Consiglio di Stato, sez. V, 05.12.2023 n. 10530 ord.
9. – Parte appellante critica le conclusioni cui è giunto il TAR, sostenendo che, in relazione alle previste operazioni meramente materiali e di movimentazione di colli – operazioni che, per loro natura, sono ripetitive e standardizzate – non potrebbe apprezzarsi alcuna effettiva necessità di far luogo all’acquisizione di offerte tecniche differenziate, con inutile aggravio della procedura di gara e in violazione del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione.
Nel caso di specie, peraltro – come fa notare l’appellante –, il ribasso in sede di offerta doveva avvenire non su un prezzo base comprensivo dei costi della manodopera, quanto piuttosto, esclusivamente, sull’aggio; quest’ultimo da calcolarsi, tuttavia, già al netto dei costi della manodopera. L’art. 17 del disciplinare di gara, al penultimo capoverso, stabiliva invero quanto segue: “Infatti, pur prevedendo l’aggiudicazione al minor prezzo, tenuto conto che lo sconto percentuale richiesto avverrà solo sull’aggio, rimarranno invariati i costi per la manodopera in quanto le retribuzioni dei lavoratori impiegati sono corrisposte in base al contratto collettivo di categoria. Pertanto, sono fatte salve le finalità di cui all’art. 50 D.Lgs. 50/2016 volte sostanzialmente a garantire i livelli occupazionali e a tutelare i lavoratori attraverso l’applicazione dei CCNL”.
Il ribasso, quindi, poteva avvenire solo sull’utile potenziale di impresa, con invarianza dei costi per la manodopera: ciò che lasciava, dunque, intatte le garanzie connesse alle necessarie tutele dei lavoratori impiegati nell’appalto. In tal modo, osserva l’appellante, si assicurava protezione sia per le esigenze della pubblica amministrazione appaltante, sia per le condizioni economiche e di sicurezza del lavoro.
9.1. – In chiave di diritto dell’Unione, la parte appellante richiama il disposto dell’art. 67, paragrafo 2, ultimo capoverso, della direttiva 2014/24/UE, a norma del quale “Gli Stati membri possono prevedere che le amministrazioni aggiudicatrici non possano usare solo il prezzo o il costo come unico criterio di aggiudicazione o limitarne l’uso a determinate categorie di amministrazioni aggiudicatrici o a determinati tipi di appalto”. Tale previsione andrebbe letta conformemente al principio di proporzionalità, che è un principio generale del diritto dell’Unione, secondo il quale le norme stabilite dagli Stati membri, nell’ambito dell’attuazione delle disposizioni della direttiva 2014/24/UE, non dovrebbero andare oltre quanto necessario per raggiungere gli scopi perseguiti da quest’ultima.
Rilevante sarebbe, altresì, l’obiettivo di favorire la migliore qualità delle prestazioni, alla luce di quanto afferma il Considerando n. 92 della direttiva medesima, in base al quale “Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate a scegliere criteri di aggiudicazione che consentano loro di ottenere lavori, forniture e servizi di alta qualità che rispondano al meglio alle loro necessità”. In ordine alla praticabilità del criterio del prezzo più basso, pur a fronte della preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, l’appellante richiama anche la risoluzione del 25 ottobre 2011, sulla modernizzazione degli appalti pubblici (2011/2048(INI)), prodromica all’approvazione delle direttive del 2014, con la quale il Parlamento europeo, pur ritenendo che “il criterio del prezzo più basso non debba più essere il criterio determinante per l’aggiudicazione di appalti e che sia necessario sostituirlo in via generale con quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa in termini di benefici economici, sociali e ambientali, tenendo conto dei costi dell’intero ciclo di vita dei beni, servizi o lavori di cui trattasi”, sottolineava, comunque, “che una simile soluzione non esclude il criterio del prezzo più basso quale criterio decisivo in caso di beni o servizi altamente standardizzati”.
Il legislatore italiano avrebbe, pertanto, esercitato la facoltà prevista dall’art. 67 della direttiva 2014/24/UE, stabilendo il divieto di utilizzare il criterio del prezzo più basso per la specifica tipologia dei servizi ad alta intensità di manodopera (art. 95, comma 4, lettera b, del d.lgs. n. 50 del 2016), ma ciò anche nell’ipotesi in cui l’appalto presenti, al contempo, caratteristiche standardizzate, laddove cioè non rilevano gli aspetti qualitativi delle prestazioni. Imporre, in quest’ultimo caso, il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo eccederebbe manifestamente quanto necessario per conseguire gli obiettivi, prima ricordati, perseguiti dalla direttiva e si porrebbe, pertanto, in contrasto con il principio di proporzionalità.
10. – Il Collegio è dell’avviso che la questione pregiudiziale, così proposta da parte appellante, debba essere sottoposta all’esame della Corte di giustizia UE, vieppiù in considerazione delle vesti di giudice di ultima istanza che questo Giudice ricopre, ai sensi dell’art. 267 TFUE.
Ribadito che è pacifica, tra le parti, la natura dell’appalto de quo, avente ad oggetto un servizio ad alta intensità di manodopera, ma al contempo con caratteristiche standardizzate (in relazione alle prestazioni richieste alla forza lavoro, che si connotano per la ripetitività dell’opus), la censura dell’appellante che si appunta sulla violazione del principio di proporzionalità assume particolare pregnanza alla luce delle previsioni della legge di gara che, nella specie, stabilivano come criterio di aggiudicazione quello del maggior ribasso, da calcolarsi esclusivamente sull’aggio, con salvezza dei costi per la manodopera.
A ciò deve aggiungersi che, nella presente fattispecie, il rispetto delle condizioni economiche e di sicurezza del lavoro è già stato accertato sia dalla stazione appaltante, in sede di subprocedimento di verifica dell’anomalia delle offerte, sia dal Giudice nazionale, che ha respinto i motivi, introdotti dal ricorrente in primo grado, con i quali era stata revocata in dubbio la legittimità dell’offerta dell’aggiudicataria proprio in relazione alla violazione dei minimi salariali.
La pedissequa applicazione delle norme interne, che (grazie a quanto consentito dall’art. 67 della direttiva 2014/24/UE) hanno introdotto il divieto del criterio del massimo ribasso per fattispecie corrispondenti a quella de qua, dovrebbe pertanto condurre all’annullamento della gara, per mancata previsione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, oggetto di indiscusso favor nelle fonti del diritto UE richiamate dalla parte appellante.
Nel caso di specie, i vantaggi tipici, collegati alla tutela dei lavoratori, che normalmente derivano dall’impiego di tale criterio di aggiudicazione, sono stati ugualmente raggiunti, pur a fronte della contestata previsione, nella legge di gara, del diverso criterio del massimo ribasso, come declinato secondo le condizioni poc’anzi riepilogate. Il ribasso applicato al solo aggio, con salvezza dei costi della manodopera, vieppiù di fronte all’accertamento, in sede amministrativa e giurisdizionale, che non si è avuta alcuna violazione delle tutele che devono assistere le prestazioni di lavoro, conduce dunque a ritenere sproporzionato l’obbligo della previsione del criterio di aggiudicazione del miglior rapporto qualità/prezzo, non venendo in considerazione possibili aspetti di miglioramento tecnico che avrebbero potuto, in tesi, caratterizzare le offerte aventi ad oggetto prestazioni standardizzate.
Ne consegue che la preferenza del diritto UE per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa pare non sposarsi, nella fattispecie de qua, con le ragioni che dovrebbero sostenerlo e che, quindi, l’imposizione di quel criterio appare misura palesemente eccessiva, sproporzionata ed ingiustificata.
V – LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE RIMESSA ALLA CORTE DI GIUSTIZIA.
11. – In considerazione di quanto sopra esposto, stante la rilevanza – ai fini della decisione dell’ultima censura residua, sollevata nell’odierna controversia – della questione di compatibilità della predetta normativa interna con le indicate disposizioni euro-unitarie, il Collegio chiede alla Corte di giustizia UE di pronunciarsi sulla seguente questione pregiudiziale:
“se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), nonché il principio euro-unitario di proporzionalità e l’art. 67, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’art. 95, commi 3, lettera a), e 4, lettera b), del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50, nonché nell’art. 50, comma 1, del medesimo decreto legislativo, come anche derivante dal principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 21 maggio 2019, n. 8, secondo la quale, in caso di appalti aventi ad oggetto servizi con caratteristiche standardizzate ed al contempo ad alta intensità di manodopera, è vietata all’amministrazione aggiudicatrice la previsione, quale criterio di aggiudicazione, di quello del minor prezzo, anche nell’ipotesi in cui la legge di gara abbia cura di prevedere il ribasso sul solo aggio o utile potenziale di impresa, con salvezza dei costi per la manodopera”.
12. – La segreteria della Sezione curerà la trasmissione della presente ordinanza alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione europea. In aggiunta alla presente ordinanza la segreteria trasmetterà alla Cancelleria della CGUE anche la seguente documentazione: a) l’intero fascicolo di causa del primo e del secondo grado del giudizio, ivi compresa la sentenza non definitiva n. 10496 del 2023 pronunciata, da questa Sezione, nel presente giudizio; b) il testo integrale degli artt. 36, 50 e 95 del d.lgs. n. 50 del 2016; c) il testo integrale della sentenza dell’Adunanza plenaria 21 maggio 2019, n. 8.