1) La ricorrente in sostanza fa valere che: (i) l’ “annotazione come notizia utile”: è stata disposta ai sensi dell’art. 213, comma 10 del D. L.vo 50/2016, norma che però non sarebbe applicabile ai fatti per cui è causa; (ii) è stata adottata in violazione del contraddittorio e senza tener conto dell’apporto difensivo, (iii) non contiene una adeguata motivazione circa la conferenza e l’utilità della notizia.
Il primo profilo è infondato, in quanto l’istituto della “annotazione di notizie utili” era già previsto in costanza del D. L.vo 163/2006, precisamente all’art. 8, commi 2 e 4, del d.P.R. n. 207/2010. Quindi, a livello di diritto sostanziale, il potere dell’ANAC di disporre simili annotazioni esisteva già da prima che entrasse in vigore il D. L.vo 50/2016, ed anzi, nel vigore del d.P.R. n. 207/2010, tale potere risultava anche più ampio di quello definito, ora, dall’art. 213, comma 10, del D. L.vo 50/2016.
In tal senso si é ancora recentemente pronunciato il Consiglio di Stato (sentenza Sez. V, n. 1318 del 21 febbraio 2020), affermando che “L’elaborazione giurisprudenziale maturata nella vigenza di detta disciplina è stata nel senso di ritenere esistente una clausola di iscrizione innominata, vale a dire la possibilità di annotare ogni notizia riguardante le imprese ritenuta utile ai fini della tenuta del Casellario, sebbene non rientrante tra quelle espressamente codificate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3053; VI 14 giugno 2006, n. 3500); l’Autorità, pertanto, aveva (ed ha tuttora) il potere di annotare tutte le notizie segnalate dalle stazioni appaltanti, con il solo limite dell’inesistenza in punto di fatto dei presupposti o dell’inconferenza della notizia comunicata dalla stazione appaltante (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2009, n. 4906).”
E’ invece fondata la censura laddove, richiamando un ampio stralcio della pronuncia di questa Sezione n. 3098 del 1° marzo 2019, la ricorrente invoca il difetto di motivazione in ordine alla conferenza della annotazione per la tenuta del casellario e per la stessa stessa utilità dell’annotazione.
Ancorché la formulazione dell’art. 8, commi 2 e 4, del d.P.R. n. 207/2010, applicabile ratione temporis, fosse più generica rispetto all’attuale art. 213, comma 10 del D. L.vo 50/2016, è comunque evidente che già in allora l’annotazione, seppure non interdittiva, si giustificava solo a fronte dell’utilità per la tenuta del casellario, di cui l’Autorità doveva dare conto nel provvedimento. La giurisprudenza, infatti, anche con riferimento all’annotazione prevista dall’art. 8, commi 2 e 4 del d.P.R. n. 207/2010, si é espressa nel senso che l’ANAC, nell’esercitare il ricordato potere di “iscrizione atipica”, era/é tenuta “procedere ad un’attenta valutazione dell’utilità in concreto dell’annotazione ai fini dell’apprezzamento dell’affidabilità dell’operatore che le stazioni appaltanti avrebbero potuto compiere in relazione a successive procedure di gara” ed a “valutare l’utilità della notizia alla luce delle circostanze di fatto esposte dall’operatore economico nella sua memoria”, conseguendo l’illegittimità della annotazione quando nel provvedimento di iscrizione si rilevi che non siano state tenute in conto le ragioni per le quali tali circostanze risultavano irrilevanti nella valutazione di utilità dell’iscrizione; in particolare il Consiglio di Stato ha affermato, sempre con riferimento all’art. 8 del d.P.R. n. 207/2010, che è illegittima l’iscrizione quando “l’Autorità si sia limitata ad affermare che le richieste formulate dall’operatore economico non potevano essere accolte per il carattere meramente informativo dell’ iscrizione, che non comportava l’automatica esclusione dalla procedura, dovendo, pur sempre, la stazione appaltante, nell’esercizio della sua discrezionalità svolgere le valutazioni di competenza sui pregressi comportamenti del concorrente. (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1318 del 21 febbraio 2020, cit.)” (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1318 del 21 febbraio 2020, cit.) (…)
2) E’ fondato anche il primo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia la violazione, da parte di ANAC, del termine massimo fissato per la definizione dei procedimenti sanzionatori.
Va chiarito, preliminarmente, che l’ANAC nella specie ha irrogato una sanzione pecuniaria (e non interdittiva) sul dichiarato presupposto della assenza di profili di dolo o colpa grave: la sanzione in esame non può, dunque, essere espressione del potere sancito dall’art. 38, comma 1 ter, del D. L.vo 163/2006 (come erroneamente indicato dall’ANAC nel dispositivo dell’atto impugnato), rinvenendo, piuttosto, dall’art. 6, comma 11, del D. L.vo 163/2006, a mente del quale “Con provvedimento dell’Autorità, i soggetti ai quali è richiesto di fornire gli elementi di cui al comma 9 sono sottoposti alla sanzione amministrativa pecuniaria fino a euro 25.822 se rifiutano od omettono, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti, ovvero alla sanzione amministrativa pecuniaria fino a euro 51.545 se forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri. Le stesse sanzioni si applicano agli operatori economici che non ottemperano alla richiesta della stazione appaltante o dell’ente aggiudicatore di comprovare il possesso dei requisiti di partecipazione alla procedura di affidamento, nonché agli operatori economici che forniscono dati o documenti non veritieri, circa il possesso dei requisiti di qualificazione, alle stazioni appaltanti o agli enti aggiudicatori o agli organismi di attestazione”, norma che risulta correttamente richiamata nelle premesse dell’atto impugnato.
Da tale precisazione discende che, nell’ambito del Regolamento Unico approvato dall’ANAC (ex AVCP) il 26 febbraio 2014, le norme di riferimento per valutare la fattispecie in esame non sono quelle contenute nella Parte III (ovvero gli artt. 28 e segg.), ma sono invece gli artt. 5 e segg., riguardanti i procedimenti sanzionatori “nei confronti dei soggetti che abbiano rifiutato od omesso, senza giustificato motivo, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti dall’Autorità ovvero che abbiano fornito informazioni o esibito documenti non veritieri (articolo 6, commi 9 e 11, del Codice)”.
L’art. 6 del Regolamento, al comma 1, lettera b), fissa il termine non superiore a 180 giorni per la conclusione del procedimento, decorrente dalla ricezione della comunicazione di avvio, fermi restando i casi di sospensione disciplinati nel presente Regolamento; al comma 5 la norma prevede, inoltre, che “Il termine di conclusione del procedimento è sospeso in tutti i casi in cui il Regolamento prevede l’assegnazione di un termine alle parti o a terzi per le produzioni istruttorie sino alla scadenza del termine stesso e per il periodo necessario allo svolgimento dell’audizione ai sensi del successivo articolo 7.”.
Le previsioni sopra ricordate hanno un contenuto del tutto identico a quelle di cui al successivo articolo 29, in riferimento al quale si è formato l’orientamento di giurisprudenza invocato dalla ricorrente, ormai consolidato (cfr. Cons. Stato, V, 3 maggio 2019, n. 2874; 3 ottobre 2018, n. 5695; 30 luglio 2018, n. 4657; VI, 30 aprile 2019, n. 2815; 8 aprile 2019, n. 2289), al quale anche la Sezione si è adeguata (TAR Lazio, Roma, Sez. I, n. 10986 del 16 settembre 2019; n. 1380 del 3 febbraio 2020, ), secondo cui il termine di 180 giorni, fissato per la conclusione del procedimento, deve considerarsi perentorio, trovando ragione “ nei profili di specialità del procedimento sanzionatorio rispetto al paradigma generale del procedimento amministrativo, e in particolare nella natura afflittivo-sanzionatoria del provvedimento che ne deriva, e dunque nel principio secondo cui “l’esercizio di una potestà sanzionatoria, di qualsivoglia natura, non può restare esposta sine die all’inerzia dell’autorità preposta al procedimento sanzionatorio, ciò ostando ad elementari esigenze di sicurezza giuridica e di prevedibilità in tempi ragionevoli delle conseguenze dei comportamenti” nonché nell’art. 8, comma 4, d. lgs. n. 163 del 2006 – “norma che si pone a fondamento del Regolamento sanzionatorio – secondo cui « il regolamento dell’Autorità disciplina l’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità nel rispetto dei principi della tempestiva comunicazione dell’apertura dell’istruttoria, della contestazione degli addebiti, del termine a difesa, del contraddittorio, della motivazione, proporzionalità e adeguatezza della sanzione, della comunicazione tempestiva con forme idonee ad assicurare la data certa della piena conoscenza del provvedimento, del rispetto degli obblighi di riservatezza previsti dalle norme vigenti » (cfr. ancora, inter multis, Cons. Stato, n. 2874/2019, n. 5695/2018, n. 4657/2018, cit.).” (Cons. Stato n. 8480/2019). Con l’ulteriore precisazione che la sospensione del procedimento, prevista nei casi previsti dal Regolamento, per lo svolgimento di attività istruttoria o difensiva, “è in sé legittima, rispondendo alla ragionevole esigenza di evitare che le attività difensive e lo stesso svolgimento dell’audizione possano ridondare in danno della completezza e dell’adeguatezza dell’istruttoria, costringendo l’Autorità a una sua chiusura anticipata in funzione del termine massimo di durata del procedimento.” (Cons. Stato n. 8480/2019).
Il Collegio ritiene pertanto di poter applicare i ricordati principi di giurisprudenza anche al caso in esame, venendo in considerazione un procedimento finalizzato alla irrogazione di una sanzione pecuniaria e apprezzandosi, perciò, una identità di ratio.
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