Società “in house”: presupposti per l’affidamento

SeA no name miniCons. Stato, sez. III, 27.04.2015 n. 2154
(sentenza integrale)

La legittimità dell’affidamento del servizio va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione del provvedimento (in generale, da ultimo, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 29/01/2015, n. 420)
All’epoca dell’affidamento, in altri termini, dovevano sussistere tutti i requisiti e presupposti legittimanti l’affidamento diretto; viceversa, come analiticamente ha ritenuto il giudice di primo grado, non sussisteva il c.d. “controllo analogo” in capo a tutti gli enti affidatari.
La modifica dello statuto intervenuta successivamente, con delibera dell’8 gennaio 2014, quand’anche effettivamente dovesse configurare un’integrazione della forma di controllo consentita agli enti, non sarebbe in ogni caso valutabile ai fini di ritenere integrato il requisito mancante e superato il provvedimento originario, con conseguente venir meno dell’interesse al ricorso da parte della società ricorrente in primo grado.
A parte ogni considerazione sull’applicazione al giudizio di legittimità degli atti amministrativi della regola “tempus regit actum”, il collegio osserva che attribuire rilevanza “sanante” all’atto sopravvenuto e, dunque, valutare la legittimità dell’affidamento in house del servizio sulla base della sopravvenienza in fatto, violerebbe non solo la richiamata regola, ma i principi che presiedono al corretto affidamento degli appalti.
Vero è che l’affidamento in house non rappresenta l’eccezione rispetto alla regola della gara pubblica nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nel caso in cui sussistono i presupposti legittimanti la scelta discrezionale dell’amministrazione (Corte Cost. 20 luglio 2012 n. 199; Consiglio di Stato, sez. V, 10/09/2014, n. 4599).
Tuttavia, mancando quei presupposti, la gara diviene il metodo ordinario di affidamento.
La concorrenza, infatti, presuppone la più ampia apertura al mercato a tutti gli operatori economici del settore, in ossequio ai principi comunitari della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi (Corte Cost. 22 novembre 2007, n. 401).
La tutela della concorrenza ha, peraltro, fondamento costituzionale nell’art. 41 Cost.; difatti, l’art. 41 Cost. è un parametro che garantisce non solo la libertà d’iniziativa economica, ma anche l’assetto concorrenziale del mercato di volta in volta preso in considerazione (cfr. Corte Costituzionale n. 94 del 2013).
Il raggiungimento ed il mantenimento di una situazione di concorrenza sui mercati è l’obiettivo prioritario dell’Unione Europea (cfr. artt. 101, 102 e 106 del Trattato di Roma del 25 marzo 1957) e sul piano interno, l’osservanza del principio di concorrenza costituisce anche attuazione delle stesse regole costituzionali di buon andamento e imparzialità, ai sensi dell’art. 97 della Cost..
La procedimentalizzazione dell’attività di scelta del contraente non è dettata nell’esclusivo interesse dell’amministrazione, ma anche nell’interesse primario costituito dalla tutela degli operatori, del loro interesse ad accedere al mercato e a concorrere per il mercato.
Il sistema di gestione dell’affidamento diretto, dunque, è di stretta interpretazione rispetto al sistema della gara, la cui praticabilità dipende dalla sussistenza dei presupposti indicati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, che devono sussistere al momento dell’affidamento.
Ne consegue che la tutela della concorrenza, eccezionalmente compressa nel regime di affidamento diretto, prevale rispetto ad ogni altra esigenza di tutela (per es., rispetto al principio della conservazione degli atti) laddove si accerti che non ricorrono le condizioni per la sua pretermissione.
(…)
2.1. – Va premesso che i requisiti individuati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale perché possa farsi luogo ad affidamento in house sono: – la totale partecipazione pubblica (con divieto di cedibilità a privati); – l’esclusività (destinazione prevalente dell’attività a favore dell’ente affidante); il controllo analogo (esercizio di influenza decisiva sugli indirizzi strategici e sulle decisioni significative del soggetto affidatario, tale da escludere la sostanziale terzietà dell’affidatario rispetto al soggetto affidante).
A proposito nell’in house pluripartecipato, le amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo in modo congiunto con le altre, a condizione che siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici partecipanti, ovvero, siano formati tra soggetti che possono rappresentare più o tutti i soci pubblici partecipanti;
b) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato;
c) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli di tutti i soci pubblici partecipanti.
Principi, questi, oggi codificati all’art. 12 della direttiva appalti 2014/24/UE che, sebbene non sia stata ancora recepita (essendo ancora in corso il termine relativo per l’incombente), appare di carattere sufficientemente dettagliato tale da presentare pochi dubbi per la sua concreta attuazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 30/01/2015, n. 298).
2.2. – La ricorrente in primo grado aveva evidenziato la mancanza in capo all’ente pubblico proprietario di speciali poteri di ingerenza e di condizionamento delle funzioni del c.d.a., superiori per intensità a quelli normalmente previsti dal diritto societario.
Per contro, gli ampi e illimitati poteri gestionali del c.d.a., estesi all’amministrazione ordinaria e straordinaria, non risulterebbero né limitati nella loro portata oggettiva, né soggetti al vaglio preventivo degli enti affidanti.
Con riferimento alla posizione del singolo socio (e in particolare dell’ASO AL, socio di minoranza), rilevava la mancanza di alcun potere di nomina di propri rappresentanti nel c.d.a. e, più in generale, l’assenza di alcun potere di influenza effettiva sull’operato della società, essendo le decisioni rimesse all’assemblea dei soci, che opera a maggioranza assoluta e con la partecipazione di tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale; l’inconsistenza dei poteri di segnalazione e di veto, in quanto non assistiti da efficacia vincolante, essendo l’ultima parola sul punto rimessa alle decisioni finali dell’assemblea dei soci, nell’ambito della quale il peso specifico dell’amministrazione intimata è irrilevante, disponendo questa di una quota pari al 2,5% del capitale sociale, a fronte del 60% del capitale detenuto dalle sole aziende AO di Cuneo e ASL n. 1 di Cuneo.
La sentenza appellata ha affermato, in linea di principio, che è necessario, invece, secondo la giurisprudenza comunitaria, nel caso di pluripartecipazione, che il singolo socio possa vantare una posizione più che simbolica, idonea, per quanto minoritaria, a garantirgli una possibilità effettiva di partecipazione alla gestione dell’organismo del quale è parte; sicché, una presenza puramente formale nella compagine partecipata o in un organo comune incaricato della direzione della stessa, non risulterebbe sufficiente.
Ha, dunque, ricordato che “la prassi conosce svariati meccanismi, fondati ora sulla nomina diretta e concorrente di singoli rappresentanti (uno per ogni socio) in seno al consiglio di amministrazione della società; ora sulla partecipazione mediata agli organi direttivi attraverso la nomina da parte dell’assemblea di consiglieri riservati ai soci di minoranza. Valida alternativa è offerta dagli strumenti di carattere parasociale, che operano attraverso la predisposizione di organismi di controllo, costituiti dai rappresentanti di ciascun ente locale, muniti di penetranti poteri di verifica preventiva sulla gestione dell’attività”. Infine, il controllo deve essere esercitato non solo in forma propulsiva ma anche attraverso l’esercizio – in chiave preventiva – di poteri inibitori.
2.3. – Nel caso di specie, correttamente, la sentenza appellata ha escluso l’esistenza di modalità di controllo a garanzia del concorso effettivo alla direzione della società anche da parte dei soci minoritari.
A tale conclusione il primo giudice è pervenuto analizzando lo Statuto di A. S.c.r.l., analisi che questo collegio non può che condividere.
Lo Statuto, innanzitutto, non prevede la partecipazione del socio minoritario agli organi direttivi, requisito questo che la giurisprudenza comunitaria richiede perché in caso di “in house frazionato” sussista il controllo analogo; in caso contrario, infatti, i soci di maggioranza sono in grado di imporre le proprie scelte al socio di minoranza, già a partire dalla nomina dell’organo amministrativo (Corte Giustizia UE, III sez., 29.11.2012, n.182).
L’art. 7 dello Statuto, dopo aver premesso che “i diritti sociali spettano a tutti i soci proporzionalmente alla partecipazione da ciascuno posseduta”, non predispone nessun meccanismo di garanzia di rappresentanza dei piccoli soci all’interno del c.d.a.. I consiglieri sono, infatti, eletti (anche tra non soci) dall’assemblea dei soci (art. 11 e 18), la quale “è costituita con la presenza di tanti soci che rappresentino oltre la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta” (art. 16).
L’assenza di apprezzabili poteri in favore del socio minoritario si riscontra anche all’interno del Comitato di controllo analogo: ciascun socio nomina un proprio rappresentante all’interno di tale organismo; ma, al contempo, è previsto che le relative delibere vengano assunte “con voto favorevole della maggioranza assoluta dei propri componenti a condizione che rappresentino almeno il 51% del capitale sociale di A. S.r.l. e, a parità di voti, prevale la maggioranza del capitale sociale rappresentato”.
Il potere di veto riconosciuto al singolo socio è disciplinato dall’art. 8, ove si prevede che lo stesso possa essere esercitato non in via preventiva, ma a fronte di servizi già prestati in suo favore; il dissenso manifestato non ha carattere vincolante sull’operato del c.d.a., potendo solo determinare una remissione della questione all’assemblea dei soci, all’interno della quale la posizione del socio minoritario è però del tutto marginale (cfr. art. 16).
Anche la possibilità di recesso riconosciuta al singolo socio dall’art. 9 dello statuto è limitata ad ipotesi già previste dal codice civile (artt. 2437 e 2481 bis c.c.), mentre non è prevista alcuna possibilità di abbandono della società per l’ipotesi in cui vengano assunte decisioni incidenti sul servizio svolto in favore del singolo socio e sulle quali questi abbia manifestato un “motivato dissenso”.
I poteri di verifica e controllo contabile riconosciuti al singolo socio dallo statuto (art. 29) non sono più stringenti di quelli regolamentati dalle norme civilistiche in materia societaria.
Anche con riguardo all’assetto generale della società A. S.c.r.l. e ai requisiti del controllo analogo sinteticamente riscontrabili in capo alla compagine dei soci pubblici nel suo insieme il primo giudice ha rilevato la necessità che “l’ente pubblico affidante (la totalità dei soci pubblici) eserciti, pur se con moduli fondati su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario e caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria”.
Le decisioni strategiche e più importanti dovrebbero essere sottoposte all’approvazione della totalità degli enti pubblici soci; in caso contrario, neppure i soci pubblici di maggioranza hanno effettivo potere di orientare le scelte determinanti della società (v. Cons. St., sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514; id., sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092; 11 agosto 2010, n. 5620; 8 marzo 2011, n. 1447).
L’art. 11 dello Statuto di A. S.c.d.r., invece, si limita a riprodurre il contenuto dell’art. 2364 c.c.; neppure in tema di strategie e politiche aziendali è rimessa la decisione al vaglio preventivo dei soci.
Ai sensi dell’art. 8, il singolo socio può esercitare un potere di segnalazione e propulsivo con riguardo al servizio che gli viene singolarmente reso, ma senza efficacia vincolante; e l’art. 25 non attribuisce neppure alla totalità dei soci alcun potere di vaglio preventivo sulle scelte del C.d.A.
Una siffatta autonomia del C.d.A. è incompatibile con le caratteristiche del controllo analogo.
2.4. – Deve concludersi, pertanto, che laddove non esiste un legame interno particolare tra l’amministrazione aggiudicatrice e l’entità affidataria, non ricorre il motivo che giustifica il riconoscimento dell’eccezione per quanto concerne gli affidamenti “ in house” ( Corte giustizia UE, sez. V, 08/05/2014, n. 15).”

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