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Forniture : differenza tra omologazione ed equivalenza

Consiglio di Stato, sez. V, 10.08.2023 n. 7727

8.2. Riguardo alla seconda parte della prima questione pregiudiziale, la Corte di giustizia ha poi evidenziato che le nozioni di «omologazione» e di «equivalenza» hanno contenuti diversi: l’una certifica, a seguito dei controlli appropriati effettuati dalle autorità competenti, che “un tipo di componente è conforme alle prescrizioni della direttiva 2007/46, comprese le prescrizioni tecniche contenute negli atti normativi di cui all’allegato IV a tale direttiva”; l’altra attesta che un componente “abbia le stesse qualità di un altro componente, a prescindere dal fatto che quest’ultimo sia stato o meno omologato”. Pertanto, le relative prove, di omologazione e di equivalenza, non sono “intercambiabili”: sicché, per i componenti per cui la direttiva comunitaria 2007/46 prevede l’omologazione ai fini della vendita e messa in circolazione, “la prova dell’avvenuta omologazione non può essere sostituita da una dichiarazione di equivalenza resa dall’offerente” (par. 78 e 84 della sentenza).

8.3. Tali conclusioni, secondo la Corte di Giustizia, non sono messe in discussione:
a) né “dai principi di parità di trattamento e di imparzialità, di libera concorrenza e di buon andamento dell’amministrazione, ai quali il giudice del rinvio ha fatto riferimento”, trattandosi di obbligo che non dà luogo a una discriminazione dei produttori di pezzi di ricambio equivalenti rispetto ai produttori di ricambi originali (cfr. par. 78 e 79 della decisione);
b) né dalle disposizioni degli articoli 60 e 62 della direttiva 2014/25 riguardanti le modalità con cui i partecipanti a una procedura di affidamento possono dimostrare che le loro offerte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti nelle specifiche tecniche previste dai bandi di gara.

8.4. A quest’ultimo riguardo, la Corte di giustizia ha, infatti, precisato che se è vero che le richiamate norme della direttiva 2014/25 consentono di fornire tale prova con qualsiasi mezzo adeguato, allo scopo di realizzare l’obiettivo di una maggiore apertura degli appalti pubblici alla concorrenza, ciò, tuttavia, conformemente al considerando 56 della medesima direttiva non consente di prescindere dai requisiti imperativi imposti da altre norme del diritto dell’Unione, tra cui, per quanto di interesse, quelle in materia di sicurezza e protezione ambientale, quale è il requisito di omologazione stabilito, per questi medesimi motivi, dalla direttiva 2007/46 per taluni ricambi per veicoli (cfr. par. 90 e 91).
Pertanto, se la direttiva 2007/46 richiede, in considerazione dei predetti obiettivi di sicurezza stradale e tutela ambientale, l’omologazione di taluni ricambi per veicoli, tale requisito diviene imprescindibile e non può essere eluso richiamando la direttiva 2014/25 e le modalità della prova di equivalenza ivi disciplinate.

8.5. La Corte di giustizia ha, pertanto, statuito che “al fine di ottemperare ai requisiti imperativi stabiliti dalla direttiva 2007/46, poiché i componenti sono soggetti a un obbligo di omologazione, possono essere considerati equivalenti ai sensi dei termini delle suddette gare d’appalto solo i componenti che siano stati oggetto di una siffatta omologazione e che, quindi, possano essere commercializzati”.

8.6. Quanto alla seconda questione la Corte ha chiarito che i principi già affermati dalla sua sentenza del 12 luglio 2018 in causa C-14/17 devono trovare applicazione anche in ordine alla prova dell’equivalenza dei prodotti offerti ai sensi degli articoli 60 e 62 della direttiva 2014/25, per cui il potere discrezionale di cui l’ente aggiudicatore dispone al riguardo deve essere esercitato in modo tale che i mezzi di prova ammessi da quest’ultimo gli consentano «di procedere effettivamente a una valutazione proficua dell’offerta per determinare se quest’ultima sia conforme alle specifiche tecniche oggetto del bando di gara in questione» (par. 97-99 della sentenza).

8.7. La Corte di giustizia ha quindi concluso che, per poter essere considerato un mezzo di prova appropriato, nell’ambito di un bando di gara come quello che ha dato origine al procedimento principale (id est: avente ad oggetto la fornitura di ricambi per veicoli), una dichiarazione di equivalenza di un componente deve provenire dal costruttore di tale componente, benché quest’ultimo non debba necessariamente intervenire direttamente in tutte le fasi della costruzione. Per contro, non può essere considerata idonea a costituire un mezzo di prova appropriato una dichiarazione di equivalenza proveniente da un rivenditore o da un commerciante (v. par. 106-107).
8.7.1. Ha altresì precisato, onde fornire una risposta utile al giudice del rinvio (cui spetta verificare se nei procedimenti in questione gli offerenti possono qualificarsi come «costruttori» dei componenti che essi proponevano), che «il fatto che un offerente produca pezzi di ricambio diversi da quelli oggetto della gara d’appalto in questione, che sia iscritto a una camera di commercio o che la sua attività sia stata oggetto di una certificazione di qualità, è irrilevante al fine di determinare se tale offerente possa essere considerato il costruttore dei componenti che propone nella sua offerta» (par. 108).

8.8. Ha respinto, inoltre, l’argomentazione secondo cui sarebbe necessaria un’interpretazione più ampia della nozione di «costruttore», e cioè «comprensiva anche dell’operatore che si limita a commercializzare il prodotto apponendovi il proprio marchio, senza aver partecipato materialmente al processo di costruzione», ai sensi della normativa europea a tutela dei consumatori, poiché quest’ultima non rileva ai fini dell’interpretazione della normativa dell’Unione sugli appalti pubblici.

8.9. Infine, la Corte ha ribadito che la prova dell’equivalenza dei prodotti proposti da un offerente, rispetto a quelli definiti nelle specifiche tecniche figuranti nel bando di gara, deve essere fornita, con mezzi appropriati, già nell’offerta, onde consentire effettivamente all’ente aggiudicatore di procedere a una valutazione proficua delle offerte presentate, demandando anche questa verifica al giudice del rinvio (par. 110).

Principio di equivalenza non applicabile con il criterio del prezzo più basso

Consiglio di Stato, sez. V, 08.05.2023 n. 4624

Elemento dirimente della questione controversa, infatti, è la circostanza che la gara si fondava, ai fini dell’aggiudicazione, sul criterio del prezzo più basso e non già su quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Il principio di equivalenza, introdotto dall’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016 in attuazione dell’art. 42 della direttiva 2014/24/UE, per consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, III, 10 febbraio 2022, n. 1006; V, 17 febbraio 2022, n. 1186) permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, sul presupposto che la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e di libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, al principio euro-unitario di concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità.
In questi termini il principio di equivalenza è finalizzato ad evitare un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (Cons. Stato, IV, 7 giugno 2021, n. 4353): presuppone quindi la corrispondenza delle prestazioni del prodotto offerto, ancorché difforme dalle specifiche tecniche indicate dalla stazione appaltante (Cons. Stato, III, 7 luglio 2021, n. 5169; 22 novembre 2017, n. 5426), quale “conformità sostanziale” con le dette specifiche tecniche, nella misura in cui queste vengano nella sostanza soddisfatte (Cons. Stato, V, 25 marzo 2020, n. 2093).
Indi per cui, nell’ambito di una procedura a evidenza pubblica strutturata secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nella quale cioè è demandata alla valutazione tecnico-discrezionale della stazione appaltante l’individuazione comparativa dell’offerta che meglio soddisfa le esigenze rappresentate nella lex specialis, le caratteristiche minime stabilite nella documentazione di gara non debbono intendersi come vincolanti nel quomodo, ma soltanto quoad effectum, nel senso che le offerte sono ritenute rispettose della suddetta lex specialis laddove siano, comunque, capaci di conseguire il fine ultimo dell’affidamento (Cons. Stato, IV, n. 4353 del 2021, cit.).
Ne deriva, sul piano applicativo, che – sussistendone i presupposti – la stazione appaltante deve operare il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti non già attenendosi a riscontri formalistici, ma sulla base di criteri di conformità sostanziale (e funzionale) delle soluzioni tecniche offerte, sì che le specifiche indicate dal bando “vengono in pratica comunque soddisfatte” (Cons. Stato, III, 29 marzo 2018, n. 2013).
I limiti dell’applicazione del principio di equivalenza individuati dalla giurisprudenza sono connessi alla sua ratio: se, infatti, il principio è diretto ad evitare che le norme obbligatorie, le omologazioni nazionali e le specifiche tecniche possano essere artatamente utilizzate per operare indebite esclusioni dalla gare pubbliche, fondate sul pretesto di una non perfetta corrispondenza delle soluzioni tecniche offerte con quelle richieste, ne viene come diretta conseguenza che esso – quale misura diretta ad assicurare che la valutazione della congruità tecnica dell’offerta – non si risolva in una verifica formalistica ma consista nell’apprezzamento della sua conformità sostanziale alle specifiche tecniche inserite nella lex specialis.
Detto principio non può dunque essere invocato per ammettere offerte tecnicamente inappropriate (così Cons. Stato, III, 2 marzo 2018, n. 1316) o che comprendano soluzioni che, sul piano oggettivo funzionale e strutturale, non rispettino le caratteristiche tecniche obbligatorie, configurandosi come un aliud pro alio (ex multis, Cons. Stato, III, 9 febbraio 2021, n. 1225; V 25 luglio 2019, n. 5258).
Nel caso attualmente in esame difettava il presupposto della possibilità, per la stazione appaltante, di valutare discrezionalmente le caratteristiche oggettive e funzionali del prodotto (recte, del servizio) offerto, in quanto il sistema prescelto di aggiudicazione era quello del prezzo più basso riferito ad una prestazione già puntualmente individuata nei suoi elementi caratteristici dalla legge di gara.
In breve, l’amministrazione aveva sin dall’inizio individuato una particolare tipologia di servizio di suo interesse – caratterizzata da ben definite caratteristiche e modalità operative – che i partecipanti alla gara erano tenuti ad offrire alle condizioni economiche più favorevoli; non era invece richiesta (o, per meglio dire, consentita) l’offerta di un servizio in tutto o in parte diverso, quand’anche le differenze rispetto alle indicazioni della legge di gara fossero state giustificate come analoghe, se non addirittura “migliorative” rispetto a queste ultime.
In presenza quindi di una prestazione già definita dalla stazione appaltante nei suoi dettagli rispetto alla quale la legge di gara prevedeva esclusivamente un confronto competitivo basato sull’offerta del prezzo più basso – e relativamente alla quale, significativamente, la medesima legge di gara neppure menzionava la possibilità di prestazioni funzionalmente “equivalenti” a quanto ivi descritto – le eventuali difformità sostanziali del “prodotto” offerto rispetto a tali prescrizioni (come appunto avvenuto nel caso dell’odierna appellante) venivano ad integrare un aliud pro alio, con conseguente esclusione dalla procedura.

Principio di equivalenza : il concorrente deve fornirne la prova già in sede di gara – Verifica d’ufficio della Stazione Appaltante o dimostrazione in via postuma in sede giudiziale : impossibilità

TAR Roma, 18.10.2022 n. 13303

La medesima Agenzia, sempre nell’intento di legittimare la contestata aggiudicazione, invoca – poi – la previsione di cui all’art. 68, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale “le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l’offerente dimostra, con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’articolo 86, che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”, affermando che – per quanto gli spessori della schiuma poliuretanica ignifuga riportati nelle schede tecniche allegate ai documenti di gara fossero inferiore rispetto a quelli prescritto – “la densità della suddetta schiuma poliuretanica … consente di ottenere le medesime prestazioni – anzi addirittura superiori – che garantirebbe il solo spessore”, come (in tesi) dimostrato “dalla documentazione allegata agli atti di gara e dai chiarimenti successivamente offerti dalla società aggiudicatrice, (nonché) come verificato dalla Commissione di gara”.
Anche tale argomentazione deve essere disattesa, assumendo rilievo dirimente la circostanza – già valorizzata in sede cautelare – che l’aggiudicataria non abbia, a bene vedere, reso alcuna evidenza dell’equivalenza funzionale tra quanto offerto e quanto richiesto dalla stazione appaltante né in sede di offerta, né nelle successive fasi della procedura, bensì – al più – solo successivamente all’instaurazione del presente giudizio, con nota di chiarimenti del 20 maggio 2022, resa su specifica richiesta dell’Agenzia del 17 maggio 2022, anch’essa, dunque, posteriore alla notifica del ricorso in esame.
La prevalente giurisprudenza amministrativa – che il Collegio condivide – ritiene, infatti, che “al fine di scongiurare l’esclusione dalla gara d’appalto, il partecipante che intenda avvalersi della clausola di equivalenza prevista dall’ art. 68, d.lgs. n. 50/2016 , ha l’onere di dimostrare già nella propria offerta l’equivalenza tra i servizi o tra i prodotti, non potendo pretendere che tale accertamento sia compiuto d’ufficio dalla Stazione appaltante o, addirittura, che sia demandato alla sede giudiziaria una volta impugnato l’esito della gara”, evidenziando come, “benché il principio dell’equivalenza permei l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, rispondendo lo stesso al principio del favor partecipationis e costituendo, altresì, espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte della P.A., nondimeno anche l’ampia latitudine riconosciuta al canone di equivalenza non ne consente, tuttavia, l’estensione all’ipotesi, esulante dal campo applicativo della stessa, di difformità del bene rispetto a quello descritto dalla lex specialis, configurandosi in tal caso un’ipotesi di aliud pro alio non rimediabile” (in tal senso, Consiglio di Stato, Sezione V, n. 3489/2019).
L’operatore che intenda avvalersi del principio dell’equivalenza (suscettibile di trovare applicazione indipendentemente da un espresso richiamo negli atti di gara) deve, dunque, fornirne la prova già in sede di gara, non potendo essa essere verificata d’ufficio dalla stazione appaltante né tantomeno dimostrata in via postuma in sede giudiziale.
Ciò posto, risulta dalla documentazione versata in giudizio dalle parti che l’aggiudicataria non abbia adempiuto a tale onere né in occasione dell’offerta, non riportando le relative schede tecniche alcuna notazione che i prodotti proposti rispondessero in maniera equivalente ai requisiti definiti dalla stazione appaltante nel Capitolato tecnico relativo al lotto di cui si discorre, né – tanto meno – nelle successive fasi di gara anteriori alla contestata aggiudicazione.

Sul principio di equivalenza (art. 68 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. III, 11.02.2022 n. 1006

7.8. Al riguardo si deve considerare il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, in quanto la possibilità di ammettere alla comparazione prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste, ai fini della selezione della migliore offerta, risponde, da un lato, ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento e di libertà d’iniziativa economica e, dall’altro, al principio eurounitario di concorrenza, che vedono quale corollario il favor partecipationis alle pubbliche gare, mediante un legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’amministrazione alla stregua di un criterio di ragionevolezza e proporzionalità.
7.9. Il principio di equivalenza è, dunque, finalizzato ad evitare un’irragionevole limitazione del confronto competitivo fra gli operatori economici, precludendo l’ammissibilità di offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 7 gennaio 2022, n. 65).

Riferimenti normativi: art. 68 d.lgs. n. 50/2016

Giudizio di equivalenza implicito – Motivazione per relationem – Livello minimo visibilità (art. 68 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. III, 12.10.2021 n. 6841

Deve premettersi che, in linea generale, la formulazione da parte della stazione appaltante di un giudizio di equivalenza, al fine di ammettere alla gara quelle offerenti che avrebbero dovuto esserne invece escluse in ragione della carenza nei prodotti offerti dei requisiti di minima previsti dalla lex specialis (in qualunque forma e con qualunque contenuto sia stato espresso, attinenti alla valutazione della legittimità di quel giudizio, la quale presuppone risolto in senso affermativo il quesito preliminare relativo all’an del suo compimento), costituisce il criterio fondamentale al fine di individuare gli oneri di allegazione e di prova facenti rispettivamente carico alle parti della controversia: ciò in quanto, in tanto può profilarsi in capo alla parte ricorrente l’onere di contestare espressamente (ergo, mediante specifiche e documentate censure) quel giudizio, in quanto esso sia configurabile “in documentorum natura” (adattamento, con finalità meramente esplicative, della corrispondente e più nota locuzione latina) ovvero, più precisamente, quale manifestazione di giudizio dell’Amministrazione, nell’esercizio del corrispondente potere riconosciutole dall’ordinamento (nonché, in chiave confermativa attesa la natura etero-integrativa della relativa fonte di legge, dalla lex specialis: cfr., sul punto, Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2529 del 25 marzo 202).
Ciò premesso, deve osservarsi che il giudice di primo grado è pervenuto alla affermazione dell’avvenuto compimento da parte della stazione appaltante di un giudizio, sebbene “implicito”, di equivalenza avente ad oggetto le offerte tecniche delle controinteressate sulla scorta dei seguenti elementi argomentativi:
– l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio giudicante ha dichiarato espressamente di aderire (siccome “prevalente”), secondo cui la stazione appaltante potrebbe ravvisare l’equivalenza (anche in forma implicita) tra prodotti alla luce della documentazione tecnica versata in gara, anche in mancanza di una specifica indicazione dell’operatore, ove dalla documentazione tecnica e dall’esame della campionatura sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis;
– la presenza nella lex specialis concernente la gara de qua di una disciplina positiva dell’equivalenza, consentendo essa espressamente l’ammissione di prodotti equivalenti (art. 2, comma 1, del capitolato) con l’avvertenza (art. 15 del disciplinare) che il principio di equivalenza di cui all’art. 68 Codice appalti “dovrà essere debitamente documentato dal partecipante in fase di gara”.
Ebbene, la parte appellante confuta l’ordito motivazionale sul quale si fonda in parte qua la sentenza appellata, essenzialmente deducendo che i verbali di gara non fanno alcun cenno al giudizio di equivalenza né le concorrenti hanno depositato in gara dichiarazioni sull’equivalenza dei prodotti o fornito alcun documento idoneo a sostenere una prova di equivalenza.
Le così sintetizzate considerazioni della parte appellante, come anticipato, devono essere condivise.
Deve in primo luogo osservarsi che la stessa giurisprudenza richiamata nella sentenza appellata subordina la ammissibilità (nel doppio senso, si ritiene di aggiungere, della configurabilità e della legittimità) di un giudizio “implicito” di equivalenza all’ipotesi che dalla documentazione tecnica comunque prodotta dal concorrente – e quindi anche in mancanza di una espressa dichiarazione di equivalenza – sia desumibile l’idoneità del prodotto a soddisfare, in modo appunto equivalente, il requisito previsto dalla lex specialis (cfr. in tal senso, di recente, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1863 del 4 marzo 2021: “la Commissione di gara può anzi effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, qualora dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis”).
Ebbene, ritiene la Sezione che il suddetto orientamento interpretativo debba essere (non rimeditato, ma) precisato nei termini che seguono, al fine di renderlo coerente, da un lato, con l’esigenza che l’attività provvedimentale della P.A. sia caratterizzata da un livello “minimo” di “visibilità” e di evitare che il privato sia pregiudicato (anche in ragione dell’effetto preclusivo che discende dalla mancata tempestiva attivazione dei rimedi giurisdizionali) da manifestazioni autoritative “occulte”, dall’altro lato, con il divieto fatto al giudice amministrativo (dall’art. 34, comma 2, c.p.a.) di esercitare il suo sindacato con riferimento a “poteri amministrativi non ancora esercitati”.
Se, infatti, può riconoscersi alla valutazione di equivalenza della stazione appaltante carattere implicito, secondo la tecnica motivazionale “per relationem”, a diversa conclusione deve pervenirsi con riferimento all’oggetto della “relatio”, che non può che essere espresso, al fine di evitare che la catena dei rimandi si risolva nella sostanziale elusione dell’obbligo motivazionale che assiste (tutti, sebbene in diversa misura a seconda della tipologia e degli effetti) i provvedimenti amministrativi.
A tale logica si ispira, del resto, l’indirizzo interpretativo maturato in relazione al sindacato sulla valutazione di anomalia dell’offerta, essendo costante l’affermazione giurisprudenziale secondo cui “l’obbligo di motivazione analitica e puntuale sulle giustificazioni sussiste solo nel caso in cui l’Amministrazione esprima un giudizio negativo, mentre tale onere non sussiste in caso di esito positivo del giudizio di congruità dell’offerta essendo sufficiente in tal caso motivare il provvedimento per relationem alle giustificazioni presentate dal concorrente” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 8442 del 28 dicembre 2020).
A conferma di tale impostazione, del resto, non può non richiamarsi, con specifico riferimento alla gara in esame, il disposto dell’art. 15 del disciplinare, laddove prevede che “…l’offerta tecnica deve rispettare le caratteristiche minime stabilite nel Capitolato tecnico e nella documentazione di gara, pena l’esclusione dalla procedura di gara, nel rispetto del principio di equivalenza di cui all’art. 68 del Codice dei contratti pubblici, principio che dovrà essere debitamente documentato dal partecipante in fase di gara…”.
Applicando le suindicate coordinate interpretative alla materia oggetto del presente giudizio, ne discende che la documentazione tecnica presentata dal concorrente con riferimento ad una offerta priva dei requisiti di conformità alle specifiche tecniche previste dalla lex specialis, per poter fungere da oggetto della “relatio” eventualmente contenuta nel provvedimento di ammissione della medesima offerta alla gara, deve quantomeno indicare:
– il requisito tecnico carente;
– il requisito tecnico posseduto atto a soddisfare “per equivalente” l’esigenza funzionale cui il primo era preordinato;
– le ragioni tecniche per le quali il prodotto offerto (nel caso di appalto di fornitura) debba ritenersi equivalente, da un punto di vista funzionale, a quello richiesto dalla stazione appaltante.
Ebbene, deve rilevarsi che la documentazione tecnica prodotta dalle controinteressate (con particolare riguardo alla scheda tecnica degli impianti offerti ed alla relativa relazione tecnica) non rispecchi lo schema illustrato, essendo manchevole delle indicazioni innanzi precisate.
Deve aggiungersi che non si intende negare che dalla documentazione tecnica prodotta dalle concorrenti possano astrattamente ricavarsi gli elementi necessari alla formulazione di un giudizio di equivalenza, anche in mancanza di una sua espressa e formale elaborazione da parte delle stesse e tenuto conto della specifica competenza in materia della commissione di gara: tuttavia, deve rilevarsi che nella specie non è solo a discutersi di una insufficiente (o, per meglio dire, assente del tutto) appendice motivazionale del giudizio di equivalenza, ma della stessa inconfigurabilità – se non del tutto ipotetica, ciò che è diverso dal suo semplice essere implicito – di quest’ultimo, non potendo ritenersi sotteso alla affermazione, risultante dai verbali di gara, secondo cui “la commissione giudicatrice ha constatato (…) la presenza della documentazione e dei requisiti di idoneità richiesti nonché degli elementi necessari alla valutazione di qualità” (formula che allude ad una verifica “diretta”, e non “per equivalente”, dei requisiti tecnici di ammissione).
Né a diverse conclusioni potrebbe pervenirsi sulla scorta di quella giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4353 del 7 giugno 2021) secondo cui il giudizio di equivalenza “non deve esternarsi un una specifica dichiarazione (invero non richiesta da alcuna norma), ma è implicito nell’attribuzione di punteggio al concorrente…”, atteso che, nella fattispecie in esame e come si evince dai verbali già richiamati (cfr. all. 6 della produzione di primo grado della ASL dell’8 febbraio 2021), la commissione giudicatrice ha nettamente distinto, nei termini innanzi indicati, il giudizio (preliminare) di conformità – cui direttamente inerisce l’eventuale giudizio di equivalenza – da quello attributivo dei punteggi.
[…]
Consegue, dai rilievi che precedono, che l’impugnato provvedimento di aggiudicazione, in riforma della sentenza appellata, deve essere annullato, fermo restando il potere della stazione appaltante di rinnovare (recte, per le ragioni esposte, formulare ab origine) il giudizio di equivalenza nei riguardi dei prodotti offerti dalle controinteressate, alla luce della documentazione da esse presentata (ove rilevante e sufficiente a tal fine) e corredando le sue conclusioni di un congruo apparato motivazionale.
Deve solo precisarsi, in chiave conformativa, che tale attività rinnovatoria dovrà riguardare tutte le caratteristiche tecniche di cui la ricorrente ha lamentato la carenza nelle offerte tecniche delle controinteressate, ad esclusione di quelle che, sulla scorta di una analisi globale della documentazione presentata in gara dalle stesse, dovessero risultare presenti nei prodotti offerti, negli esatti termini in cui sono contemplate dalla lex specialis.
A tal fine, e tenuto conto che la questione ha formato oggetto del contraddittorio tra le parti, deve chiarirsi che anche gli elementi tecnici non menzionati espressamente nelle offerte economiche potranno considerarsi idonee a comporre il prodotto che le controinteressate si sono impegnate a fornire, laddove chiaramente indicati nelle schede tecniche e/o nelle relazioni tecniche: ciò alla luce della necessità di analisi globale e coordinata della documentazione prodotta ai fini della individuazione dell’oggetto dell’impegno dalle stesse assunto (senza trascurare che, a tal fine, utili elementi interpretativi potranno attingersi anche dal modo in cui la fornitura ha avuto esecuzione, al fine di accertare se i prodotti offerti rechino tutti gli elementi richiesti dalla stazione appaltante).

Prova di equivalenza delle specifiche tecniche ex art. 68 d.lgs. n. 50/2016

TAR Bologna, 28.01.2021 n. 72

È onere dell’operatore che intenda offrire una fornitura caratterizzata da specifiche tecniche differenti rispetto a quanto previsto dalla lex specialis di gara dimostrare l’equivalenza fra i prodotti. 
L’art. 68, d.lgs. n. 50 del 2016 prevede che la stazione appaltante non possa escludere un’offerta perché non conforme alle specifiche tecniche a cui ha fatto riferimento “se nella propria offerta l’offerente dimostra … che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”: è conseguentemente doverosa l’esclusione di concorrente qualora la sua offerta non sia conforme alle specifiche tecniche indicate negli atti di gara e nella stessa non venga dimostrata l’equivalenza fra quanto proposto e quanto specificatamente richiesto dalla stazione appaltante. Anche secondo la giurisprudenza l’operatore che intenda offrire una fornitura caratterizzata da specifiche tecniche differenti rispetto a quanto previsto dalla lex specialis di gara avvalendosi della clausola di equivalenza è gravato dell’onere di dimostrare l’equivalenza fra i prodotti, segnalando nella propria offerta la corrispondenza della propria proposta a quanto offerto dalla P.A., non potendo pretendere che di una tale verifica sia onerata la Commissione di gara (Cons. Stato, sez. III, 1 ottobre 2019, n. 6560; id. 5 settembre 2017, n. 4207; id. 13 maggio 2011, n. 2905Tar Napoli, sez. II, 29 gennaio 2020, n. 413).
​​​​​​​In altre parole l’equivalenza tra i servizi o tra i prodotti oggetto dell’appalto – che trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara – deve essere provata in sede di gara dall’operatore che intende avvalersi dell’equivalenza, non potendo essa essere verificata d’ufficio dalla stazione appaltante né tantomeno dimostrata in via postuma in sede giudiziale. ​​​​

fonte: sito della Giustizia Amministrativa

Specifiche tecniche dell’offerta ed equivalenza: principi consolidati

Secondo l’art. 68 del d.lgs. n. 50 del 2016, che attua nell’ordinamento nazionale l’art. 42 della direttiva 2014/24/UE, le “specifiche tecniche” (qui da intendersi in senso lato, alla stregua di parametri di definizione dell’offerta tecnica):
– sono inserite nei documenti di gara e definiscono le caratteristiche previste per i lavori servizi o forniture (comma 1);
– consentono pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione e non devono comportare direttamente o indirettamente ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza (comma 4);
– sono indicate nella lex specialis secondo diverse modalità (comma 5): “in termini di prestazioni o di requisiti funzionali … a condizione che i parametri siano sufficientemente precisi da consentire agli offerenti di determinare l’oggetto dell’appalto e alle amministrazioni aggiudicatrici di aggiudicare l’appalto” (lettera a); ovvero “mediante riferimento a specifiche tecniche e, in ordine di preferenza, alle norme che recepiscono norme europee, alle valutazioni tecniche europee, alle specifiche tecniche comuni, alle norme internazionali, ad altri sistemi tecnici di riferimento adottati dagli organismi europei di normalizzazione o in mancanza, alle norme, omologazioni tecniche o specifiche tecniche, nazionali, in materia di progettazione, calcolo e realizzazione delle opere e uso delle forniture. Ciascun riferimento contiene l’espressione «o equivalente»” (lett. b); oppure, sostanzialmente, abbinando specifiche tecniche dell’uno e dell’altro dei tipi predetti (lett. c) e d).

Il comma 7 prevede che un’offerta non può essere respinta perché non conforme alle prescrizioni di cui al comma 3, lett. b), previste dalla lex specialis, “se nella propria offerta l’offerente dimostra, con qualsiasi mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’articolo 86, che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”.

Il successivo comma 8 aggiunge che “quando si avvalgono della facoltà, prevista al comma 5, lettera a), di definire le specifiche tecniche in termini di prestazioni o di requisiti funzionali” un’offerta non può essere respinta ove risulti conforme “a una norma che recepisce una norma europea, a una omologazione tecnica europea, a una specifica tecnica comune, a una norma internazionale o a un sistema tecnico di riferimento adottato da un organismo europeo di normalizzazione se tali specifiche contemplano le prestazioni o i requisiti funzionali da esse prescritti”.

Anche in tale evenienza sarà cura dell’offerente “….dimostrare con qualunque mezzo appropriato, compresi i mezzi di prova di cui all’articolo 86, che i lavori, le forniture o i servizi conformi alla norma ottemperino alle prestazioni e ai requisiti funzionali dell’amministrazione aggiudicatrice”.

Secondo la giurisprudenza prevalente, ancora di recente ribadita (cfr. Cons. St., sez. III, 18 settembre 2019, n. 6212), l’ambito di applicazione del principio di equivalenza è piuttosto ampio, essendo stato affermato che:
– il principio di equivalenza “permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica e la possibilità di ammettere a seguito di valutazione della stazione appaltante prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste risponde al principio del favor partecipationis (ampliamento della platea dei concorrenti) e costituisce altresì espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione” (cfr. Cons. Stato, III, n. 4364/2013; n. 4541/2013; n. 5259/2017; n. 6561/2018);
– trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti in tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica e “l’effetto di “escludere” un’offerta, che la norma consente di neutralizzare facendo valere l’equivalenza funzionale del prodotto offerto a quello richiesto, è testualmente riferibile sia all’offerta nel suo complesso sia al punteggio ad essa spettante per taluni aspetti … e la ratio della valutazione di equivalenza è la medesima quali che siano gli effetti che conseguono alla difformità” (cfr. Cons. Stato, III, n. 6721/2018);
– l’art. 68, comma 7, del d.lgs. 50/2016 non onera i concorrenti di un’apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato; la commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis (cfr. Cons. Stato, III, n. 2013/2018; n. 747/2018). (Consiglio di Stato, sez. V, 25.11.2020 n. 7404).

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    Principio di equivalenza – Interpretazione estensiva – Presuppone corrispondenza sostanziale delle prestazioni – Non occorre formale conformità alle specifiche tecniche richieste dal bando (art. 68 d.lgs. n. 50/2016)

    Consiglio di Stato, sez. III, 17.08.2020 n. 5063

    Secondo la giurisprudenza il principio di equivalenza “permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica e la possibilità di ammettere a seguito di valutazione della stazione appaltante prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste risponde al principio del favor partecipationis (ampliamento della platea dei concorrenti) e costituisce altresì espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione” (cfr. Cons. Stato, III, Cons. di Stato, sez. III, 18 settembre 2019 n. 6212, id n. 4364/2013; n. 4541/2013; n. 5259/2017; n. 6561/2018)”;
    La norma dell’art. 68 del codice degli appalti, in attuazione del principio comunitario della massima concorrenza (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 18 settembre 2019, n. 6212), è finalizzata a che la ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente non debba comportare ostacoli non giustificati da reali esigenze tecniche. Il precetto di equivalenza delle specifiche tecniche impone che i concorrenti possano sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto (Cons. Stato, Sez. III, n. 7450/2019; id. 2093/2020 )
    La giurisprudenza, chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione della norma recata dal citato art. 68, non ha avuto esitazioni ad affermare la regola della possibilità per l’Amministrazione di ammettere prodotti equivalenti (Cons. St., sez. IV, 26 agosto 2016, n. 3701; id., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 5494), che – come si è detto – risponde al principio del favor partecipationis, perchè assicura un ampliamento della platea dei concorrenti.
    “L’art. 68, comma 7, del D.Lgs. n. 50 del 2016 non onera i concorrenti di un’apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato; la commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis (cfr. Cons. Stato, III, n. 2013/2018; n. 747/2018).”
    Da ciò consegue che non può essere condivisa l’interpretazione restrittiva della norma prospettata dall’appellante.
    Neppure rileva la non conformità del prodotto offerto con quello delineato dalle specifiche tecniche:
    la giurisprudenza della Sezione ha precisato che “Il principio di equivalenza presuppone la corrispondenza delle prestazioni del prodotto offerto, ancorché difforme dalle specifiche tecniche indicate dalla stazione appaltante” (Cons. St., sez. III, 22 novembre 2017, n. 5426).
    Tale principio “è diretto ad assicurare che la valutazione della congruità tecnica non si risolva in una verifica formalistica, ma nella conformità sostanziale dell’offerta delle specifiche tecniche inserite nella lex specialis” (cfr. Consiglio di Stato sez. III, 28/09/2018, n. 5568; Consiglio di Stato sez. III 02 marzo 2018 n. 1316).
    Pertanto “il criterio dell’equivalenza non può subire una lettura limitativa o formalistica ma deve, al contrario, godere di un particolare favore perché è finalizzato a sodisfare l’esigenza primaria di garantire la massima concorrenza tra gli operatori economici: ovviamente l’equivalenza va ragguagliata alla funzionalità di quanto richiesto dalla pubblica Amministrazione con quanto offerto in sede gara, non certo alla mera formale descrizione del prodotto” (cfr. CGA 20/7/2020 n. 634).
    Le specifiche tecniche hanno, infatti, il compito di rendere intellegibile il bisogno che la stazione appaltante intende soddisfare con la pubblica gara più che quello di descrivere minuziosamente le caratteristiche del prodotto offerto dai concorrenti.
    Pertanto, il prodotto può ritenersi equivalente laddove – pur essendo carente di taluno e/o taluni requisiti indicati nella lex specialis – nondimeno soddisfi alla stessa maniera l’interesse perseguito dalla stazione appaltante e, quindi, garantisca lo stesso risultato preventivato con l’introduzione della specifica tecnica.
    Deve ribadirsi, quindi, che il giudizio di equivalenza sulle specifiche tecniche dei prodotti offerti in gara risulta legato non a formalistici riscontri, ma a criteri di conformità sostanziale delle soluzioni tecniche offerte: deve in altri termini registrarsi una conformità di tipo meramente funzionale rispetto alle specifiche tecniche indicate dal bando (Cons. St., sez. III, 29 marzo 2018, n. 2013).
    Questa Sezione, con specifico riguardo ad un appalto attinente al settore sanitario, ha ribadito che “il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, rispondendo al principio del favor partecipationis (ampliamento della platea dei concorrenti) ai fini della massima concorrenzialità nel settore dei pubblici contratti e della conseguente individuazione della migliore offerta, secondo i principi di libera iniziativa economica e di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione nel perseguimento delle propri funzioni d’interesse pubblico e nell’impiego delle risorse finanziarie pubbliche, sanciti dagli articoli 41 e 97 della Costituzione” (Cons. St., III, 14 maggio 2020, n. 3081).

    Da tali principi si evince che il principio di equivalenza delle offerte è attuativo del più generale principio del favor partecipationis, costituendo espressione della massima concorrenzialità nel settore dei pubblici contratti il che comporta l’esigenza di limitare entro rigorosi limiti applicativi l’area dei requisiti tecnici minimi e di dare spazio – parallelamente ma anche ragionevolmente e proporzionalmente – ai prodotti sostanzialmente analoghi a quelli espressamente richiesti dalla disciplina di gara.
    La stessa giurisprudenza ha affermato che la scelta della stazione appaltante di ammettere prodotti equivalenti costituisce espressione del legittimo esercizio della sua discrezionalità tecnica (Cons. St. sez. III, 2 settembre 2013, n. 4364), e che il sindacato giurisdizionale sul giudizio di equivalenza reso in sede di gara deve attestarsi su riscontrati (e prima ancora dimostrati) vizi di manifesta erroneità o di evidente illogicità del giudizio stesso.
    La giurisprudenza di questa Sezione ha affermato, infatti, che “una volta che l’Amministrazione abbia proceduto in tal senso, la scelta tecnico discrezionale può essere inficiata soltanto qualora se ne dimostri l’erroneità” (Cons. St., sez. III 13 dicembre 2018 n. 7039; Cons. St. n. 2093/2020).
    In sintesi, se il giudizio tecnico della Commissione di gara è attendibile e immune da vizi di travisamento, illogicità, irragionevolezza, anche se opinabile, non può essere sostituito con il diverso giudizio tecnico dei consulenti di parte o del giudice.