Grave errore professionale, fatto penalmente rilevante, può configurare causa di esclusione anche in assenza di una sentenza passata in giudicato o se commesso in epoca molto pregressa – Commissione di gara, incompatibilità tra le funzioni di Presidente e di RUP (Art. 38)

admin-seaConsiglio di Stato, sez. V, 20.11.2015 n. 5299
(sentenza integrale)

“L’art. 38. comma 1, lett. f), del d. lgs. n. 163 del 2006 stabilisce infatti che sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né possono essere affidatari di subappalti e stipulare i relativi contratti, i soggetti “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.
L’esclusione dalla gara d’appalto prevista da detta norma, si fonda sulla necessità di garantire l’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione fin dal momento genetico. Non rileva pertanto che i fatti valutati dall’Amministrazione per addivenire alla decisione di rilevare grave negligenza o malafede nell’esercizio di un precedente rapporto contrattuale tra le parti, se oggetto di indagine penale, siano sub iudice, né che non siano stati oggetto di condanna, poiché ciò che giustifica la scelta di esclusione è solo l’imperizia emersa nel corso dell’attività professionale, che a sua volta ha leso quel rapporto di fiducia nella capacità professionale dell’impresa.
La legge non esclude che determinati fatti di rilievo penale, laddove costituenti ipotesi di grave errore professionale, possano essere valorizzati ai fini della sussistenza della causa ostativa di cui all’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, indipendentemente dalla astratta configurabilità o meno della causa ostativa contemplata alla precedente lettera c). In altri termini, un determinato fatto penalmente rilevante può essere inquadrato alternativamente o cumulativamente, a seconda del verificarsi dei rispettivi presupposti di legge, all’interno delle due disposizioni normative (lettera c e lettera f), non rinvenendosi nel sistema contrattualistico pubblico alcun divieto alla sussumibilità delle fattispecie di reato nella categoria del grave errore professionale e, per converso, alcuna riserva del penalmente sensibile alla categoria della moralità professionale strettamente intesa. Ne discende che ciò che rileva ai fini dell’applicabilità dell’art. 38, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 163 del 2006, è solo che un determinato fatto, quantunque avente qualificazione penale, possa essere forma di manifestazione di un grave errore professionale, prescindendosi in ogni caso dalla sussistenza di una pronuncia giudiziale passata in giudicato, come è invece previsto dalla precedente lett. c).
Ben poteva quindi la stazione appaltante porre a base della valutazione della sussistenza dell’elemento fiduciario effettuata nell’anno 2011 fatti emersi dalla conoscenza del giudizio penale in questione, anche se non ancora oggetto di pronuncia passata in giudicato
. (…)

Ciò posto, va osservato che il concetto normativo di “violazione dei doveri professionali” cui la norma in questione fa riferimento abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all’errore ed alla malafede, purché tutte qualificabili “gravi” (Consiglio di Stato, sez. III, 13 maggio 2015, n. 2388) e richiede che la responsabilità risulti accertata e provata con qualsiasi mezzo di prova, senza la necessità di una sentenza passata in giudicato (Consiglio di Stato, sez. VI, 4 dicembre 2006, n. 7104) o di un accertamento della responsabilità del contraente per l’inadempimento in relazione ad un precedente rapporto contrattuale, quale sarebbe richiesto per l’esercizio di un potere sanzionatorio, ma è sufficiente una motivata valutazione dell’Amministrazione in ordine alla grave negligenza o malafede nell’esercizio delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara.
Ai fini dell’accertamento della legittimità del provvedimento di esclusione dalla gara, pertanto, assume rilievo decisivo la circostanza che la stazione appaltante illustri compiutamente le ragioni per le quali – in considerazione dei pregressi rapporti contrattuali – sia venuto meno un adeguato livello di fiducia nei confronti dell’impresa partecipante.
L’esercizio di detto potere, in quanto discrezionale, è soggetto al sindacato del giudice amministrativo nei soli limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti.
Tanto premesso, non ritiene la Sezione che i fatti posti a base del discrezionale provvedimento impugnato in primo grado siano stati irrazionalmente o erroneamente ritenuti idonei dall’Amministrazione a minare il rapporto fiduciario con la società appellante, in quanto dalla motivazione dello stesso risulta adeguatamente riscontrata la loro attitudine a dimostrare la sussistenza di grave negligenza o malafede nell’esecuzione del pregresso contratto di cui trattasi, a nulla valendo il fatto che gli eventi in questione siano stati commessi in epoca molto pregressa (Consiglio di Stato, Sezione V, 21 gennaio 2011, n. 409). (…)
L’art. 38, comma 1, lett. f), di esso d. lgs. deve essere quindi interpretato in modo coerente con le indicazioni desumibili dall’art. 45, par. 2, lett. d), della Direttiva 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE, che consente l’esclusione di ogni operatore economico “che, nell’esercizio della propria attività professionale, abbia commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova dall’amministrazione aggiudicatrice”. Poiché tale formula corrisponde a quella della seconda parte del citato art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs., deve ritenersi che in via generale la normativa comunitaria consenta di qualificare come ostativo qualsiasi episodio di errore che caratterizzi la storia professionale degli aspiranti concorrenti, purché sia abbastanza grave da metterne in dubbio l’affidabilità. La norma nazionale vigente riproduce quella comunitaria e di conseguenza rende rilevanti tutti gli errori professionali commessi.
Tanto esclude la condivisibilità della tesi della appellante che non sarebbero compatibili con detta Direttiva l’ampiezza ed indeterminatezza della previsione di cui a detto art. 38, nonché le modalità di esplicazione delle della stessa ed il potere discrezionale riconosciuto alla s.a. al riguardo, essendo la norma comunitaria di eguale ampiezza rispetto a quella attuativa ed atteso che tale ampiezza appare inidonea a comportare alcuna violazione dei principi comunitari e nazionali posti a presidio del favor partecipationis, nonché del diritto alla iniziativa economica costituzionalmente garantito; ciò considerato anche che detto potere deve esplicarsi mediante una motivata valutazione dell’Amministrazione in ordine alla grave negligenza o malafede nell’esercizio delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara, motivazione che è soggetta, ancorché discrezionale, al vaglio di logicità da parte dell’Organo giurisdizionale. (…)

Poiché non sussiste incompatibilità tra le funzioni di presidente della commissione di gara e quella di responsabile del procedimento, analogamente si deve ritenere che non possa sussistere incompatibilità di un dirigente dell’ente locale che abbia svolto le funzioni di presidente del seggio e di responsabile del procedimento, al quale sia stato anche attribuito il compito di approvare gli atti della commissione di gara (Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2012, n. 2445).
Tra i poteri dell’Organo che procede all’approvazione degli atti di gara rientrano anche quelli di verifica della sussistenza di tutti i presupposti di legge sottostanti e quindi anche quello di accertare la sussistenza del requisito di cui all’art. 38, comma 1, lettera f), del d. lgs. n. 163 del 2006
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Neppure potevano sussistere cause di incompatibilità di cui all’art. 92, comma 5, del d.P.R. n. 554 del 1999, non essendo stata neppure dedotta dall’appellante (e comunque risultando indimostrata) la sussistenza di interesse personale o professionale del dirigente di cui trattasi comportante l’insorgenza del dovere di astensione”.

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