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Gratuità per affidamento riservato ad enti non profit : interpretazione e condizioni di ammissibilità

Consiglio di Stato, sez. VI, 07.08.2024 n. 7020

9.1. Il Collegio osserva, anzitutto, che i precedenti della Corte di Giustizia citati dal Comune appellante sono errati e del tutto inconferenti. Rileva, invece, la sentenza della CGUE pronunciata nella causa C- 50/2016, la quale si è pronunciata in merito alla possibilità di affidare servizi socio-sanitari ad associazioni di volontariato attive nel suddetto settore. Con riferimento al suddetto settore la Corte, ai punti 62 e seguenti, si è espressa come segue:
“62 In secondo luogo, uno Stato membro può ritenere, nell’ambito del potere discrezionale di cui dispone per stabilire il livello di tutela della sanità pubblica e organizzare il proprio sistema di sicurezza sociale, che il ricorso alle associazioni di volontariato corrisponda alla finalità sociale di un servizio di trasporto sanitario e che sia idoneo a contribuire al controllo dei costi legati a tale servizio (v., in tal senso, sentenza Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., C-113/13, EU:C:2014:2440, punto 59).
63 Tuttavia, un sistema di organizzazione del servizio di trasporto sanitario come quello in discussione nel procedimento principale, che consente alle amministrazioni competenti di ricorrere ad associazioni di volontariato, deve effettivamente contribuire alla finalità sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio su cui detto sistema è basato (sentenza Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., C-113/13, EU:C:2014:2440, punto 60).
64 A tale riguardo è necessario che, nel loro intervento in tale contesto, le associazioni di volontariato non perseguano obiettivi diversi da quelli menzionati al punto precedente della presente sentenza, che non traggano alcun profitto dalle loro prestazioni, a prescindere dal rimborso di costi variabili, fissi e durevoli nel tempo necessari per fornire le medesime, e che non procurino alcun profitto ai loro membri. Peraltro, se è ammissibile che si avvalgano di lavoratori, poiché, in caso contrario, dette associazioni sarebbero pressoché private della possibilità effettiva di agire in vari ambiti in cui il principio di solidarietà può naturalmente essere attuato, l’attività delle associazioni in parola deve rispettare rigorosamente i requisiti loro imposti dalla legislazione nazionale (sentenza Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., C-113/13, EU:C:2014:2440, punto 61).
65 In considerazione del principio generale del diritto dell’Unione del divieto dell’abuso di diritto, l’applicazione della menzionata legislazione non può estendersi fino a ricomprendere pratiche abusive delle associazioni di volontariato o anche dei loro membri. Quindi, l’attività delle associazioni di volontariato può essere svolta da lavoratori unicamente nei limiti necessari al suo regolare funzionamento. Relativamente al rimborso dei costi occorre vegliare a che nessuno scopo di lucro, nemmeno indiretto, possa essere perseguito sotto la copertura di un’attività di volontariato, e altresì a che il volontario possa farsi rimborsare soltanto le spese effettivamente sostenute per l’attività fornita, nei limiti previamente stabiliti dalle associazioni stesse (sentenza Azienda sanitaria locale n. 5 «Spezzino» e a., C-113/13, EU:C:2014:2440, punto 62).”.

9.2. Il su riportato passaggio, che si legge nella sentenza della CGUE C- 50/2016, evidenzia che tra le condizioni di ammissibilità degli affidamenti di servizi riservati ad associazioni di volontariato debbono potersi apprezzare, oltre alla rispondenza del servizio a finalità sociali e al perseguimento di obiettivi di solidarietà ed efficienza, l’idoneità dell’affidamento a contribuire al controllo dei costi legati al servizio e quindi alla efficienza di bilancio del sistema, ed inoltre la assenza di qualsiasi scopo di lucro dell’associazione: in particolare, allo scopo di evitare eventuali abusi “l’attività delle associazioni di volontariato può essere svolta da lavoratori unicamente nei limiti necessari al suo regolare funzionamento”. I limiti cui la Corte di Giustizia ha circoscritto l’ammissibilità del ricorso dell’affidamento di appalti di servizi solo ad associazioni di volontariato rendono evidente la correttezza del parere di questo Consiglio di Stato n. 2052/2018, citato dal TAR, avente la normativa applicabile agli affidamenti di servizi sociali alla luce del combinato disposto del D. L.vo 50/2016 e del Codice del terzo settore (D. L.vo 117/2007).
9.2.1. Nell’indicato parere il Consiglio di Stato ha prima di tutto, richiamato il proprio precedente parere n. 1405, del 14 giugno 2017, reso sullo schema del Codice del terzo settore, laddove si faceva rilevare che la materia degli enti non profit, pur non rientrando nelle competenze della Unione Europea deve, nondimeno, rispettare la disciplina europea in materia di concorrenza (secondo quanto stabilito nella sentenza della CGUE in causa C-386/04), e che secondo la Corte di Giustizia per “impresa” deve intendersi l’organismo che «esercita un’attività economica, offrendo beni e servizi su un determinato mercato, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento» (a partire quantomeno da CGCE, 23 aprile 1991, in causa C-41/90, Höfner). Nel parere n. 2052/2018 il Consiglio di Stato ha quindi rilevato che l’ascrizione, ai fini euro-unitari, della natura imprenditoriale ad ogni attività di intrinseco rilievo economico incontra le sole esclusioni esplicitamente previste dallo stesso diritto euro-unitario, che, concretando disposizioni eccezionali, sono da interpretarsi in forma tassativa: solo le attività non economiche possono ritenersi radicalmente estranee alla regolazione competitiva euro-unitaria.
9.2.2. Nel parere in esame si fa rilevare, inoltre, che le direttive appalti del 2014, a differenza delle direttive del 2004, includono espressamente i servizi sociali nel proprio ambito di applicazione, “disvelando la sottesa mens legis tesa ad un approfondimento ed avanzamento progressivo dei principi del mercato anche in un settore, quale quello de quo, prima lasciato ai decisori nazionali.”, ragione per cui l’affidamento dei servizi sociali, comunque sia disciplinato dal legislatore nazionale, deve ritenersi di regola soggetto alla normativa pro-concorrenziale di origine europea, salvo che ricorrano alcune condizione, tra cui la circostanza che l’ente affidatario svolga il servizio a titolo integralmente gratuito.
9.2.3. La gratuità, che consente l’affidamento selettivo riservato ad enti non profit, deve essere intesa, secondo il Consiglio di Stato, tenendo presente che “lo svolgimento di un servizio in assenza di corrispettivo non pone in radice problemi di distorsione della concorrenza in quanto (e nei limiti in cui) si risolve in un fenomeno non economico, ossia strutturalmente al di fuori delle logiche di mercato perché incapace di essere auto-sufficiente mediante la copertura dei costi con i ricavi. In tal caso la gratuità assume due significati: sotto un primo profilo, la creazione di ricchezza tramite il lavoro del prestatore di servizi non remunerato dal profitto; sotto un secondo profilo il sostenimento eventuale di costi senza rimborso né remunerazione, a puro scopo di solidarietà sociale (evenienza tipica delle associazioni di volontariato, cfr art. 17 del codice del terzo settore). In tali casi si realizza la corretta fattispecie della gratuità, vale a dire un aumento patrimoniale di un soggetto, in questo caso la collettività, cui corrisponde una sola e mera diminuzione patrimoniale di altro soggetto, cioè il depauperamento del capitale lavoro o del patrimonio del prestatore. Per questa linea, la effettiva gratuità si risolve contenutisticamente in non economicità del servizio poiché gestito, sotto un profilo di comparazione di costi e benefici, necessariamente in perdita per il prestatore. Di conseguenza, esso non è reso dal mercato, anzi è fuori del mercato. Viceversa, la gratuità si risolverebbe, addirittura, in concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori che in ipotesi dessero vita a un mercato di tali servizi.”.
9.2.4. Più in dettaglio, quanto al concetto di onerosità/gratuità, il Consiglio di Stato ha ritenuto che “solo il rimborso spese a pie’ di lista che, in particolare, escluda la remunerazione, anche in maniera indiretta, di tutti i fattori produttivi e comprenda unicamente le documentate spese vive, correnti e non di investimento, incontrate dall’ente, consente di affermare la gratuità della prestazione del servizio e, dunque, di postulare la estraneità all’ambito del Codice dei contratti pubblici. E’, in special modo, necessario che sia acclarata l’assenza di qualunque remunerazione a carico del soggetto pubblico affidante, quale che ne sia la formale denominazione e qualunque sia il meccanismo economico o contabile anche indiretto, al personale volontario o dipendente e direttivo dell’ente e, altresì, che non ricorrano forme di forfetizzazione dei rimborsi né di finanziamento a fondo perduto, né di finanziamento, acquisto o contributo in conto capitale. Solo la sicura esclusione di ogni possibile ripianamento con risorse pubbliche del costo dei fattori produttivi utilizzati dall’ente e l’assenza di alcuna forma di incremento patrimoniale anche se finalizzato al servizio stesso dimostrano, infatti, l’oggettiva assenza dell’economicità e, dunque, determinano l’ascrizione del servizio entro la categoria dei servizi non economici di interesse generale, con conseguente fuoriuscita dall’ambito oggettuale del Codice dei contratti pubblici”.
9.2.5. Tale interpretazione del concetto di gratuità/onerosità ben risponde, ad avviso del Collegio, all’esigenza di evitare l’abuso del ricorso agli affidamenti ad enti non profit, contro il quale la Corte di Giustizia ha messo in guardia con la sentenza resa nella causa C-50/2016, laddove essa evidenziava che simili affidamenti debbono rispondere anche all’esigenza di contenere i costi della finanza pubblica e, in tal modo, di mantenere l’efficienza del sistema in generale, ed anche che le associazioni di volontariato possono avvalersi di dipendenti solo “nei limiti necessari al suo regolare funzionamento”.
9.2.6. Tenuto conto di quanto già statuito dalla CGUE nella sentenza resa in causa C-50/2016, la conformità alla normativa europea del combinato disposto del D. L.vo n. 50/2016 e del D. L.vo n. 117/2007, come rinveniente dal parere reso da questo Consiglio di Stato n. 2053/2018, si impone con evidenza e tale da poter essere condivisa, ad avviso del Collegio, agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri nonché alla stessa Corte di Giustizia, anche per la ragione che non constano precedenti, della Corte di Giustizia, di questo Consiglio di Stato o di giudici di altri Stati membri di segno opposto. Per tale ragione il Collegio non ritiene necessario sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea alcun quesito pregiudiziale avente ad oggetto l’indicato disposto normativo.

Costo della manodopera pari a zero – Utilizzo di personale volontario – Verifica di anomalia – Chiarimenti (art. 45 , art. 97 d.lgs. n. 50/2016)

TAR Bologna, 09.04.2019 n. 333

1) L’offerta economica presentata è stata redatta sul modello fac-simile predisposto dalla amministrazione. In detto modello (…) era prevista l’indicazione espressa del costo della manodopera e detto elemento costitutivo dell’offerta è stato letto ed erroneamente interpretato dalla concorrente (….) le indicazioni per la compilazione del modello hanno portato la (controinteressata) a ritenere vincolante l’indicazione di un costo di manodopera dal momento che si è (erroneamente) ritenuto che a fronte della indicazione di un costo di manodopera pari a “0” detta voce sarebbe stata comunque valorizzata dalla SA con riferimento al costo base indicato in bando. Per tale ragione la dichiarazione resa dalla (controinteressata) nella compilazione del modello porta la cifra indicativa esposta dalla amministrazione nel bando.
b). nell’offerta tecnica presentata si legge che “la struttura organizzativa è composta interamente da personale volontario” e che la controinteressata “non” ha personale dipendente.
c). in ogni caso, è perfettamente legittimo l’utilizzo del personale volontario che rientra nella libertà imprenditoriale di organizzazione del lavoro.
La giurisprudenza ha affermato i seguenti principi :
a). “le associazioni di volontariato possono partecipare alle gare per l’affidamento di pubblici servizi nei casi in cui l’attività oggetto di gara sia funzionale allo scopo associativo dell’ente e compatibile con la disciplina statutaria di esso” (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 23 gennaio 2017 n. 39; Consiglio di Stato, n.116/2016).
b). una sentenza della Corte di Giustizia (CGE 23.12.2009, causa C-305/08) ha chiarito che la nozione comunitaria di imprenditore non presuppone la coesistenza dello scopo di lucro dell’impresa e che pertanto l’assenza di fine di lucro non è di per sé ostativa della partecipazione ad appalti pubblici [rif. art.  45 d.lgs. n. 50/2016, ndr.]
c). l’utilizzo del soccorso istruttorio è pure legittimo in quanto principio di carattere generale al fine di poter utilizzare una documentazione completa ed esauriente.

2) In linea generale, vanno richiamati gli orientamenti giurisprudenziali relativi al procedimento di verifica e al divieto di modifiche dell’offerta [rif. art.  97 d.lgs. n. 50/2016, ndr.].
Come noto, per consolidata giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 63) il giudizio di congruità non è diretto ad evidenziare singole inesattezze dell’offerta (la c.d. “caccia all’errore”), ma mira ad accertare se l’offerta nel suo complesso sia attendibile ed affidabile e, dunque, se sia o meno in grado di offrire serio affidamento circa la corretta esecuzione della prestazione richiesta (tra le tante: Consiglio di Stato, sez. III, 29 aprile 2015, n. 2186; id., sez. V, 23 marzo 2015, n. 1565).
Pur restando fermo il principio per cui in un appalto l’offerta, una volta presentata, non è suscettibile di modificazione – pena la violazione della par condicio tra i concorrenti – ciò non toglie che, avendo la verifica di anomalia, così come quella di congruità, la finalità di stabilire se l’offerta sia, nel suo complesso e nel suo importo originario, affidabile o meno, il giudizio di anomalia deve essere complessivo e deve tenere conto di tutti gli elementi, sia di quelli che militano a favore, sia di quelli che militano contro l’attendibilità dell’offerta nel suo insieme.
Come noto, l’esigenza di permettere all’offerente di presentare chiarimenti deve essere contemperata con l’altrettanto importante principio secondo il quale l’offerta “non” può essere modificata in sede di gara, pena l’evidente violazione della par condicio dei concorrenti.
In buona sostanza, il contraddittorio deve essere in qualche misura limitato, nel senso che al concorrente non può essere consentito di ribaltare o rimodulare la proposta con la quale partecipa alla gara.
E’ dunque evidente che il sub-procedimento di giustificazione dell’offerta anomala non è volto a consentire aggiustamenti dell’offerta per così dire in itinere ma mira, al contrario, a verificare la serietà di una offerta consapevolmente già formulata ed immutabile.
La giurisprudenza ha affermato che – se le modificazioni vanno a modificare il prezzo offerto, falsando del tutto la graduatoria e ponendosi in rotta di collisione con il principio della par condicio tra concorrenti – queste costituiscono “non” una giustificazione, ma un’inammissibile modificazione strutturale dell’offerta, dunque della futura proposta contrattuale, in una fase di termini largamente scaduti ed in una fase, la giustificazione delle anomalie, che deve verificare la serietà di un’offerta nei suoi termini di formulazione e la cui modificazione si pone quindi in contrasto irrimediabile tanto dello scopo principale della stessa verifica, quanto con i principi posti a governo dello svolgimento delle pubbliche gare.

Errore grave nell’esercizio dell’attività professionale – Dichiarazione sintetica (o incompleta) – Soccorso istruttorio – Applicabilità (Artt. 38, 46 D.Lgs. 163/2006)

Consiglio di Stato, sez. IV, 20.04.2016 n. 1555

Si tratta nella specie, come ha rettamente notato la stessa I. s.p.a. che ha comunque sottoposto la relativa dichiarazione a valutazione (donde il rigetto del terzo motivo assorbito: pagg. 31/32 del ricorso in epigrafe), d’una fattispecie che ha riguardato i rapporti tra l’impresa ausiliaria ed una stazione appaltante terza rispetto a quella che ha bandito la gara per cui è causa, per cui si applica il ripetuto art. 38, c. 1, lett. f), ma solo laddove esclude dalla gare pubbliche quelle imprese «… che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante…».
Ebbene, quanto al contenuto della dichiarazione, dalla sua serena lettura il Collegio è convinto che l’impresa ausiliaria ha offerto alla SA ogni elemento utile per consentirle un preciso controllo sulla vicenda sottesa. In tal modo, l’impresa non solo non ha violato regole di buona fede nella procedura di gara (e, quindi, nelle trattative precontrattuali), ma soprattutto ha realizzato l’obiettivo sotteso al medesimo art. 38, lett. f), che non ha un carattere sanzionatorio, ma tutela l’elemento fiduciario che deve necessariamente sussistere tra la SA e l’impresa con cui vuol contrarre (cfr. sul punto Cons. St., III, 26 febbraio 2016 n. 802). Sicché tal dichiarazione non è certo incompleta poiché, fornendo i dati essenziali della statuizione della Provincia di Massa Carrara, ha consentito alla SA d’acquisire il documento secondo le ordinarie regole della leale collaborazione tra i soggetti pubblici e senza alcun apprezzabile ritardo nello svolgimento della gara. Ed anche ad ammettere che non attingesse alla completezza, la dichiarazione così confezionata non avrebbe potuto portare in modo automatico all’esclusione dell’impresa ausiliaria, ma al più avrebbe imposto, a cura della SA ed in presenza d’un serio principio di prova offerto da detta impresa, un soccorso istruttorio ex art. 46, c. 1 del Dlg 163/2006. Tanto mercé l’assegnazione all’impresa ausiliare d’un termine per l’esibizione della nota provinciale e per fornire chiarimenti su tutto quanto occorso nel rapporto tra l’impresa stessa e la Provincia, ma senza limitarsi al solo dato della risoluzione.
Neppure è mendace e men che mai si può certo dire fuorviante, perché non ha indotto in errore la SA con dolo, né le ha posto ostacoli gravi o dirimenti alla conoscenza di essa sulla reale consistenza della vicenda sottesa. E quand’anche detta impresa avesse voluto descrivere quest’ultima in ogni suo minimo particolare alla SA, ciò sarebbe stato comunque inopponibile ai poteri di accertamento e di giudizio autonomi di quest’ultima, senza con ciò agevolarla nella sostanza più di quanto già non avesse fatto la predetta dichiarazione.

Le associazioni di volontariato possono partecipare ad appalti pubblici?

Le associazioni di volontariato possono partecipare ad appalti pubblici? Alla luce della direttiva CE n.18/2004 e della giurisprudenza della Corte di Giustizia (CGE 23.12.2009, causa C-305/08) la nozione comunitaria di imprenditore non presuppone la coesistenza dello scopo di lucro dell’impresa, per cui “l’assenza di fine di lucro non è di per sé ostativa della partecipazione ad appalti pubblici. Quanto, in particolare, alle associazioni di volontariato, ad esse non è precluso partecipare agli appalti, ove si consideri che la legge quadro sul volontariato, nell’elencare le entrate di tali associazioni, menziona anche le entrate derivanti da attività commerciali o produttive svolte a latere, con ciò riconoscendo la capacità di svolgere attività di impresa. Esse possono essere ammesse alle gare pubbliche quali “imprese sociali”, a cui il d.lg. 24 marzo 2006 n. 155 ha riconosciuto la legittimazione ad esercitare in via stabile e principale un’attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità d’interesse generale, anche se non lucrativa” (vedi ex multis CdS n283/2013 nonché n.5882/2012).
La esposta nozione di imprenditore, tra l’altro, risulta recepita anche dal Codice dei Contratti ( DLGS n.163/2006), che si riferisce all’imprenditore come “operatore economico” ammesso a partecipate alle gare per la realizzazione di opere e l’affidamento di servizi senza ulteriori specificazioni (Consiglio di Stato, sez. III, 15.01.2016 n. 116).

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