Motivi di esclusione – Obbligo di dichiarazione – Riguarda nel modo più ampio possibile tutti i fatti oggetto di procedimento penale nel triennio (art. 80 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Roma, 28.07.2020 n. 8821

In corrispondenza al paragrafo 1 dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, l’art. 80, comma 1, elenca tassativamente i reati, la condanna per i quali comporta obbligatoriamente l’esclusione della impresa dalla gara.
Ciò, tuttavia, non significa che le ulteriori ipotesi di reato previste dalla legge penale non abbiano rilievo: in relazione al paragrafo 4 dell’art. 57 citato, l’art. 80, comma 5, lett. c) consente alla stazione appaltante di escludere il concorrente che si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.
Perciò, il fatto che realizza l’illecito professionale può venire ricostruito alla luce delle condanne penali riportate dai vertici dell’impresa, ovvero anche in relazione alla sussistenza di procedimenti penali.
È infatti da sottolineare che in tale fattispecie, ove l’esclusione non discende automaticamente dall’avere riportato la condanna (come nel caso del comma 1), ma da un apprezzamento discrezionale della stazione appaltante circa i riflessi che esso abbia sulla affidabilità dell’operatore economico, ciò che rileva non è il titolo giudiziale penale, ma il fatto in sé considerato, come emergente dalle risultanze penali (esplicitamente, sul punto, Cons. Stato n. 1644 del 2019).
Posto che esse sono una spia altamente indicativa della sussistenza di profili, in capo al concorrente, meritevoli di valutazione (la presunta violazione della norma penale costituisce la più grave rottura della legalità, anche alla luce del carattere di extrema ratio che essa riveste), è da ritenere che, in linea di principio, il partecipante alla gara abbia l’obbligo di dichiarare tutte le condanne penali subite, o anche solo le contestazioni mosse nell’ambito di procedimenti penali, anche qualora la lex specialis di gara non lo stabilisca espressamente (Cons. Stato, n. 7749 del 2019).
È ovvio, infatti, che la stazione appaltante non è in grado, di regola, di ricostruire i fatti da cui desumere il grave illecito professionale, ove essi non siano stati segnalati dal concorrente: questi ha perciò l’obbligo di indicarli, e viene infatti escluso se presenta dichiarazioni non veritiere (art. 80, comma 5, lett. f-bis), o se ometta le informazioni dovute (art. 80, comma 5, lett. c-bis).
Ne segue il cd. principio di omnicomprensività della dichiarazione, che deve farsi carico di fornire “quante più informazioni possibili” (Cons. Stato, n. 5142/18), purché pertinenti, in linea astratta, rispetto al giudizio della stazione appaltante in ordine alla affidabilità ed integrità del concorrente (Cons. Stato, n. 5136 del 2018).

6.1 Con riguardo ai fatti di rilievo penale, come si è detto innanzi, tale pertinenza sussiste in linea presuntiva, poiché essi sono in sé indice di una potenziale attitudine alla più severa infrazione delle regole della convivenza civile, così riflettendosi sull’affidabilità professionale del soggetto dichiarante.
Ciò non significa, naturalmente, che ogni illecito penale sia, al contempo e sempre, illecito professionale. Ma, piuttosto, che il sospetto recato in sé dalla natura penale dell’illecito, quanto alla capacità di riverberarsi sugli indici di affidabilità professionale dell’operatore economico, ne rende necessaria in linea di principio l’ostensione alla stazione appaltante, perché essa possa compiere le proprie valutazioni.
-OMISSIS- del resto, non vi è ipotesi di reato che, alla luce delle peculiari manifestazioni del fatto, possa essere recisamente esclusa, a priori, dalla sfera professionale. Persino una guida in stato di ebrezza, se occorsa in occasione di un incontro lavorativo, o una violenza sessuale, se intervenuta sul luogo di lavoro e in danno di chi vi presta attività lavorativa, possono portare alla luce circostanze tali da configurare un deficit di affidabilità professionale.
Le peculiarità della tecnica legislativa penale, che si preoccupa di cogliere il disvalore del fatto scandagliandone ogni aspetto rivelatore, si prestano ad introdurre fattori rilevanti di giudizio nel procedimento di evidenza pubblica. Si pensi, ad esempio, al regime delle aggravanti comuni (art. 61 c.p.), che, pur accedendo a qualsivoglia ipotesi di reato, anche lontana dall’ambito professionale, ugualmente possono denotarla negativamente anche per il verso che qui interessa (ad. es. art. 61, nn. 9 e 11 c.p.).
La tipicità del procedimento penale, peraltro, mitiga eventuali difficoltà connesse all’ampiezza dei fatti da dichiarare: nel senso che il primo è legato ad emergenze obiettive, tali da recidere ogni dubbio sulla necessità di dichiarare o no il fatto, rendendo l’adempimento del partecipante alla gara agevole e di immediata comprensibilità.
È appena il caso di ricordare, peraltro, che non tutto ciò che va dichiarato, in quanto penalmente rilevante, si presta poi ad essere utilizzato per escludere l’operatore economico: i fatti avranno rilievo a tal fine, solo se capaci di evolvere in illecito professionale. Ma tale valutazione spetta alla stazione appaltante, che deve essere posta nelle condizioni di compierla grazie ad una dichiarazione esaustiva.
Difatti, come ha recentemente ricordato la Corte costituzionale (sentenza n. 168 del 2020, sulla vicenda del Ponte Morandi), “al pari di chiunque altro, la pubblica amministrazione non può infatti essere obbligata a contrarre con parti che essa ritiene, in forza di elementi obiettivi, inaffidabili”.
Per tale ragione, si è ritenuto che i precedenti penali, in quanto astrattamente pertinenti, debbano essere integralmente dichiarati, a prescindere dalla rilevanza in concreto che essi abbiano con riguardo alla attività professionale (Cons. Stato, sez. V, n. 4511 del 2015, secondo il quale, nel vigore della precedente normativa, “la dichiarazione da rendere ai fini dell’attestazione del possesso dei requisiti di ordine generale deve essere completa e, con particolare riferimento alla lettera c) del comma 1 dell’art. 38, deve contenere tutte le sentenze di condanna subite, a prescindere dalla entità del reato e dalla sua connessione con il requisito della moralità professionale, la cui valutazione compete esclusivamente alla stazione appaltante”).
Spetta infatti alla sola stazione appaltante il giudizio in concreto sulla incidenza che tali profili possano avere sui requisiti di affidabilità del concorrente.
E ciò richiede di poter analizzare la fattispecie nei suoi aspetti più rilevanti, ove ve ne siano, ai fini del giudizio sulla affidabilità del concorrente. Non si postula, vale la pena di ripeterlo, che l’amministrazione possa assegnare significato ad ogni fattispecie penale, quand’anche del tutto ininfluente rispetto alla integrità professionale dell’operatore economico, posto che la dichiarazione è in ogni caso volta a soppesare quest’ultima.
Ma proprio la possibilità che dietro lo schermo astratto della fattispecie di reato possa celarsi, nella epifania del fatto, un tratto rilevante anche per i fini propri della gara, comporta che in linea di principio ogni condanna penale vada dichiarata.

6.2. A tale proposito, l’art. 80, comma 5, lett. c) bis, prevede l’esclusione del concorrente che abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di gara, ovvero abbia fornito informazioni false o fuorvianti, suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione.
Questa capacità distorsiva non può, quanto l’obbligo dichiarativo, che avere rilievo in astratto, ovvero per il solo fatto che, nel caso della violazione di una norma penale, si possa anche solo supporre che le circostanze poste a base dell’imputazione assumano, in concreto, un rilievo tale da influire sul giudizio della stazione appaltante.
In caso contrario, ovvero se dovessero essere dichiarate le sole contestazioni penali davvero capaci di esercitare simile influsso, il concorrente, selezionandole, si sostituirebbe alla stazione appaltante nel compito di discernere ciò che può avere rilevanza, da ciò che, secondo apprezzamento discrezionale, non ne ha.
Va poi precisato che la nozione di “illecito professionale” non può che essere desunta dal diritto dell’Unione, e in particolare dalla direttiva 2014/24/UE, di cui il d.lgs. n. 50 del 2016 è attuativo.
Dal considerando 101 della direttiva e dall’art. 57 la Corte di giustizia ha dedotto che ad avere rilievo sono i fatti che minano l’affidabilità dell’operatore economico, producendo un grave deficit di fiducia nei suoi confronti (nel vigore della direttiva 20114/24/UE, si veda la sentenza-OMISSIS-, in C-41/18, paragrafo 30). Lo stesso Avvocato generale, nel parere reso nella controversia-OMISSIS-, ha sottolineato la natura prevalentemente extracontrattuale di tali comportamenti.
Pertanto, anche il concorso in capo al medesimo soggetto di una pluralità di contestazioni penali, ciascuna in sé di minor rilievo e persino apparentemente lontana dalla sfera professionale, può convergere a delineare un quadro complessivo di sostanziale inaffidabilità professionale dell’operatore economico, tale da permettere alla stazione appaltante di esercitare la prerogativa, esclusivamente sua propria (cfr ancora sentenza-OMISSIS-, paragrafo 34), circa la opportunità di non avervi contatti, escludendolo dalla gara.
In definitiva, il Tribunale ritiene che viga una presunzione relativa di pertinenza della condanna penale nell’ambito delle gare pubbliche, tale che spetta all’operatore economico, in caso di contestazione, vincerla, dimostrando che, per lievità, occasionalità e marginalità, il fatto non sarebbe stato considerato pertinente, quanto alla sfera professionale, dall’homo eiusdem condicionis et professionis, e non avrebbe perciò dovuto essere dichiarato.

7. Quanto appena affermato con riferimento alle condanne penali non può che valere anche per i procedimenti penali.
Sul punto, la Corte di giustizia, in C-178/16, ha chiarito che non osta al diritto UE una normativa nazionale, come quella italiana, che permette di valorizzare, ai fini dell’esclusione del concorrente dalla gara, anche le condanne non definitive.
Per quanto si è detto a proposito della circostanza che esse rilevano non in quanto tali, ma quali indicatori di un fatto materiale che la stazione appaltante potrà valutare, è ovvio, infatti, che la definitività della pronuncia non ha attinenza con l’obbligo di dichiarare tale fatto, ai fini dell’ammissione alla gara.
È conseguenza di ciò che l’obbligo dichiarativo nasca per effetto del solo avvio del procedimento penale ove il fatto è posto in rilievo, smarcandosi successivamente dall’andamento del processo penale, fino a che esso non risolva con una pronuncia passata in giudicato relativa alla sussistenza o no del fatto, a fronte della quale cessa il potere autonomo della p.a. di ritenere diversamente (arg. ex art. 653 c.p.p.).

8. Altra questione, come è chiaro, è poi quella di stabilire sulla base di quali elementi la stazione appaltante possa concludere per la sussistenza materiale del fatto, prima che sia sopraggiunta la sentenza di assoluzione o di condanna definitiva.
A tal fine, la giurisprudenza ammette che possano essere valorizzati gli atti di indagine compiuti nel procedimento penale (ad esempio, Cons. Stato, sez. VI, n. 620 del 2013), con particolare riferimento all’adozione di misure cautelari o al rinvio a giudizio, che segna una valutazione del GUP in ordine alla tenuta del quadro probatorio definito dalle indagini.
A compensazione della latitudine dell’obbligo di dichiarare, la legge pone un limite di carattere temporale, che conferisce equilibrio al regime complessivo.
Sotto tale ultimo profilo, il comma 10 bis dell’art. 80 prevede, quanto ai motivi di esclusione basati sul precedente comma 5, che non abbiano peso i fatti risalenti a più di tre anni dalla data di passaggio in giudicato della sentenza che li abbia accertati, secondo una modalità di attuazione dell’art. 57, ultimo paragrafo, della direttiva 2014/24/UE conforme al diritto dell’Unione (Corte di giustizia, sentenza 24/10/18 in C-124/17).
Aggiunge, inoltre, che in attesa della definizione del giudizio, la stazione appaltante dovrà tener conto del fatto ai fini della propria valutazione.
Con ciò si trae conferma dell’assunto sopra affermato: diversamente che per i casi di cui al comma 1, i motivi di esclusione di cui al comma 5, lett. c) assumono consistenza autonoma rispetto al procedimento penale, nel senso che l’amministrazione li può ricostruire e valutare da sé.

8.1 Il rapporto tra procedimento penale e attività valutativa della p.a. si pone perciò nei seguenti termini, quanto al comma 5 dell’art. 80: a) non rileva in sé la condanna definitiva, ma il fatto emergente dagli atti; b) quest’ultimo è sempre rivalutato autonomamente dalla stazione appaltante, con riguardo ai riflessi che possa avere sulla affidabilità professionale del concorrente; c) ove il fatto sia accertato definitivamente con sentenza di assoluzione o condanna passata in giudicato, l’amministrazione, ferma l’autonomia del proprio apprezzamento, non potrà rispettivamente affermarne la sussistenza materiale o negarla, se non incorrendo in travisamento dei fatti (come si deduce dall’art. 653 c.p.p., che, quanto al procedimento amministrativo disciplinare, attribuisce efficacia di giudicato alla pronuncia definitiva di assoluzione o condanna, quanto all’accertamento sulla sussistenza del fatto); d) in ogni altra ipotesi, la stazione appaltante potrà prendere spunto dagli atti del procedimento penale; e) in tali casi, l’autonomia della valutazione amministrativa in ordine alla materiale sussistenza del fatto sarà comunque influenzata dall’andamento di tale procedimento, dal quale si potranno trarre elementi probatori tanto più significativi, quanto più esso è progredito (la mera pendenza del procedimento, ad esempio, nulla permetterà di dire per relationem, mentre il contrario va postulato in caso di ordinanze cautelari, di rinvio a giudizio, e, soprattutto, di condanne non definitive).
E’ appena il caso, poi, di aggiungere che tale assetto normativo non lede la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., perché esso “è violato allorchè la legge preveda una misura che costituisca, nella sostanza, una sanzione anticipata in assenza di un accertamento definitivo di responsabilità”, ma non quando la norma risponde “a una logica in senso lato cautelare” (Corte cost. sentenza n. 248 del 2019).
Nel caso di specie, è proprio una finalità non punitiva, ma precauzionale a governare questa causa di esclusione, perché la p.a. non può essere obbligata a contrarre con soggetti che reputi inaffidabili, sulla base di elementi obiettivi, per quanto non ancora accertati definitivamente in un giudizio.

9. Conseguente a quanto finora detto è che l’operatore economico che intenda partecipare ad una gara ha l’onere di dichiarare, nel modo più ampio possibile, tutti i fatti che siano stati, o siano, oggetto di procedimento penale nel triennio antecedente.