Dichiarazione di moralità per l’amministratore cessato dalla carica dopo la pubblicazione del bando (Art. 38 d.lgs. n. 163/2006)

lui232Consiglio di Stato, Sez. V, 27.12.2013 n. 6271

(sentenza integrale)

Secondo la società appellante, l’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, nel prevedere per i soggetti cessati dalla carica l’obbligo della dichiarazione del pregiudizio penale, farebbe riferimento ai soli soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando e, trattandosi di norme di stretta interpretazione, ne sarebbe consentita solo l’interpretazione letterale.

L’assunto è infondato.

Deve ritenersi che rispetto agli obblighi di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006, la data della pubblicazione del bando di gara costituisce il discrimine temporale che definisce sia i soggetti in carica sia quelli cessati, imponendo le dichiarazioni di rito ad entrambe le categorie con riferimento quindi tanto alla situazione esistente a quella data quanto a quella antecedente.

Tale onere dichiarativo rimane quindi indifferente al mutamento, dopo il giorno di pubblicazione dell’atto indittivo, delle persone nelle cariche sociali e negli incarichi previsti dalla norma (in termini cfr. TAR Puglia, Bari, sez. I, 6 luglio 2011, n. 1022; TAR Puglia, sezione distaccata di Lecce, 23 giugno 2012, n. 1134).

Ne consegue che è priva di consistenza giuridica la tesi dell’appellante secondo la quale il soggetto cessato dalla carica nel periodo tra l’indizione del bando e la presentazione dell’offerta non sarebbe tenuto a rendere la dichiarazione del pregiudizio penale.

Tale prospettazione presuppone l’esistenza di una vacatio tra l’indizione del bando e la presentazione dell’offerta, una specie di zona neutra che non trova ragione né nella ratio della norma né nell’interpretazione letterale, atteso che la norma non individua i soggetti tenuti alla dichiarazione del pregiudizio penale esclusivamente in coloro che sono amministratori muniti di poteri rappresentativi al momento dell’offerta, sicché non può che farsi riferimento alla data di indizione del bando.

Ne consegue che la società appellante avrebbe dovuto presentare la dichiarazione di moralità dell’amministratore cessato dalla carica dopo la pubblicazione del bando di gara, dovendosi interpretare il richiamo all’art. 38 operato dal disciplinare di gara come comprensivo di tale obbligo.

Parimenti priva di fondamento è la tesi difensiva con cui controparte sostiene che l’omessa dichiarazione potesse essere sanata dalla produzione in giudizio del certificato del casellario giudiziale nel quale non risultano annotate condanne a carico del suddetto amministratore.

La teoria del c.d. “falso innocuo”, cui fa riferimento l’appellante, non può operare laddove trattasi di assenza di dichiarazioni previste dalla legge e dal bando a pena di esclusione.

D’altra parte non è ravvisabile nella lex di gara alcuna carenza che possa aver indotto in errore circa l’obbligo della dichiarazione, sì da giustificare una tardiva produzione documentale.

Invero la ricorrente si sofferma sulla disposizione della lex di gara riguardante la dichiarazione dei soggetti cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando e non considera i soggetti in carica alla data di pubblicazione del bando, tra i quali rientra per l’appunto il signor XXX.

Sono di conseguenza non pertinenti i richiami contenuti in ricorso a quella giurisprudenza che ammette l’integrazione delle dichiarazioni rese in conformità del bando e dei moduli da essa predisposti, riguardando fattispecie del tutto diverse da quella qui in questione.

Sotto altro profilo non può essere sottovalutata la differenza sostanziale tra il certificato dei carichi pendenti e la dichiarazione ex l. n. 445 del 2000 di inesistenza del pregiudizio penale, atteso che il certificato del casellario giudiziale rilasciato ai privati non contiene tutte le condanne eventualmente comminate all’interessato, mancando quelle per le quali è prevista la non menzione, tra le quali le condanne di tipo contravvenzionale per le violazioni delle norme di sicurezza sul lavoro, che sono normalmente rilevanti nella materia dei pubblici appalti.

Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto, con conferma della sentenza di primo grado, anche per quanto attiene la statuizione di improcedibilità del ricorso principale.

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