5.2. – La quaestio iuris forma oggetto di un contrasto giurisprudenziale venutosi a delineare nella giurisprudenza di merito dacché la pronuncia impugnata (TAR Veneto, Sez. III, n. 632 del 3 aprile 2024) è stata seguita dalle sentenze conformi del TAR Lazio, Roma, Sez. V ter, 30 aprile 2024, n. 8580 – impugnata in appello e allibrata al r. g. n. 4562/2024 – e TRGA – Sezione Bolzano, 9 ottobre 2024, n. 230 e n. 231.
5.3. – In senso difforme si registrano invece le pronunce del TAR Campania, Salerno, sez. II, 16 luglio 2024, n. 1494 e del TAR Calabria, Reggio Calabria, 25 luglio 2024, n. 483, le quali hanno affermato l’incompatibilità tra i due sistemi normativi con esclusione dell’applicazione delle regole dell’equo compenso alle procedure di gara regolate dal codice dei contratti pubblici. Secondo tale tesi sarebbe praticabile il ribasso sui corrispettivi professionali, in quanto la loro congruità rimarrebbe, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica dell’anomalia dell’offerta, con riferimento al ribasso praticato sul corrispettivo dei servizi di progettazione. In tale ottica, la verifica di anomalia delle offerte sarebbe finalizzata ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi.
5.4. – Vi è un primo punto, in sostanza incontestato da tutte le parti del giudizio al punto da potersi ritenere assiomatico e al quale il Collegio intende esprimere adesione: non può predicarsi alcuna antinomia tra la disciplina dei contratti pubblici e la sopravvenuta disciplina sull’equo compenso.
Ciò che invece distingue le posizioni svolte dalle due parti in causa sono i relativi corollari applicativi.
L’assunto, in tesi assiomatico, merita comunque la giusta contestualizzazione a beneficio della ricostruzione sistematica della cornice normativa applicabile alla fattispecie.
i. Va in primis osservato che, i due plessi normativi in parola devono essere interpretati e applicati in modo integrato e coordinato valorizzando le rispettive rationes legis, l’una proconcorrenziale per la disciplina sui contratti pubblici, l’altra di favor del professionista intellettuale, per la disciplina sull’equo compenso.
ii. Il primo argomento da spendere contro la tesi dell’antinomia (e della conseguente eterointegrazione della lex specialis che ipoteticamente ammetta la ribassabilità dei compensi) deve prendere le mosse dalla disamina attenta del dato normativo: in primis, l’art. 1 della legge n. 49/2023 scolpisce la nozione di “compenso equo” nella “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente: […] per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”, mentre l’art. 3, nell’apprestare il congegno della nullità di protezione delimita la nozione complementare di “compenso non equo e proporzionato all’opera prestata” o, breviter, iniquo nella pattuizione di un compenso non “equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera” e precisa che “sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale”.
iii. Segnatamente, il compenso equo di cui all’art. 1 si àncora, in termini di conformità, ai “compensi previsti dai decreti ministeriali adottati” ai sensi dell’art. 9 del D.L. 1/2012, mentre il compenso è iniquo – ossia “non…equo e proporzionato all’opera prestata” se risulta inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale. A differenza di quanto opinato dal primo giudice alle pagg. 19-20 della decisione gravata, i due meccanismi di parametrizzazione restano normativamente distinti, tanto che il rinvio all’art. 9 D.L. 1/2012 richiama, rispettivamente, un decreto del Ministro vigilante per la determinazione dei parametri di liquidazione dei compensi da parte di un organo giurisdizionale (nel caso di specie si tratta del d.m. n. 140/2012), da impiegarsi anche ai fini dell’acclaramento del compenso iniquo, e un decreto interministeriale (del Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti) per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria (nella specie, D.I. 17 giugno 2016).
Come evidenziato dalla difesa di parte appellante, pur condividendo lo stesso meccanismo algoritmico di calcolo secondo la comune formula moltiplicatoria CP=V×G×Q×P, il d.m. n. 140/2012 stabilisce espressamente per le professioni dell’area tecnica un range di flessibilità in ragione della complessità della prestazione (espressa dal parametro G) che tenga conto della natura dell’opera, pregio della prestazione, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell’eventuale urgenza della prestazione, di tal ché l’organo giurisdizionale può aumentare o diminuire il compenso di regola fino al 60 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile (art. 36). Tale meccanismo rientra a pieno titolo nei “parametri per la liquidazione dei compensi” richiamati dall’art. 3 l. n. 49/2023 e definisce una soglia minima (e massima) del compenso del professionista, al di sotto del quale scatta la qualificazione normativa di “compenso non equo” passibile di nullità di protezione.
Di contro, il D.I. 17 giugno 2016 non contempla alcun meccanismo di flessibilità limitandosi a recepire la formula moltiplicatoria del d.m. n. 140/2012: ciò non deve stupire perché tale decreto interministeriale mira a definire i corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione utilizzabili dalle stazioni appaltanti, ove motivatamente ritenuti adeguati, quale criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo dell’affidamento ai sensi dell’art. 24, co. 8 d.lgs. n. 50/2016. Tale impianto è stato poi ripreso e in parte riattualizzato, quanto alle aliquote, dal nuovo codice dei contratti pubblici (v. art 41, co. 15 e allegato I.13 d.lgs. n. 36/2023).
iv. In definitiva, i due meccanismi divisati dal d.m. n. 140/2012 e dal D.I. 17 giugno 2016 pur recando un nucleo comune (la formula moltiplicatoria per il compenso) differiscono quanto a natura della fonte normativa (si tratta di due regolamenti ministeriali ben distinti, l’uno ministeriale, l’altro interministeriale), scopi (l’uno mira a disciplinare la liquidazione dei compensi equi, l’altro punta alla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara) e struttura (l’una si contraddistingue per un range di flessibilità, mentre l’altro definisce un importo fisso) legittimando una ricostruzione dicotomica nel senso che la prima fonte individua il minimum corrispettivo inderogabile (il compenso equo ribassabile sino al 60%), mentre la seconda individua il corrispettivo equo da porre a base di gara.
5.5. – Ricostruito in tali termini il rapporto tra i due plessi normativi, si dissolve ogni dubbio di possibile antinomia tra la disciplina sui contratti pubblici e quella sopravvenuta sull’equo compenso, la cui sfera di applicabilità è peraltro dichiaratamente estesa alle “prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica” (art. 2, co. 2 legge n. 49/2023): ne riviene che la nozione di equo compenso applicabile alla contrattualistica pubblica deve essere riformulata più perspicuamente in termini di equo ribasso, nozione frutto dell’esegesi coordinata tra corrispettivo equo e proporzionato posto a base di gara e minimum inderogabile evincibile dal range di flessibilità del compenso liquidabile in ragione della complessità della prestazione dedotta nell’affidamento.
5.6. – Del resto, la contrapposta tesi del valore fisso e inderogabile dell’equo compenso per i professionisti negli appalti per i servizi di architettura e ingegneria incontrerebbe, di contro, una pluralità di rilievi critici:
i. anche nell’ordito del nuovo codice dei contratti pubblici il richiamo operato dall’art. 8 d.lgs. 36/2023 evoca solo il “principio” dell’equo compenso, non postulando dunque una individuazione univoca e rigida, tanto da ammettere, sia pur eccezionalmente, ipotesi derogatorie di prestazioni pro bono;
ii. l’innesto rigido ope legis di un valore univoco e predeterminabile di equo compenso – all’infuori di deliberate opzioni discrezionali della lex specialis volte a circoscrivere la concorrenza su altri aspetti ex art. 108, co. 5 d.lgs. 36/2023 – mortificherebbe la ratio proconcorrenziale che permea la contrattualistica pubblica, relegando il confronto competitivo ad uno spazio sostanzialmente virtuale sulle voci per spese e oneri accessori (che, nel caso di specie, ammontano solo al 14% del valore di ciascun lotto in gara);
iii. tale rigidità colliderebbe con i canoni di necessità e proporzionalità dettati dalla Direttiva 2006/123/CE (art. 15) per la sottoposizione dell’esercizio di un’attività o servizio a requisiti limitativi tra cui, per l’appunto, “tariffe obbligatorie minime e/o massime che il prestatore deve rispettare”. Tale esegesi si concilia con gli arresti recenti del giudice europeo, tra cui CGUE, 4 luglio 2019, causa C-377/2017, in materia di compensi professionali, per cui l’indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell’Unione Europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi (posizione confermata dalla successiva sentenza del 25 gennaio 2024, causa C-438/2022 secondo cui le tariffe minime relative al compenso professionale degli avvocati devono essere disapplicate in quanto contrastanti con il principio di concorrenza).
5.7. – Da ultimo, per completezza della disamina giova soggiungere che si orienta nel senso prospettato da questa esegesi la novella recata dal cd. “correttivo appalti” all’art. 41 d.lgs. n. 36/2023, cui rinvia anche la novella dell’art. 8 (“la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso secondo le modalità previste dall’articolo 41, commi 15-bis, 15-ter e 15-quater”): tale novella prevede, da un lato, che le tariffe siano considerate per il 65 per cento come un importo “a prezzo fisso”, come tale non ribassabile in sede di gara; dall’altro, che rispetto al restante 35 per cento, l’elemento relativo al prezzo possa essere invece oggetto di offerte al ribasso in sede di presentazione delle offerte; per mitigare l’impatto di tali ribassi sull’aggiudicazione e valorizzare la componente tecnica della progettazione, si prevede tuttavia che per tale residuo 35 per cento, la stazione appaltante stabilisca un tetto massimo per il punteggio economico, entro il limite del 30 per cento. Secondo quanto riferito dalla relazione illustrativa, tale soluzione garantirebbe il principio dell’equa remunerazione del progettista, aprendo al contempo ad una valutazione competitiva tra diverse offerte economiche, al fine, in ogni caso, di valorizzare nell’affidamento quegli operatori economici che propongono migliori condizioni di economicità e qualità del servizio.
6. – L’approdo esegetico appena tratteggiato, compendiabile con una locuzione di sintesi nel senso dell’equa ribassabilità del compenso dei professionisti nell’ambito degli affidamenti dei servizi di architettura e ingegneria, conduce, per incidens, a concludere che non può configurarsi un contrasto tra la lex specialis e la disciplina imperativa tale da far luogo al meccanismo di eterointegrazione contrattuale ex art. 1376 e 1339 cod. civ. sposato in tesi dal primo giudice (cfr. in termini, anche il parere ANAC reso in sede precontenziosa con la delibera n. 101 del 28 febbraio 2024).
Di contro, va rimarcato che la sede naturale della verifica dell’equo ribasso operato dagli offerenti rispetto agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati col d.m. n. 140/2012, unitamente alla verifica di sostenibilità giuridico-economica di tale ribasso va individuata in modo strutturale nel modulo subprocedimentale di verifica dell’anomalia dell’offerta demandata al RUP – come in effetti è avvenuto nella fattispecie de qua.
10. La quaestio iuris rimessa all’esame del Collegio attiene ai rapporti tra la normativa sull’equo compenso di cui alla L. 49/2023 e le procedure di gara dirette all’affidamento di servizi di ingegneria e architettura.
Su tale questione, come è noto, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 21 aprile 2023, n. 49 sono andati profilandosi nelle prime prassi applicative due contrapposti orientamenti interpretativi, sostenendosi, da un parte, l’assenza di antinomia tra la legge n. 49/2023 e la disciplina dei contratti pubblici, con conseguente piena operatività delle previsioni dettate dalla prima anche nel campo dell’evidenza pubblica; e affermandosi, in senso opposto, dall’altra parte, l’incompatibilità tra i due sistemi normativi, con esclusione dell’applicazione delle regole del c.d. ‘equo compenso’ alle procedure di gara regolate dal codice dei contratti pubblici.
PRIMA TESI: APPLICAZIONE EQUO COMPENSO ED ETEROINTEGRAZIONE DISCIPLINA DI GARA
10.1. In sintesi, a fondamento della prima tesi (riconducibile a TAR Veneto, sez. III, 3 aprile 2024, n. 632 e TAR Lazio, sez. V ter, 30 aprile 2024, n. 8580), è stata valorizzata, anzitutto, la previsione contenuta nell’art. 8 del d.lgs. n. 36/2023, là dove, oltre a sancirsi il divieto, salvo casi eccezionali, di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito, è stato imposto, in via generale, alla pubblica amministrazione di “garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”.
Richiamata la ratio sottesa alla L. n. 49/2023 – individuata nell’esigenza di tutelare i professionisti nell’ambito dei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli” –, l’orientamento in questione ha, inoltre, desunto ulteriori elementi a sostegno della sua applicabilità al settore dell’evidenza pubblica dall’interpretazione letterale ed analogica delle relative disposizioni, stante, in primis, l’espressa previsione della relativa operatività anche nei confronti della pubblica amministrazione. Sotto questo angolo visuale, i sostenitori di tale tesi hanno affermato che diversamente opinando l’intervento normativo in questione risulterebbe privo di reale efficacia sul mercato delle prestazioni d’opera intellettuale, rappresentando i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione nel mercato del lavoro attuale una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per le prestazioni di tale tipologia.
Né, poi, potrebbe concordarsi con l’obiezione secondo cui l’applicabilità della legge n. 49/2023 al settore dell’evidenza pubblica precluderebbe, di fatto, l’impiego del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa in ragione del rapporto qualità/prezzo in quanto le gare per servizi di architettura o di ingegneria dovrebbero essere strutturate e aggiudicate sulla base di un “prezzo fisso” non ribassabile, individuato dalla stessa P.A. come corrispettivo posto a base di gara, con competizione limitata alla sola componente tecnica dell’offerta e, quindi, con una evidente compromissione della libera contrattazione, del confronto competitivo tra operatori economici e dei principi comunitari in materia di libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi.
Ed infatti, il compenso del professionista costituirebbe soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”. L’Amministrazione sarebbe, dunque, chiamata a quantificare tali voci in applicazione del D.M. 17 giugno 2016 per individuare l’importo complessivo da porre a base di gara; al tempo stesso, la voce “compenso”, individuata con tale modalità come una delle voci che costituiscono il prezzo, sarebbe da qualificare anche come compenso ‘equo’ ai sensi della legge n. 49/2023, che, sotto tale aspetto, stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 9 D.L. 24 gennaio 2012, n. 1.
Ne deriva che il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 non sarebbe suscettibile di ribasso dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità ‘di protezione’ e contrastante con una norma imperativa.
Nondimeno, trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, risulterebbe fatta salva in ragione della libertà, per l’operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.
Tale conclusione, oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consentirebbe, sotto un diverso profilo, di escludere che la legge n. 49/2023 produca effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea, rappresentando, piuttosto, il divieto di presentazione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo costituita dai “compensi” una tutela per i professionisti, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto “permetterà loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto” (TAR Veneto, n. 632/2024 cit).
Inoltre, l’operatore economico che, in virtù della sua organizzazione d’impresa, dovesse ritenere di poter ribassare componenti accessori del prezzo (ad esempio le spese generali), potrà avvantaggiarsi di tale capacità nell’ambito del confronto competitivo con gli altri partecipanti alla gara, fermo restando il dovere dell’Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, potranno apparire in buona sostanza abusive, ossia volte ad ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi.
Dal carattere ‘inderogabile’ del compenso ‘equo’ determinato dall’applicazione dei citati parametri normativi, e dunque dalla natura imperativa delle previsioni contenute nella L. n. 49/2023 – che stabiliscono la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata –, conseguirebbe, poi, l’eterointegrazione delle disposizioni di gara che, in via difforme, dovessero consentire la ribassabilità della componente in questione, trattandosi di profilo sottratto alla libera disponibilità delle stazioni appaltanti.
Diversamente opinando si correrebbe d’altronde il rischio di una pericolosa ‘eterogenesi dei fini’, posto che il professionista concorrente potrebbe essere tentato di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un’offerta inferiore ai minimi, per così ottenere l’aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale al fine di attivare il “meccanismo” di cui al comma 6 dell’art. 3, ai sensi del quale «il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari». Ciò che comporterebbe, peraltro, l’aggiramento del principio di tendenziale immutabilità dell’offerta anche in sede di esecuzione del contratto.
In conclusione, la nullità relativa o di protezione sarebbe da ritenersi giustificata proprio in relazione ai casi in cui il professionista sia sostanzialmente tenuto a subire la previsione contraria all’equo compenso, e ciò anche eventualmente quando ad imporre la riduzione al di sotto dei minimi sia la P.A. Diversamente, ove la violazione della normativa sull’equo compenso non sia imposta dalla P.A., ma dipenda da una volontaria scelta dell’operatore economico al fine di ottenere l’aggiudicazione superando gli altri concorrenti, la natura “relativa” della nullità non potrebbe rivestire alcun rilievo, l’imperatività della normativa medesima imponendo, al contrario, un effetto escludente delle offerte con la stessa in contrasto.
SECONDA TESI: NON APPLICAZIONE EQUO COMPENSO E VERIFICA IN SEDE DI ANOMALIA DELL’OFFERTA
10.2. Secondo l’opposta tesi, propugnata in ragione dell’incertezza del quadro normativo di riferimento dalla stessa Anac con la delibera n. 101 del 28.02.2024 e di recente sostenuta con approfondite argomentazioni da TAR Campania, Salerno, sez. II, 16 luglio 2024, n. 1494, al contrario, la predicata eterointegrazione della disciplina di gara con quella sull’equo compenso professionale sconterebbe “… i limiti intrinseci ed estrinseci di compatibilità o sovrapponibilità dei due impianti normativi (d.lgs. n. 36/2023 e l. n. 49/2023), che incidono su campi di materie e rispondono a finalità tra loro non perfettamente coincidenti ed omogenee”.
Ed infatti, il regime dell’equo compenso non derogherebbe, bensì integrerebbe “il sistema dei contratti pubblici, senza frustrarne la sostanza proconcorrenziale di derivazione euro-unitaria (artt. 49, 56, 101 TFUE, 15 della dir. 2006/123/CE), e, quindi, senza elidere in radice la praticabilità del ribasso sui corrispettivi professionali, la cui determinazione non è da intendersi rigidamente vincolata a immodificabili parametri tabellari, ma la cui congruità (in termini di equilibrio sinallagmatico) rimane, in ogni caso, adeguatamente assicurata dal modulo procedimentale di verifica all’uopo codificato, quale, appunto, quello dell’anomalia dell’offerta con riferimento al ribasso praticato sul corrispettivo dei servizi di progettazione”. In altri termini, il Codice dei contratti pubblici, tramite il subprocedimento di verifica di anomalia delle offerte, appresterebbe “meccanismi idonei ad evitare che le prestazioni professionali siano rese a prezzi incongrui, consentendo, nel contempo, alle amministrazioni di affidare gli appalti a prezzi più competitivi”.
Sul piano positivo, d’altro canto, occorre considerare che la legge n. 49/2023, entrata in vigore il 20 maggio 2023 e, quindi, successiva al Codice, non risulta aver derogato espressamente allo stesso, come richiesto dall’art. 227, da ciò desumendosi un indice testuale particolarmente pregnante nel senso della relativa inapplicabilità al settore degli appalti pubblici.
Inoltre, anche il codice dei contratti pubblici già perseguirebbe la finalità sottesa alla legge n. 49/2023, pur dovendo naturalmente orientarsi nel rispetto del diritto europeo e dei principi generali in esso declinati, oltre che con modalità adeguate al meccanismo della gara pubblica.
In tale ottica andrebbero precipuamente lette le disposizioni di seguito richiamate: l’art. 8, comma 2, il quale prevede che la pubblica amministrazione garantisce l’applicazione del principio dell’equo compenso; l’articolo 41, comma 15, che fissa la modalità per l’individuazione dei corrispettivi da porre a base di gara facendo riferimento alle tabelle contenute nell’allegato I.13; l’art. 108, comma 2, là dove individua, quale criterio di aggiudicazione per i servizi tecnici di importo pari o superiore a 140.000,00 euro quello del miglior rapporto qualità-prezzo, garantendo un’adeguata valutazione dell’elemento qualitativo. Nella stessa direzione andrebbe letta la previsione relativa all’applicazione di specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili (la disciplina sull’anomalia dell’offerta, la possibilità di prevedere un’appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi).
Così interpretato, il quadro normativo di riferimento risulterebbe, dunque, coerente sia a livello nazionale che a livello europeo. Sotto quest’ultimo profilo occorre considerare che “l’art. 3, comma 3, della legge n. 49/2023 fa salve dalla sanzione della nullità le clausole che prevedono l’applicazione di compensi inferiori ai minimi tabellari in quanto riproduttive di disposizioni di legge (tra cui rientrano le disposizioni comunitarie e nazionali in materia di contratti pubblici) o attuative di principi europei (tra cui il principio di concorrenza)”.
Proprio in relazione a quest’ultimo profilo, nell’ambito di questa diversa ricostruzione si è ancora evidenziato che la previsione di tariffe minime non soggette a ribasso rischierebbe “di porsi in contrasto con il diritto euro-unitario, che impone di tutelare la concorrenza. Come chiarito dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 4 luglio 2019, causa C-377/2017, infatti, in materia di compensi professionali, l’indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell’Unione Europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi” (posizione confermata dalla successiva sentenza del 25/1/2024, causa C-438/2022 secondo cui le tariffe minime relative al compenso professionale degli avvocati devono essere disapplicate in quanto contrastanti con il principio di concorrenza).
A suffragare la tesi dell’incompatibilità tra i due sistemi normativi deporrebbe, inoltre, il rilievo che legge n. 49/2023 sarebbe applicabile ai rapporti professionali aventi ad oggetto “prestazioni d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 c.c. (contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale nell’ambito di un lavoro autonomo) e, più in generale, a tutti quei rapporti contrattuali caratterizzati dalla posizione dominante del committente, in cui è necessario ripristinare l’equilibrio sinallagmatico”; laddove, invece, i contratti pubblici aventi ad oggetto la prestazione di servizi di ingegneria e architettura sarebbero “normalmente riconducibili ai contratti di appalto ex art. 1655 c.c., con cui una parte assume l’organizzazione dei mezzi necessari e la gestione a proprio rischio”.
Inoltre, la concorrenza sul prezzo, in ogni sua componente, rappresenterebbe un elemento essenziale per il corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali delle gare pubbliche, sicché “l’eventuale limitazione alle sole spese generali o all’elemento qualitativo rischierebbe di introdurre di fatto una barriera all’ingresso per gli operatori, più giovani, meno strutturati e di minore esperienza”.
Rilievo determinante assumerebbe, infine, la circostanza che l’applicazione dell’art. 3, comma 5, della richiamata legge n. 49/2023, là dove ammette il ricorso al giudice civile per contestare l’affidamento ad un prezzo inferiore rispetto a quello definito in ossequio all’allegato I.13 del d.lgs. 36/2023, “oltre a determinare una sovrapposizione con i poteri e le competenze delle stazioni appaltanti in termini di verifica della congruità delle offerte, produrrebbe una situazione di assoluta instabilità e incertezza sull’affidamento e sulle relative condizioni, con evidenti ripercussioni sulla spesa pubblica. In particolare, l’esito positivo del giudizio ordinario comporterebbe la necessaria modifica del quadro economico finanziario dell’intervento, con conseguenti ricadute, anche sulla capacità di spesa futura, che appaiono tanto più evidenti per gli interventi finanziati con i fondi del PNRR”.
Alla luce di tali rilievi l’illustrata specialità del sistema dei contratti pubblici, che risponde ad una sua immanente logica proconcorrenziale, per certi versi antagonistica rispetto all’irrigidimento tabellare di singole voci di offerta, impedirebbe, dunque, “di cristallizzare i compensi professionali tramite la propugnata eterointegrazione automatica delle disposizioni della l. n. 49/2023”; inducendo, piuttosto,” a considerare queste ultime a guisa di principi direttivi cui la stazione appaltante deve indefettibilmente improntare la propria valutazione di congruità dell’offerta provvisoriamente aggiudicataria”.
Riprova ne sarebbe offerta dalla “previsione dell’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023, il quale, se da un lato, stabilisce che «la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso», d’altro lato, ammette, sia pure «in casi eccezionali e previa adeguata motivazione», perfino «prestazioni d’opera intellettuale … rese dai professionisti gratuitamente»”.
In ogni caso, il predicato meccanismo di eterointegrazione non apparirebbe “fondatamente invocabile a fronte del delineato quadro normativo, tutt’altro che univoco e perspicuo circa l’incidenza della disciplina in materia di equo compenso professionale sul regime dei contratti pubblici”, posto che – per come rilevato dall’Anac nella sopra citata delibera – le condizioni di partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici devono essere tutte indicate nel bando di gara, la cui eterointegrazione con obblighi imposti da norme di legge deve ritenersi ammessa in casi eccezionali, poiché l’enucleazione di cause di esclusione non conosciute o conoscibili dai concorrenti contrasta con i principi europei di certezza giuridica e di massima concorrenza (tutte le parti riportate tra virgolette sono tratte da TAR Salerno, n. 1494/2024 cit.).
11. Tanto chiarito in ordine alle due tesi in campo, il Collegio ritiene di condividere la seconda delle riferite ricostruzioni teoriche, apparendo la propugnata eterointegrazione dei bandi di gara che – come quello rilevante nella presente vicenda – consentano il ribasso anche della componente del ‘compenso’ con le norme dettate dalla L. n. 49/2023, sul presupposto della loro natura imperativa, difficilmente sostenibile. Sul punto, anche ai sensi dell’art. 74 c.p.a., è sufficiente richiamare le approfondite argomentazioni – di cui sopra si è dato sommariamente conto – svolte nella citata pronuncia dal Tar Salerno (n. 1494/2024), rimarcando, in particolare, al di là della coerente analisi condotta sul piano della compatibilità logica e sistematica dei due testi normativi, come l’individuazione del subprocedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta quale sede in cui misurare l’incidenza in concreto del ribasso operato sulla componente del ‘compenso’ sulla serietà dell’offerta e, allo stesso tempo, sulle soglie ‘minime’ stabilite dalle pertinenti previsioni ministeriali, costituisca un presidio idoneo a scongiurare i rischi paventati dai sostenitori dell’opposta tesi. Ed infatti un ribasso eccessivo, tale da erodere in maniera significativa la componente del ‘compenso professionale’, ove non giustificato da adeguate e convincenti motivazioni di fatto (rivenienti dalle capacità ‘strutturali’ del concorrente, dall’interesse all’affidamento per l’arricchimento del curriculum professionale, dalle esperienze già maturate in progettazioni analoghe, etc.), potrebbe certamente essere valutato dalla stazione appaltante come indicativo di una scarsa serietà dell’offerta, con ogni conseguente determinazione. Deve, inoltre, considerarsi che l’impiego di un simile meccanismo, in luogo della più dirompente eterointegrazione della disciplina di gara, oltre a responsabilizzare i singoli concorrenti quanto all’entità del ribasso praticabile nelle gare di progettazione sulla voce dei compensi, appare idoneo a neutralizzare il rischio di una possibile alterazione del risultato della procedura, precludendo in nuce l’eventuale attivazione da parte del concorrente che assuma la lesione del diritto presidiato dalla L. n. 49/2023 – purtuttavia conseguente alla sua scelta di offrire un ribasso oltre le soglie previste da detta legge – dello strumento ripristinatorio del sinallagma contrattuale apprestato in sede civile con la previsione della nullità di protezione. Per le stesse ragioni, è poi da escludersi che l’ammissibilità nelle gare de quibus di un ribasso oltre le soglie del D.M. del 2016 dell’importo a base di gara possa pregiudicare le finalità di tutela dei professionisti perseguite con la L. n. 49/2023, emergendo chiaramente dal relativo impianto generale che l’ambito precipuo della relativa applicazione riguardi i rapporti professionali aventi ad oggetto prestazioni d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 c.c. (contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale nell’ambito di un lavoro autonomo) e più in generale tutti quei rapporti contrattuali caratterizzati dalla posizione dominante del committente, in cui può fondatamente porsi l’esigenza di ripristinare l’equilibrio sinallagmatico.
L’espressa previsione dell’applicazione dell’equo compenso anche ai rapporti con la pubblica amministrazione non può valere, invece, a inferirne tout court l’operatività nell’ambito delle contrattazioni soggette alle regole dell’evidenza pubblica, risultando per contro i contratti pubblici aventi ad oggetto la prestazione di servizi di ingegneria e architettura normalmente riconducibili ai contratti di appalto ex art. 1655 c.c..
12. Orbene, la coerente applicazione alla vicenda in esame delle tracciate coordinate interpretative non lascia residuare alcun dubbio in ordine all’infondatezza del ricorso, non potendo per le ragioni esposte ritenersi affetta dalle eccepite criticità la scelta della stazione appaltante di ammettere alla gara i tre raggruppamenti temporanei di professionisti, classificatisi nelle prime tre posizioni della graduatoria, nelle cui offerte economiche era stata sottoposta a ribasso anche la componente del compenso determinato ai sensi del D.M. 17 giugno 2016.
Occorre, infatti, a tal riguardo evidenziare che la società ricorrente ha formulato la censura, limitandosi a denunciare l’illegittimità dell’aggiudicazione e dei sottesi verbali di gara per l’omessa esclusione da parte della stazione appaltante, in ragione della dedotta violazione della L. n. 49/2023, del RTP aggiudicatario nonché dei due RR.TT.PP. posizionatisi al secondo e al terzo posto della graduatoria.
Parte ricorrente non ha, invece, domandato, neppure in via subordinata, la rideterminazione dei punteggi da effettuarsi in sede di rinnovazione della procedura nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta, circoscrivendo così il petitum del ricorso alla sola domanda di esclusione degli avversari per violazione di una norma imperativa.
12.1. Da ciò consegue, allora, una volta esclusa l’adombrata illegittimità della lex specialis di gara nella parte in cui ha consentito ai concorrenti di operare il ribasso per l’offerta economica sull’intero importo posto a base di gara, e cioè anche sulla parte relativa al compenso, l’infondatezza della doglianza principale, dovendo ritenersi che la stazione appaltante abbia agito in conformità alle disposizioni del codice degli appalti nonché della stessa legge di gara, non contemplante peraltro, diversamente da quanto dedotto, alcuna esplicita previsione volta a perimetrare il ribasso in sede di offerta economica alle sole voci diverse dal compenso.
A tale specifico riguardo, pur reiterando le considerazioni sopra svolte quanto all’espresso richiamo nel Documento di Indirizzo alla Progettazione (decreto n. 221/2023/ADSP-MTMI) delle disposizioni della L. n. 49/2023, deve, invero, rimarcarsi che un analogo riferimento non risulta, invece, presente nel ‘bando e disciplinare di gara’, non contemplante, allo stesso modo, in alcuna sua parte l’asserita limitazione del ribasso alle sole componenti accessorie dell’importo complessivo posto a base di gara.
Deve, peraltro, rimarcarsi che nello stesso DIP n. 221 del 6.12.2023 il riferimento alla L. n. 49 del 2023 è presente nella sola motivazione (a pag. 5, “… per l’aggiudicazione della procedura… si dovrà ricorrere al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rapporto qualità prezzo, di cui all’art.108, comma 2 lettera b) del D.Lgs. 36/2023 … sulla base del combinato disposto dell’art. 8 comma 2 del Codice degli Appalti con la legge 21.04.2023 n. 49 recante Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”), non risultando ribadito nella parte dispositiva, dove risulta richiamato il solo art. 108, co. 2, lett. b), del d.lgs. n. 36/2023 (pag. 6).
Gli stessi chiarimenti resi dal RUP con la nota dell’8.04.2024, pur non prendendo espressa posizione sulla richiesta volta a sapere se “al valore posto in gara va applicata la legge 49/2023”, deponevano, peraltro, nella medesima direzione, indicando che “l’importo da porre a base di gara soggetto a ribasso sia l’importo complessivo di € 377.000,00”.
12.2. Può, dunque, conclusivamente affermarsi che la società ricorrente si sia determinata a presentare un’offerta economica con ribasso contenuto alle sole componenti accessorie dell’importo complessivo posto a base di gara, benché il tenore testuale del bando non rendesse una simile iniziativa obbligata.
13. A fronte della soluzione ermeneutica condivisa sulla quaestio iuris di cui si controverte, nulla vi è da aggiungere sulla seconda doglianza, formulata in via soltanto subordinata per l’evenienza in cui “la lex specialis devesse interpretarsi nel senso di consentire la formulazione di offerte economiche al ribasso che erodono l’equo compenso inderogabile determinato ai sensi del D.M. 16 giugno 2016”.
Ed invero, alla luce dei rilievi esposti nell’esaminare il primo motivo di ricorso, il paventato contrasto delle prescrizioni della legge di gara con le “norme imperative della Legge n. 49/2023 nonché con l’art. 8 e 108 D.Lgs. 36/2023” deve ritenersi insussistente, poggiando esso sull’erroneo presupposto della piena operatività della legge sull’equo compenso nel settore degli appalti pubblici. Evenienza, questa, che, per quanto detto, dev’essere invece esclusa, venendo con ciò meno in radice l’invocata possibilità di una eterointegrazione della legge di gara.
Più nel dettaglio, ed in estrema sintesi, il ricorrente ha evidenziato come a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 49/2023 in materia di “equo compenso”, le tariffe stabilite dal D.M. 17 giugno 2016 non possano più costituire un mero criterio o base di riferimento per le Stazioni Appaltanti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento, in quanto dovrebbero essere considerate un parametro vincolante e inderogabile per la determinazione dei corrispettivi negli appalti di servizi di ingegneria e di architettura, con la conseguente impossibilità per gli operatori economici di sottoporre a ribasso la componente “compensi” nell’ambito delle procedure di gara da svolgere con il criterio di aggiudicazione dell’offerta qualitativamente migliore in base al rapporto qualità/prezzo. Ciò in quanto la legge sul c.d. “equo compenso” ha stabilito che al professionista intellettuale, all’esito della gara o dell’affidamento, deve essere riconosciuto un corrispettivo proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, presumendo tale equità qualora il corrispettivo venga determinato ai sensi dei decreti ministeriali adottati in base all’art. 9 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1. Al tempo stesso, la legge n. 49/2023 ha previsto la nullità delle clausole che non prevedano un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, in quanto inferiore agli importi fissati dai parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini, consentendo soltanto al professionista di far valere tale nullità dinnanzi al giudice ordinario.
In questa logica (che sarebbe supportata anche dalla delibera ANAC n. 343 del 20.7.2023, resa in sede di precontenzioso), la Stazione Appaltante, pur apparentemente applicando tali principi, non li avrebbe utilizzati correttamente, posto che tutti gli operatori economici, incluso l’aggiudicatario, hanno formulato offerte economiche al ribasso, rispetto all’importo a base di gara, che hanno comportato una riduzione del compenso per l’attività di progettazione rispetto a quello “equo” determinato ai sensi del D.M. 17 giugno 2016; al contrario, il ricorrente ha affermato di avere presentato un’offerta economica con un ribasso limitato e tale da salvaguardare l’equo compenso, essendo comunque superiore all’importo determinato per tale voce dalla stessa Amministrazione nella disciplina di gara.
[…]
La Stazione appaltante, inoltre, ha evidenziato il possibile contrasto tra la legge n. 49/2023, come interpretata dal Raggruppamento ricorrente, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE, nonché con quanto previsto dalla Direttiva 2006/123/CE e dagli artt. 3, 41, 81, 117 Cost. e ha sollecitato il Collegio a formulare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia o a sollevare la questione di legittimità costituzionale innanzi alla Corte Costituzionale, qualora intenda accogliere la ricostruzione normativa formulata dal ricorrente.
[…]
2. Nel merito.
Il Collegio ritiene di doversi, in primo luogo, soffermare sull’esame della legge n. 49/2023, per quanto in questa sede di interesse.
Come è noto, con l’approvazione della legge 21 aprile 2023, n. 49, pubblicata sulla G.U. 5 maggio 2023, n. 104 (ed entrata in vigore in data 20 maggio 2023), il legislatore ha riscritto le regole in materia di compenso equo per le prestazioni professionali con l’intento di incrementare le tutele per quest’ultime, garantendo la percezione, da parte dei professionisti, di un corrispettivo equo per la prestazione intellettuale eseguita anche nell’ambito di quei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli”.
Più nel dettaglio, la novella normativa, che trova applicazione in favore di tutti i professionisti, a prescindere dalla loro iscrizione ad un ordine o collegio, ha previsto (art. 1) che per compenso equo deve intendersi la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:
a) per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
c) per i professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy.
Il successivo articolo 2, inoltre, ha specificato che la legge in esame trova applicazione ai rapporti professionali fondati sulla prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 c.c., regolamentati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali prestate a favore di imprese bancarie e assicurative, delle loro società controllate e delle loro mandatarie, imprese che, nell’anno precedente al conferimento dell’incarico, hanno occupato alle proprie dipendenze più di 50 lavoratori ovvero hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro e, infine, per le prestazioni rese in favore della Pubblica Amministrazione.
Il legislatore ha quindi stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, come determinato dall’art. 2, introducendo una nullità relativa o di protezione che consente al professionista di impugnare la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che prevede un compenso iniquo innanzi al Tribunale territorialmente competente in base al luogo in cui ha la residenza per far valere la nullità della pattuizione, chiedendo la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata con l’applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali relativi alla specifica attività svolta dal professionista.
Lo scopo della normativa in esame, come visto, è quello di tutelare i professionisti nell’ambito dei rapporti d’opera professionale in cui essi si trovino nella posizione di “contraenti deboli” ed emerge ulteriormente dalla previsione per la quale gli stessi ordini e i collegi professionali sono chiamati ad adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull’equo compenso.
Compenso non ribassabile.
2.1. Ebbene, è opinione di questo Collegio che non vi sia alcuna antinomia in concreto tra la legge n. 49/2023 e la disciplina del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50/2016 (applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in oggetto).
La tesi dell’antinomia è stata prospettata, con maggior precisione, dall’Amministrazione resistente, la quale ha osservato che l’art. 95, d.lgs. 50/2016 (così come oggi l’art. 108, c. 1 d.lgs. 36/2023) ha previsto tre diversi criteri di aggiudicazione: 1) affidamento “sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo”; 2) affidamento sulla base “dell’elemento prezzo”; 3) affidamento sulla base “del costo, seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo di vita”, con competizione limitata ai profili qualitativi.
Secondo la Stazione appaltante, quindi, poiché il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa è fondato “sul miglior rapporto qualità/prezzo”, a seguito dell’entrata in vigore della legge su c.d. “equo compenso”, le gare per servizi di architettura o di ingegneria dovrebbero essere strutturate e aggiudicate sulla base di un “prezzo fisso” non ribassabile, individuato dalla stessa P.a. come corrispettivo posto a base di gara, con competizione limitata alla sola componente tecnica dell’offerta e con una evidente compromissione della libera contrattazione, del confronto competitivo tra operatori economici e dei principi comunitari in materia di libertà di circolazione, di stabilimento e di prestazione di servizi.
Nel medesimo solco interpretativo, come segnalato dalla Stazione appaltante e dal Raggruppamento aggiudicatario, si è parzialmente collocata anche l’Anac che, oltre a sollecitare un intervento chiarificato del legislatore, ha evidenziato dei dubbi circa l’applicabilità della legge sull’equo compenso alla materia dei contratti pubblici.
Il Collegio ritiene la tesi in esame non condivisibile.
Si deve ricordare, in via generale, che un’antinomia può configurarsi “in concreto” allorché – in sede di applicazione – due norme connettono conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta. Ciò accade ogniqualvolta quest’ultima sia contemporaneamente sussumibile in due ipotesi normative diverse, l’applicazione delle quali, comporti, in conformità a quanto previsto dall’ordinamento giuridico, conseguenze giuridiche incompatibili tra loro.
In tale ipotesi, l’interprete è chiamato ad effettuare una interpretazione letterale, teleologica e adeguatrice delle norme in apparente contrasto, al fine di determinarne il significato che è loro proprio, coordinandole anche in un più ampio sistema di norme, rappresentato dall’ordinamento giuridico.
Nell’ipotesi in esame, l’interpretazione letterale e teleologica della legge n. 49/2023 depone in maniera inequivoca per la sua applicabilità alla materia dei contratti pubblici.
Come già esposto, infatti, il legislatore, al dichiarato intento di tutelare i professionisti intellettuali nei rapporti contrattuali con “contraenti forti” ha espressamente previsto l’applicazione della legge anche nei confronti della Pubblica Amministrazione e ha riconosciuto la legittimazione del professionista all’impugnazione del contratto, dell’esito della gara, dell’affidamento qualora sia stato determinato un corrispettivo qualificabile come iniquo ai sensi della stessa legge.
Non a caso, l’art. 8, d.lgs. n. 36/2023, oggi prevede che le Pubbliche Amministrazioni, salvo che in ipotesi eccezionali di prestazioni rese gratuitamente, devono garantire comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso nei confronti dei prestatori d’opera intellettuale.
Sul piano letterale e teleologico, pertanto, gli elementi sopra evidenziati depongono in maniera chiara per l’applicabilità delle previsioni della legge n. 49/2023 anche alla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 50 del 2016; diversamente opinando, l’intervento normativo in questione risulterebbe privo di reale efficacia sul mercato delle prestazioni d’opera intellettuale qualora il legislatore avesse inteso escludere i rapporti contrattuali tra i professionisti e la Pubblica Amministrazione che, nel mercato del lavoro attuale, rappresentano una percentuale preponderante del totale dei rapporti contrattuali conclusi per la prestazione di tale tipologia (si ricorda, a titolo esemplificativo, che con riferimento al 2021 l’Anac, in un periodo ancora condizionato dall’emergenza pandemica, ha stimato in circa 70 miliardi di euro il valore totale degli appalti di servizi aggiudicati dalle Pubbliche Amministrazioni).
Il Collegio ritiene, poi, che sia comunque applicabile, anche successivamente all’entrata in vigore della legge n. 49/2023, il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo.
Infatti, mediante l’interpretazione coordinata delle norme in materia di equo compenso e del codice dei contratti pubblici (nel caso in esame, del d.lgs. n. 50/2016, ma il ragionamento è analogo anche con riguardo al d.lgs. n. 36/2023) si può affermare che il compenso del professionista sia soltanto una delle componenti del “prezzo” determinato dall’Amministrazione come importo a base di gara, al quale si affiancano altre voci, relative in particolare alle “spese ed oneri accessori”.
L’Amministrazione è chiamata a quantificare tali voci in applicazione del D.M. 17 giugno 2016 per individuare l’importo complessivo da porre a base di gara; al tempo stesso, la voce “compenso”, individuata con tale modalità come una delle voci che costituiscono il prezzo, è da qualificare anche come compenso equo ai sensi della legge n. 49/2023, che sotto tale aspetto stabilisce che è equo il compenso dell’ingegnere o architetto determinato con l’applicazione dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell’art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1.
A tale conclusione si perviene in ragione del fatto che le due tipologie di decreti ministeriali (ossia il D.M. 17 giugno 2016 e il DM 140/2012 adottato ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1) sono costruiti con l’applicazione degli stessi parametri e la valorizzazione delle medesime voci; lo stesso art. 9, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, inoltre, disciplina unitariamente sia la determinazione dei compensi liquidabili giudizialmente al professionista, sia la determinazione degli importi da porre a base di gara da parte delle Amministrazioni (art. 9.2.“ Ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del Ministro vigilante, da adottare nel termine di centoventi giorni successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Entro lo stesso termine, con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse professionali e agli archivi precedentemente basati sulle tariffe. Il decreto deve salvaguardare l’equilibrio finanziario, anche di lungo periodo, delle casse previdenziali professionali. Ai fini della determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria di cui alla parte II, titolo I, capo IV del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, si applicano i parametri individuati con il decreto di cui al primo periodo, da emanarsi, per gli aspetti relativi alle disposizioni di cui al presente periodo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti; con il medesimo decreto sono altresì definite le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi. I parametri individuati non possono condurre alla determinazione di un importo a base di gara superiore a quello derivante dall’applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell’entrata in vigore del presente decreto.”). Ne deriva che il compenso determinato dall’Amministrazione ai sensi del D.M. 17 giugno 2016 deve ritenersi non ribassabile dall’operatore economico, trattandosi di “equo compenso” il cui ribasso si risolverebbe, essenzialmente, in una proposta contrattuale volta alla conclusione di un contratto pubblico gravato da una nullità di protezione e contrastante con una norma imperativa. Nondimeno, trattandosi di una delle plurime componenti del complessivo “prezzo” quantificato dall’Amministrazione, l’operatività del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in ragione del rapporto qualità/prezzo, è fatta salva in ragione della libertà, per l’operatore economico, di formulare la propria offerta economica ribassando le voci estranee al compenso, ossia le spese e gli oneri accessori.
Siffatta conclusione, oltre ad assicurare la coerente e coordinata applicazione dei due testi normativi, consente di escludere che la legge n. 49/2023 produca di per sé effetti anti concorrenziali o in contrasto con la disciplina dell’Unione Europea (profilo che sarà esaminato più ampiamente nel prosieguo dell’esposizione). Si osserva, infatti, che escludere la proposizione di offerte economiche al ribasso sulla componente del prezzo rappresentata dai “compensi” non è un ostacolo alla concorrenza o alla libertà di circolazione e di stabilimento degli operatori economici, ma al contrario rappresenta una tutela per questi ultimi, a prescindere dalla loro nazionalità, in quanto permetterà loro di conseguire un corrispettivo equo e proporzionato anche da un contraente forte quale è la Pubblica Amministrazione e anche in misura superiore a quella che sarebbero stati disposti ad accettare per conseguire l’appalto; inoltre, l’operatore economico che, in virtù della sua organizzazione d’impresa, dovesse ritenere di poter ribassare componenti accessori del prezzo (ad esempio le spese generali) potrà avvantaggiarsi di tale capacità nell’ambito del confronto competitivo con gli altri partecipanti alla gara, fermo restando il dovere dell’Amministrazione di sottoporre a controllo di anomalia quelle offerte non serie o che, per la consistenza del ribasso offerto su componenti accessorie del prezzo, potranno apparire in buona sostanza abusive, ossia volte ad ottenere un vantaggio indebito traslando su voci accessorie il ribasso economico che, in mancanza della legge n. 49/2023, sarebbe stato offerto sui compensi.
Eterointegrazione Legge 49/2023 applicabile.
3. Da quanto finora esposto, deriva che la legge n. 49/2023 deve essere applicata anche alla procedura di gara oggetto del presente giudizio.
Al riguardo, deve essere evidenziato come la Stazione appaltante abbia espressamente richiamato la legge n. 49/2023 nell’ambito del controllo sull’anomalia dell’offerta del Raggruppamento aggiudicatario: tale richiamo non può essere derubricato ad un mero “aver tenuto conto”, come affermato dalla Stazione appaltante, posto che l’Amministrazione non è chiamata a tenere conto discrezionalmente di una legge in vigore, ma a darvi rigorosa applicazione.
Ma ciò che è dirimente osservare è che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Stazione appaltante e dal Raggruppamento aggiudicatario, la disciplina di gara deve ritenersi essere stata eterointegrata dalla legge n. 49/2023.
Tale istituto, come è noto, “ha come necessario presupposto la sussistenza di una lacuna nella legge di gara e, solo nel caso in cui la stazione appaltante ometta di inserire nella disciplina di gara elementi previsti come obbligatori dall’ordinamento giuridico, soccorre il meccanismo di integrazione automatica in base alla normativa in materia, analogamente a quanto avviene nel diritto civile ai sensi degli artt. 1374 e 1339 c.c., colmandosi in via suppletiva le eventuali lacune del provvedimento adottato dalla Pubblica amministrazione; l’invocato meccanismo sostitutivo/integrativo riesce quindi ad operare solo in presenza di norme imperative e cogenti” (si v. ex multis, Consiglio di Stato sez. III, 24/10/2017, n.4903).
Nel caso in esame, il bando di gara non ha previsto, espressamente, l’applicazione della legge sul c.d. “equo compenso” e non ha precluso la formulazione di offerte economiche al ribasso sulla componente “compenso” del prezzo stabilito; tale lacuna, con riferimento ad un profilo sottratto alla libera disponibilità della Stazione appaltante, deve ritenersi integrata dalle norme imperative previste dalla legge n. 49/2023 che, come visto, ha stabilito la nullità delle clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata.
Il fatto che il combinato disposto degli artt. 1, 2 e 3, l. n. 49 del 2023 integrino un’ipotesi di norma imperativa, non può, ad avviso del Collegio essere messo in dubbio.
Premesso che la già ricordata previsione testuale della nullità rappresenta, quantomeno, un indizio “forte”, al riguardo, occorre ricordare come, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, ‹‹il focus dell’indagine sulla imperatività della norma violata si appunta ora sulla natura dell’interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività›› (Cass. civ., Sez. Un., 15 marzo 2022 n. 8472).
Nel caso di specie, l’imperatività della normativa in esame è associata non solo, come detto, alla previsione testuale della nullità, ma anche al fatto che lo scopo del provvedimento è quello di assicurare al professionista un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, sia in sostanziale attuazione dell’art. 36 Cost., sia per rafforzare la tutela dei professionisti nel rapporto contrattuale con specifiche imprese, che per natura, dimensioni o fatturato, sono ritenute contraenti forti, ovvero, per quanto in questa sede di interesse, con la P.a..
A tale riguardo, con particolare riguardo alle procedure di evidenza pubblica, è chiaro come non possono non venire in preminente rilievo anche i principi di imparzialità e buon andamento della P.a.: sarebbe irragionevolmente discriminatorio se i limiti imposti dalla normativa in esame non fossero rispettati, in modo particolarmente cogente, proprio dalla P.a. nell’ambito delle gare, laddove vengono in gioco anche interessi generali ulteriori correlati alla tutela della concorrenza e della par condicio dei concorrenti in gara.
In questo senso, con specifico riguardo alla rilevanza della disciplina sull’equo compenso nell’ambito delle procedure di gara, in combinato disposto con le previsioni contenute nel d.lgs. n. 50 del 2016, il Collegio ritiene che la natura relativa o di “protezione” della nullità in questione, così come emergente dall’art. 3, comma 4, l. n. 49 del 2023 (laddove prevede che ‹‹la nullità delle singole clausole non comporta la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto. La nullità opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d’ufficio››) non possa comportare l’irrilevanza della violazione dei compensi minimi in sede di gara.
Infatti, la norma in questione è di portata generale, ed è chiaramente pensata, in particolare, in funzione della già avvenuta stipula del contratto con il professionista, nell’ambito, quindi, del rapporto contrattuale con lo stesso instaurato.
D’altronde, pur non contenendo la normativa in esame una previsione puntuale in ordine alle conseguenze derivanti dalla violazione in esame nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, è evidente che, in considerazione delle finalità di carattere generale sopra evidenziate, e, in particolare, al fine di garantire il puntuale rispetto del principio di imparzialità e buon andamento dell’attività della P.a., nonché dei principi anche eurounitari alla base delle procedure ad evidenza pubblica medesime, non può ammettersi un’aggiudicazione in palese violazione di una norma imperativa, ancorché nell’ambito del rapporto contrattuale “ a valle” la nullità del contratto possa essere dedotta solo dal professionista.
Diversamente, infatti, si rischierebbe, proprio nell’ambito delle procedure ad evidenza pubblica, una pericolosa eterogenesi dei fini: il professionista concorrente potrebbe essere “tentato” di abusare della nullità di protezione in questione, volutamente presentando un’offerta “inferiore” ai minimi, per così ottenere l’aggiudicazione e, una volta stipulato il contratto far valere la nullità parziale al fine di attivare il “meccanismo” di cui al comma 6 dell’art. 3, ai sensi del quale ‹il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull’urgenza e sul pregio dell’attività prestata, sull’importanza, sulla natura, sulla difficoltà e sul valore dell’affare, sulle condizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In tale procedimento il giudice puo’ avvalersi della consulenza tecnica, ove sia indispensabile ai fini del giudizio›.
È evidente d’altronde, che ciò porterebbe ad un aggiramento del principio di tendenziale immutabilità dell’offerta anche in sede di esecuzione del contratto pubblico.
In questo senso, allora, la nullità relativa o di protezione si può ritenere giustificata proprio in relazione ai casi in cui il professionista è sostanzialmente “tenuto” a “subire” la previsione contraria all’equo compenso, e ciò anche eventualmente quando ad imporre la riduzione al di sotto dei minimi sia la P.a..
Diversamente, nell’ambito di gare, come quella in esame, dove la violazione della normativa sull’equo compenso non è imposta dalla P.a., ma dipende da una volontaria scelta dell’operatore economico al fine di ottenere l’aggiudicazione superando gli altri concorrenti, la natura “relativa” della nullità non può rivestire alcun rilievo, l’imperatività della normativa medesima imponendo, al contrario, un effetto escludente delle offerte con la stessa in contrasto.
Né possono deporre in senso contrario i principi di certezza del diritto o di legittimo affidamento, come valorizzato in un caso analogo dalla delibera Anac n. 101/2024. Su tale aspetto, il Collegio si limita ad osservare, trattandosi di delibera che è stata oggetto di ampia discussione orale tra le parti, che sono proprio i principi da ultimo indicati a determinare la necessaria integrazione della disciplina di gara nel caso concreto, posto che la legge n. 49/2023 ha stabilito delle norme di carattere imperativo in merito a profili che sono estranei alla libera determinazione delle Amministrazioni aggiudicatrici. Ne deriva che soltanto tramite il meccanismo di integrazione finora descritto può essere tutelato l’affidamento degli operatori economici sul legittimo esercizio dell’azione amministrativa nel caso concreto.
Nessun contrasto con le Direttive Comunitarie.
4. Le conclusioni a cui si è pervenuti rendono necessario scrutinare le questioni pregiudiziali poste dalla Stazione appaltante in ordine al possibile contrasto tra la legge n. 49/2023, come interpretata da questo Collegio, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE, nonché con quanto previsto dalla Direttiva 2006/123/CE e dagli artt. 3, 41, 81, 117 Cost.
4.1. Più nel dettaglio, la Stazione appaltante ha osservato come l’esclusione della formulazione di ribassi sui compensi si tradurrebbe nell’imposizione da parte del legislatore di tariffe obbligatorie prive di flessibilità, idonee ad ostacolare la libertà di stabilimento, di prestazione di servizi e la libera concorrenza nel mercato europeo. Allo stesso modo, si avrebbe, a giudizio della Stazione appaltante, un evidente contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di proporzionalità e un incremento della spesa pubblica senza che la stessa legge n. 49/2023 abbia previsto le risorse con cui farvi fronte. Ciò in quanto per i contratti a cui tale legge risulterà applicabile, l’Amministrazione committente potrebbe essere condannata dal Tribunale ordinario al pagamento dei compensi per l’attività professionale svolta dall’operatore economico che abbia deciso di impugnare, entro il termine prescrizionale di dieci anni successivi alla conclusione del rapporto negoziale, il contratto, l’esito della gara o l’affidamento per far valere l’iniquità del compenso conseguito.
4.2. Il Collegio ritiene che entrambe le questioni pregiudiziali siano manifestamente infondate.
Quanto all’ipotizzata restrizione della libertà di stabilimento e di prestazione di servizi, si deve ricordare come dalla giurisprudenza costante della CGUE emerga che la restrizione sia configurabile a fronte di misure che vietino, ostacolino o scoraggino l’esercizio di tali libertà (v., ex multis, sentenze 15 gennaio 2002, causa C-439/99, Commissione/Italia; 5 ottobre 2004, causa C-442/02, CaixaBank France). Ciò si può configurare a fronte di misure che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudichino l’accesso al mercato per gli operatori economici di altri Stati membri.
Più nel dettaglio, affrontando la tematica delle disposizioni italiane che hanno imposto agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Corte di Giustizia ha affermato che “una normativa di uno Stato membro non costituisce una restrizione ai sensi del Trattato CE per il solo fatto che altri Stati membri applichino regole meno severe o economicamente più vantaggiose ai prestatori di servizi simili stabiliti sul loro territorio (v. sentenza 28 aprile 2009, Commissione/ Italia, cit., punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
L’esistenza di una restrizione ai sensi del Trattato non può dunque essere desunta dalla mera circostanza che gli avvocati stabiliti in Stati membri diversi dalla Repubblica italiana devono, per il calcolo dei loro onorari per prestazioni fornite in Italia, abituarsi alle norme applicabili in tale Stato membro.
Per contro, una restrizione del genere esiste, segnatamente, se detti avvocati sono privati della possibilità di penetrare nel mercato dello Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci” (si v. sentenza C-565/08, Commissione/Italia).
Ebbene, nel caso in esame, il Collegio ritiene che la normativa nazionale non sia in grado di pregiudicare l’accesso, in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, al mercato italiano da parte di operatori economici di altri Stati dell’Unione Europea.
In primo luogo, si osserva che l’impostazione seguita dalla legge n. 49/2023 deriva dal dichiarato intento del legislatore italiano di preservare il professionista intellettuale nell’ambito dei rapporti con “contraenti forti”, inclusa la Pubblica Amministrazione.
Infatti, in ragione delle peculiarità del mercato e dei servizi in esame, tali rapporti contrattuali potrebbero concretizzarsi nell’offerta di prestazioni al ribasso, e, attraverso una selezione avversa, persino nell’eliminazione degli operatori che offrono prestazioni di qualità. Nel perseguimento di tale interesse di portata generale (già ritenuto dalla Corte di Giustizia UE idoneo a giustificare la previsione di “tariffe” minime, si v. sentenza C-377/17 Commissione c. Repubblica federale di Germania e Ungheria) la previsione dell’inderogabilità al ribasso della voce “compensi”, oltre a trovare applicazione omogenea nei confronti di ogni operatore economico, non appare in grado di ostacolare la partecipazione alle gare pubbliche.
Infatti, tale previsione si risolve nel riconoscimento, in favore dell’aggiudicatario, di un compenso equo, proporzionato alla prestazione intellettuale eseguita, e ipoteticamente anche in misura superiore a quello che avrebbe accettato qualora fosse stato ammissibile un ribasso sul proprio compenso.
Si tratta, pertanto, di un rafforzamento delle tutele e dell’interesse alla partecipazione alle gare pubbliche, rispetto alle quali l’operatore economico, sia esso grande o piccolo, italiano o di provenienza UE, è consapevole del fatto che la competizione si sposterà eventualmente su profili accessori del corrispettivo globalmente inteso (ad esempio, come visto, sulle spese generali) e, ancor di più, sul profilo qualitativo e tecnico dell’offerta formulata. Ciò è idoneo a produrre, a giudizio del Collegio, anche effetti pro-concorrenziali in favore del piccolo operatore economico, che sarà incentivato a partecipare alle pubbliche gare nella consapevolezza che non si troverà più a competere sulla voce “compensi” con gli operatori di grandi dimensioni, che per loro stessa natura possono essere maggiormente in grado di formulare ribassi su tale voce, mantenendo comunque un margine di utile rilevante.
Pertanto, il meccanismo derivante dall’applicazione della legge n. 49/2023 è tale da garantire sia dei margini di flessibilità e di competizione anche sotto il profilo economico, sia la valorizzazione del profilo qualitativo e del risultato, in piena coerenza con il dettato normativo nazionale e dell’Unione Europea. In particolare, si ricorda che, sin dalle direttive del 2014, il legislatore dell’UE ha voluto superare il criterio del minor prezzo quale strumento predominante di aggiudicazione delle pubbliche gare, favorendo il ricorso al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che consente alla Stazione appaltante di strutturare l’aggiudicazione valorizzando la qualità dell’offerta tecnica, ma anche considerazioni ambientali, aspetti sociali o innovativi, pur tenendo conto del prezzo e dei costi.
Non si può pervenire ad un esito interpretativo difforme neanche alla luce della recente pronuncia della Corte di Giustizia (Causa C-438/22, sentenza del 25.1.2024) con cui è stato affermato che “L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE , in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dev’essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui un giudice nazionale constati che un regolamento che fissa gli importi minimi degli onorari degli avvocati, reso obbligatorio da una normativa nazionale, è contrario a detto articolo 101, paragrafo 1, esso è tenuto a rifiutare di applicare tale normativa nazionale nei confronti della parte condannata a pagare le spese corrispondenti agli onorari d’avvocato, anche qualora tale parte non abbia sottoscritto alcun contratto di servizi d’avvocato e di onorari d’avvocato”. In tale fattispecie, infatti, gli importi minimi degli onorari degli avvocati, pur essendo stati recepiti dal legislatore nazionale, erano stati determinati dalla stessa associazione di categoria nel perseguimento di un proprio interesse specifico e settoriale, con una finalità, quindi, del tutto diversa dall’obiettivo perseguito dal legislatore italiano attraverso la novella in esame che, imponendo di preservare l’equo compenso di tutti i professionisti intellettuali nei rapporti con la P.a., nell’ambito delle procedure di gare, ove, evita l’offerta di prestazioni al ribasso e la possibile eliminazione, dalle pubbliche gare, degli operatori che offrono prestazioni maggiormente qualitative.
Tale interesse generale, peraltro, è stato perseguito mediante un intervento normativo proporzionato e ragionevole, in cui comunque si è lasciata la possibilità all’operatore economico di differenziarsi anche sotto il profilo economico a condizione di salvaguardare l’equo compenso.
In questa prospettiva, non si ravvisa alcun contrasto con l’art. 3 Cost. per come enunciato dalla Stazione appaltante. Né, tantomeno, appare fondata la questione di illegittimità costituzionale proposta in quanto dall’applicazione della legge n. 49/2023 deriverebbero maggiori oneri per la finanza pubblica, senza una adeguata previsione normativa.
Al riguardo, fermo restando che non sono stati forniti elementi precisi a sostegno della contestazione in esame, va, per contro, osservato un maggior onere per le finanze pubbliche potrebbe derivare non tanto dall’applicazione in sede di gara dalle previsioni della l. n. 49 del 2023 sul c.d. equo compenso, quanto dalla stipulazione di contratti nulli da parte delle Stazioni appaltanti, che abbiano operato in contrasto con la norma imperativa: d’altronde, non può ragionevolmente affermarsi che sia quest’ultima norma a dover stanziare le risorse economiche per far fronte alle possibili e indeterminate (sotto il profilo dell’an e del quantum) violazioni del suo contenuto. Ne deriva, pertanto, che deve essere affermata la piena compatibilità tra la legge n. 49/2023, da applicare come finora esposto alla fattispecie sottoposta a questo Collegio, e gli artt. 49, 56, 101 TFUE e gli artt. 3, 41, 81, 117 Cost.
Delibera ANAC n. 343 del 20.07.2023 Appalto pubblico – Servizi ingegneria e architettura – Corrispettivi – Equo compenso – Tabelle ministeriali – Inderogabilità – Sussiste.
In base alla nuova disciplina dell’equo compenso recata dalla legge 49/2023, nei servizi di ingegneria e architettura non è consentita la fissazione di un corrispettivo inferiore rispetto a quello risultante dall’applicazione delle tabelle ministeriali.
In particolare, secondo l’Autorità, “dal complesso delle disposizioni citate si desume che le tariffe stabilite dal D.M. 17 giugno 2016 non possono più costituire un mero “criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento”, come previsto dall’art. 24, comma 8, del D.lgs. 50/2016, ovvero un mero parametro dal quale è consentito alle Stazioni appaltanti di discostarsi, motivando adeguatamente la scelta effettuata. Le tariffe ministeriali, secondo la novella normativa, assurgono a parametro vincolante e inderogabile per la determinazione dei corrispettivi negli appalti di servizi di ingegneria e architettura e l’impossibilità di corrispondere un compenso inferiore rispetto ai suddetti parametri comporta anche la non utilizzabilità dei criteri di aggiudicazione del prezzo più basso e dell’offerta economicamente più vantaggiosa; alla luce del nuovo quadro normativo sembra potersi ipotizzare che le procedure di gara aventi ad oggetto l’affidamento dei servizi tecnici dovrebbero essere costruite come gare “a prezzo fisso”, con competizione limitata alla componente qualitativa.
Diversamente opinando, non si spiegherebbe né la previsione della nullità, rilevabile anche d’ufficio, della clausola che fissi un compenso inferiore a quello stabilito dal decreto ministeriale né l’abrogazione dell’art. 2, comma 1, lettera a) del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 che, come anticipato, aveva eliminato l’obbligatorietà delle tariffe minime. Si tratta di una novità di assoluto rilievo che, volta a garantire una adeguata remunerazione per le attività libero professionali, risulta indirettamente idonea anche a tutelare la qualità delle prestazioni, obiettivo di primaria importanza nel settore dei contratti pubblici, come testimoniato dai plurimi riferimenti contenuti nel testo del d.lgs. 50/2016 (tra i tanti, si segnalano l’art. 23, in tema di livelli della progettazione, ove è previsto che la progettazione deve assicurare “la qualità architettonica e tecnico funzionale e di relazione nel contesto dell’opera” e l’art. 30, in tema di principi per l’aggiudicazione dei contratti pubblici, ove la qualità è anteposta agli altri principi che devono regolare l’affidamento degli appalti pubblici)”.
La presente si segnala in relazione all’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 36/2023 ai sensi del quale “Le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso“.
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