ANAC – Procedimento sanzionatorio – Conclusione – Termine perentorio di 180 giorni

TAR Roma, 30.03.2021 n. 3835

Con il primo motivo di censura la ricorrente ha lamentato la tardività del provvedimento impugnato rispetto ai termini per la conclusione del procedimento sanzionatorio da parte dell’Anac.
Al riguardo la giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato, recepita nelle successive pronunce di questo Tribunale, ha affermato la natura perentoria del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento in questione, rilevando che la norma primaria di riferimento è data dall’art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, per cui “Il regolamento dell’Autorità disciplina l’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità nel rispetto dei principi della tempestiva comunicazione dell’apertura dell’istruttoria, della contestazione degli addebiti, del termine a difesa, del contraddittorio, della motivazione, proporzionalità e adeguatezza della sanzione, della comunicazione tempestiva con forme idonee ad assicurare la data certa della piena conoscenza del provvedimento, del rispetto degli obblighi di riservatezza previsti dalle norme vigenti”; nel rispetto di tali principi, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, sebbene non vi sia un’espressa previsione in tal senso, il termine di 180 giorni fissato dal regolamento dell’Autorità deve considerarsi perentorio, avuto riguardo a tale normativa, che afferma espressamente l’obbligo di osservare il principio di tempestività sia nella fase di avvio, che in quella di conclusione del procedimento sanzionatorio (Cons. Stato, sez. V, n. 5695, 3 ottobre 2018).
La giurisprudenza ha evidenziato, altresì, che “la natura afflittiva delle sanzioni applicate all’esito dei procedimenti in esame assegna natura perentoria (…) al termine di inizio del procedimento al fine di evitare che l’impresa possa essere esposta a tempo indefinito all’applicazione della sanzione stessa” (Cons. Stato, VI, 11 giugno 2019, n. 3919).
Il che trova ragione nei profili di specialità del procedimento sanzionatorio rispetto al paradigma generale del procedimento amministrativo, e in particolare nella natura afflittivo-sanzionatoria del provvedimento che ne deriva, e dunque nel principio – rilevante sia nella fase di avvio, sia per la conclusione del procedimento sanzionatorio – secondo cui “l’esercizio di una potestà sanzionatoria, di qualsivoglia natura, non può restare esposta sine die all’inerzia dell’autorità preposta al procedimento sanzionatorio, ciò ostando ad elementari esigenze di sicurezza giuridica e di prevedibilità in tempi ragionevoli delle conseguenze dei comportamenti” (Cons. Stato, V, 3 maggio 2019, n. 2874; 3 ottobre 2018, n. 5695).
Si deve quindi concludere che, sebbene non vi sia un’espressa previsione di perentorietà, l’impianto normativo di riferimento porta a ritenere che il provvedimento sanzionatorio impugnato sia stato adottato in violazione di quanto prescritto in base alla normativa primaria (art. 8, comma 4, d.lgs. n. 163 del 2006), che afferma espressamente l’obbligo di osservare il principio di tempestività sia nella fase di avvio, che in quella di conclusione del procedimento sanzionatorio.
[…]
Tale assunto non è accoglibile, avendo la giurisprudenza in materia chiarito che nel termine di 180 giorni deve essere computato anche il periodo necessario alla comunicazione del provvedimento all’interessato, tenuto conto che il procedimento è regolato da disposizioni che disciplinano dettagliatamente numerose ipotesi di sospensione e di interruzione dei termini procedimentali e che non sarebbe pienamente assicurata una adeguata ed effettiva tutela del diritto di difesa del destinatario del provvedimento, qualora si consentisse all’Amministrazione di ritardare indebitamente la comunicazione all’interessato dell’esito del procedimento (Cons. Stato, n. 5695/2018).
Non può infatti sostenersi che il termine finale del procedimento si determina in base al momento di adozione, e non di comunicazione o notificazione, dello stesso, costituente soltanto requisito di efficacia, ai sensi dell’art. 21-bis, inserito dall’art. 14 della legge n. 15 del 2005, sia in quanto la legge n. 241 del 1990 non è applicabile al procedimento sanzionatorio, regolato dalla disciplina generale della legge n. 689 del 1981, nonché, nel caso di specie, dalla disciplina di settore risultante dall’art. 8 del d.lgs. n. 163 del 2006 e dal Regolamento adottato dall’Autorità, sia poiché quest’ultimo regola già dettagliatamente numerose ipotesi di sospensione e di interruzione dei termini procedimentali, sicché non appare coerente con tali istituti prefigurare il termine finale come termine soltanto ordinatorio, mentre invece il suo rispetto si pone in stretta connessione con una adeguata ed effettiva tutela del diritto di difesa del destinatario del provvedimento, che non sarebbe pienamente assicurata se si consentisse all’Amministrazione di ritardare indebitamente la comunicazione all’interessato dell’esito del procedimento.

[rif. art. 213 d.lgs. n. 50/2016]