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Società mista pubblico privata : divieto di partecipazione a gare indette da altre Amministrazioni anche se relative a servizi similari

TAR Roma, 28.11.2023 n. 17846

L’art. 26 comma 1 d. lgs. n. 175/16 stabilisce, poi, che “le societa’ a controllo pubblico gia’ costituite all’atto dell’entrata in vigore del presente decreto adeguano i propri statuti alle disposizioni del presente decreto entro il 31 luglio 2017. Per le disposizioni dell’articolo 17, comma 1, il termine per l’adeguamento e’ fissato al 31 dicembre 2017”.
Nello stesso senso l’art. 16 d. lgs. n. 201/22 prevede che “gli enti locali e gli altri enti competenti possono affidare i servizi di interesse economico generale di livello locale a società a partecipazione mista pubblico-privata, come disciplinate dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175. In tali casi, il socio privato è individuato secondo la procedura di cui all’articolo 17 del decreto legislativo n. 175 del 2016”.
Dalle disposizioni in esame emerge che le società miste costituite per la scelta del socio privato e per l’affidamento di un servizio pubblico, quale è la ricorrente, debbono espletare, in via esclusiva, il servizio per il cui affidamento sono state costituite e, pertanto, non possono partecipare alle gare indette da altre amministrazioni anche se relative a servizi similari.
Depone, in questo senso, l’art. 17 d. lgs. n. 175/16, espressamente richiamato dall’art. 16 d. lgs. n. 201/22, in quanto:
– prevede che l’affidamento del contratto di appalto di concessione costituisca “l’“oggetto esclusivo della società mista” (comma 1);
– disciplina i requisiti di partecipazione alla gara “in relazione alla prestazione per cui la societa’ e’ stata costituita” (comma 2), espressione che palesa una stretta funzionalizzazione tra società e servizio oggetto di affidamento in relazione al quale sono, infatti, parametrate le regole di svolgimento della gara;
– a conferma del fatto che la strumentalità della società mista rispetto al servizio per il quale l’ente è stato costituito debba essere intesa in termini di esclusività dell’oggetto della società stessa, il comma 3 collega indissolubilmente la durata della partecipazione privata alla societa’ alla durata dell’appalto o della concessione prescrivendo, altresì, meccanismi statutari di “scioglimento del rapporto societario in caso di risoluzione del contratto di servizio”. Ove si ammettesse la possibilità delle società miste di partecipare a gare indette da altre amministrazioni si perverrebbe all’incongruo risultato per cui la legittimazione a tale partecipazione sarebbe, in fatto, condizionata dalla durata del contratto di servizio affidato in sede di costituzione della società; inoltre, l’esecuzione degli appalti affidati all’esito delle gare indette da amministrazioni diverse da quelle socie finirebbe per essere risolutivamente condizionata allo scioglimento del rapporto societario della società mista conseguente alla risoluzione del contratto di servizio il che sarebbe ovviamente inammissibile per i principi di economicità e buon andamento dell’azione amministrativa che, ai sensi degli artt. 30 d. lgs. n. 50/16 e 1 d. lgs. n. 36/23, sono riferibili anche agli appalti pubblici;
– nella stessa ottica va riguardata la possibilità che i patti parasociali, pur potendo avere durata superiore a cinque anni, in deroga all’articolo 2341-bis comma 1 c.c., devono, comunque, essere contenuti “entro i limiti di durata del contratto per la cui esecuzione la societa’ e’ stata costituita” (comma 4): ciò proprio a confermare il nesso indissolubile tra durata del servizio e durata della partecipazione privata alla società mista;
– il nesso di esclusività esistente tra costituzione della società mista e svolgimento del servizio affidato dagli enti pubblici soci è confermato dal comma 6 allorché disciplina particolari modalità “per la realizzazione dell’opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali [le società] sono state specificamente costituite” (significativo è il termine “specificamente”).
La disciplina in esame è ispirata dall’esigenza di tutelare la concorrenza.
Nella fattispecie, infatti, vengono in rilievo enti che presentano o possono presentare, in ragione delle consentite modifiche statutarie, previsioni che alterano la disciplina ordinaria delle società con l’attribuzione di poteri particolari all’ente pubblico o al socio privato partecipante a scapito degli altri organi sociali.
In particolare, l’art. 17 d. lgs. n. 175/16, la cui applicabilità ai servizi pubblici locali è stata espressamente prevista dal recente art. 16 d. lgs. n. 201/22, mira ad evitare che, attraverso la deroga alla disciplina societaria prevista dal comma 4 della disposizione e la conseguente attribuzione al socio privato di particolari diritti e vantaggi non coerenti con l’effettiva entità della sua partecipazione, proprio il socio privato possa beneficiare di tali deroghe per gestire la società con criteri diversi da quelli a cui si attengono gli altri operatori economici finendo, in tal modo, per acquisire requisiti e risorse da spendere ai fini della partecipazione ad ulteriori future gare indette da altre stazioni appaltanti, così alterando il fisiologico meccanismo della concorrenza.
Proprio gli indebiti vantaggi che potrebbe conseguire il socio privato hanno indotto il legislatore a differenziare la situazione delle società miste, in cui l’art. 17 d. lgs. n. 175/16 prevede un oggetto esclusivo, da quella delle società in house nelle quali l’assenza di soci privati giustifica l’astratta possibilità di tali enti di partecipare ad altre gare, fermo restando il limite massimo di fatturato riferibile a compiti espletati per conto di soggetti non soci, previsto dall’art. 16 comma 3 d. lgs. n. 175/16.
Secondo parte ricorrente, la possibilità della società mista di partecipare liberamente alle gare per l’affidamento di appalti e concessioni pubbliche dovrebbe evincersi dalla Comunicazione interpretativa 2008/C 91/02 del 12/4/2008 della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) secondo cui, “in diritto comunitario, l’entità a capitale misto è libera, come qualsiasi altro operatore economico, di partecipare a gare di appalto pubbliche” (pag. 5 della memoria depositata il 04/11/23).
Il richiamo alla detta Comunicazione non è, però, significativo perché lo stesso atto alla nota 39 riconosce che “il considerando 4 della direttiva 2004/18/CE sollecita gli Stati membri a provvedere affinché la partecipazione di un organismo di diritto pubblico a una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico in qualità di offerente non causi distorsioni della concorrenza nei confronti di offerenti privati”.
Ne deriva che, se, da una parte, è vero che, in astratto, in base al 14 Considerando della direttiva n. 2014/24/UE e agli artt. 3 comma 1 lettera p) e 45 d. lgs. n. 50/16, la natura pubblica dell’ente non osta alla sua qualificazione come “operatore economico” ai fini della partecipazione alle gare, dall’altra, è pur vero che il legislatore ha inteso limitare, per le società miste, tale partecipazione proprio per le ragioni di tutela della concorrenza di cui si è dato atto, il che deve ritenersi coerenti con le indicazioni di stampo eurounitario.
Solo per esigenza di completezza, il Collegio rileva che, come noto, la normativa comunitaria riconosce espressamente, in capo alla pubblica amministrazione, la discrezionalità in ordine alla scelta di esternalizzare o meno un servizio pubblico (Libro Verde del 30/04/04 della Commissione paragrafo 1.3); nell’ambito delle opzioni praticabili dall’amministrazione, pertanto, deve ritenersi compresa anche la possibilità di esternalizzare tale servizio delimitando l’operatività esterna delle società miste al fine di preservarne la finalità per le quali le stesse sono state “specificamente” (come recita l’art. 17 d. lgs. n. 175/16) istituite.

Società mista pubblico privata – Limite minimo 30% partecipazione socio privato – Rimessione alla Corte di Giustizia UE

Consiglio di Stato, sez. V, 11.05.2020 n. 2929 

Devono essere rimesse alla Corte di giustizia UE le questioni pregiudiziali:
a) se sia conforme al diritto eurounitario ed alla corretta interpretazione dei considerando 14 e 32, nonché degli artt. 12 e 18 della Direttiva n. 24/2014/UE e 30 della Direttiva n. 23/2014/UE, anche con riferimento all’art. 107 TFUE, che, ai fini della individuazione del limite minimo del 30% della partecipazione del socio privato ad una costituenda società mista pubblico – privata, limite ritenuto adeguato dal legislatore nazionale in attuazione dei principi eurounitari fissati in materia dalla giurisprudenza comunitaria, debba tenersi conto esclusivamente della composizione formale/cartolare del predetto socio ovvero se l’amministrazione che indice la gara possa – o anzi debba – tener conto della sua partecipazione indiretta nel socio privato concorrente;
b) in caso di soluzione positiva del precedente quesito se sia coerente e conforme con i principi eurounitari, ed in particolare con il principio di concorrenza, proporzionalità e adeguatezza, che l’amministrazione che indice la gara possa escludere dalla gara il socio privato concorrente, la cui effettiva partecipazione alla costituenda società mista pubblico privata, per effetto della accertata partecipazione pubblica diretta o indiretta, sia di fatto inferiore al 30%.

La controversia trae origine dalla gara, bandita da Roma Capitale, a doppio oggetto per la scelta del socio privato e per l’affidamento del servizio scolastico integrato di competenza di Roma Capitale a società per azioni mista pubblico – privata, fissando al 51% la partecipazione di Roma Capitale e al 49% quella del socio privato e stabilendo che a carico di quest’ultimo fosse posto l’intero rischio operativo.
Ha quindi ricordato la Sezione che la scelta di una pubblica amministrazione di costituire una società mista pubblico – privata è tipica manifestazione della discrezionalità che la legge attribuisce alla stessa amministrazione per il raggiungimento degli interessi pubblici attribuiti alla sua tutela; la legittimità di tale scelta postula il perseguimento di finalità di interesse pubblico o generale una gara a doppio oggetto, la scelta del socio privato a mezzo di gara ad evidenza pubblica.
Il socio privato deve essere operativo e non un mero socio di capitale, stante la specificità del ruolo che deve assumere nell’attuazione dell’oggetto sociale: del resto, il coinvolgimento del socio privato per il perseguimento di fini di interessi generali si giustifica proprio per la carenza in seno alla amministrazione pubblica delle competenze necessarie di cui ha la disponibilità il socio privato.
La partecipazione del socio privato operativo deve essere adeguata, idonea cioè a rendere possibile l’attuazione dell’oggetto sociale; tale adeguatezza è stata fissata dal legislatore nazionale, proprio ai fini del rispetto dei principi eurounitari, nella soglia minima di partecipazione del 30%; con la conseguenza che una partecipazione inferiore a tale soglia, secondo la valutazione insindacabile e non irragionevole del legislatore, è di per sé inidonea a rendere effettivamente conseguibile il perseguimento dell’oggetto sociale cioè lo scopo che giustifica la stessa costituzione della società mista pubblico – privata; la partecipazione pubblica alla società mista pubblico – privata non deve superare il 70%.
Sotto altro profilo deve osservarsi che la società mista pubblico – privata è destinata a svolgere servizi di interesse generale (ex art. 2, comma 1, d.lgs. n. 175 del 2016), in realtà un’attività di impresa, da erogare dietro corrispettivo e capace di produrre lucro.
Tuttavia al riguardo occorre (precisare e) distinguere lo scopo (di lucro) della società mista pubblico – privata da quello dall’amministrazione pubblica che è indiscutibilmente pubblico, con la conseguenza che l’attività della società mista pubblico – privata ed i servizi che essa offre sono sottoposti a condizioni di accessibilità che un soggetto di natura esclusivamente privata riterrebbe non vantaggiose.
Il limite massimo del 70% della partecipazione pubblica alla società mista pubblico – private finisce in definitiva con l’individuare il punto oltre il quale l’attività della predetta società altererebbe la concorrenza sul mercato, poiché non solo renderebbe inappetibile quel determinato settore del mercato, ma consentirebbe al socio privato della società mista pubblico – privata di limitare eccessivamente (al di sotto del 30%) il rischio economico della partecipazione all’impresa stessa.
Così fissate le coordinate della controversia, per la sua soluzione occorre stabilire se, ai fini del rispetto della giusta soglia di partecipazione alla costituenda società mista pubblico – privata (non più del 70% per quanto riguarda la partecipazione pubblica, non meno del 30% per la partecipazione del socio privato) debba farsi riferimento alla sola natura giuridica del socio privato oppure, qualora esso sia partecipato da capitale pubblico, se debba tenersi conto anche di quest’ultima.
Com’è intuitivo la questione non riveste un carattere meramente formale.
Se si tiene conto infatti della sola veste giuridica del socio privato in quanto tale, privilegiando, come in definitiva sostengono nella fattispecie in esame le appellanti, la parità di trattamento dei concorrenti (al procedimento di scelta del socio privato della costituenda società mista pubblico – privata) ed il principio di non discriminazione, oltre che il più generale principio di libertà dell’iniziativa economica privata, sarebbe da ritenere rilevante e decisivo il solo fatto che nel caso di specie Roma Multiservizi s.p.a., in quanto società per azioni è un soggetto privato, indipendentemente dalla effettiva composizione della sua compagine sociale e dalla natura del suo capitale.
Considerando al contrario l’aspetto sostanziale della configurazione sociale di Roma Multiservizi s.p.a. ed in particolare il fatto che essa è partecipata al 51% da AMA s.p.a., che a sua volta è interamente detenuta da Roma Capitale, si giunge a considerare che nella costituenda società mista pubblico – privata la partecipazione pubblica sarebbe solo formalmente pari al 51%, ma di fatto ascenderebbe al 73,5%, e correlativamente la partecipazione del socio privato, formalmente del 49%, si attesterebbe al 26,5%, inferiore al limite di legge del 30%: ciò non solo eluderebbe il dettato normativo nazionale (oltre alla stessa effettiva previsione della lex specialis), per quanto – e soprattutto – realizzerebbe o potrebbe realizzare una situazione di inefficienza del mercato e violerebbe il principio di concorrenza, in quanto consentirebbe ad un socio privato (della costituenda società mista pubblico – privata) di godere ingiustamente dei vantaggi della partecipazione pubblica, dando vita ad una sostanziale rendita di posizione capace di impedire l’accesso proficuo di altri soggetti allo specifico segmento del mercato concernente la stessa attività economica.
D’altra parte sotto tale ultimo profilo dovrebbe ritenersi coerente con i principi di legalità (sostanziale), imparzialità e buon andamento, predicati dall’art. 97 della Costituzione, e con quelli di efficienza, efficacia, adeguatezza e proporzionalità, in relazione al principio di concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione, propugnati dai principi eurounitari, la decisione di una pubblica amministrazione (quale nella specie Roma Capitale) che, dando puntuale applicazione ed attuazione ai fondamentali indirizzi stabilità dal proprio organo di indirizzo politico-amministrativo (l’Assemblea capitolina), valuti in concreto la composizione dei partner che intendano concorrere alla selezione per la scelta del socio di una costituenda società mista pubblico – privata e decida motivatamente di escludere un concorrente, di cui la stessa amministrazione partecipi al capitale in misura significativa, tale da superare il limite della partecipazione pubblica ammessa nella costituenda newco, correlativamente limitando di fatto la partecipazione del privato ad una soglia inferiore al 30% ritenuta dal legislatore nazionale adeguata per il rispetto dei ricordati principi eurounitari.
La scelta dell’una o dell’altra opzione interpretativa è idonea a determinare la soluzione della controversia in un modo, ovvero nel suo esatto opposto e ciò rende rilevante la questione di interpretazione pregiudiziale da sottoporre alla Corte di giustizia.

fonte: sito giustizia amministrativa

Società mista pubblico / privato – Alienazione delle quote sociali – Procedura ad evidenza pubblica – Necessità (art. 5 d.lgs. n. 50/2016)

Consiglio di Stato, sez. V, 28.09.2016 n. 4014

In generale, il comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 163 del 2006 stabilisce che “nei casi in cui le norme vigenti consentono la costituzione di società miste per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica o di un servizio, la scelta del socio privato avviene con procedure di evidenza pubblica”. L’ambito di applicazione della disposizione in questione (da ultimo trasfusa nel comma 9 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 50 del 2016), stante la sua evidente valenza di principio, non può ritenersi limitato – in senso, per così dire, ‘statico’ – al solo momento della costituzione della società mista, ma deve ritenersi altresì esteso alle ipotesi (quale quella che qui ricorre) in cui venga in rilievo l’alienazione di partecipazioni sociali detenute da un’amministrazione pubblica nell’ambito di una società che già risulti a composizione mista.
L’obbligo di rispettare la regola dell’evidenza pubblica per l’alienazione delle quote sociali detenute in una società mista risponde a un principio di ordine pubblico economico (anche di matrice eurounitaria) presiedendo al rispetto degli altrettanto generali principi di concorrenza, parità di trattamento e di non discriminazione fra i potenziali concorrenti;
La violazione delle richiamate regole di ordine pubblico non comporta soltanto l’annullabilità degli atti con cui si sia comunque proceduto all’alienazione in favore di privati in violazione della regola dell’evidenza pubblica, ma – più in generale – la radicale nullità dell’atto per violazione di norme imperative di legge.

Società in house e società mista – Differenza ai fini dell’affidamento di un servizio

Consiglio di Stato, sez. V, 15.03.2016 n. 1028

In via generale, le regole applicative che presiedono all’affidamento diretto di servizi a società miste pubblico-private per le quali via stata, come nella specie, una previa gara cd. a doppio oggetto (per la scelta del socio privato e per l’affidamento del servizio) sono state indicate dalla giurisprudenza comunitaria e di questo Consiglio.
In particolare, per ciò che qui interessa, si deve rilevare che la differenza tra la società in house e la società mista consiste nel fatto che la prima agisce come un vero e proprio organo dell’amministrazione dal punto di vista sostanziale, mentre la diversa figura della società mista a partecipazione pubblica, in cui il socio privato è scelto con una procedura ad evidenza pubblica, presuppone la creazione di un modello nuovo, nel quale interessi pubblici e privati trovino convergenza.
In quest’ultimo caso, l’affidamento di un servizio ad una società mista è ritenuto ammissibile a condizione che si sia svolta una unica gara per la scelta del socio e l’individuazione del determinato servizio da svolgere, delimitato in sede di gara sia temporalmente che con riferimento all’oggetto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 settembre 2010, n. Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555 e Corte Giustizia, sez. III, 15 ottobre 2009, C-196/08, Acoset).
La Corte di Giustizia ha, infatti, ritenuto l’ammissibilità dell’affidamento di servizi a società miste, a condizione che si svolga in unico contesto una gara avente ad oggetto la scelta del socio privato (socio non solo azionista, ma soprattutto operativo) e l’affidamento del servizio già predeterminato con obbligo della società mista di mantenere lo stesso oggetto sociale durante l’intera durata della concessione.
La chiave di volta del sistema è rappresentato dal fatto che l’oggetto sia predeterminato e non genericamente descritto, poiché altrimenti, è evidente, sarebbe agevole l’aggiramento delle regole pro-competitive a tutela della concorrenza.
Anche di recente, questa Sezione del Consiglio di Stato (sentenza 2 marzo 2015, n. 992 ) , pur affermando, in quel caso alla stregua dei principi comunitari e della loro interpretazione desumibile dalla giurisprudenza nazionale (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 28 luglio 2011, n. 4527), l’affidamento diretto di un servizio a una società mista non è incompatibile con il diritto comunitario, a condizione che la gara per la scelta del socio privato della società affidataria sia stata espletata nel rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza, ha anche ribadito che i criteri di scelta del socio privato si riferiscano non solo al capitale da quest´ultimo conferito, ma anche alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, in guisa da potersi inferire che la scelta del concessionario risulti indirettamente da quella del socio medesimo (cfr. anche Cons. Stato, sez. II, parere 18 aprile 2007, n. 456).
Nel caso di specie, è evidente che l’oggetto sociale della gara europea del 1997 era del tutto generico ed onnicomprensivo idoneo a far ricadere, potenzialmente, qualsiasi servizio nel suo perimetro e, per conseguenza, del tutto inidoneo a integrare i requisiti per l’affidamento diretto dello specifico servizio oggetto del presente giudizio.