Consiglio di Stato, sez. V, 20.01.2020 n. 444
Con il secondo motivo di appello [l’appellante], ricordato che [l’appellata] è società in house per l’erogazione di servizi pubblici locali e come tale tenuta al rispetto dell’art. 16 del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (secondo cui “Gli statuti delle società di cui al presente articolo [ovvero le società in house] devono prevedere che oltre l’ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci”), ha sostenuto che il rispetto di tale soglia sia requisito soggettivo da cui dipende la stessa capacità di partecipazione della società in house alle gare competitive del mercato esterno e che di tale requisito sia priva [l’appellata]: i servizi analoghi dell’ultimo triennio di cui al par. 17.3.5 del disciplinare da essa dichiarati svolti da [l’appellata] in favore di [stazione appaltante] non avrebbero potuto essere utili ai fini di partecipazione alla gara, in quanto i bilanci di [l’appellata] attesterebbero che nel periodo il 2010 e il 2016 l’incidenza percentuale dei servizi prestati verso terzi sul valore totale della produzione è pari al 41,13% ed inoltre questi servizi sarebbero conseguenza di un affidamento diretto (ma non in house, in quanto [stazione appaltante] non era all’epoca socia di [l’appellata]).
La censura è da respingere.
Il citato art. 16 del d.lgs. n. 175/2016, in conformità alla direttiva UE 2014/23, ha lo scopo di assicurare che il funzionamento della società in house sia improntato ad una regola interna in grado di conformarne l’operatività.
Senonché tale regola non viene in rilievo nel caso di specie nel quale non si contesta ovvero non è controversa la legittimità di un affidamento diretto di un appalto ad una società pubblica in house, quanto piuttosto si ritiene che i servizi effettivamente svolti dalla società in house non sarebbero utilizzabili proprio da quella società in house per partecipare ad una procedura aperta indetta da un’altra amministrazione a causa della presunta violazione del limite di operatività fissato dal predetto articolo.
Al riguardo deve osservarsi, per un verso, le conseguenze dell’eventuale situazione irregolare in cui si trova [l’appellata] non determina la perdita della sua capacità di partecipare a gare pubbliche, trattandosi di una vera e propria sanzione che come tale dovrebbe essere tipica ed espressa, mentre non è neppure prevista dal Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016: l’art. 16, comma 4 del d.lgs. n. 175 del 2016 qualifica infatti il mancato rispetto del predetto limite quantitativo in termini di grave irregolarità, che, in quanto tale, può essere oggetto di denunzia degli amministratori dinanzi al tribunale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2409 Cod. civ., e di valutazione nell’ambito delle attività di monitoraggio, indirizzo e coordinamento delle società in house di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze; inoltre essa è suscettibile di essere sanata dalla società in house ai sensi del comma 5, optando tra la rinunzia a una parte dei rapporti con soggetti terzi e conseguente scioglimento dei relativi contratti – sicchè i contratti con i terzi eccedenti il limite di legge non possono dirsi neanche affetti, a monte, da nullità – e la rinunzia agli affidamenti diretti da parte dell’ente o degli enti pubblici soci.
Né d’altro canto l’incapacità dedotta dall’appellante può conseguire dall’attività di coordinamento dei due testi normativi (TUSPP e Codice appalti), operazione che non può tradursi nella creazione di una sanzione non prevista dall’ordinamento.
In definitiva, come correttamente ritenuto dal tribunale, la prospettazione dell’appellante non è idonea a fondare l’invalidità della partecipazione alla gara da parte di [l’appellata].
Per completezza è da aggiungere che tale conclusione non si pone in contrasto con il parere n. 968/2016 reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sul d.lgs. n. 175/2016 e con la deliberazione Anac 15 febbraio 2017, relativa al registro delle società in house di cui all’art. 192 del d.lgs. n. 50/2016: infatti, anche per tali atti l’eventuale superamento del limite di cui trattasi non impatta con gli affidamenti extra moenia. In particolare, alla luce della deliberazione Anac, il provvedimento di cancellazione della società da tale registro per l’ipotesi del superamento del limite determina che “dalla data di cancellazione dall’Elenco, l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore non può effettuare nuovi affidamenti diretti in favore dello specifico organismo in house” (paragrafo 8.8). Nulla muta considerando la successiva previsione secondo cui Anac può indicare “il termine e la possibilità di impugnazione innanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa” (paragrafo 8.7): il riferimento, da rapportarsi al potere di impugnativa Anac di cui all’art. 211, comma 1-bis e 1-ter del Codice dei contratti pubblici, chiarisce semmai che i rapporti extra moenia della società in house sono suscettibili di scrutinio in via di legittimità e non di nullità, come del resto emerge dal già richiamato art. 16, comma 5, del d.lgs. 175/2016. Ancora, la rinuncia da parte della società ai rapporti extra moenia per mantenere la sua natura in house, che è, come visto, una delle due opzioni previste per la sanatoria dell’irregolarità in parola dall’art. 16, comma 5, del d.lgs. n. 175/2016, resta una opzione, e non potrebbe essere diversamente, anche alla luce della relativa contestazione da parte di Anac (paragrafo 8.4: il soggetto interessato “può” impegnarsi a eliminare la causa ostativa all’iscrizione nel termine massimo di 60 giorni), sicchè la ricostruzione di [appellante] è affetta da un palese salto logico laddove afferma che, nell’ipotesi, la società in house sarebbe (“indirettamente”) costretta a rinunciare a tali rapporti per mantenere la sua natura, scelta quest’ultima che invece consegue solo e unicamente alla ben precisa determinazione della società di mantenere gli affidamenti diretti.
Quanto al parere della Commissione speciale n. 968/2016, è vero che il paragrafo 14, nell’ambito delle articolate osservazioni riferite all’art. 16 del d.lgs. n. 175 del 2016, ha richiamato anche la sentenza della Corte costituzionale n. 439 del 2008 e il rilievo in essa contenuto in ordine alla possibile alterazione della concorrenza discendente alle gare pubbliche da una “consistente” attività esterna della società in house, ma si tratta di un richiamo avente valenza ricostruttiva della situazione antecedente all’introduzione del limite quantitativo di cui all’art. 16, comma 3, del d.lgs. 175/2016 oggetto di valutazione in quella sede e che non ha avuto effettiva incidenza sul parere, tant’è che nessuno dei quattro suggerimenti avanzati per il superamento delle criticità rilevate dall’organo consultivo nell’allora schema dell’art. 16 ha posto in connessione le vicende afferenti i rapporti extra moenia e la partecipazione alle gare pubbliche delle società in house, segnalandosi solo, quanto ai primi, il rischio che la prevista valenza “retroattiva” della loro rinuncia da parte di tali società potesse incidere sulle posizioni dei terzi.
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