), non è riscontrabile alcun vulnus irreparabile per l’impresa partecipante (TAR Napoli, 17.01.2025 n. 488).
1.2. Per un secondo filone interpretativo, invece, sussiste un onere di immediata impugnazione della legge di gara (TAR Roma, nn. 4493, 4494 e 4495 del 06.03.2024 e TAR Bari, 28.05.2024 n. 675).
La tesi dell’immediata lesività del bando, ove violativo dei CAM, è stata confermata dalla Sezione Seconda Ter del TAR Roma, con la sentenza n. 21878 del 04.12.2024 che ha inteso dare continuità all’orientamento già intrapreso da altri TAR (da ultimo, TAR Napoli, 02.12.2024 n. 6698), per cui è tardivo il ricorso con il quale il ricorrente si duole del mancato inserimento delle regole sui c.d. CAM nel bando di gara, senza però impugnare la medesima nei trenta giorni decorrenti dalla sua pubblicazione; invero la giurisprudenza amministrativa ha ammesso l’immediata impugnazione della lex specialis quando l’interesse a ricorrere dipende da clausole del bando che, in quanto contemplanti requisiti di ammissione alla procedura, risultino impeditive della partecipazione dell’interessato alla gara, oppure che prevedano oneri di partecipazione manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati. Tuttavia, è pur vero che “quando la violazione dei principi che informano le procedure di evidenza pubblica risulta già immediatamente evidente e percepibile al momento dell’indizione della gara … posporre l’impugnazione della lexspecialis fino al momento dell’aggiudicazione non solo non risulta coerente, ma si pone anche in contrasto con il dovere di leale collaborazione e con i principi di economicità dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento, immanenti anche nel procedimento amministrativo che governa le procedure evidenziali” (TAR Roma, 04.12.2024 n. 21878).
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2. Sull’eterointegrazione della lex specialis di gara.
Sulla questione dell’eterointegrazione della disciplina di gara ad opera dei decreti CAM si registrano due opposti orientamenti, l’uno favorevole ad ammettere siffatto meccanismo, l’altro contrario.
2.1. Per il primo orientamento interpretativo, il contenuto dei decreti ministeriali entra a far parte della legge di gara attraverso il meccanismo dell’eterointegrazione automatica disciplinato dall’art. 1374 c.c., persino nelle ipotesi di completa omissione, atteso che si è in presenza di un obbligo che discende direttamente da una norma imperativa e cogente, che opera indipendentemente da una sua espressa previsione negli atti di gara (TAR Venezia, 29.01.2024 n. 150). In tali casi, “è ravvisabile una mera lacuna nella legge di gara, dal momento che la Stazione appaltante ha omesso di inserire la regola sul rispetto dei CAM, prevista come obbligatoria dall’ordinamento giuridico. E tale lacuna può quindi essere colmata, in via suppletiva, attraverso il meccanismo di integrazione automatica, in base alla normativa vigente in materia” (TAR Napoli, 15.01.2024 n. 377 riformata da Consiglio di Stato, sez. III, 27.05.2024 n. 4701).
2.2. Nel secondo orientamento interpretativo, invece, è esclusa la possibilità di fare ricorso all’eterointegrazione.
Per il TAR Roma 11.11.2024 n. 19910 e 13.11.2024 n. 20198 tale orientamento è maggiormente conforme al tenore ed alla ratio palesati dalla legge, che impone alla stazione appaltante non già di richiamare, in modo formalistico, i candidati in ordine alla necessità di rispettare i criteri ambientali minimi, bensì di innervare l’intera disciplina di gara attraverso un puntuale inserimento delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contemplate dal decreto ministeriale di riferimento.
Sul punto, nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 27.05.2024 n. 4701 si legge: “La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è pacifica nel rinvenire la ratio dell’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nell’esigenza di garantire “che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde”. La previsione in parola, e l’istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un “segmento dell’economia circolare“. Ed ancora, si legge: “Va conclusivamente osservato sul punto che la tesi della eterointegrazione, che ha consentito al primo giudice di ritenere legittima la legge di gara, per un verso contraddice – come accennato – la tesi delle parti appellate circa la completezza della relativa documentazione; per altro verso – stante la genericità sul punto di disciplinare e capitolato, e la conseguente necessità di integrarne ab extrinseco la disciplina – ha l’effetto di spostare nella fase di esecuzione del contratto ogni questione relativa alla conformità della prestazione ai criteri ambientali.”.
Ad avviso del TAR Roma, un generico rinvio alla fonte secondaria “se pure assolve a uno scopo formale, non è idoneo a conformare la funzione del contratto, in punto di scelta della migliore offerta, agli obiettivi avuti di mira dalla norma” (TAR Roma, 13.11.2024 n. 20198; Consiglio di Stato, sez. III, 27.05.2024 n. 4701). Da tale impostazione – considerata maggiormente conforme alla ratio sottesa all’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi – discende l’illegittimità della lex specialis che si limiti a un mero richiamo ai decreti CAM di riferimento, senza declinare puntualmente le specifiche tecniche e le clausole contrattuali applicabili alla prestazione oggetto di affidamento, con conseguente annullamento di tutti gli atti della procedura di gara, ivi compreso il provvedimento di aggiudicazione, in ragione della violazione di norme poste “a presidio di interessi superindividuali” (Consiglio di Stato, sez. III, 11.11.2024, n. 8171).
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3. Sul ruolo dei criteri premianti.
Anche sul ruolo di detti criteri si registrano posizioni dissonanti.
3.1. Secondo un primo indirizzo, “non c’è alcuna norma che imponga l’indicazione dei CAM tra i criteri premiali (…)” (TAR Trieste, 13.12.2023 n. 384). Né può essere contestata l’esiguità dei punti (5) assegnati per il rispetto dei CAM, sul totale dei 70 attribuibili all’offerta tecnica, in ragione dell’ampia discrezionalità spettante alla P.A. circa la fissazione dei criteri di valutazione delle offerte e la correlativa attribuzione di punteggi (TAR Napoli, 15.01.2025 n. 427).
3.2. Ad avviso di un secondo filone giurisprudenziale, maggiormente diffuso, anche se è vero che “le stazioni appaltanti non hanno l’obbligo di dedicare ai criteri ambientali un valore maggioritario (ossia superiore alla metà dei punti complessivamente attribuiti alle offerte tecniche) e nemmeno particolarmente «significativo»”, cionondimeno “dalla norma primaria deriva comunque l’obbligo, per la stazione appaltante, pur nell’esercizio della discrezionalità che il Codice dei contratti le assegna, di non attribuire ai criteri ambientali un peso eccessivamente ridotto, fino a divenire irrisorio, pena la frustrazione della ratio legis della norma primaria, che mira a garantire che l’aspetto ambientale sia rilevante nel procedimento selettivo (e non solo nella fase di esecuzione del contratto) ed anche nella fase di valutazione qualitativa delle offerte tecniche” (TAR Roma, 11.11.2024 n. 19910).
L’orientamento in esame ha, conseguentemente, considerato esigua l’attribuzione di 2, 3, 4 o 7 punti ai profili connessi con la sostenibilità ambientale nell’ambito della valutazione complessiva dell’offerta tecnica, visto che “i partecipanti alla procedura ben avrebbero potuto decidere di non adeguare le offerte ai criteri ambientali minimi e, ciononostante, risultare aggiudicatari” (TAR Roma, 13.11.2024 n. 20198).
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4. Sul principio del risultato in relazione ai CAM.
Nella sentenza Consiglio di Stato, 27.05.2024 n. 4701, il Giudice di appello ha affrontato il problema relativo all’individuazione della soglia minima normativa di esigibilità della previsione dei criteri ambientali minimi all’interno della legge di gara. Come rilevato dal Collegio, occorre trovare un punto di equilibrio tra esigenze contrapposte: l’esigenza di semplificazione della lex specialis (e della gara stessa) per un verso, e la non meno rilevante esigenza di effettività dell’operatività dei criteri ambientali minimi nella fase di esecuzione del contratto. Alla luce dei dati normativi e dei principi richiamati nelle massime, la Sezione ha ritenuto illegittima la legge di gara che si era limitata a rinviare alla disciplina dei criteri ambientali minimi relativi ai settori considerati, senza tuttavia declinare coerentemente tale richiamo all’interno della “documentazione di gara”. Infatti, mentre il TAR, in primo grado, aveva ritenuto legittima la legge di gara così strutturata, facendo ricorso al principio del risultato, il Consiglio di Stato non ha condiviso tale impostazione. Secondo i Giudice di Palazzo Spada, infatti, l’impostazione del TAR, che considera prevalente l’interesse della stazione appaltante e del singolo operatore alla presentazione dell’offerta e all’effettuazione della gara, trascura in realtà di considerare che il risultato avuto di mira dalla legge in questo caso non è “l’effettivo e tempestivo” svolgimento del servizio (a qualsiasi condizione), ma lo svolgimento del servizio finalizzato all’attuazione delle politiche ambientali alle quali risultano funzionali i criteri ambientali minimi.
È nota del resto, in tal senso, la qualificazione funzionale dei contratti pubblici operata in relazione all’evoluzione normativa della causa degli stessi: dalla concezione c.d. unipolare (limitata elle esigenze contabilistiche); a quella bipolare (che alla prima ha affiancato il perseguimento dell’interesse proconcorrenziale e alla libera circolazione); a quella, infine, multipolare, mediante la quale l’arricchimento funzionale della disciplina assegna al contratto anche il ruolo di strumento di politiche sociali ed ambientali (soprattutto per effetto del considerando 2 della Direttiva 2014/24/UE).
Sul tema, il Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che “Nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche – uno “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente” (Consiglio di Stato, sez. V, 25.01.2024 n. 807, in materia di clausole sociali). Il che, a ben vedere, si pone in chiave di coerenza evolutiva rispetto all’originaria funzione, posto che si amplia l’area dell’interesse pubblico primario: che è sempre quello alla scelta del migliore offerente, ma non più tale solo sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, bensì anche sul terreno della capacità di concorrere a concretamente tutelare gli ulteriori interessi pubblici nel frattempo normativamente assegnati alla cura dell’amministrazione. Non trova dunque giuridico fondamento la tesi per cui la positivizzazione in materia contrattuale del principio del risultato avrebbe sancito il primato logico dell’approvvigionamento: non foss’altro perché tale principio è strettamente correlato a (e condizionato da) quello della fiducia, e dunque si differenza dalla logica del risultato “statico” di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 per rivolgersi invece alla effettività della tutela degli interessi di natura superindividuale la cui cura è affidata all’amministrazione, fra i quali quello della tutela ambientale assume un ruolo decisamente primario alla luce sia della richiamata Direttiva 2014/24/UE, che del riformato art. 9 della Costituzione. Il Consiglio di Stato ha sancito, quindi, la necessità di un’effettiva declinazione nella lex specialis della disciplina dei criteri ambientali minimi, non bastando l’eterointegrazione del bando a mezzo del rinvio alla relativa disciplina, né applicabile il principio del risultato (espresso dal nuovo codice dei contratti pubblici).
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5. Sul principio della fiducia in relazione ai CAM.
Nella sentenza TAR Campania, Napoli, Sez. I, 15.01.2025 n.427, il Collegio prende atto che il principio del risultato non può valere a far salva una disciplina di gara priva della concreta declinazione dei criteri minimi ambientali.
Tuttavia, ad avviso del TAR, tenendo conto degli elementi concreti del caso specifico, resta però l’esigenza di una coniugazione del principio del risultato con il principio della fiducia, ex art. 2 del Codice dei contratti pubblici (principi che sono “avvinti inestricabilmente”, Consiglio di Stato, Sez. V, 19.11.2024 n. 9254).
Sul principio della fiducia, à stato peraltro affermato nella giurisprudenza del TAR Campania che: “Non si tratta, peraltro, di una fiducia unilaterale o incondizionata. La disposizione precisa infatti che la fiducia è reciproca e, dunque, investe anche gli operatori economici che partecipano alle gare. È legata a doppio filo a legalità, trasparenza e correttezza, rappresentando, sotto questo profilo, una versione evoluta del principio di presunzione di legittimità dell’azione amministrativa ” (TAR Napoli, Sez. V, 6.5.2024 n. 2959).
In questo contesto, il principio della fiducia – che permea anche la fase di partecipazione alla gara – rende l’azione amministrativa più “fluida”, superando gli steccati tra parte pubblica e privata e facendo sì che si instauri un’interrelazione tra i soggetti della procedura che, reciprocamente, ripongono per l’appunto la propria “fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici” (art. 2, cit.).
Declinato in termini propositivi, il principio della fiducia opera in favore di un positivo coordinamento tra i soggetti, rendendo il concorrente “corresponsabile” del perseguimento del fine a cui è preordinata l’azione amministrativa, “compenetrato” nel ruolo di soggetto fattivamente operante verso l’obiettivo da raggiungere.
Oltretutto, proprio la tematica della sostenibilità ambientale degli appalti è oramai entrata a far parte di una specifica professionalità dell’operatore economico interessato, il quale appronta risorse umane e strumentali per corrispondere ai dettami di legge volti alla preservazione dell’ambiente naturale nell’affidamento di contratti pubblici.
Di conseguenza, posto che per pacifica giurisprudenza l’interpretazione degli atti amministrativi, tra cui i bandi di gara, soggiace alle stesse regole dettate dagli artt. 1362 ss. per l’interpretazione dei contratti, vengono in rilievo l’esigenza di prendere in considerazione la ragione pratica dell’atto o contratto (c.d. criterio funzionale) e il principio della buona fede, per effetto del quale ognuna delle parti valuta non solo il proprio interesse ma orienta il proprio comportamento al soddisfacimento, assieme ad esso, anche di quello della controparte.
In sostanza, quindi, nell’ottica della buona fede e della sua declinazione costituita dal principio della fiducia, secondo il TAR Napoli, l’applicazione di quest’ultimo soccorre nell’interpretazione della legge di gara, militando nella prospettiva di escludere a posteriore i supposti vizi della procedura e della formulazione degli atti, qualora emerga con ampio grado di attendibilità che il concorrente abbia formulato un’offerta consapevole in pieno dei criteri ambientali minimi applicabili, esaustivamente esplicitandoli, lamentandone solo dopo l’aggiudicazione a terzi la mancata declinazione.
Pertanto, alla stregua del principio della fiducia possono essere valutati e risolti i dubbi sulla legittimità della disciplina di gara, in tutte le ipotesi di insorgenza di aspetti critici che, a ben vedere, non si sostanziano in vizi che abbiano avuto incidenza sostanziale e lesiva della posizione soggettiva della parte.
Il principio della fiducia pone, quindi, una presunzione di legittimità dell’azione amministrativa, superabile con fondati elementi di segno opposto, da cui trarre in maniera adeguata il convincimento dell’opacità dell’operato della P.A., tale da aver precluso al privato di poter compiutamente svolgere la propria attività.
Nel caso esaminato dal TAR Napoli era emerso, al contrario, che la Ricorrente avesse adeguato la propria offerta all’osservanza dei criteri minimi ambientali, così da non poter strumentalmente far valere in seguito l’incompletezza della legge di gara, mettendo da parte la fiducia che, in un rapporto di reciproco scambio, ha reso collimanti il tenore degli atti di gara ad opera della parte pubblica con la corrispondente formulazione dell’offerta della parte privata.
La Sezione intende infatti dare continuità all’orientamento già intrapreso (TAR Lazio, sez. II ter, 6 marzo 2024, nn. 4493, 4494 e 4495, ma anche Tar Puglia, Bari, sez. II, 28 maggio 2024, n. 675; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 2 dicembre 2024 n. 6698), per cui è tardivo il ricorso in cui il ricorrente si duole del mancato inserimento delle regole sui c.d. CAM nel bando di gara, senza però impugnare la medesima nei trenta giorni decorrenti dalla sua pubblicazione.
Come già nei citati precedenti, infatti, il ricorrente, infatti, si duole che la lex specialis non abbia ricompreso, tra gli oneri addossati ai concorrenti nel Capitolato, in sede di formulazione delle rispettive offerte, anche la necessaria osservanza dei criteri ambientali minimi (c.d. “CAM”) previsti dal DM del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del 10 marzo 2020 (“Criteri ambientali minimi per il servizio di gestione del verde pubblico e la fornitura di prodotti per la cura del verde e dal DM 29 gennaio 2021 del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (“Criteri ambientali minimi per l’affidamento del servizio di pulizia e sanificazione di edifici e ambienti ad uso civile, sanitario e per i prodotti detergenti”).
A questo proposito va evidenziato che nella presente fattispecie la tardività emerge in modo evidente dalla prospettazione offerta dallo stesso Consorzio ricorrente, il quale specifica in modo puntuale (pag. 6 e 7 del ricorso) che “… non residua alcun dubbio sul fatto che i criteri ambientali minimi debbano ab origine essere contenuti nei bandi di gara, data la natura cogente delle disposizioni che ne impongono l’introduzione. E ciò, non tanto e non solo per consentire la formulazione di offerte consapevoli da parte dei concorrenti, quanto piuttosto per prevedere una coerente disciplina della valutazione delle stesse. In altri termini, l’art. 57, comma 2, impone una conformazione degli obblighi negoziali funzionale, sul piano sostanziale, all’effettiva esecuzione della prestazione dell’appaltatore in conformità alle specifiche tecniche riportate dai criteri ambientali, al fine di assicurare l’effettiva conformità delle modalità di esecuzione della prestazione al modello individuato come rispettoso delle esigenze ambientali (Cons. Stato, Sez. III, n. 4701 del 27.5.2024).”
In altri termini, il ricorrente medesimo riconosce che la contestata omissione dei criteri in questione ha (anche) l’effetto di impedire la formulazione di “offerte consapevoli” da parte dei concorrenti.
Il che è di immediata evidenza, anche solo ove si pensi alla possibile differenza di costi di esecuzione che corre, per i partecipanti, tra la scelta di utilizzare di prodotti e modalità di lavorazione rispettosi dei CAM e la scelta di avvalersi, invece, mezzi d’opera e pratiche esecutive diversi.
Tale differenza non può che essere scontata, in prima battuta, proprio nella formulazione delle offerte da parte degli aspiranti alla commessa.
Orbene, come noto, la giurisprudenza amministrativa ha ammesso l’immediata impugnazione della lex specialis quando l’interesse a ricorrere dipende da clausole del bando che, in quanto contemplanti requisiti di ammissione alla procedura, risultino impeditive della partecipazione dell’interessato alla gara, oppure che prevedano oneri di partecipazione manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati.
A partire da Cons. Stato, Ad.Plen. 26 aprile 2018, n. 4, la giurisprudenza, anche d’appello, afferma che “In riferimento alla clausola immediatamente escludente che si assuma consistere nella difficoltà/impossibilità di formulare un’offerta, la casistica giurisprudenziale vi include anche le clausole che impongono oneri o termini procedimentali o adempimenti propedeutici alla partecipazione di impossibile soddisfazione o del tutto spropositati”; tra questi casi possono essere annoverati anche le prescrizioni “impongano obblighi contra ius, ovvero presentino gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 04/05/2023, n.2729).
“Del resto, quando la violazione dei principi che informano le procedure di evidenza pubblica risulta già immediatamente evidente e percepibile al momento dell’indizione della gara … posporre l’impugnazione della lex specialis fino al momento dell’aggiudicazione non solo non risulta coerente, ma si pone anche in contrasto con il dovere di leale collaborazione e con i principi di economicità dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento, immanenti anche nel procedimento amministrativo che governa le procedure evidenziali ( T.A.R. Lazio, sez. III, 03/01/2023, n.62).
L’appalto in questione è di fornitura, non caratterizzato dalla prevalenza della manodopera; non a caso all’art. 2.2 del disciplinare di gara i costi della manodopera sono indicati come pari a zero. Pertanto, per legge, non opera la cd. clausola sociale, in particolare quella volta a sancire il riassorbimento del personale impiegato nel servizio dall’appaltatore uscente.
D’altronde, che ai contratti di fornitura non sia applicabile l’istituto del passaggio di cantiere, trova conferma anche nelle linee guida ANAC approvate dal Consiglio con delibera n. 114 del 13 febbraio 2019.
In questa prospettiva va quindi esattamente interpretata la prescrizione di cui al punto 3.1. del disciplinare di gara. Per di più, -OMISSIS- non ha in alcun modo previsto che il nuovo contraente assuma in tutto o in parte il predetto personale.
La circostanza, peraltro, come fa osservare la stazione appaltante nella memoria difensiva, dovrebbe essere nota alla ricorrente che, in quanto attuale fornitrice della -OMISSIS- per il medesimo oggetto, non ha proceduto ad alcun assorbimento del personale della società che l’ha preceduta.
L’art. 57 del d. lgs n. 36/2023 fissa l’obbligo delle clausole sociali solo per gli “affidamenti dei contratti di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale e per i contratti di concessione …”.
Secondo consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, la clausola sociale in un appalto non impone l’assunzione integrale del personale precedente ma deve comunque garantire al concorrente la libertà economica. L’elasticità della clausola deve infatti bilanciare la tutela del lavoro con la libertà d’impresa, evitando il dumping sociale (ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV, 3 giugno 2024, n. 11261).
La regola cui fa riferimento la ricorrente, pertanto, non può essere interpretata quale stabilizzazione dei lavoratori precedentemente impiegati dal precedente operatore, ma quale assunzione degli obblighi relativi imposti dal D. Lgs. 36/2023. Per questo, -OMISSIS- ha allegato in sede di partecipazione una “Situazione del Personale”, nel quale è fotografata la situazione dei propri dipendenti col relativo inquadramento. Pertanto, l’impegno assunto dal -OMISSIS- non rappresenta altro l’assunzione degli obblighi sanciti dal D. Lgs. 36/2023 circa il rispetto delle norme in materia di applicazione dei contratti collettivi.
6.4. La questione in merito alla quale le parti appellate hanno sollecitato un intervento chiarificatore di questo giudice concerne l’individuazione della soglia (minima) normativa di esigibilità della previsione dei criteri ambientali minimi all’interno della legge dia gara.
Il Collegio, nel farsi carico dello scrutinio di tali difese, ritiene anzitutto che tale questione abbia carattere alquanto serio, determinando un antagonismo fra l’esigenza di semplificazione della lex specialis (e della gara stessa) per un verso, e la non meno rilevante esigenza di effettività dell’operatività dei criteri ambientali minimi nella fase di esecuzione del contratto.
La soluzione di tale dialettica va individuata tenendo conto anzitutto del dato testuale: l’art. 34, comma 1, del d. lgs. n. 50 del 2016 prescrive espressamente “l’inserimento, nella documentazione progettuale e di gara, almeno delle specifiche tecniche e delle clausole contrattuali contenute nei criteri ambientali minimi adottati con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (….) ”.
Si tratta di un dato non formale, ma piuttosto sostanziale, dal momento che le prescrizioni in questione mirano a conformare l’esecuzione della prestazione contrattuale (come meglio si preciserà in seguito).
È appena il caso di osservare come identica disciplina sia contenuta, nonostante solo apparenti difformità testuali, nell’art. 57, secondo comma, del d. lgs. n. 36 del 2023, che si pone in relazione di continuità con il carattere c.d. mandatory dei criteri ambientali minimi: anche in considerazione del rilievo (non solo meramente esegetico) che tale processo di successione di norme è stato segnato, medio tempore, dalla riforma del parametro costituzionale rappresentato dagli artt. 9 e 41 della Costituzione (e fermo restando, comunque, che la parte della previsione del citato art. 57 avente ad oggetto la graduazione, ove possibile, dei criteri sulla base del valore del contratto non è rivolta alle stazioni appaltanti, ma all’attività di predisposizione dei decreti ministeriali).
Date le superiori premesse, nel caso di specie tre dirimenti elementi, in particolare, impediscono di accedere alla tesi delle parti appellate che hanno allegato, anche graficamente, la conformità all’indicato parametro normativo dell’indicata legge di gara.
[…]
6.7. Alla luce delle osservazioni che precede va conclusivamente esaminato il profilo – cui si è già in parte accennato – relativo alla possibilità di eterointegrazione della legge di gara, anche per effetto del rinvio in essa contenuto ai decreti ministeriali.
La citata sentenza n. 8773/2022 ha precisato che “La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è pacifica nel rinvenire la ratio dell’obbligatorietà dei criteri ambientali minimi nell’esigenza di garantire “che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva non solo nell’obiettivo di ridurre gli impatti ambientali, ma nell’obiettivo di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, “circolari” e nel diffondere l’occupazione “verde” (così, da ultimo, la sentenza n. 6934/2022). La previsione in parola, e l’istituto da essa disciplinato, contribuiscono dunque a connotare l’evoluzione del contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica: in particolare, come affermato in dottrina, i cc.dd. green public procurements si connotano per essere un “segmento dell’economia circolare””.
L’applicazione di tali princìpi alla fattispecie dedotta importa l’accoglimento del relativo profilo di censura.
Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il ricorso alla eterointegrazione della legge di gara ad opera dei decreti che disciplinano gli specifici criteri ambientali non è sufficiente a far ritenere rispettato l’art. 34 del d. lgs. n. 50 del 2016.
Sempre la sentenza 8773/2022 ha chiarito che “non possono ritenersi rispettate tali previsioni allegando il generico rinvio della legge di gara alle disposizioni vigenti, ovvero opponendo in memoria – in un’ottica di risultato – che l’aggiudicataria avesse comunque “offerto in gara prodotti biologici e possiede certificazioni idonee a minimizzare l’impatto ambientale nella fase esecutiva della commessa””.
Il Collegio anche sul punto – essendo, peraltro, la richiamata ricostruzione coerente ad una complessiva logica normativa non frazionabile per segmenti – aderisce al richiamato orientamento, dal momento che la fattispecie oggetto del presente giudizio non presenta – come già rilevato – differenze sostanziali rispetto a quella oggetto della sentenza da ultimo indicata, posto che in un caso i criteri ambientali minimi sono stati indicati in maniera generica, mentre nel caso in esame sono stati indicati con specifico riferimento ai relativi decreti ministeriali, ma senza che a tali riferimenti abbia fatto seguito un’effettiva declinazione nella documentazione di gara, come prescritto dal citato art. 34, primo comma.
Ne consegue che non sussistono i presupposti per la rimessione della questione all’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, posto che l’opposta opzione esegetica fatta propria dal primo giudice si richiama ad una giurisprudenza del giudice di primo grado isolata e comunque superata dal più recente orientamento di questo Consiglio di Stato, non sussistendo peraltro le condizioni di cui all’art. 99, comma 3, cod. proc. amm.
Va conclusivamente osservato sul punto che la tesi della eterointegrazione, che ha consentito al primo giudice di ritenere legittima la legge di gara, per un verso contraddice – come accennato – la tesi delle parti appellate circa la completezza della relativa documentazione; per altro verso – stante la genericità sul punto di disciplinare e capitolato, e la conseguente necessità di integrarne ab extrinseco la disciplina – ha l’effetto di spostare nella fase di esecuzione del contratto ogni questione relativa alla conformità della prestazione ai criteri ambientali: così contraddicendo la logica del risultato (della quale ci si occuperà ulteriormente ai successivi punti 8. e seguenti) , che mira piuttosto ad una sollecita definizione, in termini di certezza e stabilità del rapporto negoziale, dei reciproci diritti ed obblighi (posto che lo stesso art. 1, comma 1, del d. lgs. n. 36 del 2023 – ponendosi in linea di coerenza e continuità con risalenti ed autorevoli indicazioni teoriche – costruisce la nozione di risultato in un’ottica di unitarietà strutturale e funzionale fra aggiudicazione ed esecuzione).
[…]
8. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte in merito ai contrapposti argomenti delle parti sulla legge di gara e sul contenuto del relativo parametro normativo, devono essere esaminate le critiche rivolte dall’appellante alla parte della sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso facendo riferimento al principio del risultato (oltre a quanto già osservato in argomento al precedente punto 6.7.).
Il T.A.R. ha utilizzato tale argomento, declinato come “esigenza di garantire il conseguimento dell’obiettivo dell’azione pubblica (con il riconoscimento del prioritario interesse al pronto raggiungimento delle finalità dell’appalto), essendo destinati a recedere quei formalismi ai quali non corrisponda una concreta ed effettiva esigenza di tutela del privato”, ritenendo che, poiché “in ragione della formulazione specifica degli atti di gara, l’operatore economico non potesse dirsi inconsapevole delle modalità attraverso cui formulare la propria offerta”, nel caso di specie andrebbe privilegiata l’esigenza di un sollecito affidamento e svolgimento del servizio.
8.1. Tale impostazione, che considera l’interesse della stazione appaltante e del singolo operatore alla presentazione dell’offerta e all’effettuazione della gara, trascura in realtà di considerare che il risultato avuto di mira dalla legge in questo caso non è “l’effettivo e tempestivo” svolgimento del servizio (a qualsiasi condizione), ma lo svolgimento del servizio finalizzato all’attuazione delle politiche ambientali alle quali risultano funzionali i criteri ambientali minimi.
La nozione, nel caso di specie, deve appuntarsi sul soddisfacimento dell’interesse pubblico primario portato dalle norme che si assumono violate.
Diversamente, si legittimerebbe una divaricazione fra la politica ambientale predicata dalla norma primaria regolante l’esercizio del potere in questione, e quella effettivamente praticata mediante la disciplina dei concreti obblighi negoziali.
8.2. È nota del resto, in tal senso, la qualificazione funzionale dei contratti pubblici operata in relazione all’evoluzione normativa della causa degli stessi: dalla concezione c.d. unipolare (limitata elle esigenze contabilistiche); a quella bipolare (che alla prima ha affiancato il perseguimento dell’interesse proconcorrenziale e alla libera circolazione); a quella, infine, multipolare, mediante la quale l’arricchimento funzionale della disciplina assegna al contratto anche il ruolo di strumento di politiche sociali ed ambientali (soprattutto per effetto del considerando 2 della Direttiva 2014/24/UE).
Questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare in proposito che “Nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche – uno “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente” (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 11322/2023; in argomento, da ultimo, e con ampia motivazione, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 807 del 2024, in materia di clausole sociali). Il che, a ben vedere, si pone in chiave di coerenza evolutiva rispetto all’originaria funzione, posto che si amplia l’area dell’interesse pubblico primario: che è sempre quello alla scelta del migliore offerente, ma non più tale solo sul piano dell’affidabilità e dell’economicità, bensì anche sul terreno della capacità di concorrere a concretamente tutelare gli ulteriori interessi pubblici nel frattempo normativamente assegnati alla cura dell’amministrazione (con la conseguenza di trasformare il contratto d’appalto pubblico da mero strumento di acquisizione di beni e servizi a strumento di politica economica, sociale ed ambientale: in tal senso già la citata sentenza n. 8773/2022). Come chiarito dalla Sezione nella citata sentenza n. 11322/2023, la nozione di risultato “anche alla luce del significato ad essa attribuito dal sopravvenuto d. lgs. n. 36 del 2023, (…) non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione”; (…) Se si considera tale, fondamentale quadro, la “migliore offerta” è dunque quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti”. Non trova dunque giuridico fondamento la tesi per cui la positivizzazione in materia contrattuale del principio del risultato avrebbe sancito il primato logico dell’approvvigionamento: non foss’altro perché tale principio è strettamente correlato a (e condizionato da) quello della fiducia, e dunque si differenza dalla logica del risultato “statico” di cui all’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 per rivolgersi invece alla effettività della tutela degli interessi di natura superindividuale la cui cura è affidata all’amministrazione, fra i quali quello della tutela ambientale assume un ruolo decisamente primario alla luce sia della richiamata Direttiva 2014/24/UE, che del riformato art. 9 della Costituzione. 8.3. Così individuato il “risultato” normativamente rilevante (anche, dunque, quale parametro di legittimità dell’azione amministrativa), l’argomento di censura in esame risulta fondato in relazione a quanto già affermato dalla sentenza di questa Sezione n. 2866/2024, che ha chiarito sul punto – anch’essa in una prospettiva indotta dalla portata esegetica del principio del risultato in quanto già immanente al sistema, e dunque correttamente valutabile, come ha fatto il primo giudice, anche in fattispecie non ancora soggette alla specifica previsione di cui all’art. 1, comma 4, del d. lgs. n. 36 del 2023 – che “L’importanza del risultato nella disciplina dell’attività dell’amministrazione non va riguardata ponendo tale valore in chiave antagonista rispetto al principio di legalità, rispetto al quale potrebbe realizzare una potenziale frizione: al contrario, come pure è stato efficacemente sostenuto successivamente all’entrata in vigore del richiamato d. lgs. n. 36 del 2023, il risultato concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e dunque ad “ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo”, facendo “transitare nell’area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili” (in senso analogo, successivamente, anche la sentenza della IV Sezione di questo Consiglio di Stato, n. 3985/2024). Nella specifica materia dei criteri ambientali minimi già la più volte richiamata sentenza n. 8773/2022 aveva affermato che il mero richiamo ai criteri ambientali da parte della legge di gara “non equivale a prospettare la conformità del risultato della gara allo scopo voluto dai parametri normativi”.
8.4. La memoria conclusionale -OMISSIS- ha in proposito affermato che “La codificazione del principio è precipuamente volta a privilegiare l’aspetto sostanziale su quello meramente formale, come spiega la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 36/2023, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea”.
Orbene, alla luce di quanto si è già osservato, è proprio la valorizzazione del profilo sostanziale a deporre nel senso della fondatezza del gravame: nella duplice prospettiva della necessità – per potersi predicare la legittimità della legge di gara – di un riscontro di effettività della cura degli interessi ambientali in sede di disciplina degli obblighi negoziali (in ciò consistendo il risultato avuto di mira dalla norma in questione); e della insufficienza del dato disciplinare meramente formale consistente nel generico richiamo ai criteri in questioni.
A ciò si aggiunga quanto si è già osservato rispetto alla contrarietà al principio del risultato di una legge di gara che genericamente richiami una disciplina non declinata nelle specifiche tecniche, in vista di una successiva integrazione tale da incrementare il tasso di complicazione e di incertezza del contenuto degli obblighi negoziali.
Quesito: Con la presente si richiede a codesta spettabile Amministrazione se il disposto di cui all’art. 57, nella parte in cui prevede che “i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti, [omissis] devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate TRA L’ALTRO a garantire le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate, la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore” imponga la contestuale presenza di tutte le tipologie di clausole sociali indicate, ovvero se la locuzione “tra l’altro” debba interpretarsi nel senso di consentire alla SA di assolvere alle finalità della norma inserendo solo alcune delle summenzionate clausole. Si richiede, inoltre, se il riferimento a “bandi di gara” “avvisi” e “inviti” consenta di interpretare la norma nel senso della inapplicabilità alle procedure di affidamento diretto rispetto alle quali non ricorre nessuno dei predetti atti.
Risposta: In ordine al primo quesito, come ricordato dalla relazione illustrativa al Codice dei contratti pubblici “L’art. 57, comma 1, rappresenta l’approdo di plurimi interventi normativi e dubbi interpretativi sorti in sede applicativa del vigente art. 50 del decreto legislativo n. 50/2016, esplicati, prima nel parere del Consiglio di Stato n. 2703 del 21 novembre 2018, reso all’Adunanza della Commissione speciale del 26 ottobre 2018, richiesto dall’ANAC, e poi, nelle stesse Linee Guida dell’ANAC n. 13, recanti «La disciplina delle clausole sociali», approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 114 del 13 febbraio 2019”. La norma in esame, pertanto, in conformità alla direttiva della delega e ai pregressi interventi legislativi in materia prevede “l’obbligo” per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, avvisi e inviti, tutte le specifiche “clausole sociali” volte a tutelare la stabilità occupazionale, la parità di genere, le pari opportunità generazionali, l’inclusione lavorativa. Quanto al secondo quesito, il dato testuale induce a escludere l’obbligo di applicazione della clausola sociale agli affidamenti diretti. (Parere MIT n. 2083/2023)
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