Violazione dei protocolli di legalità o dei patti di integrità: casi in cui comporta l’esclusione – Revoca dell’aggiudicazione provvisoria: modalità e limiti (Art. 46)

Consiglio di Stato, sez. V, 31.08.2015 n. 4042
(sentenza integrale)

“6 La Sezione ritiene condivisibile, in primo luogo, l’obiezione di parte appellante, logicamente preliminare, di non avere violato l’art. 5, comma 3, del Codice etico (appello, pag. 14 e segg.): obiezione la cui fondatezza rende recessiva l’eccezione comunale secondo cui il ricorso di primo grado sarebbe inammissibile per l’omessa impugnativa del regolamento comunale per la disciplina dei contratti nella parte in cui imponeva, appunto, l’osservanza del medesimo Codice etico.
6a A base di quest’ultima fonte sta la legge 6 novembre 2012 n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione), che, all’art. 1 comma 17, dispone quanto segue: “Le stazioni appaltanti possono prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalita’ o nei patti di integrita’ costituisce causa di esclusione dalla gara.”
Il Comune di Torino ha fatto applicazione della norma appena vista approvando un proprio Codice etico e imponendone l’osservanza, con l’art. 1 del regolamento per la disciplina dei contratti, in ogni contratto d’appalto (regola richiamata dalla lex specialis del caso concreto).
6b Il primo Giudice, pur riconoscendo che nell’ordinamento italiano e comunitario vige il principio della tassatività delle cause di esclusione, non ha ritenuto che la previsione della specifica potestà di esclusione di cui all’art. 1, comma 17, legge cit. contrastasse con tale principio. Ciò sul rilievo che l’art. 46, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163/2006 considera legittima la generalità delle esclusioni disposte in base alle leggi vigenti, nel cui novero rientra, appunto, anche la legge n. 190/2012 (C.G.A.R.S. ord. 12 settembre 2014, n. 534; sent. 2 settembre 2014, n. 490).
A questo riguardo, però, la Sezione non può esimersi dall’osservare che il richiamo che la legge n. 190/2012 fa alle esclusioni applicative delle previsioni dei “protocolli di legalità o patti di integrità” si presenta del tutto indeterminato, con il risultato di far apparire la norma di legge recante tale richiamo come una sorta di precetto in bianco.
Da qui la necessità, affinché il rispetto del canone della tassatività delle cause di esclusione non sia solo formale, di sottoporre le regole dei c.d. protocolli di legalità o patti d’integrità a un’interpretazione rigorosa, all’insegna dell’attento rispetto della lettera e, soprattutto, della ratio che le contraddistingue, e in coerenza con il principio comunitario di proporzionalità
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6c Poste queste premesse, occorre ora avere riguardo ai contenuti del Codice etico del Comune di Torino rilevanti ai fini di causa.
L’art. 1 del Codice (“Ambito di applicazione”) avverte, introduttivamente, che “Il presente codice etico regola i comportamenti che vengono posti in essere con riferimento alle gare d’appalto e ai contratti del Comune di Torino”.
L’art. 5 del Codice, concernente i “Rapporticon gli Uffici Comunali”, con il suo comma 1 stabilisce che “Nel partecipare a gare d’appalto, nelle trattative e negoziazioni comunque connesse conappalti comunalie nella successiva esecuzione, la ditta si astiene da qualsiasi tentativo di influenzare impropriamente i dipendenti dell’ente che lo rappresentano ovvero trattano o prendono decisioni per conto del Comune di Torino”; il comma 3 aggiunge: “Non è altresì consentito esaminare o proporre opportunità di impiego e/o commerciali che possono avvantaggiare i dipendenti a titolo personale”.
La violazione delle disposizioni del Codice è sanzionata, infine, dal successivo art. 8, in forza del quale “La violazione delle norme stabilite dal presente codice per una corretta e leale concorrenza nella gara d’appalto comporterà l’esclusione dalla gara ai sensi delle vigenti norme legislative ovvero, qualora la violazione sia riscontrata in un momento successivo, l’annullamento dell’aggiudicazione e la risoluzione del contratto… “.
6d Il Giudice di prime cure, come si è già esposto, ha condiviso la conclusione dell’Amministrazione che l’appellante fosse incorsa in una violazione dell’art. 5, comma 3, del Codice etico.
Il T.A.R. ha rilevato che “l’assunzione presso l’impresa privata dell’incarico (retribuito) di direttore tecnico, è circostanza foriera di una posizione di indebito vantaggio personale, imputabile al dipendente comunale, potendo questi indirettamente beneficiare dell’affidamento pubblico nel quale è chiamato a rendere la propria opera.”
6e Occorre però subito osservare, al riguardo, che nella vicenda in controversia non è emersa, né è stata adombrata, alcuna forma di connessione tra la posizione funzionariale che l’arch. M. ricopriva presso il Comune e la procedura della cui aggiudicazione si tratta, e neppure si è profilato il perseguimento da parte dell’attuale appellante di vantaggi impropri.
Venendo al senso esatto da attribuire al precetto dell’art. 5, comma 3, è il caso di rammentare che l’art. 1 del Codice avverte che la relativa fonte regola i comportamenti “posti in essere con riferimento alle gare d’appalto e ai contratti del Comune ”; e che l’art. 8, dal canto suo, correla l’esclusione dalle gare alla violazione delle norme stabilite dal Codice “per una corretta e leale concorrenza”.
Se è vero, quindi, che nel testo del comma 3 dell’art. 5 si formula un divieto in apparenza generalizzato “di proporre opportunità di impiego e/o commerciali che possono avvantaggiare i dipendenti a titolo personale”, senza distinzioni tra questi ultimi, tale disposizione sembra però dover essere letta in connessione con quella di apertura dello stesso articolo, che, riferendosi proprio alle gare pubbliche, impone alle ditte di astenersi da qualsiasi tentativo di influenzare impropriamente “i dipendenti dell’ente che lo rappresentano ovvero trattano o prendono decisioni per conto del Comune di Torino” (in altre parole, come deduce l’appellante, i commi 2 e 3 dell’art. 5 sanzionerebbero solo delle modalità di specie attraverso le quali potrebbe concretizzarsi la condotta generale delineata dal comma 1).
In questa direzione spingono, infatti, tanto le indicazioni desumibili dagli artt. 1 e 8 del Codice, appena riportate, quanto le avvertenze fatte nel paragr. 6b sulla necessità di sottoporre le previsioni dei protocolli di legalità/patti d’integrità a un’interpretazione rigorosa e coerente con il principio di proporzionalità.
Senza dire che l’opposta interpretazione del comma 3, ossia quella lata sostenuta dal Comune, non sarebbe compatibile con la configurazione del relativo precetto quale norma “anticorruzione”, e sarebbe pertanto ardua da conciliare con il principio di proporzionalità.
6f Si rivela quindi condivisibile il rilievo di fondo della ricorrente che, poiché l’arch. M. non aveva alcuna veste nella vicenda di evidenza pubblica, e perciò non rientrava, rispetto all’appalto in rilievo, tra i “dipendenti dell’ente che lo rappresentano ovvero trattano o prendono decisioni per conto del Comune di Torino”, l’offerta di collaborazione rivoltagli non poteva integrare una causa di esclusione, non avendo alcun nesso con la gara (tra l’altro, una gara al massimo ribasso), e non attenendo alla “corretta e leale concorrenza” in seno a questa, né ad altre procedure d’appalto comunali. Come ha dedotto l’appellante, la posizione ricoperta dal funzionario presso il Comune era totalmente estranea all’appalto, non avendo egli mai ricoperto un incarico che lo concernesse, e pertanto non c’era stata, né sarebbe stata possibile, alcuna forma di condizionamento della gara, dall’Amministrazione significativamente nemmeno ipotizzata. Inoltre, come nell’appello è stato dedotto (pagg. 5 e 15) senza dare adito a smentita, la cooperativa, “per prevenire ogni situazione di possibile conflitto di interessi, successivamente alla nomina dell’arch. M … ha evitato di partecipare sia alle gare bandite dal Comune di Torino in categoria OG2 (procedura aperta n. …) che alle gare per altre categorie di lavori ove l’arch. M. aveva svolto attività per conto dell’Amministrazione (procedure aperte nn. …).”
6g Tanto più insufficiente a giustificare l’esclusione della ricorrente è, infine, la circostanza che il funzionario fosse stato autorizzato dal Comune, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, a svolgere presso la I. un’attività di (sola) consulenza tecnica, e pertanto prestazioni diverse da quelle di direzione tecnica: circostanza che, se può assumere rilievo sul piano del rapporto di servizio del dipendente con la propria Amministrazione, non è però opponibile alla società, e non può di conseguenza assurgere neppure essa a causa di esclusione dalla gara.
6h Per quanto fin qui detto la Sezione deve dunque escludere che il provvedimento impugnato possa trovare giustificazione nell’assunto che la I. avrebbe violato l’art. 5, comma 3, del Codice etico.
7a La motivazione del provvedimento in contestazione riposava, infine, sul rilievo che i fatti emersi a carico della cooperativa ne avrebbero comunque compromesso l’affidabilità.
Secondo l’Amministrazione, segnatamente, è palese che “i vizi dell’attestazione SOA sul fronte dei requisiti di qualificazione e la violazione del Codice etico sul versante della moralità professionale, facciano venir meno il rapporto fiduciario con la S.A., rendendo inaffidabile la società stessa”.
7b Il Tribunale ha ritenuto valida anche questa componente motivazionale dell’atto comunale, osservando che le circostanze di fatto evidenziate “valevano comunque a legittimare sul piano della mera opportunità e dell’interesse pubblico l’esercizio del potere di autotutela, nell’ambito del quale va inquadrato l’atto di revoca dell’aggiudicazione”.
7c Anche questo capo della sentenza impugnata è stato, però, persuasivamente censurato con il presente appello.
L’appellante ha fatto invero esattamente notare come la P.A. sia titolare di un ampio potere discrezionale di revoca dell’aggiudicazione provvisoria esclusivamente in caso di contestuale revoca integrale della gara, evenienza nella quale, venendo meno l’intera procedura, non esiste un rischio di alterazione della concorrenza (cfr. sull’evenienza, ad es., C.d.S., V, 29 dicembre 2014, n. 6406; VI, 6 maggio 2013, n. 2418; v. anche Corte di Giustizia UE, Sez. V, 11 dicembre 2014 n. 440, par. 35).
Discorso diverso vale tuttavia quando, come nel caso concreto, la revoca dell’aggiudicazione sia espressione di un’esclusione individuale, ossia comporti soltanto la perdita della commessa da parte dell’iniziale vincitrice della gara e la sua attribuzione a una concorrente, determinando il prevalere di un’offerta sull’altra in base ad una valutazione soggettiva dell’offerente. In queste condizioni, è evidente che il riconoscimento alla Stazione appaltante di un ampio potere discrezionale di revoca della singola aggiudicazione sarebbe incompatibile con l’esigenza di un corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali
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Nella fattispecie, il Comune ha espresso la propria valutazione d’inaffidabilità a carico della ricorrente richiamandosi a elementi dei quali è stata qui già esclusa l’attitudine a integrare delle possibili cause di esclusione. E il principio di tassatività di queste ultime, che è applicabile anche ai requisiti morali di affidabilità di cui all’art. 38 d.lgs. n. 163/2006, impedisce di estendere discrezionalmente il relativo elenco a circostanze ulteriori, quand’anche l’Amministrazione ricorra all’accorgimento di innestare su di esse un giudizio – del resto qui del tutto apodittico – di inaffidabilità dell’impresa.
Si rivela perciò corretto l’assunto di I. che l’Amministrazione, al di fuori delle ipotesi tipizzate – direttamente o indirettamente – dal legislatore, non ha alcun potere di revocare l’aggiudicazione per un giudizio sfavorevole sull’affidabilità della ditta vincitrice della gara in relazione ai suoi requisiti morali.
Come questa Sezione ha avuto già modo di osservare, invero, “nell’ambito dei procedimenti selettivi, rigorosamente disciplinati dalla lex specialis e dalla pertinente disciplina legislativa, l’elemento fiduciario non si presta ad essere liberamente valutato dalla stazione appaltante, in quanto trova oggettiva concretizzazione nelle regole disciplinatrici della gara, il cui puntuale rispetto consente di individuare l’impresa che oggettivamente offra, per i requisiti posseduti e l’offerta presentata, le migliori garanzie di realizzazione dell’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione aggiudicatrice” (sentenza 11 aprile 2013, n. 1974; cfr. anche l’analoga dec. 28 dicembre 2011, n. 6916)”.

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