Consiglio di Stato, sez. III, 01.02.2017 n. 438
Il Collegio ritiene che, al di là delle formule utilizzate, il giudice di primo grado abbia voluto sottolineare la differenza che esiste tra la fattispecie di cui al comma 2 e quella di cui al comma 3 dell’art. 86 d.lgs. 163/2006.
La prima introduce un vero e proprio procedimento – obbligatorio – di valutazione dell’anomalia, legato a criteri matematici. La seconda lascia alla discrezionalità della stazione appaltante la possibilità di aprire un procedimento di valutazione della congruità “di ogni altra offerta” che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa.
È un corollario del principio logico di identità che le due situazioni non sono assimilabili e che la stazione appaltante abbia, nella seconda ipotesi, maggiori margini di scelta, sia per quanto attiene all’istruttoria, che per quanto attiene alla valutazione. (…)
Ragionando a fortiori: se la valutazione tipica di anomalia deve essere compiuta in modo globale e sintetico, riferendola all’intera offerta e non alle singole voci di costo ritenute incongrue, avulse dall’incidenza che potrebbero avere sull’offerta economica nel suo insieme, allorquando sia stata attivata una verifica di anomalia atipica non è obbligatorio analizzare ogni singola voce.
Ciò tanto più ove si consideri che, per costante giurisprudenza, la determinazione dell’amministrazione di non sottoporre a verifica facoltativa di anomalia l’offerta risultata vincitrice della gara è insindacabile, se non sotto il profilo della logicità e ragionevolezza della scelta (in particolare Cons. Stato, sez. IV 3862/11). (…)
L’appellante, per censurare la scarsa penetrazione del sindacato svolto giudice di primo grado, evoca Cons. Stato ad. pl. n. 8 del 2014.
È opportuno, allora, ricordare il principio di diritto ivi fissato su tale questione: «La sfera di valutazione della congruità dell’offerta è espressione di discrezionalità c.d. tecnica della stazione appaltante, che è sempre suscettibile di sindacato esterno nei profili dell’eccesso di potere per manifesta irragionevolezza, erronea valutazione dei presupposti, contraddittorietà. Il concorrente può, quindi, introdurre in giudizio elementi che sul piano sintomatico, in modo pregnante, evidente, e decisivo rendano significativo il vizio di eccesso di potere in cui possa essere incorso l’organo deputato all’esame dell’anomalia. È consentito il sindacato esterno del giudice amministrativo sull’operato dell’organo deputato all’esame delle offerte, in presenza di elementi che il ricorrente elevi a vizio di eccesso di potere in cui la stazione appaltante si assume sia incorsa per una non corretta disanima di elementi contenutistici tali da evidenziare una palese incongruità dell’offerta».
La pronuncia riguarda il procedimento di cui all’art. 86, comma 2 del d.lgs. 163/2006, ma il principio vale a maggior ragione per le ipotesi di verifica della congruità dell’offerta economica che non vi ricadono, dove il tasso di discrezionalità tecnica è superiore, dunque meno intenso potrà essere il sindacato giurisdizionale.
Orbene, diversamente da quanto ritiene l’appellante, la pronuncia pone una chiara limitazione ai poteri del giudice amministrativo, circoscrivendoli al sindacato estrinseco, o di ragionevolezza, che è ben inferiore al c.d. sindacato intrinseco debole, o di attendibilità, che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha codificato per diverse materie, come nel diritto pubblico dell’economia, nei giudizi medico-legali, nei giudizi su prove concorsuali.
Non solo, dunque, il giudice amministrativo non può sostituirsi alla stazione appaltante, nelle valutazioni di sua competenza, istruttorie o decisorie che siano, ma neppure può verificare direttamente l’attendibilità delle scelte operate, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo.
Manifesta irragionevolezza, erronea valutazione dei presupposti, contraddittorietà sono figure sintomatiche di eccesso di potere caratterizzate dalla macroscopica inadeguatezza della scelta tecnica, affetta da vizi logici evidenti o veri e propri errori di fatto. Al ricorrente è fatto onere di introdurre in giudizio elementi che sul piano sintomatico, in modo pregnante, evidente, e decisivo rendano significativo il vizio di eccesso di potere in cui possa essere incorso l’organo deputato all’esame dell’anomalia. Gli elementi (malamente) esaminati dalla stazione appaltante devono essere tali da evidenziare una palese incongruità dell’offerta.
L’appellante si è spinta oltre questi limiti, sollecitando un riesame integrale dell’operato dalla stazione appaltante, alle cui scelte il Tar avrebbe prestato supina adesione.
In verità il Tar ha motivato sinteticamente l’assenza proprio di quei vizi individuati dalla citata pronuncia della Plenaria, che i più recenti arresti giurisprudenziali hanno interpretato nel senso appena descritto, chiarendo da subito, a maggior ragione quando non si verte in una ipotesi tipizzata di offerta anomala, che: «Nelle gare pubbliche il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni compiute in sede di verifica di anomalia delle offerte è circoscritto ai soli casi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza, in considerazione della discrezionalità che connota dette valutazioni, come tali riservate alla stazione appaltante cui compete il più ampio margine di apprezzamento» (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza n. 3372/2016).
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