Consiglio di Stato, sez. V, 16.12.2016 n. 5323
Ciò posto, la Sezione condivide il rilievo del Consorzio resistente laddove assume, come del resto riconosce la stessa ricorrente, che nessuna prova concreta da quest’ultima è stata data della misura dell’utile perduto per non essere subentrata nel contratto avente ad oggetto la fornitura messa a gara.
In tale contesto, non può quindi essere riconosciuta la richiesta a titolo di lucro cessante della percentuale del 10% dell’utile che avrebbe ricavato la ricorrente dall’aggiudicazione della a gara.
In assenza dell’omesso adempimento dell’onere probatorio, non vengono meno tuttavia le condizioni per riconoscere in via equitativa la misura del danno risarcibile per l’utile economico non percepito.
In quest’ambito, aderendo all’orientamento consolidato di questo Consiglio, il danno può quindi essere determinato nella misura del 5% del valore della fornitura offerta dalla società ricorrente. (v. Cons. Stato Sez.V , 09.12.2013 n.5884; idem 31.12.2014 n.6450)
A diversa conclusione deve giungersi per quel che concerne la richiesta di condanna della Stazione appaltante al danno curriculare ed al danno per i mancati introiti causati dal comportamento illegittimo della stazione appaltante accertato con la sentenza di questa Sezione della cui ottemperanza si discute.
Rispetto alle dette tipologie di danno, nell’indiscussa assenza di prova del danno da parte della società richiedente in ordine alla loro concreta esistenza, ritiene la Sezione che non sia consentito procedere alla sua determinazione in via equitativa.(v. sent. n. 6450/2014 citata)
Ed invero, occorre porre in evidenza che l’utilizzazione di detto criterio supplementare è possibile rispetto al danno derivante dal mancato conseguimento dell’utile economico, inerendo la sua applicazione al solo quantum, laddove la prova dell’an del danno stesso è ricavabile deduttivamente dalla considerazione che, normalmente, la partecipazione alla gara ha come fine ed esito quello del conseguimento dell’ utile dalla sua aggiudicazione.
Nel danno per il mancato accrescimento del peso imprenditoriale (danno curricolare) e per l’aliunde perceptum, tale criterio supplementare non può essere utilizzato, venendo impedito l’ausilio logico deduttivo esposto dalla natura composita di circostanze la cui effettiva presenza soltanto, cioè quando adeguatamente provate e non genericamente affermate o fondate su presunzioni, afferma l’esistenza stessa del danno. ( v. sent. da ultimo citata n. 6450/2014)
Diversamente ritenendo non vi è dubbio che illegittimamente, da un lato, la parte verrebbe avvantaggiata dall’elusione dell’onere di provare l’esistenza del danno e, dall’altro, il giudice perverrebbe alla sua quantificazione.
La domanda di risarcimento per i danni ulteriori rispetto al mancato conseguimento dell’utile economico deve conseguentemente essere respinta.
Il ricorso deve in conclusione deve essere accolto nella sola misura del 5% della fornitura offerta in gara dalla società ricorrente, quale danno per mancato utile economico.
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1) Bando di gara – Criterio di aggiudicazione – E’ immediatamente impugnabile; 2) Servizio ad alta intensità di manodopera – Aggiudicazione – Divieto di utilizzo del criterio del minor prezzo – Obbligo di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 95 d.lgs. n. 50/2016)
A) in rito:
– che non è condivisibile l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Agenzia sul rilievo dell’insussistenza di impedimenti alla formulazione dell’offerta (offerta, peraltro, concretamente presentata dalle ricorrenti);
– che, sotto il profilo dell’interesse, le società istanti hanno condivisibilmente dedotto come la scelta del criterio del minor prezzo, preclusivo di apprezzamenti su aspetti di tipo qualitativo, influirebbe sulla formulazione dell’offerta, incidendo irrimediabilmente sulle determinazioni dell’impresa, per un verso “costretta a strutturare la propria offerta non in rapporto alla qualità del servizio” e, per altro verso, impossibilitata, in ipotesi di aggiudicazione (non avendone l’interesse), “a rimuovere la situazione (antigiuridica) che l’ha portata a dover praticare [un] prezzo enormemente più basso rispetto alla qualità del servizio che intende rendere” (mem. 5.12.16);
– che con riferimento al caso di specie, avuto riguardo anche alle considerazioni della parte privata, appare meritevole di rimeditazione il tradizionale indirizzo in materia di impugnazione della lex specialis (su cui fa leva l’Agenzia);
– che in linea generale il d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, applicabile alla procedura in esame, ha operato una rilevante revisione dei meccanismi di tutela giurisdizionale con riferimento (tra l’altro) sia alla fase cautelare, “al fine di garantire l’efficacia e la speditezza delle procedure di aggiudicazione ed esecuzione dei contratti” (come si esprime la legge di delega; v. art. 1, co. 1, lett. aaa, l. 28 gennaio 2016, n. 11), sia allo stesso giudizio ordinario, attraverso la previsione di un rito ad hoc (c.d. “super-speciale”; cfr. Cons. Stato, sez. III, 25 novembre 2016, n. 4994) per le controversie sulle ammissioni ed esclusioni, anche questo preordinato all’“immediata risoluzione del contenzioso relativo all’impugnazione dei provvedimenti di esclusione dalla gara o di ammissione alla gara per carenza dei requisiti di partecipazione” (art. 1, co. 1, lett. bbb, l. n. 11/2016 cit.);
– che dalle riportate indicazioni legislative, trasfuse in puntuali modifiche di norme processuali (v. in particolare art. 120 c.p.a.), ma sottese anche ad altri rilevanti istituti (a es. “pareri di precontenzioso” ex art. 211 d.lgs. n. 50/2016), emerge in modo ancor più evidente di quanto non fosse in passato la necessità di coniugare, nel settore in esame, le esigenze di tutela giurisdizionale con quelle di sollecita se non “immediata” definizione delle controversie, con la conseguenza che l’interprete dovrebbe privilegiare, tra varie opzioni esegetiche, quella idonea a garantire il perseguimento di entrambi gli obiettivi;
– che, in questa ottica, è preferibile un’impostazione che consenta all’operatore economico interessato a partecipare alla gara di chiedere l’immediata verifica della legittimità della lex specialis, nella parte relativa alla scelta del criterio di aggiudicazione, senza dover necessariamente partecipare alla selezione (con eventuale celebrazione del giudizio sulle ammissioni) e senza doverne attendere l’esito;
– che costituisce indice dell’immediata sindacabilità di questo tipo di determinazione lo specifico obbligo motivazionale introdotto dall’art. 95, co. 5, d.lgs. cit., a tenore del quale “Le stazioni appaltanti che dispongono l’aggiudicazione ai sensi del comma 4 ne danno adeguata motivazione e indicano nel bando di gara il criterio applicato per selezionare la migliore offerta”;
– che la disposizione, sebbene sembri riferire l’obbligo alla fase (e al provvedimento) di aggiudicazione, va più ragionevolmente intesa nel senso esposto dalle Linee guida Anac n. 2/2016 in materia di offerta economicamente più vantaggiosa (approvate con delib. 21 settembre 2016, n. 1005), in cui si fa menzione delle stazioni appaltanti “che intendono procedere all’aggiudicazioneutilizzando il criterio del minor prezzo, ai sensi dell’art. 95, comma 5” (enf. agg.; le Linee guida precisano, ancora, che le stazioni appaltanti “devono dare adeguata motivazione della scelta effettuata ed esplicitare nel bando il criterio utilizzato per la selezione della migliore offerta […]”);
– che la necessità di dar conto delle ragioni dell’utilizzo del criterio del minor prezzo sin dagli atti di avvio della procedura implica la possibilità di contestare immediatamente la scelta;
– che, peraltro, l’eccezione in disamina non avrebbe miglior sorte nemmeno alla stregua dell’orientamento formatosi durante la vigenza del d.lgs. n. 163/2006;
– che infatti la più recente giurisprudenza (v. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180), nel confermare il consueto indirizzo in tema di impugnazione della lex specialis – secondo cui “l’illegittimità di regole inidonee a consentire una corretta e concorrenziale offerta economica incide direttamente sulla formulazione dell’offerta, impedendone la corretta e consapevole elaborazione, sicché la lesività della stessa disciplina di gara va immediatamente contestata, senza attendere l’esito della gara per rilevare il pregiudizio che da quelle previsioni è derivato, ed anzi nemmeno sussiste l’onere di partecipazione alla procedura di colui che intenda contestarle, in quanto le ritiene tali da impedirgli l’utile presentazione dell’offerta e, dunque, sostanzialmente impeditive della sua partecipazione alla gara” –, aderisce a una concezione “ampliativa” della nozione di “clausole del bando immediatamente escludenti”, individuate con riferimento (non solo a quelle afferenti ai requisiti soggettivi, ma anche) a quelle “attinenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta” (per l’indirizzo in rassegna, rientrano in tale nozione più ampia le clausole “impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale” o che “rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile”, le “disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta”, le “condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente”, l’“imposizione di obblighi contra ius”, le “gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta” o la presenza di “formule matematiche del tutto errate”, la carenza dei costi della sicurezza non soggetti a ribasso);
– che in analogo ordine di idee si è mossa anche questa Sezione in una fattispecie in cui è stata ritenuta ammissibile l’immediata impugnazione di alcune previsioni dello schema di contratto (non preclusive della partecipazione alla gara), sul rilievo, tra l’altro, che il tradizionale meccanismo di tutela giurisdizionale (alla stregua del quale la contestazione delle clausole in questione, una volta trasfuse nel contratto, andrebbe riservata alla sede civile, a meno di non volerne ipotizzare l’impugnazione in sede amministrativa, ma subito dopo l’aggiudicazione) determinerebbe “un’inefficienza dell’agere amministrativo, risolventesi in possibile alterazione della par condicio”, mentre “una tempestiva correzione dello schema contrattuale consentirebbe a tutti i concorrenti di conoscere per tempo il definitivo assetto pattizio del futuro rapporto con la stazione appaltante e di assumere le conseguenti determinazioni, anche in termini di offerta” (sent. 16 novembre 2012, n. 9483);
– che il caso oggi in esame può essere ricondotto alle ipotesi innanzi riportate, condividendone la ratio;B) nel merito:
– che con il primo motivo le ricorrenti invocano il divieto di utilizzo del criterio del minor prezzo, venendo in rilievo un servizio “ad alta intensità di manodopera” ex art. 50 d.lgs. n. 50/2016, come univocamente attestato dalla “relazione asseverata” in atti (all. 7 ric.);
– che l’Agenzia non contesta tale qualificazione (v. anche pag. 7 mem. 5.12.16), ma assume la piena legittimità, anche in base alle citate Linee guida Anac n. 2/2016, del criterio del minor prezzo perché il servizio rientrerebbe (altresì) nella categoria prevista dall’art. 95, co. 4, lett. b), d.lgs. n. 50/2016 (v. mem. 5.12.16 cit., con cui la parte resistente ha illustrato gli elementi da cui evincere la natura “standardizzata” delle prestazioni, richiamando la det. Anac n. 9/2015, linee guida per l’affidamento del servizio di vigilanza privata, laddove si precisa che in caso di servizio “altamente standardizzato […] sarebbe preferibile adottare il criterio del prezzo più basso”);
– che la qualificazione proposta dalle società istanti può darsi per accreditata al giudizio, in assenza di contestazioni della controparte e alla luce delle risultanze, parimenti non contestate, del menzionato elaborato tecnico;
– che, sul piano giuridico, la disciplina d’interesse dimostra la correttezza della tesi delle ricorrenti;
– che l’art. 95 cit., sui criteri di aggiudicazione:
i) al co. 2 stabilisce la regola generale secondo cui le stazioni appaltanti (fatte salve “le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative relative al prezzo di determinate forniture o alla remunerazione di servizi specifici”) “procedono all’aggiudicazione […] sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell’elemento prezzo o del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita, conformemente all’articolo 96”;
ii) al co. 3 individua alcune categorie di “contratti” aggiudicabili “esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”; tra questi, i contratti relativi ai servizi “ad alta intensità di manodopera, come definiti all’articolo 50, comma 1” (lett. a), ossia “quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto” (art. 50, co. 1, ult. per.);
iii) al co. 4 elenca i casi di possibile utilizzo del “criterio del minor prezzo”, tra cui i servizi “con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato” (lett. b) e quelli “di importo inferiore alla soglia di cui all’articolo 35, caratterizzati da elevata ripetitività” (esclusi, però, “quelli di notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo”; lett. c);
– che la questione controversa attiene al nesso tra tali disposizioni, occorrendo in particolare stabilire se, fermo il rapporto regola-eccezione intercorrente tra i commi 2 e 4, il co. 3 abbia introdotto una previsione ulteriormente derogatoria (e dunque autonoma), nel senso che per i casi ivi indicati non sarebbe mai possibile utilizzare il criterio del minor prezzo (come ipotizzato dalla ricorrente), o se, al contrario, esso costituisca una mera specificazione del co. 2 (in punto di metodiche di aggiudicazione), risultando di conseguenza derogabile nelle ipotesi del co. 4 (come implicitamente sostenuto dalla resistente);
– che la formulazione testuale delle disposizioni potrebbe indurre alla condivisione di questa seconda opinione, dal momento che l’art. 95, declinate al co. 2 le metodiche applicative del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (“miglior rapporto qualità/prezzo”, “elemento prezzo”, “costo”), specifica al co. 3 il novero dei contratti da aggiudicare “esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”, potendosi in astratto ritenere che la norma abbia semplicemente voluto inibire il ricorso agli altri due sistemi (“elemento prezzo” o “costo”; in caso contrario, essa avrebbe dovuto essere formulata in modo da far percepire la cesura tra gli aspetti in considerazione);
– che a questa lettura si oppone il dato, parimenti testuale, ricavabile dalla legge di delega (l. n. 11/2016 cit.);
– che infatti l’art. 1, co. 1, lett. ff), l. cit. indica, tra i “principi e criteri direttivi specifici”, l’utilizzo, per l’aggiudicazione, del “criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”, con riferimento all’“approccio costo/efficacia, quale il costo del ciclo di vita” e al “«miglior rapporto qualità/prezzo» valutato con criteri oggettivi […]” (1° per.), prevedendo altresì la “regolazione espressa dei criteri, delle caratteristiche tecniche e prestazionali e delle soglie di importo entro le quali le stazioni appaltanti ricorrono al solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta […]” (2° per.);
– che la successiva lett. gg), per i contratti relativi (tra gli altri) ai servizi “ad alta intensità di manodopera”, precisa che l’aggiudicazione può avvenire “esclusivamente sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, come definita dalla lettera ff), escludendo in ogni caso l’applicazione del solo criterio di aggiudicazione del prezzo o del costo, inteso come criterio del prezzo più basso o del massimo ribasso d’asta” (enf. agg.);
– che perciò l’unica interpretazione ammissibile, perché costituzionalmente orientata (tale cioè da evitare pur ipotizzabili profili di eccesso di delega), delle previsioni in esame appare essere quella che assegna portata autonoma, e natura inderogabile, al co. 3;
– che pertanto, venendo al caso di specie, la gara per cui è controversia non può essere aggiudicata in base al criterio del minor prezzo, con conseguente illegittimità della scelta operata dalla lex specialis;
Nuovo rito appalti – Impugnazione congiunta dell’ammissione di un concorrente e dell’aggiudicazione – Impugnazioni soggette a riti diversi – Rito applicabile – Sospensione feriale – Applicabilità (art. 204 d.lgs. n. 50/2016)
Ritiene il Collegio di dover scrutinare in via preliminare le questioni concernenti la tempestività e l’ammissibilità del ricorso per come in epigrafe proposto.
3.1 Va innanzitutto disattesa la formulata eccezione di tardività, atteso che alcuna disposizione normativa sottrae il nuovo rito superaccelerato appalti alla sospensione feriale dei termini processuali, secondo la regola generale esplicitata dall’art. 54 c.p.a., pacificamente applicabile anche ai giudizi di cui al titolo V, libro IV c.p.a..
Va da sé che l’impugnativa in esame risulta tempestiva, in quanto proposta nei termini di cui all’art. 120, comma 2 bis, al netto del periodo non computabile di sospensione.
3.2 Quanto all’ulteriore questione innanzi prospettata, alcun dubbio nutre il Collegio circa la possibilità di un’impugnativa congiunta dei provvedimenti di ammissione e di aggiudicazione definitiva (ove la successione temporale degli atti della procedura lo consenta), ovvero con motivi aggiunti, atteso che, in assenza di espressa previsione contraria, sovvengono:
– l’art. 32, comma 1 c.p.a., a mente del quale “È sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale. Se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV”;
– l’art. 43 c.p.a., che stabilisce, tra l’altro, che “1. I ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte. (……). 3. Se la domanda nuova di cui al comma 1 è stata proposta con ricorso separato davanti allo stesso tribunale, il giudice provvede alla riunione dei ricorsi ai sensi dell’articolo 70”.
Né in senso ostativo alle conclusioni cui è giunto il Collegio può essere utile invocare (come fa la difesa comunale) la modifica da ultimo disposta al comma 7 dell’art. 120, c.p.a. dall’art. 204 del D.lgs. 50/2016.
La norma contenuta nella disposizione in questione, infatti, va più correttamente interpretata nel senso di riconoscere alla parte ricorrente la facoltà (e non l’obbligo) di proporre autonoma impugnativa avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara, ove questo sia sopraggiunto successivamente all’introduzione del giudizio ex art. 120, comma 6 bis, senza escludere né la possibilità di un’impugnativa congiunta, né la proposizione successiva di motivi aggiunti.
Le superiori considerazioni risultano suffragate:
I) dalla espressa facoltà riconosciuta al controinteressato (cfr. art. 120, comma 2 bis, u.p.), nell’ambito del giudizio promosso ex art. 120, comma 6 bis, di far valere “l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento (n.d.r tra cui l’aggiudicazione), anche con ricorso incidentale”, sia pure solamente ove abbia tempestivamente impugnato il provvedimento che determina le esclusioni e le ammissioni: di qui, dunque, l’insussistenza di preclusioni in astratto all’introduzione nell’ambito del giudizio “superaccelerato” appalti di domande nuove, diversamente amministrate con le regole procedurali proprie del rito “ordinario” appalti (salvo quanto si dirà in ordine al rito unitariamente applicabile);
II) dal richiamo al principio di parità delle parti che suggerisce di ritenere estesa anche al ricorrente, la facoltà – per quanto esposto riconosciuta al controinteressato – di ampliare il thema decidendum attraverso l’impugnativa di ulteriori e successivi provvedimenti (in primis il provvedimento di aggiudicazione, in uno alla presupposta graduatoria) benché ciò comporti il cumulo di domande assoggettate a diversa disciplina e termini processuali.
Ne consegue che, ove siano rispettati i termini processuali, parte ricorrente non è privata della possibilità di presentare un unico ricorso, avverso entrambi i provvedimenti (aggiudicazione definitiva e ammissione dell’aggiudicatario – oltre che di eventuali altri concorrenti che lo precedono in graduatoria) essendo chiaramente evincibili indubbi profili di connessione oggettiva e soggettiva che ne giustificano la trattazione congiunta.4. Posto, dunque, che il ricorso, alla luce delle esaminate questioni preliminari di rito, risulta tempestivamente e ritualmente proposto, il Collegio intende anche chiarire le ragioni per cui non ritiene di procedere né ad una definizione solo parziale delle domande proposte dalla ricorrente, ex art. 36, comma 2, c.p.a., né ad una separazione delle azioni, pur in astratto praticabile in forza degli artt. 103, comma 2, richiamato dal comma 2 dell’art. 104, e 279, comma 2, n. 5, c.p.c., (applicabili per effetto del rinvio esterno operato al codice di procedura civile dall’art. 39 c.p.a.), posto che, una volta intervenuta l’aggiudicazione definitiva, questa assorbe in sé i vizi del presupposto provvedimento di ammissione che siano stati ritualmente e tempestivamente dedotti, delineando un complesso e unitario thema decidendum, che (se è discutibile che imponga) quantomeno suggerisce la trattazione unitaria.
Tale prospettata soluzione è peraltro confortata sia dalla constatazione del venir meno, una volta intervenuta l’aggiudicazione, della ratio sottesa al nuovo e speciale microsistema processuale, di definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione (in termini cfr. parere Consiglio di Stato n. 855/2016 del 1° aprile 2016), in modo da creare un giudicato formale che consenta lo sviluppo “pacificato” della procedura di gara; sia dall’esigenza di rifuggire da inutili complicazioni processuali e sostanziali, connesse ad una oramai inutile “frammentazione” di domande intrinsecamente connesse, con rischio di contrasto di giudicati, acuito dalla defatigante moltiplicazione delle possibilità di impugnative parziali, anche assoggettate a termini processuali differenziati, peraltro in patente violazione del principio eurocomunitario di concentrazione dei giudizi.5. Resta, dunque, al Collegio il compito di individuare quale sia il rito applicabile all’odierna controversia, posto che gli atti gravati, in forza della recentissima introduzione nella materia degli appalti di un ulteriore rito speciale, cd “superaccelerato”, risultano assoggettati a regole e termini processuali diversificati che necessitano, pertanto, di essere portati ad unità in forza del chiaro disposto dell’art. 32, co. 1, c.p.a. secondo cui, se le azioni presenti all’interno del medesimo giudizio (perché proposte ab origine in un unico contesto, ovvero a seguito della proposizione di motivi aggiunti, o perché riunite dal giudice in ragione del vincolo della connessione ex art. 70, co. 1, c.p.a.), “(..) sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV”.
Si è chiarito in giurisprudenza, che in ogni ipotesi di cumulo di azioni disciplinate da riti diversi (uno ordinario ed uno speciale, o più speciali), troverà di regola sempre applicazione il rito ordinario; tale rito non sarà applicabile, in via del tutto eccezionale (come riconosciuto esplicitamente dalla relazione illustrativa al c.p.a., pag. 26), solo quando una delle controversie sia regolata dal rito sancito dagli artt. 119 – 125 (che esauriscono il Titolo V del Libro IV rubricato non a caso – riti abbreviati relativi a speciali controversie) – cosìCons. St., sez. V, 23 febbraio 2012, 1058; sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 996.
Occorre dunque stabilire quale disciplina processuale debba applicarsi, in presenza di domande di annullamento di provvedimenti afferenti la medesima materia “appalti”, eppur assoggettate a riti caratterizzati da un diverso grado di specialità.
Il Collegio ritiene desumibile dal richiamato art. 32 c.p.a. un principio di prevalenza del rito che si presti a fornire maggiori garanzie per tutte le parti coinvolte nell’unica vicenda processuale, in ragione della necessità di individuare tra più discipline confliggenti quella che fissi regole e termini processuali in grado di offrire una maggiore salvaguardia del diritto di difesa.
Applicando le superiori coordinate ermeneutiche al caso di specie, il Collegio ritiene, pertanto, doversi fare applicazione del rito appalti disciplinato dal comma 6 dell’art. 120 c.p.a., che ormai in maniera consolidata e “ordinariamente” si applica all’impugnativa di provvedimenti concernenti le procedure di affidamento relative a pubblici lavori, servizi o forniture, tanto da prevalere anche sul rito ordinario (come ad es. in caso di proposizione congiunta di domanda di annullamento di atti della procedura e domanda risarcitoria).
Diversamente, va ribadito, ci sarebbe un’eccessiva compromissione del diritto delle parti di difendersi e contraddire, in ragione dalla iper brevità dei termini processuali di cui al più volte richiamato comma 6 bis, di per sé (discutibilmente) giustificati nell’ottica di una straordinaria anticipazione della tutela giurisdizionale, funzionale all’esigenza di pervenire all’aggiudicazione avendo già chiaro chi sono i soggetti che legittimamente hanno titolo a partecipare alla selezione, e, dunque, più in vista dell’esigenza di garantire una stabilità a gradi progressivi della procedura di gara che non a tutela di un interesse attuale del ricorrente: solo potenzialmente pregiudicato dall’ammissione di altro concorrente (solo probabile aggiudicatario della gara), non essendo noto né se il primo (in ragione della definitiva collocazione in graduatoria) avrà interesse a proporre impugnazione avverso il conclusivo provvedimento di aggiudicazione, né se il controinteressato conseguirà il bene della vita agognato con la definitiva aggiudicazione dell’appalto.
E’ per tali superiori ragioni che l’applicazione del nuovo rito introdotto dal comma 6 bis dell’art. 120 c.p.a. va necessariamente e tassativamente limitata, essendosi peraltro già chiarito che le norme che introducono riti speciali costituiscono eccezioni tassative, sono di stretta interpretazione e insuscettibili di interpretazione analogica (cfr. Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, n. 10 del 2011).6. In conclusione, dovendo il giudizio in esame essere assoggettato alle regole del rito speciale appalti di cui all’art. 120, comma 6, c.p.a. va disposto il rinvio della trattazione delle questioni di merito del ricorso, per come in epigrafe proposto, ad un’udienza pubblica, fissata nel rispetto dei termini processuali a difesa delle parti intimate, alla data del 5 aprile 2017.
Rito “superspeciale” introdotto dal nuovo codice dei contratti – Ambito di applicazione – Temine per le impugnazioni (art. 204 d.lgs. n. 50/2016)
Consiglio di Stato, sez. III, 25.11.2016 n. 4994
2.2- La disposizione processuale asseritamente inosservata non può intendersi applicabile alla fattispecie in esame per le argomentazioni di seguito esposte.
2.3- Innanzitutto, e in via dirimente, il presente grado di giudizio risulta certamente estraneo all’ambito applicativo della previsione del cui rispetto si discute, in quanto il termine per la proposizione dell’appello (ivi stabilito) si riferisce, evidentemente, alle sole impugnazioni delle decisioni pronunciate nell’ambito del rito “superspeciale” introdotto dall’art. 204 d.lgs. n. 50 del 2016.
Le regole procedurali dettagliate al comma 6-bis dell’art. 120 c.p.a. descrivono, infatti, un rito accelerato per le impugnazioni delle ammissioni e delle esclusioni, nei casi meglio definiti al comma 2-bis, ed esauriscono un sistema processuale chiuso e speciale, sicchè la previsione del termine breve (asseritamente inosservato) per la proposizione dell’appello si inserisce (anch’essa) nel predetto regime procedurale, nel senso che deve intendersi operativa solo al suo interno e, quindi, per la sola impugnazione di sentenze di primo grado pronunciate su ricorsi introdotti e definiti ai sensi del combinato disposto dei commi 2-bis e 6-bis dell’art. 120 c.p.a.
Ora, è sufficiente osservare che, nella fattispecie in esame, il ricorso di primo grado non è stato “amministrato” con le regole procedurali del rito “superspeciale” in questione, anche perché il ricorso è stato notificato prima dell’emanazione del d.lgs. n. 50 del 2016 e la sentenza è stata (addirittura) assunta in decisione lo stesso giorno della sua entrata in vigore, per concludere che il presente giudizio di appello deve intendersi estraneo al perimetro applicativo della prescrizione relativa alla sua valida e tempestiva introduzione.
2.4- Non solo, ma il termine breve in questione deve intendersi inapplicabile anche per l’ulteriore considerazione che con il ricorso di primo grado è stata impugnata l’aggiudicazione dell’appalto F., e non la sua ammissione alla gara, sicchè, anche sotto questo assorbente profilo, la presente controversia esula dai confini dell’ambito di operatività del rito “superspeciale”, nella misura in cui quest’ultimo resta circoscritto al solo gravame dei provvedimenti che determinano l’ammissione alla (e le esclusioni dalla) procedura (Cons. St., sez, III, 27 ottobre 2016, n.4528).
2.5- Quand’anche, tuttavia, si intendessero superabili le predette ragioni preclusive, l’applicabilità del rito in questione alla presente causa dovrebbe, in ogni caso, essere esclusa sulla base degli argomenti di diritto intertemporale appresso dettagliati.
2.6- Com’è noto, quando viene introdotto un nuovo assetto normativo, che modifica un regime esistente, il legislatore deve (dovrebbe) farsi carico delle questioni di diritto intertemporale e dettare una chiara disciplina sulla transizione tra la regolazione previgente e quella nuova.
In astratto, le opzioni regolatorie concettualmente disponibili sono tre: a) la normativa anteriore continua ad applicarsi ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore del nuovo atto normativo (principio di ultrattività); b) la nuova normativa si applica anche ai rapporti pendenti (principio di retroattività); c) previsione di una regolazione autonoma provvisoria.
In mancanza di un’esplicita regolazione del regime transitorio, ma solo in quel caso, soccorrono all’interprete i noti principi del divieto di retroattività (art.11 delle preleggi: “la legge non dispone che per l’avvenire”), che impedisce di ascrivere entro l’ambito operativo di una disposizione legislativa nuova una situazione sostanziale sorta prima, e, per quanto riguarda le fattispecie sostanziali che constano di una sequenza di atti (ivi comprese quelle processuali), il principio del tempus regit actum, che impone di giudicare ogni atto della procedura soggetto al regime normativo vigente al momento della sua adozione.
Ovviamente, come già rilevato, i canoni ermeneutici da ultimo ricordati valgono nella sola ipotesi in cui il legislatore abbia omesso di dettare una disciplina transitoria, dovendosi, in quest’ultima evenienza, risolvere le questioni di diritto intertemporale alla (sola) stregua dei suoi dettami.
2.7- Orbene, il legislatore del 2016 si è fatto carico delle questioni di diritto transitorio e le ha chiaramente risolte scegliendo e utilizzando (tra quelle astrattamente disponibili) l’opzione dell’ultrattività, mediante, cioè, la previsione generale che le disposizioni introdotte dal d.lgs. n.50 del 2016 si applicano solo alle procedure bandite dopo la data dell’entrata in vigore del nuovo “Codice”, e, quindi, dopo il 19 aprile 2016, e il rinvio a disposizioni speciali e testuali di un diverso regime di transizione (art.216, comma 1).
L’anzidetta previsione, chiarissima nella sua portata precettiva, impedisce, innanzitutto, ogni esegesi di questioni ermeneutiche di diritto intertemporale che si fondi sulla regola tempus regit actum (pure prospettato come canone risolutivo, in senso contrario a quello qui affermato, del problema in esame), e che si rivela, evidentemente, recessiva rispetto a una disposizione normativa che regola la successione nel tempo delle leggi, e vincola, al contrario, l’interprete ad attenersi alla stretta applicazione della disciplina transitoria.
2.8- Così chiarite le coordinate ermeneutiche alla cui stregua devono essere risolti i problemi di diritto intertemporale, resta del tutto agevole ascrivere anche l’applicazione delle nuove regole processuali (contenute nell’art. 204 d.lgs. n. 50 del 2016) entro il perimetro operativo dell’art. 216, comma 1.
Là dove, infatti, quest’ultima previsione si riferisce “al presente Codice”, intende, evidentemente, comprendere entro il suo ambito applicativo tutte le disposizioni del decreto legislativo n. 50 del 2016, con le uniche eccezioni di deroghe testuali ed espresse alla predetta regola transitoria (come chiarito dall’incipit dell’art.216).
A prescindere, infatti, dalla curiosità lessicale che il titolo del decreto legislativo non reca (più) la dizione di “Codice”, viceversa presente nella legge delega, resta evidente che l’espressione letterale utilizzata all’art. 216, comma 1, deve intendersi riferita a tutte le previsioni normative contenute nel provvedimento normativo nel quale la relativa previsione transitoria risulta inserita.
Se, infatti, il legislatore avesse voluto escludere dall’ambito applicativo del regime transitorio le disposizioni processuali contenute nel decreto legislativo, lo avrebbe dovuto esplicitamente chiarire, come ha fatto per le previsioni riportate nei commi dell’art. 216 successivi al primo e come espressamente stabilito, quale criterio esegetico generale della disciplina transitoria, nella clausola di apertura del primo comma, con la conseguenza che, nel silenzio dell’art. 216, comma 1, e in mancanza di diverse disposizioni specificamente riferite alle innovazioni del Codice del processo amministrativo, il carattere generale della formulazione della suddetta previsione impone di ritenerla estesa a tutte le norme del nuovo “Codice” non menzionate da disposizioni transitorie speciali.
2.9- Né vale, di contro, obiettare che la disciplina transitoria in questione debba intendersi limitata alle sole previsioni direttamente riferibili al “Codice dei contratti pubblici” e non anche alle norme inserite, con esso, nel Codice del processo amministrativo.
In difetto di univoci indici che rivelino una chiara volontà di escludere dall’operatività del principio di ultrattività le norme processuali contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016, ogni opzione ermeneutica che giunga alla conclusione di applicare a queste ultime il principio della retroattività o, comunque, la regola del tempus regit actum si rivela arbitraria, siccome sprovvista di ogni fondamento positivo, e, in ogni caso, foriera di incertezze interpretative e di confusione applicativa (e, come tale, da rifiutare).
Sotto un profilo strettamente letterale, al contrario, il riferimento al “presente Codice” (seppur non immune dalle imprecisioni e dalle incertezze lessicali connesse al sorprendente, mancato utilizzo di quel termine nel titolo del provvedimento) dev’essere inteso come comprensivo di tutte le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 50 del 2016, senza possibilità di una incerta cernita selettiva di quelle soggette alla disciplina transitoria, atteso che il lemma “Codice” risulta utilizzato sia nella legge delega, sia all’art.1 del decreto legislativo (rubricato “Oggetto e ambito di applicazione”), sicchè il suo utilizzo nella norma dedicata a regolare la successione delle leggi nel tempo dev’essere decifrato come significativo del provvedimento normativo nella sua interezza.
2.10- Non solo, ma la regola del tempus regit actum risulta, nella fattispecie, del tutto inappropriata e inapplicabile, anche perché il rito “superspeciale” di cui ai commi 2-bis e 6-bis dell’art.120 c.p.a. risulta concepito e regolato in coerenza con la nuova disciplina procedimentale introdotta dal d.lgs. n. 50 del 2016, sicchè resta del tutto illogica la prospettata entrata in vigore differenziata dei due regimi (processuale e sostanziale).
A ben vedere, infatti, l’onere di impugnazione immediata, nel termine di trenta giorni, del “provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni ad essa all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali” risulta esigibile solo a fronte della contestuale operatività delle disposizioni del decreto legislativo che ne consentono l’immediata conoscenza da parte delle imprese partecipanti alla gara e, segnatamente, degli artt. 29, comma 1, e 76, comma 3.
In difetto del (contestuale) funzionamento delle regole che assicurano la pubblicità e la comunicazione dei provvedimenti di cui si introduce l’onere di immediata impugnazione – che devono, perciò, intendersi legate da un vincolo funzionale inscindibile – la relativa prescrizione processuale si rivela del tutto inattuabile, per la mancanza del presupposto logico della sua operatività e, cioè, la predisposizione di un apparato regolativo che garantisca la tempestiva informazione degli interessati circa il contenuto del provvedimento da gravare nel ristretto termine di decadenza ivi stabilito.
Diversamente opinando, e ritenendo, cioè, la regola processuale in questione applicabile anche alle procedure (ancora) soggette al regime sostanziale previsto nel d.lgs. n. 163 del 2006, che non contemplava analoghi strumenti conoscitivi dei provvedimenti di ammissione (in effetti non previsti in quella disciplina), si finirebbe per produrre l’inaccettabile (e, probabilmente, incostituzionale) effetto di imporre l’impugnazione immediata di atti (in particolare: le ammissioni alla procedura) che l’impresa interessata non è in grado di conoscere tempestivamente.
2.10- Si aggiunga, da ultimo, che, quand’anche permanessero dubbi esegetici sul regime temporale di applicazione delle nuove regole processuali esaminate, gli stessi dovrebbero essere risolti preferendo l’opzione ermeneutica meno sfavorevole per l’esercizio del diritto di difesa (e, quindi, maggiormente conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt. 24 e 113).
A fronte dell’introduzione di un gravoso (e, finora, inedito) onere processuale, quale quello relativo all’immediata impugnazione delle ammissioni alla gara (pacificamente escluso, prima dell’innovazione processuale in esame), dev’essere, infatti, rifiutata ogni lettura delle disposizioni sopravvenute che limiti o, addirittura, pregiudichi l’esercizio del diritto di difesa, come accadrebbe se si ammettesse l’operatività del nuovo rito anche con riferimento alle procedure bandite prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016 (in ragione delle preclusioni espressamente collegate dalla nuova normativa all’omessa, tempestiva impugnazione delle ammissioni di altre imprese concorrenti).
Nuovo rito appalti: presupposti per l’applicazione (art. 120, comma 6 bis, c.p.a.)
Tar Palermo, 28.10.2016 n. 1082 (ord.)
Fermo restando la necessità di un maggiore approfondimento nella fase di merito, non sembrerebbe fondata l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla controinteressata, la quale sostiene che, in base al disposto dell’art. 120, comma 6 bis, c.p.a., aggiunto dall’art. 204, comma 1, lettera d), del d.lgs.vo n. 50 del 18 aprile 2016, costituente norma processuale, il provvedimento di ammissione contenuto nel verbale del 19 gennaio 2016 avrebbe dovuto essere impugnato entro il termine perentorio di 30 giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione.
Sembra, infatti, al collegio che, indipendentemente dalla complessa questione dell’applicabilità di tale disposizione a una gara bandita sulla base del previgente d.lgs.vo n. 163 del 2006, non appare ragionevole l’estensione del rigoroso regime dalla stessa previsto a provvedimenti di ammissione adottati più di 30 giorni prima della sua entrata in vigore con conseguente spostamento del dies a quo a tale data.
Ambito di applicazione del nuovo rito appalti introdotto dall’art. 120, comma 6-bis, Codice del Processo Amministrativo
Consiglio di Stato, sez. III, 27.10.2016 n. 4528
Va anzitutto disattesa l’eccezione di tardività sollevata da R. con riferimento al disposto dell’art. 120, comma 6-bis, del cod. proc. amm., introdotto dall’art. 204 del d.lgs. 50/2016 (nuovo Codice dei contratti pubblici), che prevede, per la proposizione dell’appello nei casi considerati dal comma 2-bis (impugnazioni delle esclusioni o delle ammissioni alla procedura di affidamento, all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi), un termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza.
Infatti, la sentenza gravata consegue all’impugnazione di un provvedimento di aggiudicazione, e quindi è al di fuori dell’ambito tematico considerato dal predetto comma 2-bis, e comunque l’art. 216 del d.lgs. 50/2016 dispone che le disposizioni del Codice si applicano alle procedure ed ai contratti per i quali i bandi o avvisi sono pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del Codice, mentre l’avvio della procedura in esame risale al 2014.
Ricorso in appello – Mancata impugnazione dell’aggiudicazione definitiva adottata in esecuzione della sentenza di primo grado – Conseguenze
Consiglio di Stato, sez. V, 11.10.2016 n. 4182
Deve essere anzitutto esaminata l’eccezione di inammissibilità o improcedibilità dell’appello per carenza di interesse per mancata impugnazione del nuovo provvedimento di aggiudicazione.
Consolidata giurisprudenza afferma che non può essere dichiarato inammissibile un appello per non essere stata impugnata l’aggiudicazione definitiva (ovvero, una nuova aggiudicazione) pronunciata in esecuzione della sentenza di primo grado.
Infatti il principio dell’effetto espansivo esterno della riforma della sentenza appellata, posto in tema di impugnazioni dall’art. 336, secondo comma, Cod. proc. civ. (a norma del quale «la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata») è un principio generale del processo. Come tale, è applicabile al processo amministrativo in forza del rinvio esterno dell’art. 39 del Cod. proc. amm.. Esso implica, nel caso di accoglimento dell’appello, l’automatica caducazione della aggiudicazione medio tempore disposta in dichiarata esecuzione della sentenza esecutiva del Tribunale amministrativo regionale (es., Cons. Stato, VI, 15 settembre 2015, n. 4283; III, 14 gennaio 2015, n. 57; V, 18 novembre 2011, n. 6093; IV, 8 giugno 2007, n. 3012; V, 8 giugno 1992, n. 529). Ne consegue che, in caso di accoglimento del suo appello, il Consorzio Stabile Dinamico mantiene intatto l’interesse ad ancora divenire parte del contratto e che non è dato presumere una sua acquiescenza all’aggiudicazione definitiva.
In quali casi l’impresa che non ha partecipato alla gara può impugnarne l’esito al fine di ottenerne la ripetizione?
In quali casi l’impresa che non ha partecipato alla gara può impugnarne l’esito al fine di ottenerne la ripetizione? E’ noto che condizione essenziale per poter contestare in sede giudiziaria la determinazione negativa della stazione appaltante e per essa della commissione di gara nella nuova gara, è l’avvenuta presentazione nei termini fissati dal bando o dalla lettera d’invito della domanda di partecipazione.
Nel caso in cui un impresa non ha partecipato alla gara, essa non ha alcun interesse giuridicamente rilevante a censurarne l’esito al fine di ottenerne la ripetizione, in quanto titolare di un mero interesse di fatto.
Il principio sopra esposto, in coerenza con i principi affermati anche in sede comunitaria, può essere derogato riconoscendo la legittimazione a ricorrere anche al non partecipante alla gara, ma solo in tre specifiche ipotesi:
– quando, a prescindere, dalla partecipazione alla stessa, il ricorrente abbia specificatamente impugnato la scelta dell’amministrazione di indire la gara;
– quando il ricorrente non abbia potuto partecipare alla gara per mancanza della stessa in quanto l’Amministrazione ha proceduto ad affidamento diretto;
– quando il bando di gara contenga clausole escludenti per il ricorrente.
(In termini, Consiglio di Stato, Ad. Pl., 07.04.2011, n. 4 e Consiglio di Stato, sez. V, 25.03.2016 n. 1242)