TAR Trieste, 04.12.2014 n. 629
(sentenza integrale)
(estratto)
La giurisprudenza comunitaria è tassativa nel ritenere impossibile la partecipazione ancorché in percentuale minima di soggetti privati alle società in house e tale posizione è stata ripetutamente confermata dal Consiglio di Stato, a partire dall’Adunanza Plenaria n. 1 del 2008.
È pacifico, nell’attuale stato di evoluzione giurisprudenziale, che il requisito della totalità della proprietà pubblica del capitale della società “in house” debba sussistere in termini assoluti.
Invero, l’affidamento diretto (in house) di un servizio pubblico viene consentito tutte le volte in cui un ente pubblico decida di affidare la gestione del servizio, al di fuori del sistema della gara, avvalendosi di una società esterna (ossia, soggettivamente separata) che presenti caratteristiche tali da poterla qualificare come una “derivazione” o una “longa manus” dell’ente stesso. Infatti, in ragione del cd. controllo analogo, che richiede non solo la necessaria partecipazione pubblica totalitaria (posto che la partecipazione, pur minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l’Amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla medesima un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi) e la presenza di strumenti di controllo da parte dell’ente più incisivi rispetto a quelli previsti dal diritto civile. Inoltre non deve essere statutariamente consentito che una quota del capitale sociale, anche minoritaria, possa essere alienata a soggetti privati; il consiglio di amministrazione della società deve essere privo di rilevanti poteri gestionali; all’ente pubblico controllante deve essere consentito l’esercizio di poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce normalmente alla maggioranza sociale; l’impresa non deve acquisire una vocazione commerciale che renda precario il controllo dell’ente pubblico, con la conseguente apertura obbligatoria della società ad altri capitali, fino all’espansione territoriale dell’attività a tutta l’Italia e all’estero; le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante, e della cd. “destinazione prevalente dell’attività” (cioè il rapporto di stretta strumentalità fra le attività dell’impresa e le esigenze pubbliche che l’ente controllante è chiamato a soddisfare), l’ente in house non può ritenersi terzo rispetto all’Amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell’Amministrazione stessa (TAR Puglia – Bari 2 aprile 2013 n 458).
Al contrario, per escludere radicalmente ogni possibilità di legittimo affidamento “in house” è, infatti, sufficiente che vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione privata al capitale sociale (CSGAS 9 febbraio 2009 n 48; TAR Puglia Bari 14 maggio 2010 n 1891; cfr. anche Corte conti FVG 8 5 2009 n 55).
La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni 2014/23/UE, che sul punto ammette in talune ipotesi la partecipazione indiretta dei privati alle società in house, non risulta ancora recepita dagli Stati membri, né essa si può considerare self executing, sia per la sua natura, che richiede un recepimento e adattamento a livello nazionale, sia perché non è ancora scaduto il termine per il recepimento stesso.
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