Consiglio di Stato, sez. IV, 19.10.2021 n. 7023
9. Il Tar ha ritenuto illegittimo l’affidamento (rectius, la scelta del sistema “in house”) perché sarebbe fallito l’onere motivazionale rafforzato di cui all’art. 192 del Codice dei contratti (D.Lgs n. 50 del 2016).
10. La questione controversa trova il proprio paradigma normativo di riferimento nell’art. 192, comma 2, d.lvo n. 50 del 2016, a mente del quale “ai fini dell’affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”.
10.1. La norma opera in deroga al generale obbligo di indire una gara orientata al confronto concorrenziale tra gli operatori economici del settore ed ha carattere integrativo quanto alle condizioni per il legittimo ricorso all’affidamento in house, rispetto all’art. 12, Dir. 26 febbraio 2014, n. 2014/24/UE.
10.2. Non a caso essa è stata tacciata di sospetta incostituzionalità (in asserita violazione del divieto di cd. gold plating, corrispondente ad uno dei criteri direttivi contenuti nella legge delega n. 11 del 2016, ovvero del divieto, in sede di recepimento di direttive comunitarie, di prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie) e di incompatibilità comunitaria (per asserito contrasto con il principio euro-unitario per cui le autorità nazionali, regionali e locali sono libere di decidere il modo migliore per gestire l’esecuzione dei lavori e la prestazione dei servizi per garantire in particolare un elevato livello di qualità, sicurezza e accessibilità, la parità di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti dell’utenza nei servizi pubblici, avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli ad operatori economici esterni, sancito dall’art. 2 Dir. 26 febbraio 2014, n. 2014/23/UE).
10.3. I dubbi sono stati fugati sia dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 100 del 27 maggio 2020, che dalla Corte di Giustizia UE (con sentenza della Sez. IX, 6 febbraio 2020 nelle cause riunite nn. C-89/19 e C-91/19).
10.4. La norma in esame (art. 192 cit.) configura, come è dato evincere dal suo tenore testuale e secondo l’interpretazione che ne ha fatto la giurisprudenza amministrativa, una duplice condizione cui è subordinata la legittimità del ricorso al modello di gestione in house dei servizi pubblici: (a) la dimostrazione del cd. “fallimento del mercato”, ovvero della incapacità del mercato di offrire il servizio de quo alle medesime condizioni, qualitative, economiche e di accessibilità, garantite dal gestore oggetto del “controllo analogo”; (b) la sussistenza di specifici “benefici per la collettività” derivanti dall’affidamento diretto del servizio in house.
[…]
14. L’art. 192, comma 2, del Codice degli appalti pubblici (d. lgs. n. 50 del 2016) impone, come sopra anticipato, che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni).
14.1. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito, quanto alla condizione per cui si discetta (cfr. Cons. St., sez. V, sent. n. 1564 del 3 marzo 2020) che: a) il primo presupposto per procedere mediante l’ “in house” consiste nell’obbligo di motivare le ragioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato. Tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato “fallimento del mercato”, rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche”, cui la società in house invece supplirebbe.
14.2. La previsione dell’ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese.
15. La stessa giurisprudenza ha, inoltre, precisato che, “trattandosi di valutazione unitaria e complessa, in quanto finalizzata a sintetizzare entro un quadro unificante (rappresentato dai vantaggi insiti nell’affidamento in house rispetto a quelli derivanti dal meccanismo concorrenziale) dati molteplici e variegati (secondo lo spettro valoriale dianzi richiamato), il sindacato del giudice amministrativo non potrà che svolgersi secondo le coordinate tipiche del potere discrezionale, rifuggendo quindi da una analisi di tipo atomistico e parcellizzato della decisione amministrativa portata alla sua cognizione, ma orientandolo verso una valutazione di complessiva logicità e ragionevolezza del provvedimento impugnato”.
16. Ne consegue che, l’obbligo motivazionale che si impone all’Ente refluisce, sul piano istruttorio, nella attribuzione alla stessa Amministrazione della scelta, anch’essa tipicamente discrezionale, in ordine alle modalità più appropriate a percepire, in relazione alla concreta situazione di fatto, i dati necessari al fine di compiere, in maniera oggettiva quanto completa, la predetta valutazione di “preferenza”.
16.1. Tale metodo impone all’Amministrazione di prendere in considerazione sia la soluzione organizzativa e gestionale praticabile attraverso il soggetto in house, sia la capacità del mercato di offrirne una equivalente, se non maggiormente apprezzabile, sotto i profili della “universalità e socialità, efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche”. Sotto questo profilo, le valutazioni da esprimere (benefici per la collettività e fallimento del mercato) possono essere accorpate in un’unica motivazione che esponga in modo «ragionevole e plausibile le ragioni che, nel caso concreto», hanno condotto l’amministrazione «a scegliere il modello in house rispetto alla esternalizzazione (v. Cons. St., sent. 2102/2021).
17. Stanti i rassegnati limiti di sindacato, la verifica del giudice amministrativo dovrà, pertanto, arrestarsi allo scrutinio esogeno della funzione amministrativa esercitata, avuto riguardo alla idoneità delle modalità sottese alla scelta a fornire un quadro attendibile ed esaustivo della realtà fattuale rilevante nei sensi illustrati.
17.1. Naturalmente, la congruità dell’attività istruttoria posta in essere dall’Amministrazione deve essere valutata caso per caso; ciò implica, e così si entra nel vivo della questione controversa, che non potrebbe escludersi la legittima possibilità per l’amministrazione di procedere secondo modalità che non si traducono nell’effettuazione di specifiche indagini di mercato e/o di tipo comparativo.
17.2. E invero, la peculiarità del caso concreto, l’esperienza di mercato vissuta in precedenza, l’elaborazione di specifici dati ben possono indurre alla ragionevole valutazione che l’affidamento mediante gara non garantisca (non, quantomeno, nella stessa misura di quello diretto) il raggiungimento degli obiettivi prefissati, traducendosi in plausibili, dimostrabili e motivate ragioni idonee a giustificare la scelta.
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